FUSIONE FREDDA
Introduzione. - Il processo più elementare di f. nucleare avviene quando due nuclei leggeri (di idrogeno e dei suoi isotopi, deuterio e trizio) vengono fatti avvicinare sufficientemente e abbastanza a lungo (mediante un processo genericamente detto di confinamento) per permettere che entrino in gioco le forze nucleari. Avendo carica elettrica di ugual segno, i nuclei si respingono però tanto più fortemente quanto più sono vicini. Per realizzare il superamento di questa barriera elettrica naturale si può fare ricorso a condizioni di altissima temperatura (centinaia di milioni di gradi) o pressione (milioni e milioni di atmosfere) e quindi di densità; su questi principi in sostanza si fondano le tecnologie del confinamento magnetico e del confinamento inerziale.
È tuttavia possibile produrre l'avvicinamento dei nuclei candidati alla f. senza ricorrere a condizioni estreme di temperatura o di pressione, mediante l'uso di catalizzatori. Definiremo f. fredda il processo di sintesi nucleare raggiunto in questo modo, con specifico riferimento al fatto che esso può in tal caso venir prodotto anche a temperatura ambiente (oltre che in condizioni ordinarie di pressione). A seconda del particolare tipo di processo catalitico seguito, distingueremo in quanto segue la f.f. prodotta per confinamento muonico da quella prodotta per confinamento chimico.
Confinamento muonico. - In condizioni ordinarie, si hanno all'incirca 10−74 fusioni al secondo per ogni molecola di deuterio. Se si realizzano artificialmente molecole di deuterio nelle quali il legame tra i nuclei è costituito da un muone (particella dotata delle stesse proprietà dell'elettrone, ma circa 200 volte più massiva), i nuclei vengono portati a distanze circa 200 volte più piccole che nelle molecole (elettroniche) ordinarie. Tale fenomeno prende il nome di confinamento muonico. La velocità di reazione per la f. nucleare di molecole muoniche di deuterio, per es., è dell'ordine di 109 fusioni/s, e ancora più elevata è quella di molecole muoniche di deuterio-trizio. Dato che un muone vive circa 2 · 10−6s prima di disintegrarsi, esso può in linea di principio produrre almeno 2 · 10−6 · 109 = 2000 fusioni in un opportuno bersaglio di isotopi dell'idrogeno: il muone non partecipa alle diverse reazioni di f., ma le catalizza, riprendendo in generale la sua libertà dopo ognuno di tali processi.
Nella f. a confinamento muonico, i muoni prodotti da un acceleratore di particelle vengono quindi arrestati entro miscele di idrogeno e dei suoi isotopi. All'interno della miscela, il muone forma una molecola muonica con i nuclei di tali isotopi, ne catalizza la f., forma un'altra molecola, la fa fondere, e così via fino alla sua disintegrazione. Poiché a ogni f. viene liberata una certa quantità di energia, tanto più elevato è il numero N di f. che un singolo muone riesce a produrre, tanto più grande è il guadagno energetico dei cicli percorsi. Dal punto di vista dello sfruttamento energetico, sono essenziali i dati seguenti: 1) il numero N massimo di cicli percorribili da un singolo muone, e la scelta della molecola muonica più conveniente; 2) il costo energetico della produzione di un singolo muone; 3) l'efficienza con cui l'energia liberata può venire utilizzata per la produzione industriale di energia.
Massimalizzazione della velocità di ciclo. - Questo punto concerne essenzialmente la fase pre-tecnologica del problema. Nell'ultimo decennio si è passati da cicli di circa una f./muone (N ≅ 1, con liberazione di energia massima pari a circa 5 MeV, in molecole muoniche di deuterio puro e di deuterioidrogeno) a N > 150 f./muone (energia liberata: circa 15 MeV/f., in molecole muoniche di deuterio-trizio). In sostanza, si è guadagnato circa un fattore 500 nella resa energetica associata a un singolo muone.
Questo significativo progresso, raggiunto nel suo complesso dagli studiosi di fisica muonica dei più importanti istituti nazionali e internazionali, ha ricevuto contributi determinanti da parte dei teorici S. S. Gershtein e L. I. Ponomarev (in Physics Letters, 72 B [1977], p. 80) e dei gruppi sperimentali di Dubna (V. P. Dzhelepov e altri, ibid., 94 B [1980], p. 476; V. M. Bystritsky e altri, in Zhurnal Eksperimental'noi i Theoreticheskoi Fiziki, 80 [1981], p. 1700, trad. ingl. in Soviet Physics-JETP, 53 [1981], p. 877) e di Los Alamos (S. E. Jones e altri, in Nature, 321 [1986], p. 127).
Gli studi in corso per aumentare il numero N contemplano primariamente aumenti della densità delle miscele (fino a 2,5 volte quella dell'idrogeno liquido), aumenti della temperatura (fino a 1800°C), e variazioni delle concentrazioni relative di deuterio e di trizio.
Resta comunque essenziale l'eliminazione di canali secondari che mettono il muone fuori gioco rispetto al ciclo di fusione. In proposito, è determinante la probabilità (W) di attaccamento del muone, liberato dopo una reazione di f., al nucleo di 4He formatosi nella reazione stessa (d+t→4He+n). Tale parametro è il fattore che (essendo vicino a 10−2, e dato che N ≅ 1/W) limita attualmente attorno al centinaio il massimo valore di N (mentre il valore in linea di principio raggiungibile, tenendo conto dell'instabilità del muone, è, come abbiamo visto, superiore al migliaio).
Misure dirette di W sono in corso per la prima volta ad opera di una vasta collaborazione internazionale (Birmingham, Bologna, Idaho, Delft, Los Alamos, Rutherford Lab), che ha dato l'avvio a una vasta sistematica in proposito (J.D. Davies e altri, in J. Phys. G: Nucl. Part. Phys., 16 [1990], p. 1529). I risultati preliminari non escludono la possibilità che W diminuisca sensibilmente con l'aumentare della densità del bersaglio di deuterio-trizio.
Al di là della variazione degli stati fisici della miscela, sono allo studio, per ridurre il valore di W, da un lato l'impiego di raggi X (≈11 KeV) e campi elettrici statici (≈106 V/cm) per strappare il muone dal nucleo di elio al quale si trova legato; dall'altro, l'inibizione della diseccitazione della molecola muonica (inizialmente formatasi in uno stato eccitato), dato che la f. nelle molecole eccitate dovrebbe corrispondere a coefficienti di attaccamento molto bassi (dell'ordine di 0,02%: ciò che vorrebbe dire N ≈ 5000 f./muone).
Costo energetico dei muoni. - Per quanto riguarda questo punto, che apre la fase tecnologica del problema, il primo studio sperimentale dedicato è stato intrapreso dal gruppo di Bologna presso il CERN di Ginevra. Partendo da misure sul costo energetico della produzione di pioni da parte di protoni aventi impulsi compresi fra 5 e 400 GeV/c, è stato possibile stabilire che il costo energetico della produzione di un muone in seno a bersagli di deuterio e trizio è di circa 10 GeV (alla densità dell'idrogeno liquido), e può essere ridotto di circa 5 volte se si utilizzano densità 10 volte inferiori (A. Bertin e altri, in Europhysics Letters, 3 [1987], p. 1255; 4 [1987], p. 875; 7 [1988], p. 299, e in Il Nuovo Cimento, 100 A [1988], p. 305).
Un'alternativa interessante è quella di produrre muoni con tecniche di fasci collidenti (per es., di trizio): stime teoriche prevedono in questo caso costi tra 400 MeV e 1,7 GeV. Di particolare rilievo, per massimizzare l'efficienza di un procedimento di questo tipo, il progetto dello strumento chiamato MIGMA (B. C. Maglich, in Nuclear Instruments and Methods in Physics Research, A 271 [1988], pp. 13, 167), nel quale vengono recuperate le particelle che hanno subìto diffusione elastica anziché produrre muoni.
Reattori a confinamento muonico. - Il problema dell'efficienza di conversione dell'energia liberata nella f. muonica è direttamente connesso alla possibilità di realizzare un reattore di potenza basato sul confinamento muonico. A questo riguardo, risultano essenziali i punti seguenti:
a) Per generare potenze dell'ordine delle centinaia di MW, il fascio di muoni deve avere un'intensità dell'ordine di 1018 muoni/s (corrispondente a correnti di 200-300 mA). Tale richiesta, un tempo proibitiva, può venir affrontata progettando acceleratori lineari basati sull'uso di quadrupoli a radiofrequenza (che già oggi producono fasci con correnti vicine a 100 mA).
b) Aumentando la potenza di un ipotetico reattore di questo tipo, aumenta anche la contaminazione nel bersaglio dei nuclei di elio (3He e 4He) prodotti da reazioni di f. o dal decadimento del trizio. Il trasferimento dei muoni a tali nuclei è un ulteriore canale di perdita, che può procurare seri problemi di purificazione o periodica rimozione del bersaglio (A. Bertin e altri, Muon catalyzed fusion, in AIP Conference Series, 181 [1989], p. 161).
c) Dopo la produzione di pioni e muoni, circa l'80% dell'energia del fascio originario rimane sotto forma di protoni, neutroni e ioni di alta energia. Tale radiazione può venire utilizzata, a fini economici, per produrre fissioni in materiale fissile in quantità sottocritica (uranio e torio). Si realizzerebbe in tal modo un sistema ibrido, nel quale il sistema simbiotico (fatto di una sezione a f. per confinamento muonico e una a fissione) funzionerebbe come moltiplicatore di potenza. Tale prospettiva potrebbe rappresentare un'alternativa significativa qualora il confinamento muonico puro finisse per rivelarsi intrinsecamente antieconomico (Yu. V. Petrov, in Nature, 285 [1980], p. 466).
Conclusioni. - Allo stato attuale delle conoscenze, possono essere formulate le conclusioni seguenti:
1) La fusione a confinamento muonico è un mezzo efficace per produrre reazioni di sintesi nucleare in miscele di isotopi dell'idrogeno in condizioni non estreme di temperatura e densità.
2) Essa si trova a distanza ravvicinata dal bilancio di parità (breakeven scientifico) fra energia spesa ed energia prodotta: si tratta di guadagnare all'incirca un fattore 3-4.
3) Tenendo presenti le inefficienze che intervengono normalmente nei problemi di conversione dell'energia prodotta in energia da distribuirsi industrialmente, che sicuramente deprimono il guadagno attuale per almeno un fattore 10, è evidente che il breakeven tecnologico è invece più lontano. Mentre proseguono le ricerche nella direzione di aumentare il massimo numero di f. prodotte da un singolo muone, risulta altrettanto importante lo studio di tecnologie di accelerazione che portino a una riduzione sostanziale del costo energetico della produzione di un muone.
4) Assumendo che la f. a confinamento muonico non disti per più di un ordine di grandezza dal breakeven tecnologico, è sensato affermare che essa si colloca all'incirca sullo stesso piano delle realizzazioni ottenute finora mediante il confinamento magnetico, e su un piano decisamente più avanzato dei risultati raggiunti dalle tecnologie a confinamento inerziale.
5) Lo sviluppo del confinamento muonico (che, accanto alla chimica, alla tecnologia degli acceleratori e all'energetica, coinvolge studi di fisica atomica, molecolare, nucleare e delle particelle elementari) rappresenta una possibilità di rilievo di ricaduta tecnologica degli studi di fisica fondamentale.
Confinamento chimico. - La proprietà di alcuni metalli, come il titanio e il palladio, di assorbire gli isotopi dell'idrogeno, pressapoco come le spugne assorbono l'acqua, è nota da tempo. Membrane di palladio, per es., sono utilizzate da decenni per filtrare l'idrogeno e i suoi isotopi a gradi di purezza elevatissimi (J. R. Young, in Review of Scientific Instruments, 34 [1963], p. 891; A. Bertin e altri, in Physical Review, D8 [1973], p. 3774). Solo i nuclei di questi elementi, infatti, possono formare pseudoidruri di palladio, sistemandosi in soluzione solida interstiziale in seno al reticolo del palladio stesso. Se viene applicato un gradiente di pressione, e la membrana è riscaldata, i nuclei d'idrogeno, deuterio e trizio, saltando da una buca di potenziale del reticolo cristallino all'altra, finiscono per emergere a valle della membrana, ricomponendosi con un elettrone, e dando luogo a un prodotto che ha lasciato a monte ogni impurezza chimica preesistente.
L'idea di sfruttare questa possibilità per confinare gli isotopi dell'idrogeno a distanze internucleari inferiori a quelle ordinarie, e ottenerne la f., circolava già negli anni Settanta (D. G. Westlake, C. B. Satterwaithe, J. H. Weaver, in Physics Today, 31 [novembre 1978], p. 32). (Si pensi che è sufficiente ridurre della metà la distanza internucleare nelle molecole di deuterio per aumentare la probabilità della reazione di f. per circa cinquanta ordini di grandezza, ciò che in alternativa si potrebbe ottenere sottoponendo il sistema a pressioni dell'ordine di centinaia di milioni di atmosfere!).
Nel 1989 una serie di esperimenti condotti con tecniche diverse ha dato risultati che lasciano sperare che questa nuova via catalitica alla f. nucleare, che chiameremo di confinamento chimico, possa effettivamente essere battuta. Si tratta per il momento di risultati che hanno ricevuto conferme e smentite in laboratori di diversi paesi. In particolare, le evidenze sperimentali positive sembrano caratterizzate da difficoltà interpretative e da una sconcertante mancanza di riproducibilità. Qui di seguito tracceremo un quadro schematico della situazione attuale, inevitabilmente provvisorio dato il crescente interesse per il settore e il carattere di primizia dei risultati circolanti.
Esperimenti calorimetrici. - Un gruppo di ricerche è stato ispirato al tentativo di mettere in luce le quantità di calore liberate in seno a campioni di palladio nei quali venivano immessi nuclei di deuterio sotto forma di ioni d+ per via elettrolitica. La linea è stata aperta dal celebre e controverso lavoro di M. Fleischmann e S. Pons (in Journal of Electroanalytical Chemistry and Interferential Electrochemistry, 261 [1989], p. 301), i quali per primi affermarono di aver realizzato in semplici celle elettrolitiche rendimenti energetici con bilancio positivo, misurabili in quantità di calore in eccesso rispetto all'energia impiegata per il funzionamento delle celle. Queste contenevano una soluzione 0,1 M di LiOD in D2O (acqua pesante, 99,5%) e acqua normale (0,5%). I catodi erano fogli o sbarrette di palladio, fino a più di 10 cm3 di volume, gli anodi fogli di platino. Le densità di corrente impiegate andavano fino a un massimo di 500 mA/cm2. La massima quantità di calore in eccesso rivelata era di circa 27 W per cm3 di elettrodo. Le caratteristiche principali della misura sono: a) i tempi lunghi (dell'ordine del mese) richiesti per ''caricare'' gli elettrodi mediante elettroinfusione di deutoni; b) l'enorme discrepanza (un fattore di circa 109) fra la quantità di calore rivelata (e attribuita a un fenomeno di origine nucleare) e la quantità di prodotti di reazioni di f. fra deutoni (neutroni o, in alternativa, nuclei di trizio) corrispondentemente osservata; c) una presentazione incompleta delle misure di zero, in particolare per quanto riguarda le prove condotte con acqua normale.
Fino a oggi, la conferma più definita dell'esperimento di Fleischmann e Pons è stata ottenuta da A. J. Appleby e altri (in Proceedings of the Workshop on Cold Fusion Phenomena, Santa Fe, 23 maggio 1989 [Journal of Fusion Energy, 9, 1990, p. 209]), che hanno raggiunto risultati paragonabili (quantità di calore in eccesso vicine a 19 W/cm3) mediante misure aventi le seguenti caratteristiche: a) elettrodi più piccoli (inferiori a 1 cm3 in volume), con conseguente diminuzione del tempo di ''carica''; b) impiego di un microcalorimetro ad alta sensibilità su un vasto intervallo di potenza (da 1μW a 8 W); c) misure di zero ben definite (sostituzione del palladio con elettrodi ''ciechi'', sostituzione dell'elettrolita e dell'acqua pesante con acqua normale). Anche in questa seconda esperienza, tuttavia, non è stata rivelata un'emissione neutronica corrispondente alla quantità di calore rivelata: solo l'esame del contenuto di trizio nelle soluzioni impiegate ha dato risultati qualitativamente significativi.
Attualmente, altri gruppi di ricerca si muovono nella stessa direttiva. Risultati positivi sono stati riportati in Italia dal gruppo dell'Istituto Superiore della Sanità (in Proceedings, ecc.), mentre un gruppo dell'università di Milano si è impegnato nel laboratorio del Gran Sasso in una vasta sistematica in materia, con risultati non positivi (A. Alessandrello e altri, in Il Nuovo Cimento, 103 A [1990], p. 1617).
Dal punto di vista teorico, mentre da un lato vi sono interessanti modelli che tendono a spiegare in termini di meccanismi connessi alla presenza del reticolo cristallino la mancata emissione dei prodotti di reazione consueti alla f. in vacuo (T. Bressani, E. Del Giudice, G. Preparata, in Il Nuovo Cimento, 101 A [1989], p. 845), una tendenza interpretativa più conservatrice ritiene che gli effetti osservati negli esperimenti calorimetrici siano di natura chimica, e non nucleare. Misure sistematiche più recenti sembrano escludere tale eventualità.
Esperimenti sulla rivelazione di neutroni: la via elettrolitica. - Una seconda linea di ricerca è quella fondata sulla rivelazione dei prodotti di reazione della f. nucleare fra isotopi dell'idrogeno. Questa direzione, che mira all'identificazione elementare del processo e delle sue caratteristiche, è stata aperta dall'esperimento di S. E. Jones e altri (in Nature, 338 [1989], p. 737) della Brigham Young University dello Utah. Utilizzando elettrodi di titanio e palladio di dimensioni ridotte (fino a circa 1 g di Ti e 5 g di Pd), e una soluzione complessa di sali metallici (ispirata da considerazioni geofisiche) in acqua pesante, il gruppo della BYU ha messo in evidenza, su di un fondo piuttosto significativo, il segnale corrispondente a un'emissione neutronica a basso livello (fra 6 · 10−2 e 0,4 neutroni/s, impiegando fino a 8 celle elettrolitiche simultaneamente). La liberazione di energia corrispondente è insignificante rispetto, per es., a quella ottenuta mediante le ricerche sul confinamento muonico (oltre che a quella dell'esperimento di Fleischmann e Pons). L'accettabilità del segnale di Jones e coll. risiede principalmente nelle prestazioni dello spettrometro per neutroni impiegato, nel quale si realizza una coincidenza fra il segnale di uno scintillatore liquido (che fornisce l'informazione energetica) e quello di uno scintillatore di vetro al litio (che dà la firma della rivelazione di un neutrone termalizzato). I segnali ottenuti in tal modo, una volta sottratto il fondo, forniscono il valore dell'energia prevista per i neutroni provenienti dalla f. di due deutoni (2,5 MeV).
Tali risultati possono essere soggetti a critiche diverse, legate all'importanza del fondo cosmico con cui il segnale si confronta. Un secondo esperimento in questa direzione è stato immediatamente avviato dal gruppo di Bologna (in collaborazione con la BYU) nei laboratori del Gran Sasso dell'Istituto nazionale della Fisica nucleare (A. Bertin e altri, in Il Nuovo Cimento, 101 A [1989], p. 997; e in Journal of Fusion Energy, 9 [1990], p. 209). L'esperimento, fissato il sistema fisico da osservare (elettrodi e celle elettrolitiche) in condizioni molto simili a quelle della prima misura, risponde al principio di osservare l'effetto in condizioni privilegiate di fondo cosmico, con apparecchiature diverse, e introducendo una seconda apparecchiatura che misura il fondo in parallelo, a distanza conveniente da quella con cui si misura l'effetto. I contatori per neutroni utilizzati, scintillatori liquidi a rinculo protonico, permettono di discriminare il segnale neutronico dal fondo gamma operando sulla diversa forma dell'impulso che viene prodotto dai due diversi tipi di radiazione.
Le prime misure dell'esperimento del Gran Sasso hanno fornito risultati positivi, esenti dalle principali critiche formulabili nei confronti del primo esperimento, con un'emissione neutronica dell'ordine di 0,3 neutroni/s (se riportate alle condizioni di questo), e una statistica più che doppia. Lo spettro energetico degli eventi rivelati è compatibile con quello di neutroni da 2,5 MeV. Mentre in tali misure il fondo di neutroni era trascurabile, era tuttavia presente un fondo significativo di raggi gamma ambientali, non totalmente eliminabile dalle apparecchiature (segnale/fondo ottimale: rapporto 1,4; segnale/fondo minimo accettato: 0,2). L'esperimento pertanto proseguirà, nella direzione di ottenere miglioramenti sia sistematici che statistici, utilizzando tipi diversi di rivelatori, introducendo ulteriori schermature, e puntando a rivelare altri tipi di reazioni di f. (per es., quella di protoni e deutoni, che dà come prodotto raggi gamma da 5,4 MeV).
Sono anche da registrare, su questa linea, risultati preliminari positivi ottenuti a Bombay (P.K. Iyengar e altri, in Proceedings, ecc.), alla Texas A & M University (Wolf e altri, ibid.), a Frascati (P. Perfetti e altri, in Il Nuovo Cimento, D11 [1989], p. 921), a Dresda (D. Seeliger e altri, in Electrochimica Acta, 34 [1989], p. 991), Sapporo (T. Mizuno, T. Akimoto, N. Sato, in Electrochemistry, 57 [1989], p. 742); risultati negativi ottenuti a Yale (M. Gai e altri, in Nature, 340 [1989]), a Harwell (ibid., 342 [1989], p. 375), al Caltech (ibid., 340 [1989], p. 525), nel Michigan (in Phys. Rev., C 40 [1989], R1) e nel tunnel sotto il Fréjus (Bugey Collaboration, in Proceedings, ecc.). Altri gruppi, italiani e non, non hanno ancora risultati definitivi.
Esperimenti sulla rivelazione di neutroni: la via della fusione ''secca''. - Un'alternativa interessante alla tecnica elettrolitica è stata aperta dal gruppo dei laboratori dell'ENEA di Frascati (A. De Ninno e altri, in Europhysics Letters, 9 [1989], p. 221). In questo caso, l'infusione di deutoni nel metallo (titanio) è stata ottenuta sottoponendolo a pressioni fino a 50 barie. Il principio dell'esperimento era di creare condizioni dinamiche variando i parametri termodinamici del sistema. La cella contenente lamelle di titanio, e deuterio ad alta pressione, è stata immersa in azoto liquido, e successivamente è stata lasciata risalire verso la temperatura ambiente. Il rivelatore per neutroni usato era un contatore a BF3 (efficienza globale: 5 · 10−5). In questo modo, in correlazione temporale con il ciclo di raffreddamento, sono stati rivelati neutroni emessi al ritmo di circa 70 neutroni/ora, largamente al di sopra dei segnali di fondo. In una misura successiva, la risalita verso la temperatura ambiente è stata prodotta dopo avere evacuato il deuterio dalla cella. Dopo circa tre ore dalla rimozione dell'azoto liquido, è stata registrata un'intensa emissione di neutroni, valutata dell'ordine di circa 5000 neutroni/s. In misure successive, tuttavia, non si è più riusciti a riprodurre questa ingente emissione, ottenendo livelli più modesti per diversi ordini di grandezza. L'esperimento appare attualmente difficilmente ripetibile nella sua estensione più vistosa.
La metodologia, chiamata anche di f. ''secca'', è stata riproposta da H. O. Menlove e coll. presso i laboratori di Los Alamos (pressioni fino a 50 atm. di deuterio; titanio in fogli e materiale spugnoso, anche rivestito di palladio, in quantità da 30 a 200 g; rivelatori di neutroni a 3He [efficienza globale: 34%]). I risultati ottenuti sono in questo caso duplici: a) un'emissione di neutroni in fiotti (a partire da circa 40′ dall'inizio del riscaldamento, alla temperatura di circa −30°C), avente l'entità di 10-300 neutroni/fiotto e durata inferiore a 100 microsecondi; b) un'emissione scorrelata di neutroni, della durata di circa 12 ore successive al raggiungimento della temperatura ambiente. (Livello dell'emissione: 0,05-0,2 neutroni/s.). È comunque da rilevare che in ambedue gli esperimenti citati (così come in altri in corso di svolgimento) non è stata finora misurata l'energia dei neutroni rivelati.
Esperimenti sulla rivelazione di particelle cariche. - La reazione di fusione di due nuclei di deuterio avviene, nel vuoto, principalmente secondo due canali praticamente equiprobabili: l'uno produce un neutrone e un nucleo di elio di massa 3, l'altro un nucleo di trizio e un protone. Diversi esperimenti hanno tentato la rivelazione dell'emissione diretta di tali ultime particelle cariche, successivamente al caricamento di palladio o titanio mediante deuterio. In particolare, l'emissione di protoni è stata esplorata sia con caricamento di tipo a pressione, sia ancora con metodi diversi di impatto di ioni di deuterio o grappoli di molecole di acqua pesante (D2O) su metalli deuterati. Le evidenze a favore sono in questo caso particolarmente deboli; va tuttavia tenuto conto del fatto che particelle come i protoni, se emesse all'interno di un metallo, tendono a rimanere intrappolate all'interno di questo (o nei materiali vicini) a causa della loro carica elettrica. Gli esperimenti risultano quindi particolarmente delicati anche sotto l'aspetto della rivelazione dei prodotti carichi. Probabilmente, è necessario un affinamento delle tecniche usate per ottenere indicazioni più conclusive.
Esperimenti sulla rivelazione dell'emissione di trizio. − Quantità di trizio di parecchi ordini di grandezza superiori a possibili effetti di fondo o di contaminazione ambientale sono state rivelate in almeno tre grandi laboratori (Texas A&M University, Los Alamos in USA e BARC in India), esaminando soluzioni elettrolitiche precedentemente impiegate in esperimenti di f. fredda. Tali risultati testimonierebbero un'ingente produzione di trizio nei metalli immersi nella soluzione, e hanno costituito una delle novità più importanti del secondo anno di ricerche. La robustezza dell'effetto, da un lato, e dall'altro il fatto che le quantità osservate di trizio sembrano indicare che nella fusione di due deutoni il canale trizio più protone si apre nei metalli con probabilità centinaia di milioni di volte superiore a quello neutrone più elio di massa 3 (come si deduce dal rapporto tra trizio e neutroni rivelati) hanno costituito motivo di analisi approfondite. Tuttavia, anche in questo ramo di ricerche, la riproducibilità dei risultati non è sicuramente un fatto acquisito, mentre abbondano esperimenti a risultato nullo.
Conclusioni. - Da questo quadro inevitabilmente provvisorio della situazione si possono formulare le seguenti conclusioni:
1) L'emissione di calore in seguito all'elettroinfusione di deutoni in elettrodi di palladio appare confermata ai livelli dell'esperimento di Fleischmann e Pons da diversi esperimenti, tra i quali quello già citato di A. J. Appleby e collaboratori che si presenta in maniera particolarmente soddisfacente sotto il profilo metodologico.
2) L'emissione a bassi livelli di radiazione neutronica successiva all'infusione di deutoni nei metalli, sia per via elettrolitica che attraverso la tecnica ''secca'', si qualifica sempre più come un fenomeno diverso da quello dell'emissione di calore. I diversi dati ottenuti finora in direzione positiva (H. O. Menlove e altri, in Proceedings, ecc.) paiono convergere verso risultati comparabili.
3) In termini delle conoscenze già acquisite, vi è conflitto fra le osservazioni di emissione neutronica, di trizio e di quantità di calore. Vi sono tuttavia previsioni teoriche che potrebbero spiegare questa fenomenologia sotto particolari ipotesi: tra le più originali, ricordiamo quelle già citate di Bressani, Del Giudice e Preparata.
4) Gli esperimenti hanno mostrato fin dall'inizio una difficile riproducibilità, probabilmente dovuta al vasto insieme di parametri da tenere sotto controllo. Nella stessa ottica possono essere considerati anche i risultati negativi che sono stati finora presentati. S'intravvede pertanto la necessità di un adeguato periodo di sistematica sperimentale accurata, per poter raggiungere conclusioni significative sulle possibilità offerte alla f. nucleare dalla prospettiva del confinamento chimico.
5) In particolare, risulta altamente appetibile lo studio di canali alternativi di reazione e di processi diversi da quello prevalentemente studiato finora (la f. di due deutoni).
6) Dal punto di vista energetico, tutto è ancora da chiarire. È interessante rilevare che, se le prospettive immediate aperte da Fleischmann e Pons si rivelassero fallaci, il realizzarsi di reazioni di f. f. anche a basso livello mediante il confinamento chimico rappresenta un'apertura estremamente significativa negli studi sulla sintesi nucleare, e un'importante affermazione dei metodi catalitici. È comunque nostro avviso che le competenze accumulate in decenni di ricerche nel campo della f. a confinamento magnetico, inerziale e muonico non potranno che rivelarsi preziose anche nei confronti del campo nascente della f. a confinamento chimico.
Nel corso del 1991, in cui si è tenuta a Como la seconda Conferenza annuale sulla Fusione Fredda (29 giugno-4 luglio), organizzata sotto gli auspici della Società Italiana di Fisica, si sono registrate le seguenti evoluzioni significative: a) una notevole concentrazione di sforzi in direzione sperimentale nei paesi dell'ex Unione Sovietica, in Cina e in Giappone; b) la prima rivelazione correlata di quantità di calore in eccesso e di elio di massa 4 in celle elettrolitiche ad acqua pesante con catodi di palladio, in un esperimento condotto negli Stati Uniti da Miles e collaboratori; c) la presentazione di risultati ottenuti, con metodi elettrochimici diversi, da ricercatori giapponesi (Ikegami, Takahashi e collaboratori) che hanno rivelato eccessi di energia emessi con continuità e apparente irriproducibilità, corrispondenti mediamente a circa 3 volte la spesa effettuata in termini di potenza; d) l'enfasi crescente attribuita dai ricercatori alla preparazione metallurgica dei campioni e al controllo della frazione stechiometrica di caricamento (atomi di deuterio/atomi di metallo) che si configura sempre più come un parametro di grande significato in materia.