FERRETTI, Gabriele
Nacque ad Ancona il 31 genn. 1795 dal conte Oliverotto e da Flavia Mancinforte Sperelli.
Nel 1799, per sottrarsi alle temute persecuzioni dei novatori, i Ferretti dovettero abbandonare Ancona e rifugiarsi a Verona, facendo tappa a Parma, dove i due figli minori, Pietro e il F., furono collocati nel collegio "S. Caterina". Qui fecero i primi studi che completarono successivamente a Siena nel collegio "Tolomei" avendo a maestri gli scolopi. A differenza del fratello, gracile e delicato, il F. aveva avuto in sorte dalla natura una complessione robusta che molto aveva poi coltivato con l'esercizio fisico, prediligendo quello della scherma. Parallelamente, in coincidenza con i successi militari delle armate napoleoniche, si era sviluppata in lui una inclinazione per il mestiere delle armi. Con il tramonto dell'epoca napoleonica l'interesse per la carriera militare venne rapidamente meno; rimase il carattere impulsivo e irruento, che cercò e trovò un indirizzo altrettanto soddisfacente nella vocazione sacerdotale emersa con l'ingresso nel seminario di Ancona.
È stato notato da alcuni biografi un certo parallelismo tra la vita del F. e quella di un suo lontano parente, quel Giovanni Maria Mastai Ferretti che nel 1846 sarà eletto papa ed assumerà il nome di Pio IX. Divisi quanto all'età da tre anni - il Mastai era nato nel 1792 -, entrambi erano stati costretti dagli eventi a separarsi fanciulli dalle famiglie e a studiare lontano dalle rispettive città natali, nelle quali avevano fatto ritorno nello stesso anno, il 1809, per entrare quindi in seminario e dedicarsi agli studi di teologia. In futuro le due esistenze si incroceranno ancora in più di un'occasione; per ora, alle soglie dei venti anni, quella del F. proseguiva con l'assunzione degli ordini minori nel 1812 e, due anni dopo, con il trasferimento a Roma al seguito di Pio VII che, di passaggio per Ancona nel maggio del 1814 dopo il lungo esilio, si vedeva presentare questo giovane molto preparato e lo prendeva sotto la sua protezione.
Il F. si impegnò a fondo per non deludere le aspettative del papa. Sotto la guida dei gesuiti seguì i corsi di teologia del Collegio Romano e li concluse presentando in pubblico nella chiesa di S. Ignazio - tra gli spettatori c'era anche il segretario di Stato E. Consalvi - cento Propositiones ex omni theologia selectas (Romae 1818).
Il titolo di dottore in teologia arrivò il 6 sett. 18 18, quando già da due anni il F. aveva ottenuto un suddiaconato a S. Giovanni in Laterano e dopo che il 1º giugno 1817 era stato ordinato prete; e il ministero apostolico che prese ad esercitare nella città santa recava l'impronta dell'insegnamento che aveva ricevuto da Gaspare Del Bufalo quando costui, nel 1816, si era recato ad Ancona per una delle sue missioni di evangelizzazione del popolo. Il F., che a quell'epoca era arciprete coadiutore della cattedrale anconetana, era rimasto fortemente impressionato da quel tipo di apostolato che cercava il contatto con gli umili per rieducarli moralmente, e fu a questo modello di zelo pastorale che al ritorno a Roma si ispirò nelle sue prime prove di predicatore, tralasciando la carriera prelatizia cui, dati i suoi titoli, avrebbe potuto facilmente accedere. Per circa dieci anni il F. fece vita di parrocchia dedicandosi al la cura delle anime. Grazie anche alle sue prediche dell'anno santo (1825) ottenne comunque di segnalarsi all'attenzione di Leone XII, che nel concistoro del 21 maggio 1827 lo promosse vescovo ponendolo, dopo la consacrazione avvenuta il 27 maggio, alla testa della diocesi di Rieti: una zona tradizionalmente tranquilla che però si animò d'improvviso quando, nel 1831, al tempo della rivoluzione dell'Italia centrale, una colonna di un migliaio di ribelli guidata dal generale G. Sercognani si presentò sotto le mura della città per espugnarla e quindi proseguire la marcia verso la capitale. Quel giorno, l'8 marzo 1831, gli assediati organizzarono rapidamente la difesa e respinsero a cannonate l'assalto. Si disse poi che a dirigere le operazioni della guarnigione reatina o quanto meno ad incitarla a battersi per la tutela dei diritti della Chiesa era stato il F. in persona. Si insinuò pure che per convincere il Sercognani a ritirarsi il vescovo aveva sborsato una forte somma di denaro. In ogni caso l'atteggiamento pressoché rinunciatario se non vile degli altri ecclesiastici che, nelle Legazioni, erano stati travolti dalla rivoluzione conferì tanto maggiore risalto al coraggio del F. che si guadagnò fama di eroismo in quanto "unico Prelato, che espose la sua vita per l'adorato Sovrano e Pontefice nella esecranda rivoluzione del 1831". Con queste parole lo stesso F. il 23 genn. 1836, felicitandosi da Napoli con il nuovo segretario di Stato L. Lambruschini, chiedeva che la propria anzianità di nunzio decorresse appunto dall'8 marzo 1831 e non dal 29 luglio 1831 giorno della sua effettiva nomina, e soggiungeva di essere "possessore di dispacci dell'Emo Segretario di Stato [il card. T. Bernetti], che mi annunziò subito dopo il fatto 8 marzo 1831, che il Santo Padre aveva stabilito di promuovermi, e che attendeva solo l'opportunità per farlo" (Arch. segr. Vaticano, Segret. di Stato, Esteri, rubr. 252, busta 466, fasc. 3).
Non fosse stato per il ruolo di protagonista della ribellione anconetana che in quegli stessi giorni aveva avuto il fratello Pietro, probabilmente l'opportunità attesa da Gregorio XVI sarebbe giunta anche prima del 29 luglio 1833, giorno in cui, con la traslazione all'arcivescovato di Seleucia inpartibus,si poté nominare il F. nunzio presso il Regno delle Due Sicilie con decorrenza 30 luglio 1833.
Il F. resse la nunziatura di Napoli dall'estate del 1833 al 17 ag. 1837, e in questo periodo dovette fronteggiare due grossi problemi: l'ultimazione del concordato e l'emergenza del colera che dalla fine del 1836 all'estate del 1837 devastò tutto il Regno colpendo in maniera precipua la capitale.
Per ultimazione del concordato si intendeva la definizione di quegli aspetti tecnici e amministrativi che l'accordo raggiunto nel 1818 tra le Due Sicilie e la S. Sede aveva lasciato in sospeso: una materia scottante che toccava il settore dei benefici ecclesiastici, dei seminari, delle abbazie, degli exequatur, presentando molti elementi controversi relativamente al regime fiscale cui quegli istituti andavano sottoposti. Sin dai suoi primi contatti coi ministri napoletani il F. capì di trovarsi di fronte ad un atteggiamento sfuggente che sembrava voler essere conciliante e invece era solo dilatorio, che pareva voler cedere alle richieste della Chiesa e invece tendeva a ribadire le prerogative dello Stato, e la situazione gli parve peggiorare dopo che, in seguito alla morte della regina Maria Cristina, si rafforzò fin quasi a divenire esclusivo l'ascendente esercitato su Ferdinando II dal suo confessore, mons. C. M. Cocle, tanto che il nunzio ebbe un giorno a deplorare "i principii, e le massime giannoniane che sono nell'intelletto e nel cuore del Re, perché l'istesso mgr. Cocle ne è imbevuto e le professa" (dispaccio del 14 marzo 1836, in Arch. segr. Vaticano, loc. cit.,busta 466, fasc. 3). Sicché quando alla vigilia della partenza da Napoli il F., tracciato un bilancio della sua esperienza, si diceva poco soddisfatto della sua "disgraziata nunziatura" (lett. a L. Lambruschini, 7 genn. 1837, ibid., busta 467, fasc. 3) si riferiva indubbiamente a questa lunga trattativa che non aveva prodotto alcun risultato concreto. Deludente era stato anche l'esito del viaggio effettuato nel luglio del 1834 in Sicilia allo scopo di ridurre alla ragione un clero isolano che Roma riteneva ribelle e psicologicamente orientato verso il giansenismo: contrariata per l'insuccesso, la segreteria di Stato aveva, subito dopo, disposto l'invio in Sicilia del card. P. Zurla perché riuscisse là dove il F. aveva fallito. Più positiva era stata invece la prova dolorosa del colera, dal momento che i giornali e gli stessi medici napoletani avevano dato atto al F. del grande spirito di carità con cui aveva assistito gli infermi sostituendosi agli stessi presuli locali, al punto che nel momento in cui l'effetto del morbo era stato più devastante egli si era trovato da solo a somministrare i sacramenti ai moribondi. Anche perciò, benché il suo trasferimento alla diocesi di Montefiascone e Corneto fosse stato deciso e reso pubblico sin dal dicembre del 1836 (la nomina è del 19 maggio 1837), il F. poté lasciare Napoli solo il 17 ag. 1837, quando cioè la fase più acuta dell'epidemia si era esaurita.
Il F. fu arcivescovo di Montefiascone per pochi mesi; in pratica, non aveva neanche preso possesso della sede che già il 2 ott. 1837 era traslato alla diocesi di Fermo, notoriamente una delle più ambite di tutto lo Stato pontificio. Ormai anche la porpora era vicina: riservato in pectore nel concistoro del 30 nov. 1838, nel corso del quale il papa lo qualificava "egregius vir", il F. era pubblicato cardinale l'8 luglio 1839 e tre giorni dopo riceveva il titolo presbiteriale dei Ss. Quirico e Giuditta.
Per ringraziare il papa, subito richiamava i gesuiti a Fermo affidando loro tutta l'istruzione della provincia e dotando a proprie spese il collegio di un gabinetto di fisica. Forte era però il risentimento da parte della popolazione per la definitiva soppressione della millenaria università fermana, né riscuoteva molti consensi il rigorismo dei costumi imposto dal F. alla cittadinanza sia ecclesiastica sia secolare e a quanto pare da lui personalmente verificato con irruzioni a sorpresa nelle residenze, ragion per cui la sua figura fu presto circondata da un alone di severità e fanatismo che la resero invisa agli stessi gesuiti. Era uno dei tratti più spiccati della sua personalità quello di controllare attentamente le istituzioni affidate alle sue competenze: uomo di indubbia serietà e fermezza, il F. espletò ad esempio, con il massimo scrupolo, il compito di visitatore apostolico degli ospedali di Roma e di Narni; in quest'ultimo, dopo la visita del 1843, prese immediate misure per rendere più efficienti sia l'amministrazione sia l'assistenza ai malati ed agli orfani.
Probabilmente al F. non dispiaceva affatto di essere giudicato uno dei più solerti interpreti della politica gregoriana; qualche turbamento per la crescente ostilità verso il modo con cui reggeva la sua diocesi dovette tuttavia sentirlo per essere indotto, la notte del 7 giugno 1842, ad allontanarsi "di nascosto" (Natalucci, p. 420) da Fermo. Lo attendevano incarichi meno travagliati e più burocratici quali quello, già detenuto. di visitatore apostolico (che avrebbe conservato fino al 1850) o l'altro di prefetto della congregazione delle Indulgenze e Ss. Reliquie (1843) e di abate commendatario dei Ss. Vincenzo e Anastasia alle Tre Fontane, un'abbazia nullius che governava 12.000 anime, di cui 10.000 in Toscana e il resto nello Stato pontificio. Mentre si consumava l'ultimo scorcio del papato di Gregorio XVI, il F. sembrava defilarsi in una posizione meno esposta, quasi a voler cominciare a prendere le distanze da indirizzi che aveva sostenuto così ciecamente da consentirci di trovare il suo nome incluso nella lista di "corrispondenti officiosi e affigliati austriaci" che sarebbe stata rinvenuta a Milano dopo l'insurrezione del '48 e che più tardi il Cattaneo avrebbe pubblicato in apertura del suo Archivio triennale delle cose d'Italia.
Una notizia del genere, ammesso che corrispondesse a verità (una conferma la si potrebbe avere negli "intrigues" che i diplomatici francesi a Napoli avevano denunciato a più riprese riferendo degli stretti contatti tra il F., allora nunzio, e l'ambasciatore austriaco) non dovette mai trapelare a Roma visto che, eletto il nuovo papa il 16 giugno 1846 nella persona del suo parente Mastai, il F., che nel conclave era stato uno dei suoi grandi elettori, divenne presto e in maniera sempre più scoperta uno degli uomini di punta del nuovo corso, ma certo può gettare qualche ombra sulla sincerità della sua dedizione agli sforzi riformatori del primo Pio IX o spiegare qualcuna delle non poche esitazioni e ambiguità che avrebbero segnato la sua segreteria di Stato. In ogni caso, sin da quando il 9 dic. 1846 fu inviato come delegato apostolico a Pesaro e Urbino, il F. parve più subire che stimolare la politica di maggiore rispondenza alle attese della popolazione inaugurata da Pio IX. Nulla di più preciso è dato sapere sulla sua disposizione d'animo di questo momento: in qualche modo, però, il papa dovette esserne abbastanza rassicurato dal momento che il 10 luglio 1847 lo convocava nella capitale per metterlo alla testa della segreteria di Stato e affidargli dunque la gestione della politica estera ed interna del potere temporale nella fase di massima apertura liberale del suo pontificato.
Il F. entrò in carica il 17 luglio 1847 dopo aver ricevuto festose accoglienze da parte della cittadinanza romana che aveva dimenticato o ignorava i suoi trascorsi gregoriani e che vedeva in lui il più affidabile esecutore della politica di Pio IX: a rinsaldare tale convincimento giunse presto la frase ("Mostriamo all'Europa che noi badiamo a noi stessi") pronunziata dal porporato durante una visita alla guardia civica. Tali parole, recando in sé qualcosa dell'ambiguità propria della fase liberaleggiante di Pio IX, potevano essere intese sia come uno slogan del tipo "l'Italia farà da sé" (e dunque rinfocolare le attese di chi chiedeva al Papato di capeggiare la lotta nazionale per l'indipendenza), sia come una semplice rivendicazione della piena autonomia dello Stato pontificio nel mantenimento dell'ordine interno: in quel luglio di esaltazione generale, con le folle attentissime a percepire qualunque segnale, prevalse la prima interpretazione e la popolarità del F. crebbe a dismisura, anche sulla spinta delle prime decisioni da lui prese, tra le quali una delle più applaudite fu l'emanazione del Regolamento per le vestimenta e gli armamenti della guardia civica (30luglio 1847), che il suo predecessore, il card. T. M. Gizzi, aveva appena istituito.
Quantunque stando vicino a Pio IX sin dai primi suoi atti avesse assaporato il gusto inebriante dell'entusiamo popolare, il F. non era salito al potere per scatenare le folle, e forse si era addirittura proposto di temperare gli effetti più dirompenti delle decisioni del papa. Si era scelto, però, come consigliere, il fratello Pietro, il rivoluzionario del '31,che sapeva indurlo a guardare con maggiore benevolenza a quegli elementi moderati che in passato avevano patito l'esilio: tra questi T. Mamiani che, autorizzato da lui a rimpatriare, avrebbe ripreso e portato avanti l'antico programma di secolarizzazione delle cariche statali. Tuttavia il rapporto tra i due fratelli non fu sempre armonioso, tant'è che un testimone, G. Montanelli, potrà parlare dei loro furiosi contrasti, alla cui origine stavano da un lato le differenze caratteriali, dall'altro le divergenze sulla politica da adottare. La posizione di Pietro fu in Verità subito favorita dalla svolta aggressiva impressa dall'Austria alla propria politica italiana con la prima occupazione di Ferrara del 17 luglio, il giorno stesso in cui il F. s'insediava nella segreteria: ricollegando questa prova di forza con la cosiddetta congiura gregoriana scoperta a Roma tre giorni prima, il F. vide in tutta la sua gravità il pericolo che lo Stato della Chiesa potesse perdere la sovranità e, timoroso che le forze che avevano spadroneggiato al tempo di Gregorio XVI rappresentassero la quinta colonna di un ampio disegno di reazione, inaugurò una vasta opera di epurazione del vecchio personale pontificio. Il governatore di Roma, il direttore di polizia e altri elementi inseriti in posti di grande importanza furono rimossi dai rispettivi incarichi da un giorno all'altro; e mentre, dopo l'autorizzazione data dal F. per la pubblicazione della clamorosa protesta per i casi di Ferrara, si apriva un periodo di grave tensione diplomatica con l'Austria, al termine del quale un altro fratello del cardinale, Cristoforo, già ufficiale napoleonico, riusciva ad ottenere da Vienna il ritiro delle truppe da Ferrara, si rafforzava la prospettiva, cara a Pietro, della collaborazione con il Piemonte: ciò andava pienamente incontro alle aspettative dell'opinione pubblica cui il 31luglio 1847 era stato reso noto il testo della "Convenzione conclusa tra S. S. Pio IX e S. M. Carlo Alberto" che liberalizzava le relazioni commerciali tra i due paesi consentendo anche la libera circolazione dei rispettivi sudditi. Sembrava questo preludio per più significativi accordi, cioè per la nascita di quella lega politica cui si lavorava discretamente da qualche mese; invece il F., preso dal dubbio di essersi spinto troppo innanzi e di essere caduto nella trappola del liberalismo, già ai primi di settembre si bloccava e covava il proponimento di rinunziare alla Segreteria.
A convincerlo a ripensarci fu forse lo stallo nel quale ad ottobre entrarono le trattative per la lega, ma ormai lo dominava il desiderio di limitare il contenuto progressista delle riforme e di frenare le manifestazioni di massa per evitare un eccessivo condizionamento del papa. Si giunse così ad una specie di braccio di ferro, un'alternanza snervante tra le decisioni restrittive del segretario di Stato e l'intenzione del papa di proseguire sul cammino intrapreso: se la Consulta di Stato veniva tenuta ben al di qua della linea che portava alla costituzione, si apriva d'altra parte, timidamente, il governo alla partecipazione dei laici; se il F. rendeva più rigida la censura sulla stampa, il papa continuava a lasciare sfogo alla propaganda nazionale.
Quando, a fine 1847, si tornò a parlare di imminente sostituzione del F., si capì anche che tra lui e Pio IX era venuta meno la reciproca fiducia. Preso finalmente atto dell'impossibilità di proseguire nella collaborazione, il 20 genn. 1848 Pio IX accoglieva le dimissioni del F. e lo nominava legato pontificio a Ravenna.
Cominciava così un rapidissimo declino. A Ravenna il F. restò pochissimo tempo, incapace di dominare una situazione che una lotta politica assai accesa aveva reso effervescente: dopo avervi trascorso una notte di terrore tra il 3 C il 4 marzo, se ne scappò letteralmente a Narni da dove il 6 marzo scriveva una lettera contrita al papa definendosi "un uomo da nulla, pericoloso anzi, e pazzo, e perciò inservibile a tutto" (Arch. segr. Vaticano, Arch. Pio IX-Oggetti varii,n. 1493) Sembra che Pio IX fosse intenzionato a nominarlo di nuovo segretario di Stato dopo la crisiaperta dall'allocuzione del 29 aprile: non se ne fece nulla e il F. se ne andò allora a Napoli (dove intanto il fratello Pietro era diventato ministro delle Finanze) e poi, nell'agosto '48, a Malta. Quando poi, dopo l'uccisione di P. Rossi, il papa fuggì da Roma, il F. lo raggiunse a Gaeta, confinato in un ruolo che l'ascesa recente del card. G. Antonelli rendeva poco più che decorativo. D'altra parte egli aveva perso ogni interesse per la politica e osservava la realtà con lo sguardo velato da un catastrofismo che gli faceva chiamare "potestà delle tenebre" (lettera del 18 dic. 1849 ad anonimo, in Arch. segr. Vaticano, Raccolta Ferrajoli, n. 5111) la tempesta abbattutasi sulla Chiesa dopo la morte di Gregorio XVI e che presto lo avrebbe spinto a considerare l'epoca ministeriale appena conclusa come un "sogno pieno di nere immagini" (Minghetti, II, p. 182).
Stando a R. De Cesare (Roma e lo Stato del papa..., Roma 1975, p. 17), al rientro a Roma di Pio IX il 12 apr. 1850, il F., pur essendo già sul posto, non fu tra gli alti ecclesiastici che salutarono il ritorno del papa nella capitale dello Stato, segno che il clima di freddezza tra i due cugini non era mutato. Terminato il periodo di emarginazione (o di autoisolamento), il F. si vide conferire il 18 marzo 1852 la carica di penitenziere maggiore e, a distanza di un anno e mezzo, porre alla testa della diocesi suburbicaria di Sabina. Da allora occupò tutto il proprio tempo nell'esercizio del suo ministero spirituale dedicandosi alle varie protettorie degli Ordini che nel corso degli anni aveva assunto su di sé. Camerario del S. Collegio il 7 apr. 1854, l'11 febbr. 1858 era nominato gran priore dell'Ordine gerosolimitano, ma tutti questi impegni romani difficilmente lo allontanavano dall'abbazia di S. Oreste sul monte Soratte sulla quale esercitava la sua giurisdizione in quanto commendatario del monastero dei Ss. Vincenzo e Anastasio. Probabilmente sperava che la solitudine e la contemplazione gli restituissero l'equilibrio perduto e alleviassero i tormenti dell'anima, e questo lo persuase a vivere gli ultimi anni nel totale disprezzo delle cose terrene. Nel 1860 si ammalò: tra una ripresa ed una ricaduta gli riuscì di essere a Roma per celebrarvi la messa pasquale e poi, nel giugno, di salutare per l'ultima volta ad Albano i fedeli della sua diocesi. Morì a Roma il 13 sett. 1860 e, in ossequio alle volontà da lui espresse nel testamento dell'11 ag. 1854, dopo la celebrazione delle esequie solenni a S. Andrea delle Fratte fu seppellito nella romana chiesa dei cappuccini.
Fonti e Bibl.: La corrispondenza del F. da Napoli con la segreteria di Stato è conservata in Arch. segr. Vat., Segr. di Stato, Esteri rubr. 252, buste 465-467; altro materiale sulla stessa missione si consulta ivi, Arch. della nunziatura di Napoli, buste 226 (sul concordato), 250-254 (rapporti politici), 273 (polizia), 288 (passaporti), 309-311 (epidemia di colera). Nello stesso archivio si hanno tre buste a lui intestate nel fondo Spogli dei cardinali, la prima contenente stampati e documenti di vario genere, la seconda e la terza le carte relative all'amministrazione dell'ospedale S. Lucia di Narni e alle visite compiutevi dal Ferretti. Infine ancora nell'Archivio Vaticano, Arch. particolare di Pio IX-Oggetti varii,nn. 1493 e 1663, si conservano una lettera del F. a Pio IX e la copia del suo testamento, mentre in Bibl. apost. Vaticana, Raccolta Ferrajoli,abbiamo, contrassegnata col n. 5111, una lettera a destinatario ignoto e, nella Raccolta Patetta,n. 1466, il ms. di una sua Relatio status Ecclesiae Firmanae ad Congregationem Concilii (1841); altro materiale è presente nel fondo ms. della Bibl. nazionale di Roma (cinque lettere di varie epoche), nelle biblioteche Oliveriana di Pesaro e Comunale di Macerata (in proposito si vedano i voll. LII e C/1-2, degli Inventari dei manoscritti d. Biblioteche d'Italia, rispettivamente alle pp. 41 e 61 e alle pp. 296, 299, 324, 401 complessivamente si tratta di undici lettere a destinatari diversi ma tutte del 1847), e nella Bibl. comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli (il vol. XCIV degli Inventari ad nomen,elenca in tutto otto lettere a diversi). Infine nell'archivio del Museo centrale del Ris. di Roma due volumi, numerati 144 e 145, raccolgono 650 sue lettere degli anni 1833-1840 all'avv. G. M. Bruni, curatore dei suoi interessi finanziari. Qualche inedito del F. è stato pubblicato in appendice alla sola biografia relativamente recente di cui si disponga, quella di M. Natalucci, Un segretario di Stato di Pio IX: il card. G. F. di Ancona (1795-1860),in Pio IX, I (1972), pp. 413-432, che riprende e arricchisce il vecchio profilo di A. Vitali, G. de' conti F. cardinale di S.R.C. e vescovo di Sabina. Orazione..., Roma 1867, cui nel frattempo s'era aggiunta la voce di D. Spadoni in Diz. del Risorgimento naz., III, Milano 1933, ad vocem. Per le varie tappe della carriera ecclesiastica del F. si rinvia a R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, V-VI,Patavii 1968-1979, ad Indices,e alla scheda, illustrata da molte considerazioni sulla provenienza sociale del F., di C. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates..., I-II.Stuttgart 1978, ad Indices. Numerose ma più slegate tra loro le indicazioni ricavabili da G. Moroni, Diz. d'erudiz. st. eccles. (per la consultazione si vedano gli Indici, III, ad nomen).Tra le fonti edite, mentre sono molto povere quelle sul 1831 e sulla nunziatura napoletana (su quest'ultimo incarico sono però di grande interesse le notizie offerte dai 2 voll. delle Relazioni dipl. fra la Francia e il Regno delle Due Sicilie, 1830-1848, a cura di A. Saitta, Roma 1966-1973, ad Indices), meglio documentata risulta la fase della collaborazione con il Pio IX delle riforme, fase per la quale i maggiori contributi vengono da L. C. Farini, Lo Stato romano dall'anno 1815 al 1850, Firenze 1853, I, pp. 174 s., 201-204, 209-217, 220-226, 232-252, 284, 316, 335; G. Spada, St. della rivoluzione di Roma e della restauraz. del governo pontif., I-III,Firenze 1868-1869, I, pp. 249, 255, 258 s., 297 s., 406; II, p. 24; A. Carraresi, Lettere di G. Capponi e di altri a lui, II,Firenze 1883, ad Indicem;M. Minghetti, Miei ricordi, Torino 1889, II, ad Indicem; L. C. Farini, Epistolario, a cura di L. Rava, I, Bologna 1911, ad Indicem; V.Gioberti, Epistolario, a cura di G. Gentile - G. Balsamo Crivelli, VI, Firenze 1935, ad Indicem;A. de Liedekerke, Rapporti delle cose di Roma (1848-1849), a cura di A. M. Ghisalberti, Roma 1949, ad Indicem; G. Montanelli, Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850, Firenze 1963, pp. 247 s., 284, 294; Gran Bretagna e Italia nei docc. della missione Minto, a cura di F. Curato, I-II, Roma 1970, ad Indices; N. Roncalli, Cronaca di Roma 1844-1870, a cura di M. L. Trebiliani, I, 1844-1848, Roma 1972, ad Indicem; Archivio triennale delle cose d'Italia, in C. Cattaneo, Tutte le opere, a cura di L. Ambrosoli, V, Milano 1974, ad Indicem. Quanto alla storiografia, mentre sul piano narrativo si ricordano principalmente G. Leti, Fermo e il card. F. De Angelis...,Roma 1902, ad Indicem;F. Falaschi, La rivoluzione in Ancona, in Le Marche nella riv. del 1831, Macerata 1935, p. 114; C. Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, II,Milano 1934, p. 441; III, ibid. 1936, pp. 158, 162 ss., 167 s., 172 ss., 176, 250-268, 327-344, 592-598; R. Quazza, Pio IXe M. d'Azeglio nelle vicende romane del 1847, Modena 1954, ad Indicem; P.Zama, La marcia su Roma del gen. Sercognani,Faenza 1976, ad Indicem;alcuni spunti critici di rilievo sono offerti da C. Falconi, Ilgiovane Mastai..., Milano 1981, ad Indicem, per gli anni giovanili, da G. Martina, Pio IX e Leopoldo II, Roma 1967, ad Indicem,e Id., Pio IX (1846-1850), Roma 1975, ad Indicem,per il semestre della segreteria di Stato.