Cesare, Gaio Giulio
Politico, generale e scrittore romano (Roma 100-ivi 44 a.C.). Nato dalla gens Iulia, una delle famiglie più illustri di Roma, nipote di Mario e genero di Cinna, di cui aveva sposato la figlia Cornelia, fu messo al bando da Silla. Si segnalò nell’assedio di Mitilene e partecipò con Servilio alla campagna contro i pirati nel 78. Morto Silla, si mise in vista con processi contro note personalità, poi si recò a Rodi a studiare retorica. Cadde prigioniero dei pirati, fu liberato, e dopo averli puniti con un’audace spedizione, partecipò alla terza guerra mitridatica. Appoggiò Pompeo (del quale divenne poi cognato, nel 67, sposando Pompea) e Crasso nella loro opera di demolizione della costituzione sillana. Fu questore in Spagna nel 70, edile nel 65, pontefice massimo nel 63. Avverso all’oligarchia dominante di cui conosceva, non senza esserne partecipe egli stesso, la corruzione e i dissensi e di cui disprezzava l’incapacità di governo, non fu estraneo ai preparativi rivoluzionari di Catilina ma, prevedendone il fallimento, se ne allontanò in tempo. Nel 62 fu pretore e nel 61 propretore nella Spagna Ulteriore, dove si arricchì, non meno di altri governatori di quel tempo, e fu così in grado di pagare i debiti di cui anch’egli era oberato. Sulla via ormai di divenire uno tra i più potenti uomini politici di Roma, per i suoi successi fu temuto dagli aristocratici del Senato e per superare la loro ostilità C. strinse un patto nel 60 (cd. primo triumvirato) con due maggiorenti i quali, per le loro ricchezze e per il credito acquistato con le loro vittorie, aspiravano a una superiorità che da altri più ligi alle tradizioni repubblicane era contrastata: Pompeo (il quale sposò la figlia di C., Giulia) e Crasso. Con il loro appoggio fu eletto nel 59 al consolato. Per ottenere un più vasto consenso popolare, C. fece votare alcune leggi agrarie e assegnazioni ai veterani di terre di proprietà pubblica. Mediante un plebiscito ebbe il comando militare della Gallia Cisalpina e dell’Illirico, cui il senato aggiunse la Gallia Narbonense. Tra il 58 e il 51 condusse una serie di campagne militari contro le tribù galliche, germaniche e britanniche, che ne misero in evidenza il genio militare. In Gallia intervenne contro gli elvezi, vincendoli a Bibratte (58), e contro il principe germanico Ariovisto, che si era stabilito nella Gallia, costringendolo a ripassare il Reno. Nel 57 vinse i nervi e sottomise il territorio dei belgi. Nel 56 sottomise i veneti dell’Aremorica e mentre il suo luogotenente Publio Crasso, figlio del triumviro, occupava l’Aquitania, portò a termine l’occupazione del Belgio. Nel 55 disperse i tenteri e gli usipeti, e per compiere un’azione dimostrativa contro i loro alleati fece costruire un ponte sul Reno, attraversò il fiume, devastò il paese dei sigambri e quello degli ubi. Si volse quindi alla Britannia organizzando due spedizioni nel 55 e nel 54. Tornato in Gallia, dovette fronteggiare le agitazioni organizzate specialmente da Ambiorige, capo degli eburoni. La ribellione raggiunse il suo culmine nel 52, sotto la guida di Vercingetorige. C. prese Avarico, fallì davanti a Gergovia, ma dopo aver costretto Vercingetorige a rifugiarsi ad Alesia, lo assediò e mediante un’azione militare magistrale lo vinse e lo mandò prigioniero a Roma. Quindi, con azioni risolutive contro i popoli non ancora soggiogati, compì l’opera di conquista della Gallia. Il triumvirato con Pompeo e Crasso, rinnovato nell’accordo di Lucca (56), si era sciolto con la morte di Crasso (53), e Pompeo, approfittando dell’assenza di C., era di fatto padrone di Roma. Per contrastare C., Pompeo si alleò con il Senato. Quando C., alla fine della guerra gallica, pose la candidatura al consolato, nel 49 i consoli gli ordinarono di lasciare il comando del suo esercito e tornare dalla Gallia a Roma. C., che non voleva mettersi in tal modo alla mercé di Pompeo, si preparò al conflitto armato. Dichiarato nemico pubblico, contando sulla piena fedeltà dei suoi soldati, C. decise di rompere ogni indugio e passò il fiume Rubicone con le sue truppe dirigendosi verso Roma. In sostanza, C. voleva farsi deferire il consolato, mentre ciò non poteva essere consentito da Pompeo il quale teneva nella Spagna le sue legioni e mirava così ad assicurarsi una specie di principato legale che molti oligarchici erano propensi ad accettare. Ma appunto per questo egli si trovò in Italia disarmato di fronte a Cesare. Questi con una legione avanzò con tanta rapidità che Pompeo vide impossibile ogni resistenza e si ritirò in Grecia. Occupata Roma e l’Italia, C. conquistò l’alleata Marsiglia che, fedele al Senato, gli aveva rifiutato obbedienza, domò in Spagna le legioni di Pompeo comandate da Afranio e Petreio. Si volse quindi contro Pompeo che, divenuto l’estrema difesa del partito senatoriale, aveva organizzato in Oriente un esercito notevole; dopo alterne vicende C. riportò su Pompeo la decisiva vittoria di Farsalo (48); Pompeo, sentendosi perduto, si rifugiò quindi in Egitto, contando sulla protezione del re Tolomeo XIII, che però, per fare cosa grata a C., lo uccise. Recatosi ad Alessandria, C. pose sul trono di Egitto Cleopatra, vinse Farnace II, re del Bosforo, nel giro di 5 giorni presso Zela (47). Lasciato in Italia il magister equitum Marco Antonio, sbarcò in Africa dove i pompeiani, alleatisi a Giuba I di Numidia, si mostravano minacciosi e li vinse a Tapso (46): Labieno, ex cesariano, e i figli di Pompeo fuggirono in Spagna; i maggiori esponenti della fazione e Giuba perirono, Catone si diede la morte. A Munda (45) vinse Gneo Pompeo, figlio del triumviro. Convinto che Roma non potesse più essere efficacemente governata come una repubblica, padrone ormai dello Stato, C. attese a riordinare la cosa pubblica e, soprattutto, a consolidare nello stesso tempo l’autorità centrale e le autonomie locali. Dopo la battaglia di Farsalo ebbe la dittatura a tempo indeterminato (48), il consolato per 5 anni, la potestà tribunizia a vita, per tre anni tenne la praefectura morum, e, dopo la vittoria di Munda, ricevé dal senato il titolo di imperator: questa somma di poteri civili e militari configurava il suo governo come una monarchia. Riordinò lo Stato con una serie di leggi, completò a sua posta il Senato, dedusse colonie, distribuì terre ai suoi veterani, riformò il calendario, estese il numero dei cittadini romani (in partic. i transpadani, per cui l’Italia nel senso politico raggiunse effettivamente il confine delle Alpi), riordinò i municipi. Desideroso di pacificare gli animi, amnistiò i nemici. Quali che fossero i suoi concetti definitivi intorno alle forme da dare al suo governo, certo è, e a nessuno sfuggiva, che egli intendeva conservare e trasmettere a un successore la pienezza dell’autorità che era nelle sue mani. E questo spiega il contrasto in cui si trovavano con lui tutti coloro, ed erano molti, che per motivi diversi rimanevano attaccati alla tradizione della libertà repubblicana. Nel 44 si fece eleggere dittatore a vita. L’opposizione a C. degli aristocratici e del Senato non era ancora spenta, e si formò una congiura di circa 60 senatori, capeggiati da Bruto e da Cassio: C. fu ucciso nella Curia Pompeia presso il teatro di Pompeo alle idi di marzo (15 marzo) del 44 a.C. Autore prolifico di opere di poesia, di oratoria, di retorica, C. per i Commentarii de bello gallico (52-51 a.C.) e i Commentarii de bello civili (49-48 a.C.) è annoverato tra i maggiori scrittori romani.
Nasce a Roma
È eletto pontefice massimo
È nominato pretore
Primo triumvirato fra Cesare, Pompeo e Crasso
È eletto console
Conduce campagne militari contro le tribù galliche, germaniche e britanniche
Con la morte di Crasso si scioglie il triumvirato
Varca il Rubicone e marcia su Roma contro Pompeo che si ritira in Grecia
Sconfigge Pompeo a Farsalo, è eletto dittatore, padrone assoluto di Roma e dell’impero
Vince in cinque giorni (veni, vidi, vici) Farnace II, re del Bosforo
Sconfigge a Tapso gli ultimi pompeiani
Vince a Munda Gneo Pompeo, ottiene il titolo di imperator
È assassinato alle idi di marzo da un gruppo di congiurati guidati da Bruto e da Cassio