FUGA
. Musica. - Forma appartenente, quanto allo stile, al genere imitato e canonico, del quale rappresenta la più completa estrinsecazione.
Storia. - La denominazione fuga appare durante il secondo periodo fiammingo (2ª metà del sec. XV; v. fiamminga, musica) a significare varî aspetti dello stile canonico, e ancora con tale accezione generica è usata dai compositori italiani del Cinquecento. In realtà presso questi, sia nelle forme di musica vocale, sia in quelle strumentali, troviamo già fissata l'imitazione alla quinta, che poi diverrà norma dell'impianto della fuga propriamente detta. Prescindendo da questo primo e lontano grado di parentela, che fa della fuga un ramo (se si vuole, il più rigoglioso) del grande tronco dello stile imitato, il vero ceppo di tale forma deve vedersi nel Ricercare per organo e, subordinatamente, nelle composizioni affini, come la Canzone e la Fantasia (v.). Già i Ricercari di Girolamo Cavazzoni (che risalgono al 1542) mostrano un inizio fugato con risposta alla quinta; mentre G. Zarlino nelle Istituzioni armoniche (1558) dà della fuga (che egli chiama anche Reditta) una definizione chiara e completa, e si rivela cosciente del tipico monotematismo di questa forma, in confronto col politematismo delle forme strumentali derivate dal Mottetto e dal Madrigale, là dove dice che dal soggetto il compositore cava la inventione di tutte le altre parti della cantilena.
Ma, per quel che sappiamo, è con Giovanni Gabrieli che il ricercare si avvia veramente a diventare fuga. Lo stesso H. Riemann, che si compiace di attribuire la determinazione dello schema fughistico agli organisti della Germania centrale del sec. XVII, addita nondimeno in un Ricercare del decimo tono di Giovanni Gabrieli (del 1595) "il primo esemplare di fuga reale con divertimenti". Questo primo grado di trasformazione del ricercare consiste nel fermarsi del compositore su un solo tema, o almeno nel dare al primo tema enunciato più ampie proporzioni di sviluppo. In questo senso gli organisti della scuola veneziana, e particolarmente Annibale Padovano, Luzzasco Luzzaschi, Claudio Merulo, e Giovanni Gabrieli sono da considerare i veri autori della trasformazione.
Ma è con Girolamo Frescobaldi (1583-1643) che il monotematismo e le sue più ricche conseguenze di sviluppo hanno la massima applicazione. Quando perciò il sommo Ferrarese è ricordato come "inventore della fuga" si deve intendere che egli, più che fissare lo schema formale di essa, diede al soggetto la capacità di sostenere da solo l'intera architettura di una composizione strumentale, aumentando la sua originaria eloquenza con le più impensate trasformazioni e gemmazioni. D'altronde il Frescobaldi non chiamò mai fughe i proprî ricercari, o canzoni, o capricci. Per tanto tempo anzi fu la parola "fuga" lontana dal designare una forma determinata, che ancora Bernardo Pasquini, sulle soglie del Settecento, chiama "Ricercari" alcune sue composizioni che sono vere e proprie fughe, e non diversamente fa Tarquinio Merula con una sua mirabile Sonata cromatica.
L'uso generalizzato del nome corrisponde tuttavia, a metà del Seicento, alla determinazione di una vera e propria forma, in cui ebbero parte attiva, non questa o quella nazione, ma, per la verità, quasi contemporaneamente Italiani, Tedeschi e Francesi. A B. Pasquini, G. Bencini, C. F. Pollarolo, a S. Scheidt, J. J. Froberger, J. Pachelbel, a F. Roberday, J. H. D'Anglebert, N. Gigault, spetta, tra molti altri, l'attribuzione di questo merito nei confini del sec. XVII. La costituzione poi dei tre tipi di fuga, reale, tonale e di imitazione, risale ad A. Steffani, a G. C. M. Clari e ad Alessandro Scarlatti. In Germania la fuga toccò i più alti vertici dell'ispirazione e della maestria con J. S. Bach e G. F. Haendel, sommo nella fuga vocale. Vanno anche ricordati i nomi di Domenico Scarlatti, Francesco Durante, Nicolò Porpora, che scrissero fughe bellissime, di ampio sviluppo e di grande effetto. In seguito l'arte della fuga ebbe cultori sapienti e geniali nel padre G. B. Martini, in M. Clementi, L. Cherubini, G. Sgambati, G. Martucci, M. E. Bossi, tra gl'Italiani; in J. Haydn, W. A. Mozart, L. v. Beethoven, F. Mendelssohn, R. Schumann, J. Brahms, M. Reger, fra i Tedeschi; in C. Franck e C. Saint-Saëns tra i Francesi.
Costituzione formale. - Quanto alla divisione delle sue parti, la fuga si compone di: esposizione, divertimenti, stretto. Quanto invece al materiale tematico, essa consta di uno o più soggetti e di un controsoggetto. La fuga inoltre può essere reale (se il soggetto, cominciando con la tonica, non giunge alla dominante, ovvero se, anche toccando o oltrepassando la dominante, forma un periodo che comincia e finisce sulla tonica); tonale (se modula alla dominante). Nella fuga reale, che è la più antica, la risposta al soggetto imita questo integralmente, cioè senza alcun mutamento di intervalli; nella fuga tonale invece la risposta è obbligata a una o più mutazioni per ricondursi al tono d'impianto.
Esempio di risposta reale:
Esempio di risposta tonale:
Consideriamo ora partitamente ogni sezione prendendo per modello una fuga a un solo soggetto. Nell'esposizione le parti, o voci, entrano una alla volta, per fare udire alternatamente soggetto e risposta. Dalla seconda voce in poi ogni entrata del tema è accompagnata dal controsoggetto, creato in contrappunto doppio all'ottava. Ecco pertanto un esempio di esposizione nelle sue prime quattro entrate:
Il divertimento - che dovrebbe chiamarsi più propriamente sviluppo - costituisce la parte centrale e più estesa della fuga. Esso è formato da episodî modulanti, intessuti di incisi tematici, tratti dalle figure del soggetto e del contmsoggetto, e alternati a ripercussioni (ritorni in altre tonalità) del soggetto o della risposta, fatte udire per lo più nel cerchio delle tonalità vicine a quella d'impianto. È questa la parte della fuga in cui l'ingegnosità costruttiva, il senso di coesione melodica, la fantasia e l'abilità del compositore hanno tempo più libero ove manifestarsi. Il divertimento può terminare su una cadenza alla dominante, o può anche essere congiunto, senza soluzione di continuità, allo stretto.
In questa terza parte della fuga le voci fanno udire, ancora successivamente, soggetto e risposta, ma con le entrate ravvicinate tra loro. Così dal soggetto:
J. S. Bach forma il seguente stretto, iniziato con la risposta:
Quando la natura del soggetto lo comporti, vi possono essere anche due o più stretti. In tali casi le entrate tematiche si faranno sempre più vicine.
La serie degli stretti, intramezzati da brevi e serrati divertimenti, è seguita dalla conclusione della fuga, la quale comunemente si svolge su un pedale inferiore, intessuto di figure attinenti al soggetto:
Non è raro il caso che, a concludere una fuga, intervenga un canone (v.).
Tra gli artifici che la perizia polifonica offre alla fuga, e di cui questa fa uso, soprattutto nel corso dei divertimenti, si notano: le trasformazioni mensurali del soggetto, che può essere presentato in aumentazione o in diminuzione (v.); l'inversione dei suoi intervalli (soggetto per moto contrario) come nell'esempio:
l'introduzione, inoltre, di un corale, in una sola voce, o circolante da una voce all'altra, e adatto, con le sue ampie figure, a sostenere l'intreccio contrappuntistico delle altre parti. Infine, assai raro per l'estrema difficoltà della sua combinazione, può entrare nella fuga l'artificio del soggetto retrogrado o cancrizzante (procedente cioè a ritroso) contro il soggetto a movimento normale. Ve n'è un esempio, cospicuo per la sua spontaneità melodica, nella fuga in re minore al n. 54 del Gradus di Clementi.
Non parleremo in questi cenni della cosiddetta fuga di scuola, la cui costituzione, simile (per necessità didattiche) a una vetrina di applicazioni tecniche, non esce dal campo astratto.
Da quando la fuga strumentale divenne una composizione per sé stante, essa fu spesso preceduta da un preludio, il cui scopo è quello d'introdurre l'ascoltatore, con la severità dello stile, nell'austero piano contemplativo della fuga. Tra i più noti e apprezzati preludî, si annoverano quelli dettati da J. S. Bach per le 48 fughe del Clavicembalo ben temperato; ma sarebbe ingiusto dimenticare gli analoghi preamboli scritti dal p. Martini, da M. Clementi, da F. Mendelssohn per le loro fughe.
Maggiori possibilità nell'invenzione ritmica e una libertà costruttiva non inceppata dall'intervento della parola, hanno fatto sì che la letteratura della fuga sia assai più vasta nel campo strumentale che in quello vocale; e in ciò la sorte di questa forma non ha fatto che seguire l'impulso originario. Non va dimenticato infatti ch'essa nacque sulla tastiera dell'organo. Per analoghe ragioni la fuga è entrata anche a far parte di composizioni strumentali a più tempi. Così non è raro il suo intervento in sinfonie (basta ricordare il finale della sinfonia in do maggiore, detta Jupiter, di Mozart), in quartetti, in temi con variazioni, specialmente del periodo classico. Beethoven la introdusse nelle sonate per pianoforte della cosiddetta terza maniera (opere 106 e 110); insigni autori di oratorî, come Haendel e Mendelssohn, le attribuirono ufficio di preludio; infine, sotto il breve aspetto del fugato, non ne disdegnarono il caratteristico aiuto neanche gli operisti di teatro.
I migliori esempî di fughe vocali (su testo) vanno ricercati nella musica liturgica posteriore alla metà del '600, nella musica d'ispirazione sacra anche non liturgica, negli oratorî e nelle cantate. Oltre ai nomi di Haendel e di Bach vanno qui ricordati quelli di A. Scarlatti, L. Leo, F. Durante, E. d'Astorga, L. Cherubini, G. Rossini, G. Verdi. Non mancano infine esempî di doppia fuga, con un soggetto nel coro e uno in orchestra, a svolgimento indipendente; superbo quello del Kyrie nella Messa in si minore di J. S. Bach.
L'importanza formale e concettuale della fuga ha fatto sì che della sua tecnica abbiano trattato parecchi e valenti teorici. Ricorderemo tra i più antichi F. Galeazzi negli Elementi teorico-pratici di musica, che ebbe primo il merito di ridurre a norme chiare le questioni relative alla risposta tonale; J. J. Fux nel Gradus ad Parnassum; J. Ph. Kirnberger, F. W. Marpurg; e poi, in tempi più recenti, B. Asioli, F. J. Fétis, E. F. Richter, S. Jadassohn, H. Riemann, C. De Sanctis, Th. Dubois, A. Gédalge. Tra le opere teoriche (sebbene non contenga testo) è da considerare quella singolarissima e ingegnosissima raccolta, che J. S. Bach intitolò Die Kunst der Fuge e che si propone di dimostrare praticamente come da un solo soggetto si possano ricavare infinite combinazioni fugate.
Bibl.: J. Müller-Blattau, Grundzüge einer Geschichte der Fuge, Königsberg e Augusta 1923.