Catullo, Gaio Valerio
Il poeta latino dell'«odio e amo»
Catullo è un poeta colto e raffinato, i cui gusti furono fortemente influenzati dai modelli greci. Ma è soprattutto il poeta che, con accenti sinceri, canta la travolgente passione per l'infedele Lesbia. Un poeta d'amore, capace come pochi di scavare nel profondo dei sentimenti e di mettere a nudo la propria anima
Nato a Verona verso l'84 a.C., Catullo si trasferì giovane a Roma, dove entrò in contatto con il circolo dei poetae novi ("poeti nuovi"), convinti seguaci delle tendenze affermatesi in Grecia nella poesia alessandrina: predilezione per brevi componimenti legati a esperienze occasionali e a vicende autobiografiche, elaborazione di poemetti mitologici di limitata estensione, sfoggio di erudizione, estrema cura della metrica e dello stile.
Queste caratteristiche si riflettono pienamente nella raccolta delle poesie di Catullo giunta fino a noi. I temi trattati nei 116 componimenti sono i più vari: l'amore in primo luogo; ma anche i rapporti con gli amici, la canzonatura di letterati contemporanei, gli attacchi a uomini politici come Cicerone o Cesare, il ricordo commosso del fratello prematuramente scomparso in terra straniera (con un carme che ispirò Ugo Foscolo per il suo sonetto In morte del fratello Giovanni). Nei carmina docta, ossia nelle poesie di più marcata ispirazione letteraria, invece, il poeta sviluppa con tecnica raffinata temi mitologici ripresi dai modelli greci.
Ma è indubbiamente l'amore il tema dominante del canzoniere di Catullo. Il poeta morì ad appena trent'anni e la sua breve esistenza fu segnata dalla tormentata storia d'amore con una donna sposata, esponente di una delle più nobili famiglie romane, cui egli dà il nome di Lesbia ma che in realtà si chiamava Clodia: una matrona colta e dalla morale piuttosto libera, poco incline a intrecciare con il poeta una relazione duratura. Fu, in ogni caso, una passione travolgente, con fasi di amore intenso e tradimenti, momenti di esaltazione e cocenti delusioni.
È difficile ricostruire la vicenda nel suo svolgimento preciso. Catullo stesso però ci consente di coglierne alcuni momenti di particolare intensità.
Per esempio, l'esplodere della piena gioia dei sensi, appena velata dal pensiero della brevità della vita: "Viviamo, Lesbia mia, e amiamo, e le chiacchiere dei vecchi, troppo severi, tutte insieme stimiamole di nessun conto. Al sole è concesso di tramontare e far ritorno ogni giorno: noi, appena questa breve luce è tramontata, dobbiamo dormire un'unica notte eterna. Dammi mille baci, poi cento, poi altri mille, poi di nuovo cento, poi ancora mille, poi cento".
Il disincanto per le false promesse della donna amata: "La mia donna mi dice che a nessun altro preferisce appartenere, se non a me, neppure se a richiederla fosse lo stesso Giove. Lo dice. Ma ciò che una donna dice all'amante bramoso lo si deve scrivere sul vento e sull'acqua che scorre via".
La sofferenza, mirabilmente condensata in due versi di un'asciuttezza straordinaria: "Odio e amo. Forse mi chiedi come mi sia possibile. Non lo so, ma sento che accade e me ne tormento". La lucida distinzione tra la passione fisica, che resta intensa nonostante i tradimenti, e il vero amore che ormai va scomparendo: "Una volta dicevi, o Lesbia, di conoscere solo Catullo e che a me non avresti preferito neppure Giove. Ti amai, allora, e non soltanto come gli uomini amano un'amica, ma come un padre ama i figli e i generi. Ora t'ho conosciuta: perciò, anche se brucio con più ardore, per me sei tuttavia molto più vile e spregevole. Com'è possibile?, mi domandi. Perché un amante una simile offesa lo costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno".
In un altro carme il poeta, ormai totalmente disilluso, chiede infine agli dei una cosa soltanto: di liberarlo dall'amore che, come un veleno, si è insinuato nelle sue più intime fibre e lo sta distruggendo.
La morte che prematuramente lo colse segnò anche la fine dei suoi tormenti.