Galateo
Il termine galateo - che ricalca il titolo del manuale cinquecentesco di Giovanni Della Casa contenente consigli e ammaestramenti sulla maniera di conversare, di vestire, di stare a tavola, di trattare il prossimo - designa il complesso di buone maniere che regolano i rapporti esterni tra persone.
Il Galateo, trattato sul 'saper vivere' dedicato al vescovo di Sessa, Galeazzo (in latino Galataeus) Florimonte, fu composto da monsignor Giovanni Della Casa fra il 1550 e il 1554, pubblicato nel 1558 e più volte ristampato. L'autore si finge un anziano precettore, chiamato a educare un giovane aristocratico all'arte delle buone maniere. L'opera, scritta in forma piana e discorsiva, fitta di aneddoti e novelle, rappresenta un'importante testimonianza dell'accelerazione che il cosiddetto processo di civilizzazione della società occidentale aveva conosciuto già nei decenni precedenti. La produzione di codici di comportamento socialmente distintivi è propria della cultura rinascimentale; nel Medioevo, infatti, a contrassegnare l'appartenenza ai ceti dominanti erano l'ortodossia religiosa e l'attitudine militare: l'aristocrazia feudale non aveva bisogno di legittimare la propria autorità tramite lo stile di vita o l'osservanza di regole esteriori formalizzate. Nella letteratura d'occasione e nella produzione epica nelle lingue volgari, fra il 12° e il 14° secolo, compaiono solo scarni riferimenti alle condotte e ai cerimoniali del tempo; fanno eccezione, a cavallo fra Duecento e Trecento, il trattatello di Bonvesin de la Riva De quinquaginta curialitatibus ad mensam e alcuni elementari Tischzuchten (norme da osservare a tavola) in forma di filastrocca: testi didascalici, rivolti ad adulti e privi di ambizioni pedagogiche, da cui traspare una concezione ancora scarsamente coercitiva delle regole di comportamento in pubblico. Nella fruizione dei pasti, in particolare, prevaleva un codice comunitario, cui erano estranee le idee moderne di privacy e di consumo individuale. Le pietanze erano servite tutte insieme e si attingeva a grandi piatti di portata, dando la precedenza ai commensali giudicati di status sociale superiore; i cibi venivano generalmente portati alla bocca con le mani; stoviglie e rudimentali posate non erano considerate di uso personale e venivano adoperate in comune. Fra il 14° e il 15° secolo l'emergente borghesia delle corporazioni adotta i modelli comportamentali della 'cortesia' (cultura di corte) e radicalizza la contrapposizione fra civiltà urbana e stili di vita rurali ('villani'). Agli inizi del 16° secolo, quando l'unità della Chiesa romana viene meno a causa dello scisma luterano e si sviluppa il principio dell'assolutismo monarchico a base nazionale, la civilité, attraverso cui riconoscere gusti, sensibilità e costumi comuni, diviene prerogativa di status delle classi dominanti.
Erasmo da Rotterdam, con il suo De civilitate morum puerilium (1530), ce ne offre una compiuta sinossi. Anch'egli finge di trasmettere al figlio di un principe nozioni relative alla condotta in pubblico e al decoro esteriore, alternando raccomandazioni minute di ordine pratico con la deprecazione di usanze e comportamenti che, alla luce della nostra sensibilità, sembrano di sorprendente 'inciviltà'. Si sofferma disinvoltamente sulle corrette procedure per soffiarsi il naso e sputare; ritiene disdicevoli atteggiamenti, come il mantenersi in equilibrio su una sola gamba, che all'epoca dovevano costituire abitudini correnti; raccomanda di tener puliti cucchiaio e coltello, divenuti dotazioni personali del commensale, nonché di disporli a tavola secondo criteri precisi; suggerisce come servirsi in modo consono dai piatti di portata; consiglia di lavarsi le mani prima dei pasti (ma il sapone era raro e costoso), di detergere la bocca prima di attingere al boccale comune e di mangiare facendo uso di tre dita soltanto, che non andranno leccate o pulite sul vestito; deplora l'abitudine di offrire a un altro commensale bocconi già masticati o l'usanza di grattarsi, giocare con il coltello e usarlo per nettare le unghie durante i pasti. L'incipiente civiltà delle buone maniere delinea le pratiche distintive delle classi in ascesa. Compaiono divieti e raccomandazioni che solo più tardi troveranno motivazioni igienico-sanitarie, ma che già segnalano l'affiorare di criteri del decoro e, simmetricamente, di canoni del disgusto e della ripugnanza sconosciuti alle epoche anteriori. Si affaccia anche un codice del pudore più restrittivo di quello medievale: è giudicato sconveniente, per es., spogliarsi oltre la misura necessaria o abbandonarsi in pubblico al vomito o alla produzione di 'ventosità'. Va però notato come questi comportamenti, divenuti successivamente autentici tabu nella vita di relazione, siano ancora sottoposti a una censura relativamente blanda e trattati con la massima naturalezza. Il saggio di Erasmo - trasformato presto in una sorta di prontuario in forma catechistica - conobbe in Europa un enorme successo. Il suo programma pedagogico, peraltro, si rivolge teoricamente a tutti, mentre il Galateo, come già il Cortegiano di B. Castiglione (1528), si indirizza all'ambiente esclusivo dei 'gentiluomini', che devono apprendere a manifestare esteriormente la propria condizione di superiorità. La crescente differenziazione sociale esige una rigorosa regolamentazione dei comportamenti quotidiani; ai vecchi codici comunitari si viene sostituendo un'enfasi crescente sul carattere gelosamente privato delle funzioni inerenti la fisicità, dall'alimentazione alla vita sessuale, al soddisfacimento dei più vari bisogni corporali: trasformazioni culturali tutte riconducibili al primato dell'individualità, che trovano espressione nella sfera artistica, negli ambiti filosofico e scientifico, imponendo un crescente disciplinamento di emozioni, impulsi affettivi, istinti. Moltiplicando regole e divieti si allarga il fossato fra soggetti non civilizzati (i bambini, i 'barbari') e adulti civilizzati, differenziati in rapporto al possesso di norme di comportamento giudicate distintive proprio perché in gran parte prive di utilità (Veblen 1899). Presto la 'civilizzazione', oltre che un imperativo pedagogico, sarà eretta a missione capace di giustificare lo stesso colonialismo.
È soprattutto la Francia, dove si sviluppa precocemente una borghesia di corte contigua all'aristocrazia, che promuove una continua sofisticazione dei costumi e delle maniere. Nascono elaborati rituali funzionali al reciproco riconoscimento di status (le regole della precedenza, dell'invito, del corteggiamento) e si diffondono i canoni conviviali della nobiltà, dall'uso del tovagliolo alla proliferazione di posate e stoviglie da usare appropriatamente, all'attribuzione alla servitù di mansioni (come, per es., il disossamento della carne) che precedentemente erano considerate gelose prerogative dell'anfitrione. L'uso del coltello è limitato assai al di là delle comprensibili precauzioni pratiche: infatti, non solo non bisogna puntarlo al viso, porgerlo per la lama, portarlo alla bocca, ma è vietato usarlo per tagliare pesce, formaggi, dolci, cibi tondeggianti come patate, uova, polpette, mele, arance. Simili divieti si ritrovano in tutte le civiltà non militari, tanto che in Cina, dove da molti secoli il potere appartiene a una classe non guerriera di funzionari colti, gli occidentali sono giudicati barbari perché 'mangiano con le spade'. Specularmente, si estende con il 16° secolo l'impiego della forchetta che, al di là di motivazioni prettamente igieniche (del resto, ancora oggi portiamo regolarmente alla bocca con le mani pane, gelati, cioccolata, biscotti), esprime l'avversione per ciò che è unto, bagnato o appiccicoso: un rifiuto culturalmente acquisito, dal momento che è del tutto assente nel bambino e nelle popolazioni che non hanno conosciuto la civilizzazione occidentale. Particolarmente coercitivo diviene il controllo sulla soddisfazione dei bisogni corporali. Come avviene ancor oggi in gran parte dell'Oriente, orinare e defecare in pubblico costituivano nel Medioevo pratiche estremamente diffuse e assai labile era il 'comune senso del pudore' in fatto di esibizione del corpo per necessità della vita quotidiana (i bagni erano pubblici: sarà la cultura della privacy a inventare, secoli dopo, spazi domestici riservati per le esigenze personali; v. bagno).
Con il Rinascimento questi comportamenti cominciano a essere giudicati indecorosi fuori dell'ambiente domestico, ma il pudore, debolmente interiorizzato nella sfera psichica, appare più che altro manifestazione di rispetto dovuto a persone ragguardevoli. Per contro, alla fine del 17° secolo J.-B. de La Salle esprime, nelle Règles de la bienséance et de la civilité chrétienne (1695), un senso di ripugnanza per le funzioni del corpo, e nella seconda edizione dell'opera arriva a censurarne la menzione stessa. Altri esempi eloquenti riguardano la pulizia del naso e l'abitudine di sputare. Nel Medioevo ci si soffiava il naso con le mani (il fazzoletto è in origine un puro accessorio dell'abbigliamento), ma per La Salle è proprio il ricorso al fazzoletto che distingue persone civili e villani. Una severa censura colpisce l'abitudine di osservare le proprie secrezioni e di mettersi le dita nel naso. Come ancora oggi accade nei paesi orientali asiatici, quanto mai frequente era nell'Europa del passato l'uso dello sputare. L'unico tenue divieto riguardava lo sputare sulla tavola o nei catini: ancora La Salle aggiunge l'invito a trattenersi dal farlo nelle chiese. L'Ottocento sarà invece il secolo della sputacchiera, che progressivamente si trasformerà in un oggetto domestico di uso personale, per poi sparire fra le due guerre mondiali quando, peraltro, la scienza avrà rovesciato l'antica credenza sulla funzione salutare dell'espettorazione. L'Ottocento vittoriano è anche l'epoca di una diffusa pedagogia repressiva delle pulsioni istintive, una pedagogia che tradurrà in tema di attenzione psichiatrica ciò che sino a pochi decenni prima era al massimo giudicato sconveniente o sgradevole. Paradossalmente, è l'idea di una generale uguaglianza della condizione umana che estende i tabu, dilatando la sfera sociale del rispetto e generalizzando l'interiorizzazione del divieto. Già dal Seicento, anche l'uso del linguaggio è codificato in base a canoni di convenienza: bisogna evitare arcaismi, affettazione, volgarità, eccessi eruditi e gerghi specializzati, propri dei ceti medi periferici (si pensi alla figura manzoniana di Azzeccagarbugli). La divisione del lavoro e le nuove forme di stratificazione sociale modificano la complessa mappa delle buone maniere, ma raramente l'etichetta sembra obbedire a criteri logico-razionali convincenti. Ancora oggi sopravvivono norme di cui abbiamo del tutto smarrito le antiche giustificazioni: perché sfilarsi il guanto prima di tendere la mano quando nessuno sospetta che esso celi lame o punte avvelenate? Si preservano nelle comunità di élite rituali privi di qualsiasi utilità pratica (sbucciare la mela con forchetta e coltello), che hanno ancora la funzione di codici di distinzione (Bourdieu 1979), così come in passato molte prescrizioni si sono sviluppate come 'maniere', molto prima delle scoperte sull'igiene e la profilassi che potevano giustificarle. Nella società attuale, particolarmente controversa appare la questione del rapporto fra civilizzazione e pudore (Dürr 1988): per es., il topless dilagante sulle spiagge può smentire la tesi di una civilizzazione inevitabilmente associata all'etica sessuofobica della privacy, oppure segnalare una tale interiorizzazione del controllo sociale sul corpo da renderne innocua l'ostentazione. Anche la diffusione delle tecnologie - dai telefoni cellulari alle reti telematiche domestiche - e la produzione di modelli postmoderni di socialità (Giddens 1990), come la partecipazione 'espressiva' ai concerti rock, ai raduni delle bande giovanili o agli eventi dello sport spettacolo, modificando il costume e la comunicazione, pongono nuovi problemi di regolazione di comportamenti individuali e collettivi, e chiamano in causa il pluralismo etico e gli inediti bisogni di identità delle società contemporanee.
P. Bourdieu, La distinction. Critique social du jugement, Paris, Éditions de Minuit, 1979 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1983).
H.P. Dürr, Der Mythos vom Zivilisationsprozeß. Nacktheit und Scham, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1988 (trad. it. Nudità e vergogna, Venezia, Marsilio, 1991).
N. Elias, Über den Prozess der Zivilisation [1938], Basel, Haus zum Folken, 1969 (trad. it. La civiltà delle buone maniere, Bologna, Il Mulino, 1982).
A. Giddens, The consequences of modernity, Cambridge, Polity, 1990 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1994).
Th. Veblen, The theory of the leisure class, New York, Macmillan, 1899 (trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1969).