GANDINI (Gandino), Gabriele
Nacque a Brescia nel 1519 o nel 1521 da Giovanni Antonio, nobile bresciano e membro del Consiglio cittadino, e Marta Girelli, quarto di sette tra sorelle e fratelli (tra questi Eraclito, nato nel 1517, e Quirino, nato nel 1527). Il padre morì il 12 sett. 1527; l'anno successivo morì anche lo zio paterno Ludovico. Della tutela ed educazione dei figli si occupò quindi la madre, che assunse come precettore tale Girolamo da Ludriano.
Nei primi mesi del 1544, a Brescia, il G. fu accusato del ferimento di un certo Luca Lana; non essendosi presentato al giudice nei tempi stabiliti dagli statuti della città, fu bandito. Il bando gli fu rimesso dal doge di Venezia il 3 dic. 1547, in seguito alla supplica presentata dal capitano della guardia dei Signori di notte. Non si sa con certezza come e quando il G. si legasse a gruppi filo-protestanti, molto numerosi a Brescia in quegli anni. Il poeta salodiese Giovanni Andrea Ugoni, nel corso di un processo inquisitoriale veneziano del 1565, ricordò di aver conosciuto a Brescia il G. e il fratello Eraclito come eterodossi, assieme con altri personaggi: "il piasentin libraro, ha nome Pietro Antonio […] dui fratelli di Malvezzi, messer Hieronimo […] et messer Michiel […], messer Vincenzo Burato, il conte Ulisse Martinengo"; questa testimonianza è riferibile con ogni probabilità al decennio 1540-50. Il 7 nov. 1551 il G. ed Eraclito abiurarono nelle mani del vescovo di Brescia cardinale Durante Duranti, che si avvalse della facoltà di riconciliare con la Chiesa gli eretici penitenti, appena concessagli da Giulio III. Per otto anni non si hanno notizie del G. e di suo fratello, finché, il 18 maggio 1559, essi vennero denunciati per eresia all'Inquisizione di Brescia. Dall'esame dei testimoni dovettero emergere gravi indizi contro di loro. Il 5 giugno furono infatti citati a comparire davanti all'inquisitore entro venti giorni, ma a quella data il G. ed Eraclito erano ormai fuggiti a Vienna, dove entrarono al servizio di Massimiliano d'Asburgo, figlio di Ferdinando I e destinato a succedergli sul trono imperiale. Nel frattempo Quirino, fratello minore dei due imputati, riuscì con diverse suppliche a ottenere varie proroghe dei termini della citazione. Quirino si era appellato anche al fatto che all'esame dei testimoni non avevano assistito i rettori veneziani di Brescia, contrariamente a quanto disponevano gli accordi tra Venezia e la S. Sede; in considerazione di ciò, il 21 ott. 1559 le supreme autorità veneziane (doge e Consiglio dei dieci) scrissero ai rettori di Brescia di far istruire un nuovo processo presenziando agli interrogatori. Così fu fatto, e il 14 novembre il G. ed Eraclito vennero di nuovo citati a comparire davanti ai giudici entro un mese. Anche questa volta, però, Quirino riuscì ad allungare i tempi, facendo credere che i suoi fratelli stessero per tornare in Italia. Il 24 genn. 1560 lo stesso Massimiliano d'Asburgo intervenne a favore del G. e di Eraclito con una lettera da Vienna indirizzata al doge di Venezia Girolamo Priuli. Il sovrano, dichiarando la sua stima nei confronti dei due fratelli che si trovavano al suo servizio, chiedeva al Priuli di intercedere presso il vescovo di Brescia affinché fossero ritirate le citazioni. Anche Quirino si rivolse poco dopo al doge, chiedendo di far sospendere il procedimento contro i suoi fratelli per almeno quattro anni. Il 24 marzo i rettori di Brescia scrissero ai capi del Consiglio dei dieci, inviando loro un estratto del processo inquisitoriale contro il G. ed Eraclito dal quale risultava che i due fratelli erano "in effetto infettati" d'eresia, cosa del resto evidente - proseguivano i rettori - data la loro fuga e il rifiuto di tornare in patria. Nella stessa lettera i rettori mostravano chiaramente di considerare le rassicurazioni di Quirino come dettate unicamente dalla preoccupazione per la possibile confisca del patrimonio familiare in caso di condanna dei fratelli. Ma le autorità veneziane, forse per compiacere Massimiliano d'Asburgo, non tennero conto del parere dei rettori; il 24 aprile, infatti, il doge e il Consiglio dei dieci ordinarono loro di far sospendere il giudizio fino a nuovo ordine.
Le tracce del G. e di Eraclito a questo punto si interrompono; non sappiamo se essi siano in seguito tornati a Brescia o meno, così come ignoriamo il luogo e la data di morte. Ancora il 16 febbr. 1562, tuttavia, quando il nobile bresciano Lattanzio Bornati operò una cospicua permuta di beni immobili con Quirino Gandini, quest'ultimo poteva dichiarare di agire anche a nome dei fratelli Gabriele ed Eraclito, "ad presens absentium", come pudicamente recitava la formula notarile.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Brescia, Curia prefettizia, Cancelleria prefettizia inferiore, Registri ducali, n° 4, c. 40v; Ibid., Curia pretoria, b. 30 (ducali dal 1557 al 1562), c. 101r; Ibid., Notarile di Brescia, Notaio Lodetti Aurelio, 16 febbr. 1562; Archivio di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei dieci, Lettere di rettori e di altre cariche, Brescia, b. 22, nn. 53-56; Ibid., Collegio, Lettere di principi, b. 3 (Casa d'Austria, 1536-1611); Ibid., S. Ufficio, b. 11, fasc. Andreas de Ugonibus, processo del 1565, c. 27r (costituto del 5 marzo 1565); A. Zanelli, G. ed Eraclito Gandini ed i processi d'eresia in Brescia nel secolo XVI, in Archivio storico italiano, s. 5, XL (1907), pp. 105-117; P. Paschini, Venezia e l'Inquisizione romana da Giulio III a Pio IV, Padova 1959, p. 78; E.A. Rivoire, Eresia e Riforma a Brescia, in Bollettino della Società di studi valdesi, LXXVIII (1959), 106, pp. 65 s., 81, 86; F. Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, IV, Il Cinquecento nel territorio, Brescia 1975, pp. 166, 171; A. Fappani, Enc. bresciana, V, Brescia 1982, p. 98.