DEL GIUDICE, Gaetano
Nacque il 4 nov. 1816 a San Gregorio d'Alife in provincia di Terra di Lavoro (odierna San Gregorio Matese, provincia di Caserta), da Giuseppe, proprietario terriero, e da Giacinta Violante. Ben poco si conosce dei suoi anni giovanili: quando nell'anno 1840 egli perse il padre, aveva già compiuto i suoi studi a Napoli, dove si era legato d'amicizia con i fratelli Poerio ed era entrato in contatto con gli ambienti liberali che avversavano l'assolutismo di Ferdinando II e aspiravano a un radicale cambiamento. All'inizio del 1848 i giovani intellettuali napoletani - e il D. con essi - raccolti intorno a S. Spaventa, riuscirono a conquistare qualche margine di movimento fino ad arrivare a svolgere una vera e propria azione politica: nel marzo, infatti, davano vita a un giornale, Il Nazionale, facendone il portavoce di un gradualismo che, quantunque disposto ad attendere, non si sarebbe accontentato di soluzioni moderate ed avrebbe posto con forza il problema di una partecipazione del Regno meridionale alla lotta per l'indipendenza.
Durante l'effimero regime costituzionale, inaugurato con la concessione dello statuto, il D. rappresentò al Parlamento la provincia di Terra di Lavoro, risultando presente sia nella prima Camera, eletta nell'aprile dei '48 e sciolta d'autorità dopo i fatti del 15 maggio, sia nella seconda, nata dalle elezioni del 15 giugno.
Il D. era uno dei deputati più giovani e a caratterizzarne la posizione, più della partecipazione ai lavori di alcune commissioni, o della approvazione dell'ordine del giorno di C. Poerio contro la repressione in Calabria, o della presentazione con altri della mozione di richiesta di una legge che, fatta salva la libertà di stampa, ne frenasse gli abusi, vale il suo primo atto di rappresentante del popolo: la firma apposta alla protesta redatta da P.S. Mancini contro lo scioglimento delle Camere ("questo atto di cieco e incorreggibile dispotismo") in seguito alla sollevazione del 15 maggio. Il gesto fece probabilmente sì che negli anni successivi la polizia borbonica lo tenesse sotto sorveglianza, senza riuscire tuttavia a raccogliere prove a suo carico; d'altra parte il D. fu bene attento a non offrire il pretesto per una persecuzione.
Dopo essere stato citato nel 1851 come testimone a discarico nel processo intentato contro S. Spaventa, si ritirò a vivere nel paese natio, dove mise a frutto la propria preparazione patrocinando gli interessi di San Gregorio nella questione dello scioglimento del demanio promiscuo (1854), dal quale, secondo qualche storico locale, la sua famiglia fu tra quelle che trassero maggior vantaggio. Apparentemente tutti i fili che collegavano il D. al debole movimento d'opposizione clandestina o alla massa dei liberali costretti all'esilio erano recisi, né poteva essere considerato alla stregua d'un fatto politico il rapporto che lo legava a C. Poerio, all'amministrazione del cui patrimonio familiare sovraintese per qualche tempo (a riprova del vincolo d'affetto per il Poerio, c'è anche l'intenzione, maturata dal D. nel 1862 ma mai realizzata, di pubblicare in volume le poesie del fratello Alessandro, caduto nel '48 a Venezia). Eppure, qualche contatto con gli elementi democratici il D. doveva averlo mantenuto se si considera il delicato incarico che nel settembre del 1860, a successo quasi conseguito, Garibaldi gli affidò inviandolo a governare con pieni poteri la Capitanata, una regione presto infestata dal brigantaggio e percorsa dalle bande reazionarie.
Della lotta contro il brigantaggio il D. divenne uno specialista. Nel suo tentativo di riportare l'ordine nella provincia mediante la repressione condotta con le modeste forze della guardia nazionale non c'era però solo l'attenzione per gli aspetti polizieschi e militari della questione; da buon esponente della borghesia provinciale in ascesa, il D. vedeva all'origine del fenomeno non solo le trame reazionarie, ma anche la mancanza di una certezza d'indirizzo nella politica amministrativa. Perciò nei suoi rapporti al governo centrale metteva più volte l'accento sullo stato di abbandono in cui, concentrandosi tutta l'attenzione sui problemi di Napoli, venivano lasciate le province, e ciò nel momento in cui "borbonici e mazziniani spediscono emissari per turbare il tranquillo andamento del paese"; e, lamentando che le sue proposte di nomine di funzionari periferici non fossero mai accettate, faceva presente che a risultarne compromessa era "l'autorità morale del governatore" (Scirocco, Governo e paese..., p.69). In seguito presentò anche un piano di lavori pubblici per migliorare la situazione sociale della zona; ma questa e altre iniziative gli furono rinfacciate come esempi di demagogia da colui che lo avrebbe sostituito, il piemontese C. Bardesono di Rigrasso che, nella sua avversione per il movimento garibaldino, l'avrebbe accusato di aver "fatto taglieggiare il Gargano da due malfattori" (Carteggi di C. Cavour, IV, p. 501).
Nell'aprile del 1861 il D. fu eletto deputato nel collegio di Piedimonte: rimase in Parlamento dall'VIII alla X legislatura (1861-70) e sedette a sinistra senza però partecipare ai lavori parlamentari se non per appoggiare alcuni ordini del giorno antigovernativi (ma nel 1868 votò con la Destra a favore della legge istitutiva dell'imposta del macinato). Il 23 marzo 1862, pochi giorni dopo che una nota della prefettura napoletana lo aveva definito "spinto ma onesto liberale" (Scirocco, Associazioni democratiche ..., p. 444), il capo del governo U. Rattazzi, nel quadro di una politica mirante a far leva in maniera più appariscente che sostanziale sulla Sinistra parlamentare meridionale, lo destinò a Foggia come prefetto. Ancora una volta si intendeva utilizzare l'esperienza del D. nella repressione del brigantaggio, compito al quale egli si prestò mantenendo in qualche misura il punto di vista dei grandi proprietari intimoriti dalle dimensioni assunte dal fenomeno, ma anche rappresentando con accenti critici, per esempio di fronte alla commissione parlamentare d'inchiesta nel gennaio del 1863, le incongruenze d'un indirizzo politico generale che a suo dire impiegava male le risorse militari e non era capace di conciliarsi il favore delle popolazioni con interventi sulla "parte buona liberale del clero la quale è minore della retriva" (Molfese, p. 80). Erano rilievi almeno in parte simili a quelli già espressi nel 1860, e perciò riesce difficile pensare che a provocarli fosse il risentimento verso il modo assai brusco con cui il Rattazzi nell'agosto del 1862 lo aveva indotto a dimettersi, addebitandogli un atteggiamento troppo tollerante verso alcune manifestazioni di sostegno al tentativo insurrezionale garibaldino che si sarebbe concluso sull'Aspromonte.
Comunque tali vicende indussero certamente il D. ad un atteggiamento più radicale, vicino a quello di G. Nicotera, del quale, con molti altri esponenti della Sinistra meridionale, seguì l'esempio rinunziando volontariamente, nel dicembre del 1863, al mandato parlamentare per protesta contro l'estensione alla Sicilia dei provvedimenti eccezionali della legge Pica. Ma tale irrigidimento non fu di lunga durata: un mese dopo il D. veniva rieletto, e F. De Sanctis prendeva spunto da un suo discorso elettorale per ventilare un suo riavvicinamento alla Sinistra moderata, cosa che giudicava funzionale alla creazione di "un primo nucleo d'una opposizione costituzionale e parlamentare" (De Sanctis, p. 353). In effetti per il D., come per gli altri dimissionari, la crisi del dicembre 1863 aveva rappresentato il punto più avanzato nell'affermazione di una prospettiva rivoluzionaria che poi sarebbe impallidita fino all'accettazione definitiva del metodo parlamentare.
Nel 1870, con una lettera ai suoi elettori, il D. annunziava il proprio ritiro dalla vita politica; a spingerlo a tale decisione concorsero, a dire del figlio, "ragioni di famiglia" non meglio specificate.
Morì ad Apricena (Foggia) il 9 maggio 1880.
Fonti e Bibl.: Per la partecipazione del D. al Parlamento napoletano cfr. Le Assemblee del Risorg. Napoli, Roma 1911, I, pp. 26, 39, 174, 303, 329, 462; II, pp. 179, 209, 315, 334, 364, 427, 430. Dati sulle cariche pubbliche da lui ricoperte nell'Italia unita in Indice gen. degli Atti parlamentari dal 1848 al 1897, Roma 1898, II, p. 501, e in M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, p. 359. Gli interventi alla Camera in Atti parlam., Camera, Discussioni, legislatura VIII, sessione 1861, II, ad Indicem; legislatura X, sessione 1867-68, Indice alfabetico e analitico, ad nomen, e sessione 1869-70, IV, ad Indicem. Sulgovernatorato della Capitanata cfr., redatta dallo stesso D., l'Appendice all'opuscolo "Il governo della Capitanata e le relaz. dauno-garganiche nel 1860". Corrispondenza ufficiale..., Napoli 1861, e i Carteggi di C. Cavour. La liberaz. del Mezzogiorno..., Bologna 1954, IV, p. 501; V, p. 263; sulla prefettura di Foggia, A. Luzio, Aspromonte e Mentana, Firenze 1935, pp. 218, 225 s., 251-54, 273; sulle dimissioni del 1863, F. De Sanctis, Il Mezzogiorno e lo Stato unitario, Torino 1972, p. 353; sui rapporti coi Poerio, A. U. Del Giudice, I fratelli Poerio, Liriche e lett. ined., Torino 1899, pp. 10 s., 99-104. Lacunose e a volte imprecise le biografie del D. in T. Sarti, Il Parlamento subalpino e naz., Roma 1896, sub voce; in A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori, dal 1848 al 1922, I, Milano 1940, sub voce; e in Diz. Ris. Naz., II, sub voce. Scarsa l'attenzione della storiografia per il D.: qualche cenno sugli anni giovanili in B. Croce, S. Spaventa dal 1848 al 1861. Lettere, scritti, docc., Napoli 1898, p. 76; in G. Paladino, Il 15 maggio 1848 in Napoli, Roma 1920, ad Indicem; e in D. Marrocco, Piedimonte, Napoli 1861, pp. 145-48. Maggiori i contributi sulla sua attività politica dopo il 1860, spesso basati sulla sua testimonianza diretta: cfr. in particolare A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione, Milano 1963, ad Indicem; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano 1964, ad Indicem; A. Scirocco, Associazioni democratiche e società operaie nel Mezzogiorno dal 1860 ad Aspromonte, in Arch. st. per le provincie napoletane, s.3, V-VI (1968), pp. 444, 466; A. Capone, L'opposiz. meridionale nell'età della Destra, Roma 1980, ad Indicem; A. Scirocco, Il Mezzogiorno nell'Italia unita (1861-1865), Napoli 1979, ad Indicem.