Konoe, Fumimaro
Politico giapponese (Tokyo 1891-ivi 1945). Fu tra i più discussi protagonisti della storia giapponese del Novecento. Figlio del principe Konoe Atsumaro, alla morte di questi (1904) fu capo della famiglia dei Konoe; in gioventù studiò filosofia presso le università di Tokyo e di Kyoto. Nel 1916 entrò nella Camera dei pari e nel 1919 partecipò alla Conferenza di Versailles come membro della delegazione giapponese, dopo aver pubblicato un polemico saggio dal titolo Rifiutiamo il pacifismo basato sulla Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Nel 1933 divenne presidente della Camera dei pari e negli stessi anni sviluppò posizioni nazionaliste, si schierò sulla linea dell’esercito a proposito della questione mancese e si circondò di intellettuali che auspicavano una riforma costituzionale e amministrativa, che tenesse conto delle esperienze dei fascismi europei e del bolscevismo. Nel 1937 K. divenne primo ministro alla vigilia dell’incidente del ponte Marco Polo e della guerra cino-giapponese, che contribuì a rendere di difficile soluzione sul piano diplomatico per l’intransigenza verso il governo del Guomindang. Dimessosi nel gennaio 1939, tornò alla guida del governo nel luglio 1940. In questa fase promosse il movimento per il «Nuovo regime» e una riforma che riuniva tutti i deputati in un unico gruppo parlamentare, oltre a concludere il Patto tripartito con la Germania e l’Italia. Cercò però di arginare il deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, dovuto alla penetrazione giapponese in Indocina e alla linea del ministro degli Esteri Matsuoka, per estromettere il quale si dimise nel luglio del 1941. Il peggioramento dei rapporti con gli USA spinse K., tornato al governo, a dimettersi di nuovo nell’ottobre del 1941, senza peraltro riuscire a impedire che il successivo gabinetto Tojo scegliesse la via della guerra. Dopo alcuni anni nell’ombra, venne a contatto con un circolo di politici e anziani ufficiali, i quali, dopo che la situazione militare nel Pacifico si era deteriorata in modo tendenzialmente irreversibile, stavano maturando l’idea che lo strapotere del gruppo dominante dell’esercito (la cosiddetta Toseiha) portasse nel Paese il comunismo e si dovessero determinare la caduta del governo Tojo e l’uscita dalla guerra, se necessario attraverso un intervento diretto dell’imperatore. In effetti Tojo fu rovesciato nel luglio del 1944, ma il partito della pace rappresentato da K. non riuscì a ottenere migliori risultati, finché nel febbraio 1945, nel corso di una consultazione con gli ex primi ministri, K. presentò un memorandum all’imperatore, con il quale formalizzava le sue accuse all’esercito e chiedeva al sovrano di intervenire. L’iniziativa portò a un breve incidente politico (spesso chiamato Nihon Badorio jiken, ovvero «del Badoglio giapponese»), ma fallì. Dopo la resa del Giappone e l’inizio dell’occupazione alleata, K. fu messo in stato di accusa come criminale di guerra, ma si sottrasse all’arresto suicidandosi.