GADDI, Gaddo di Zanobi
Pittore fiorentino, padre del più noto Taddeo, l'allievo prediletto di Giotto, G. figura nel libro dell'Arte dei medici e speziali a partire dal 1312; operoso nel gennaio 1327 (stile comune 1328), è menzionato ancora nel 1333 come pittore del popolo di S. Piero.Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 81-86) dedicò a G. una breve vita, che tuttavia non ha consentito fino a oggi un'attendibile ricostruzione della sua attività. Lo storico aretino afferma che G. imparò l'arte del mosaico dal pittore fiorentino Andrea Tafi, il quale lo avrebbe associato nei lavori per il battistero di S. Giovanni a Firenze, e gli assegna i trentasei busti di profeti a mosaico intercalati alle finestre nella fascia alla base della cupola. Mather (1932, pp. 58-59) propose di dividere l'esecuzione di questi fra Andrea Tafi e G.; tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto da questo studioso, la serie appare omogenea dal punto di vista stilistico e il collegamento con la misteriosa personalità di Andrea Tafi può considerarsi solo come ipotesi di lavoro. Vasari afferma inoltre che G. fu chiamato a Roma nel 1308 da papa Clemente V per portare a termine alcune decorazioni musive, oggi perdute, nella basilica di S. Pietro in Vaticano e altre che certamente non gli spettano, come per es. i mosaici della facciata di S. Maria Maggiore, di Filippo Rusuti. Secondo Baldinucci (Notizie) il soggiorno romano si sarebbe svolto invece nel 1291, all'epoca di papa Niccolò IV.L'impresa che assicurò maggiore rinomanza a G. e che gli valse la chiamata a Roma fu la lunetta a mosaico nella controfacciata della cattedrale di S. Maria del Fiore a Firenze, raffigurante l'Incoronazione della Vergine, "conoscendosi in essa più disegno, più giudicio e più diligenza che in tutto il rimanente dell'opere che di musaico allora in Italia si ritrovarono" (Vasari, Le Vite, II, 1967, p. 83).Sempre a detta di Vasari, G. avrebbe svolto anche un'intensa attività nel campo della pittura su tavola, dipingendo tra l'altro la tavola d'altare della cappella Minerbetti del distrutto tramezzo della chiesa di S. Maria Novella a Firenze, cui appartenevano con ogni probabilità i quattro pannelli con i ss. Tommaso Becket, Bartolomeo, Giovanni Battista e Zanobi, oggi nelle raccolte della Cassa di Risparmio di Firenze, riferibili tuttavia con certezza al pittore fiorentino Pacino di Buonaguida (Boskovits, in Offner, Steinweg, 1984). Poiché nel gennaio del 1327 (stile comune 1328) G. risultava impegnato nell'esecuzione di alcuni 'bracciuoli' per la tavola raffigurante S. Pietro in cattedra della chiesa di S. Simone a Firenze, recante la data del 1307 e attribuita da una parte della critica al Maestro della S. Cecilia, si è proposto d'identificare l'artista con questa importantissima quanto misteriosa anonima personalità (Bietti, 1983). Tuttavia, i dubbi avanzati in proposito da alcuni studiosi appaiono pienamente giustificati, anche perché l'attribuzione dell'opera in questione al Maestro della S. Cecilia sembra tutt'altro che certa (Bellosi, 1985). L'identità esecutiva tra l'Incoronazione di S. Maria del Fiore - che stilisticamente sembra risalire al penultimo decennio del Duecento e doveva appartenere quindi alla decorazione dell'antica cattedrale di S. Reparata (Mather, 1932; Boskovits, 1976) - e alcune storie di Cristo nella volta del battistero risulta assai evidente (Longhi, 1948). Altrettanto ineludibile è il legame con alcuni dipinti su tavola già riuniti con l'attribuzione ipotetica a G. (Boskovits, 1976): la Madonna della chiesa di S. Remigio a Firenze, il Crocifisso della Gall. dell'Accademia di Firenze (inv. nr. 1345) - talvolta riferito a Duccio di Buoninsegna - e quello della chiesa di S. Stefano a Paterno (Bagno a Ripoli, presso Firenze). Questi dipinti sono accomunati dal disegno nitido e dalla particolare declinazione espressiva del linguaggio cimabuesco, attenta alle novità del Gotico e venata di spunti classicheggianti. Il riferimento di queste opere a G. resta tuttavia ipotetico, soprattutto a motivo del fatto che esse appartengono esclusivamente alla cultura tardoduecentesca, mentre il pittore risulta ancora vivo nel 1333. In ogni caso occorre ribadire la serrata omogeneità stilistica del gruppo, che impone questa personalità artistica come "la voce più alta e indipendente che si sia levata nell'ambiente fiorentino fra Cimabue e Giotto" (Bellosi, 1966).
Bibl.: Fonti. - F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua, a cura di F. Ranalli, I, Firenze 1845⁵, p. 90.Letteratura critica. - F. Wickhoff, s.v. Gaddo di Zanobi, in Thieme-Becker, XIII, 1920, p. 28; F.J. Mather, The Isaac Master. A Reconstruction of the Works of Gaddo Gaddi, Princeton 1932; R. Longhi, Giudizio sul Duecento, Proporzioni 2, 1948, pp. 5-54: 19-20; F. Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma 1962, pp. 132-133; L. Bellosi, La pittura dell'Italia centrale nell'età gotica (I maestri del colore), Milano 1966; I. Hueck, Le matricole dei pittori fiorentini prima e dopo il 1320, BArte, s. V, 57, 1972, 2, pp. 114-121: 119-120; M. Boskovits, Cimabue e i precursori di Giotto, Firenze 1976, nrr. 65-69; M. Bietti, Gaddo Gaddi: un'ipotesi, AC 71, 1983, pp. 49-52; R. Offner, K. Steinweg, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, III, 9, a cura di M. Boskovits, Firenze 1984, pp. 18-19; L. Bellosi, La pecora di Giotto, Torino 1985, p. 140, n. 9; A. Tartuferi, La pittura a Firenze nel Duecento, Firenze 1990, pp. 49-50, 105-106; R. Offner, K. Steinweg, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, I, 1, a cura di M. Boskovits, Firenze 1993, p. 143, n. 314.