GABRIELLI
. Antichissima famiglia feudale eugubina, già potente sin dal sec. XI, quando un Cante figura come camerlengo imperiale in un privilegio di Corrado II (1027) e un Girolamo come condottiero di mille crociati eugubini. Allorché anche Gubbio, dopo le disfatte di Manfredi, passò a parte guelfa (1263), i G. si segnalarono per l'odio contro i ghibellini e uno di loro, Cante, ne divenne il più temuto persecutore in patria e fuori, come a Firenze, dove più volte fu podestà (1298; 1301-2 e 1306) e dove pronunciò la condanna contro Dante, a Lucca (1312) e a Perugia (1322). Rosso e Bino, fratelli di lui, anch'essi podestà di Firenze (1298-1306) e condottieri delle milizie della repubblica in varie imprese di guerra, parteciparono dei suoi stessi atteggiamenti politici.
Più tardi Giovanni, passato a parte ghibellina, riuscì con l'aiuto dell'arcivescovo signore di Milano Giovanni Visconti a farsi signore di Gubbio (7 agosto 1350), contrastato dal proprio congiunto Giacomo, governatore pontificio del Patrimonio. Ma, morto il Visconti, dové (1354) cedere all'Albornoz, che riconquistò Gubbio alla Chiesa. Nella grande sollevazione capeggiata dai Fiorentini contro l'opera dei legati avignonesi (1376) anche i G. lottarono contro la Chiesa. Ma, dopo tre anni, il monaco avellanita Gabriele di Necciolo, fatto vescovo di Gubbio, in accordo con la corte papale, nel 1381 se ne proclamò signore, facendosene poi nominare vicario pontificio da Urbano VI. Con una sommossa, capeggiata da un altro Cante, gli Eugubini riuscirono a restaurare le forme repubblicane, cedendo al vescovo il castello di Cantiano e promettendogli un'indennità di 4000 fiorini. Ma, nell'impossibilità di far fronte al pagamento e minacciati dalle armi di Francesco fratello del vescovo, si diedero (marzo 1384) al conte Antonio di Montefeltro duca di Urbino. A contrastare a questo il possesso di Gubbio insorsero ancora lo stesso Francesco e - dopo la nomina di lui a senatore di Roma - il nipote Cecciolo che fu per due volte (1419 e 1420) sul punto di recuperare la città; ma preso e impiccato, la sua famiglia, che già aveva perduto gli aviti feudi di Giomisci, Baccaresca, Agnano, Serra S. Abbondio e Cantiano, dové cedere anche il castello di Frontone, e ridursi a condizione privata. Dei molti rami in cui la famiglia G. aveva cominciato a scindersi fin dal sec. XIII, quelli di Bologna e di Senigallia si estinsero nel secolo XVII, e quello dei signori di Gubbio nel secolo successivo; sono tuttora in fiore il ramo di Tropea e Napoli, quello di Fano, e i conti di Montevecchio (Martinozzi-Benedetti).