FABRIZIO Luscino, Gaio (C. Fabricitis C. f. C. n. Luscinus)
Personaggio politico romano della prima metà del sec. III a. C. Fu il primo e l'ultimo della sua famiglia che raggiungesse il consolato. Console la prima volta nel 282, combatté nell'Italia meridionale durante la guerra iniziata quell'anno stesso dai Tarentini contro Roma, alla quale parteciparono, come alleati dei Tarentini, Lucani, Bruzî e Sanniti. Essendo la città greca di Turî minacciata dagl'Italici, F. la liberò, e i Turini gli dedicarono una statua in Roma. La tradizione riferisce che sotto l'impressione di questo successo Locri e Reggio entrarono nell'alleanza romana. F. ebbe il trionfo. Fu console ancora nel 278 durante la guerra di Pirro.
È l'anno in cui Pirro, chiamato dai Greci di Sicilia, partì per la prima volta dall'Italia. A questa partenza precedettero trattative che pare fossero state iniziate da F. stesso prima del suo consolato l'anno precedente, dopo la sconfitta dei Romani ad Ascoli di Puglia. Le trattative fallirono per ciò che riguarda la conclusione di pace e di alleanza. Tale fallimento fu determinato dalle promesse dei Cartaginesi anche più che dall'opposizione di Appio Claudio Cieco (v. claudio cieco). Le notizie circa queste trattative, ricchissime di aneddotí in cui viene esaltata la rettitudine di F., sembrano accennare a un contrasto tra la politica di Fabrizio tendente alla pace e quella di Appio tendente alla guerra. Comunque, dopo la partenza di Pirro la guerra continuò, senza che se ne conoscano esattamente i particolari, e F. trionfò secondo i Fasti sui Lucani, Bruzî, Tarentini e Sanniti. Poi si sa di F. soltanto che fu censore nel 275 insieme con quel Q. Emilio Papo che era stato suo collega in entrambi i consolati, il che presuppone tra F. ed Emilio relazioni approssimativamente simili a quelle che corsero tra Catone il censore e L. Valerio Flacco. Di questa censura non si ha che la notizia sulla rimozione dal senato di Publio Cornelio Rufino colpevole di possedere troppo vasellame d'argento. In sostanza F. non pare né militarmente né politicamente una figura eminente. Ma gli aneddoti mostrano che il ricordo di questo plebeo, come quello di Manio Curio Dentato, sopravviveva soprattutto per l'onestà e semplicità antica di cui lo si considerava come tipico esempio.
Bibl.: B. Niese, in Hermes, XXXI (1906), p. 185 segg.; J. Beloch, Griech. Gesch., 2ª ed., IV, i, Berlino 1925; pp. 545, 551; id., Röm. Gesch., Berlino 1926, pp. 461, 485; G. De Sanctis, St. dei Rom., II, Torino 1907, pp. 379, 404, 411; F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 1951 segg.