VISCONTI, Gabriele Maria
Figlio illegittimo del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti e di Agnese Mantegazza, nacque forse a Milano, probabilmente alla metà degli anni Ottanta del XIV secolo, mentre la sua cresima fu con buona probabilità celebrata nel 1398.
Fu legittimato dall’imperatore Venceslao di Lussemburgo nel 1395, mentre l’anno successivo depose la terza delle prime quattro pietre della certosa di Pavia insieme al padre, al fratello Giovanni Maria (primo erede del duca) e a Francesco Barbavara, segretario e camerario ducale. Le unioni matrimoniali con Agnese di Bernabò Visconti e con Gigliola di Francesco Novello da Carrara, progettate dal conte di Virtù, non furono concretizzate (Vita Philippi Mariae Vicecomitis, 1925-1928, p. 252).
Alla morte di Gian Galeazzo (settembre 1402), poiché i figli nati dalla moglie Caterina non avevano ancora l’età necessaria ad assumere incarichi di governo, le redini dello Stato visconteo furono assunte dal Consiglio di reggenza, presieduto da Caterina. Visconti, la cui tutela era affidata a Francesco Barbavara, si vide assegnate le città di Pisa (che si era consegnata a Gian Galeazzo nel 1398) e di Crema: così stabiliva il testamento del conte di Virtù, che prevedeva anche che il figlio di Agnese fosse disposto a cambiare quei territori dietro una congrua offerta ducale, e che, soprattutto, giurasse fedeltà al fratello Giovanni Maria.
Riguardo a questa complicata congiuntura, le modalità e gli esiti del passaggio a Visconti delle due città furono assai diversi. Crema, infatti, ricadde sotto la signoria dei Benzoni già durante il 1403, mentre il controllo su Pisa fu più saldo grazie al fatto che la città tirrenica – minacciata dall’espansionismo fiorentino – nella subordinazione ai Visconti coglieva un buon argine contro Firenze. Pertanto, dopo alcuni mesi (dal settembre 1402 al maggio 1403) nei quali il governo di Pisa fu esercitato da Caterina e da Giovanni Maria, quest’ultimo pose la città toscana sotto il controllo del fratello il 9 maggio 1403 (Il registro di Giovannolo Besozzi, 1937, nr. 63 p. 35); Visconti, nell’autunno, poté prendere possesso della sua signoria pisana, accompagnato dalla madre.
Le fonti non consentono di fare piena luce sul governo di Visconti a Pisa, ma le condizioni della città erano verosimilmente critiche: le guerre combattute contro i conti Della Gherardesca (1396) e i Fiorentini ne avevano devastato il comitato, che del resto, dal 1398, era stato privato della ricca parte meridionale (costituita da quei territori che, conferiti a Gherardo Appiani in cambio della rinuncia alla signoria di Pisa in favore di Gian Galeazzo, formarono un piccolo Stato indipendente). A questo proposito, gli eserciti fiorentini, di nuovo all’offensiva dalla fine del 1402, compromisero la capacità produttiva delle campagne pisane, come dimostra la petizione degli uomini di Fabbrica di Valdera del marzo 1403, i quali riferirono di aver dovuto abbandonare il loro castello a causa della guerra (Archivio di Stato di Pisa, Comune, Divisione A, nr. 192, c. 1v).
Nel settembre 1403, il Comune pisano fu costretto a indire una nuova prestanza per fare fronte alle crescenti spese militari (Archivio di Stato di Pisa, Comune, Divisione A, nr. 193, c. 52r). Esse comprendevano anche la tutela delle terre viscontee di Lunigiana, che Visconti difendeva forse in ossequio al vassallaggio, sopra richiamato, al fratello Giovanni Maria. Dallo stato di contrapposizione con Firenze, oltre alle difficoltà economiche, scaturivano anche profonde inquietudini politiche, che dovettero contribuire a inasprire il governo di Visconti: nel dicembre 1403, infatti, il signore di Pisa emanò alcuni ordinamenti che accentuarono il ruolo puramente formale delle magistrature comunali pisane rispetto al signore (Scaramella, 1894, nr. 10, p. 475).
Né queste misure bastarono a rompere l’accerchiamento ai danni del territorio pisano: fu per reprimere una congiura organizzata a Firenze che Visconti, all’inizio del 1404, fece decapitare Francesco Agliata e imprigionare Bartolomeo di Scorno (Sercambi, Le croniche, 1892, III, p. 73). In quello stesso periodo, inoltre, un contingente fiorentino si portò sotto le mura di Pisa, con lo scopo di provocarne la caduta; l’azione, però, non riuscì, nonostante che il Comune gigliato raccomandasse ai commissari del suo esercito «per amore et per forza et chon ogni industria d’avere la città o per accordo o per denari» (Archivio di Stato di Firenze, Signori, Legazioni e commissarie nr. 2, c. 51v).
Visconti, constatata la precarietà del suo governo, fu costretto a cercare la protezione del Boucicaut, maresciallo del re di Francia e governatore di Genova; costui, dal canto suo, sperava di condurre Pisa all’obbedienza del papa avignonese, facendo in modo che il pontefice s’installasse nella città tirrenica. Fra la Corona francese e Visconti, il 15 aprile 1404, fu stipulato un trattato in base al quale il milanese diventò un «bonus et fidelis vasallus» del re di Francia, riconoscendo di esercitare i suoi poteri a nome di quest’ultimo, e impegnandosi a inviare ogni anno un falcone o un cavallo al sovrano «in signum recognitionis». Il castello di Livorno, invece, sarebbe passato sotto il controllo della Corona francese e sarebbe stato custodito a spese del governo pisano (Codex iuris gentium diplomaticus, 1747, I, doc. 118, pp. 277-280).
L’avvicinamento alla Francia condusse Visconti e la madre all’assunzione di un contegno favorevole al papa avignonese Benedetto XIII (Scaramella, 1894, nr. 11, p. 477). Per rimarcare la tutela francese su Pisa, un’ambasciata del luogotenente si mosse alla volta di Firenze, per mettere in guardia i Fiorentini dall’attaccare di nuovo la città tirrenica. Contestualmente, Boucicaut fece sequestrare le merci fiorentine presso Genova, dissequestrate soltanto in seguito alla promessa degli ambasciatori di Firenze di siglare una tregua con Pisa, poi stipulata fra il giugno e il luglio 1404 (I capitoli del Comune di Firenze, 1893, II, pp. 142-145).
A partire da quel momento, però, la subordinazione di Pisa alla Francia cessò di essere un aspetto non negoziabile per Boucicaut. A tutti gli attori politici coinvolti era sempre più chiaro che da Milano non sarebbero giunti aiuti in favore di Visconti, giacché il Ducato visconteo si trovava in una posizione estremamente debole. Né l’impegno di Pisa all’obbedienza avignonese ebbe un qualche risvolto concreto, viste le pressioni di Ladislao d'Angiò Durazzo re di Napoli (che obbediva al pontefice romano) nei confronti del signore pisano. Alla fine, la politica intransigente del plenipotenziario francese cambiò di segno rispetto al passato, divenendo, per i «molti fiorini» che gli furono offerti dai Fiorentini, incline all’accoglimento delle posizioni della città del giglio (Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, 2019, p. 269).
Nel dicembre 1404, gli emissari di Firenze ottennero dal re Carlo VI il permesso di acquisire Pisa, a patto che Firenze favorisse il papa avignonese e ricompensasse Boucicaut. Rimaneva, però, da convincere Visconti a vendere la città tirrenica a Firenze. Furono soprattutto le insistenze del luogotenente francese e la constatazione del fatto che la sua signoria su Pisa era «appiccata con la cera» (Capponi, Commentari di Gino Capponi, 1731, col. 1128) a indurre Visconti a incontrare Maso degli Albizi, anche se «non sapea lui medesimo quello si volea» (ivi). Il 22 gennaio 1405, il Comune di Firenze scrisse al suo ambasciatore a Pisa di salutare «quel signore et ancho la madre», «offerendo la nostra signoria ad ogni loro piacere» (Archivio di Stato di Firenze, Signori, Legazioni e commissarie nr. 2, c. 65v).
La notizia dei contatti fra Visconti e gli inviati fiorentini scatenò una sollevazione fra la popolazione pisana (20 luglio), così violenta da costringere Visconti e la madre Agnese a rifugiarsi presso Boucicaut. Quest’ultimo, al quale Visconti consegnò le chiavi della fortezza cittadina, sbarcò a Livorno il 1° agosto 1405. Il 13 agosto, però, la galea genovese entrata in Pisa attraverso l’Arno fu catturata, e anche il nipote del Boucicaut fu preso in ostaggio (Stella, Annales Genuenses, p. 276). La difficoltà con cui poté essere mantenuto il controllo visconteo sulla città tirrenica convinse Visconti, ormai privo dei consigli della madre (morta il 13 agosto), a cedere Pisa a Firenze.
Il trattato fu stipulato il 27 agosto: Visconti alienò i suoi diritti su Pisa e sulla cittadella urbana per 80.000 fiorini, da corrispondersi in tre tranches, promettendo di saldare i debiti con i castellani delle rocche del comitato pisano; egli ricevette anche l’assicurazione che ai membri del suo seguito sarebbe stata data soddisfazione dei beni di cui erano stati spogliati durante la sommossa di luglio (Arch. di Stato di Pisa, Comune, Divisione A, n. 27, c. 93r). Il giorno dopo, Firenze s’impegnò a corrispondere al Boucicaut 70.000 fiorini per ricompensarlo della custodia della fortezza cittadina (Masetti Bencini, Nuovi documenti, doc. n. 4 p. 227).
L’avvicendamento a Pisa fra il contingente franco-genovese e quello fiorentino avvenne il 31 agosto 1405, e per l’ormai ex signore pisano cominciò una fase nuova. Anche se le notizie al riguardo sono scarse, pare che egli tornasse presso il fratello Giovanni Maria, che lo nominò governatore generale del Ducato. In quella temperie, a causa del disinteresse di Visconti per i territori lunigianesi, il Comune di Sarzana si diede a Genova (Stella, Annales Genuenses, 1975, p. 281). A Milano, Visconti divenne alleato del condottiero Facino Cane, rimanendo coinvolto con lui nella lotta che contrapponeva la fazione dei guelfi, guidati da Carlo Malatesta, ad Antonio e Francesco Visconti. Ormai in rotta con Giovanni Maria, dopo la rovinosa battaglia di Binasco, all’inizio del 1407 Visconti si rifugiò nella rocca milanese di porta Giovia. Gli assediati si arresero il 31 ottobre di quell’anno, ma non abbandonarono la fortezza fin tanto che Carlo Malatesta non mosse loro contro con l’esercito. Visconti si recò allora in esilio in Piemonte e, poi, si rifugiò dal Boucicaut, a Genova.
Qui Visconti era alla completa mercé del maresciallo, e la sua fine fu narrata dall’arcivescovo genovese De Marini in una lunga lettera a Carlo VI, insieme alle altre scelleratezze che caratterizzarono il governo di Boucicaut (Puncuh, 2006, p. 289). Il 16 novembre 1408, infatti, Visconti fu imprigionato con l’accusa di tramare contro Genova o contro l’autorità francese, e il 15 dicembre fu decapitato in piazza. Quasi tutti i resoconti di quell’avvenimento sono concordi nel ritenere che il plenipotenziario francese liquidasse quella «victima immatura» (L’Ogdoas di Alberto Alfieri, 1885, p. 272) – Visconti aveva poco più di vent’anni – perché intendeva appropriarsi dei proventi che aveva ricavato dalla vendita di Pisa.
Archivio di Stato di Pisa, Comune, Divisione A, nrr. 27, 191-197; Archivio di Stato di Firenze, Signori, Legazioni e commissarie nr. 2; G. Capponi, Commentari di Gino di Neri Capponi dell’acquisto, ovvero presa di Pisa seguita l’anno 1406, a cura di L.A. Muratori, in RIS, XVIII, Mediolani 1731, coll. 1127-1129; Codex iuris gentium diplomaticus, a cura di G.W. Leibniz, I, Guelferbyti 1747, doc. nr. 118 pp. 277-280; L’Ogdoas di Alberto Alfieri. Episodii di storia genovese nei primordii del secolo XV, a cura di A. Ceruti, in Atti della Societa Ligure di storia patria, XVII (1885), p. 272; Le croniche di Giovanni Sercambi lucchese, a cura di S. Bongi, III, Roma 1892; I Capitoli del Comune di Firenze, II, a cura di A. Gherardi, Firenze 1893; P. Candido Decembrio, Vita Philippi Mariae III Ligurum ducis, a cura di A. Butti - F. Fossati - G. Petraglione, in RIS2, XX, 1, Bologna 1925-1958, pp. 252 s.; Il registro di Giovannolo Besozzi, cancelliere di Giovanni Maria Visconti, a cura di C. Santoro, Milano 1937, doc. nr. 63 p. 35; G. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, Bologna 1975, pp. 271, 276, 281, 285; G. di Pagolo Morelli, Ricordi. Nuova edizione e introduzione storica, a cura di C. Tripodi, Firenze 2019, p. 269 e passim. G. Scaramella, Livorno nel 1405, in Miscellanea livornese di storia e di erudizione, I (1894), pp. 43-47; Id., La dominazione viscontea in Pisa (1399-1405), in Studi Storici, III (1894), pp. 423-482; C. de La Roncière, La domination française à Pise, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, XV (1895), pp. 231-244; I. Masetti Bencini, Nuovi documenti sulla guerra e l’acquisto di Pisa (1404-1407), in Archivio Storico Italiano, XVIII (1896), pp. 209-241; P. Silva, Ordinamento interno e contrasti politici e sociali in Pisa sotto il dominio visconteo, in Studi Storici, XXI (1913), pp. 1-56; G. Scaramella, Nuove ricerche sulla dominazione viscontea in Pisa, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, XIV (1914), pp. 2-15; G.C. Zimolo, Il ducato di Giovanni Maria Visconti, in Scritti storici e giuridici in memoria di Alessandro Visconti, Milano 1953, pp. 389-440; F. Cognasso, I Visconti, Milano 1966, p. 357 ss.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, II, Torino 1978, p. 968 ss.; F. Ragone, Ambizioni territoriali sulla Lunigiana viscontea dopo la morte di Gian Galeazzo. La cessione del vicariato di Carrara a Paolo Guinigi ad opera di Giovanni Colonna (1402-1404), in Archivio Storico Italiano, CXLVI (1988), pp. 543-582; D. Puncuh, Il governo genovese del Boucicaut nella lettera di Pilo De Marini a Carlo VI di Francia (1409), in Id., All’ombra della Lanterna. Cinquant’anni tra archivi e biblioteche: 1956-2006, a cura di A. Rovere - M. Calleri - S. Macchiavello, Genova 2006, pp. 269-298; L. De Angelis, «Contra Pisas fiat viriliter». Le vicende della conquista, in Firenze e Pisa dopo il 1406. La creazione di un nuovo spazio regionale, Atti del convegno (Firenze, 27-28 settembre 2008), a cura di S. Tognetti, Firenze 2010, pp. 49-64; A. Barbero, La progettualità politica di Facino Cane, in Facino Cane. Predone, condottiero e politico, a cura di B. Del Bo - A. Settia, Milano 2014, pp. 169-187.