VISCONTI, Galeazzo
– Nacque nel 1277 da Matteo e da Bonacossa Borri. Secondo una tradizione dall’elevato valore simbolico, il primogenito della coppia venne alla luce il 21 gennaio, lo stesso giorno della vittoria riportata dai Visconti sui Torriani a Desio (P. Giovio, Vitae..., 1549, p. 84).
Grazie all’influenza dell’arcivescovo Ottone Visconti riuscì a cumulare alcune prebende e a entrare, giovanissimo, nel capitolo metropolitano (Franceschini, 1954, pp. 354 s.).
Nel contesto delle strategie elaborate dalla Sede apostolica per controllare la cattedra episcopale milanese, Galeazzo riuscì a conservare questi benefici, grazie alla probabile concertazione con il pontefice: il 26 agosto 1296 (tre giorni dopo avere elevato Francesco da Parma alla sede ambrosiana) Bonifacio VIII gli concesse infatti di conservare i due canonicati in S. Ambrogio e nella chiesa metropolitana, cumulandoli con quelli che già deteneva a Monza e Varese (Les registres de Boniface VIII, I, a cura di G. Digardi - M. Faucon - A. Thomas, 1884, n. 359 p. 492).
Di lì a poco Galeazzo fece il suo ingresso nella vita politica: nel 1298 fu scelto come podestà di Novara, una delle città su cui il padre era riuscito a consolidare la propria influenza (Garone, 1865, p. 10). Dopo essere stato rieletto nell’incarico, dovette abbandonare la città a causa dell’offensiva delle forze antiviscontee organizzate attorno a Giovanni di Monferrato (marzo 1299). Nei mesi seguenti compì incursioni nel contado pavese (Franceschini, 1954, pp. 358 s.).
Nel 1300 Matteo decise (secondo Corio dietro persuasione «de molti primati milanesi») di rinsaldare i legami con Azzo d’Este combinando il matrimonio di Galeazzo con Beatrice, sorella del marchese e vedova di Nino Visconti di Gallura.
Le nozze furono celebrate in maggio a Modena (o poco fuori); alla cerimonia, a margine della quale Galeazzo fu addobbato cavaliere proprio dal marchese, presenziarono molti nobili delle città lombarde. I festeggiamenti continuarono sulla via del ritorno, a Parma e Milano, dove si tenne corte bandita per otto giorni (Chronicon parmense..., a cura di G. Bonazzi, 1902-1904, p. 80; Chronicon estense..., a cura di G. Bertoni - E.P. Vicini, 1908-1937, p. 56; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, 1979, pp. 561-563).
Nel dicembre dello stesso anno Galeazzo fu associato al padre nella carica di capitano del Popolo: l’elezione avvenne «in uno general concilio», ma contribuì ad accrescere l’opposizione ai Visconti, ormai proiettati alla dinastizzazione del proprio potere (Franceschini, 1954, p. 361). Nel biennio successivo si aprirono nuovi fronti di instabilità: perse Novara e Vercelli, nel maggio del 1301 Matteo e Galeazzo riuscirono tuttavia a ottenere il controllo di Bergamo. In giugno il giovane signore compì una spedizione nel Novarese, mentre in autunno guidò l’esercito in territorio pavese. Il 14 dicembre 1301 si vide confermare per un altro anno il capitanato del Popolo, con un rafforzamento delle proprie prerogative (B. Corio, Storia di Milano, cit., pp. 565 s.).
Tra febbraio e maggio del 1302 le forze antiviscontee tornarono a premere: Galeazzo fu impegnato in alcune inconcludenti operazioni a Novara, Vigevano, Pavia. Rientrato in Milano, all’inizio di giugno mise agli arresti il prozio Pietro Visconti, sospettato di tradimento (Grillo, 2013, pp. 45 s.): un indizio dell’opposizione di alcuni rami laterali della famiglia al disegno egemonico di Matteo e dei suoi discendenti, che sarebbe tornata a manifestarsi anche in seguito (Del Tredici, 2017a, p. 127). I tempi erano dunque maturi per il cambio di regime: Matteo si diresse contro le forze guelfe guidate da Alberto Scotti, lasciando il presidio di Milano a Galeazzo. Ma il 12 giugno una rivolta esplosa in città lo colse di sorpresa costringendolo a fuggire e a riparare prima a S. Colombano e poi a Bergamo. Nel frattempo Matteo cedeva il capitanato ad Alberto Scotti, venendo successivamente bandito dalla città (B. Corio, Storia di Milano, cit., pp. 567-572).
Poco si conosce dell’itinerario compiuto da Galeazzo durante il lungo esilio dalla città ambrosiana. Giovio riferisce di un periodo passato in Francia, al servizio di Carlo di Valois (P. Giovio, Vitae..., cit., p. 85). La moglie e il figlio Azzone (nato nel 1302) si stabilirono a Ferrara, mentre Galeazzo è attestato nel 1307 in territorio mantovano (Cognasso, 1955, p. 4). Nel 1309 partecipò alla guerra di Ferrara, al fianco di Francesco d’Este e dei collegati papali. Nel 1310 fu podestà a Treviso, forse sull’onda dei buoni rapporti maturati fra Estensi e i Caminesi (che portarono al matrimonio fra Giovanna, figlia di primo letto di Beatrice d’Este e dunque figliastra di Galeazzo, e Rizzardo da Camino: Litta, 1823, tav. III; celebre il passo di Dante Alighieri, Purgatorio VIII, 53-81).
Galeazzo ebbe un ruolo marginale nelle trattative che fecero da sfondo alla discesa di Enrico VII in Italia.
L’incerta situazione di Milano, dove il re fu accolto alla fine del 1310, imponeva forse cautela: per questo motivo, il 27 dicembre, la solenne pacificazione tra le fazioni fu siglata dal solo Matteo, presenti i figli Marco e Luchino, mentre Galeazzo e gli altri fratelli Giovanni e Stefano risultavano absentes (Constitutiones..., a cura di J. Schwalm, 1906-1911, p. 463).
Era invece a Milano poche settimane più tardi, in febbraio, quando all’ombra del malcontento generato dalle richieste finanziarie imperiali organizzò, di concerto con Franceschino della Torre, un trattato per liberare la città (forse con il consenso dei rispettivi genitori: Iohannis de Cermenate historia, a cura di L.A. Ferrai, 1899, pp. 47 s.). I Visconti furono però abili a cambiare improvvisamente cavallo, isolando i Torriani; l’imperatore decise comunque di bandire entrambe le famiglie (Grillo, 2013, pp. 206-208). Già in aprile i Visconti riuscirono a fare rientro, seguendo l’imperatore nella spedizione su Cremona e Brescia che valse a Matteo il conferimento del vicariato imperiale (Cognasso, 1955, pp. 62-64). Un accordo di pace fra i Visconti e l’arcivescovo Cassone della Torre siglato agli accampamenti di Brescia prevedeva fra le clausole che Riccardina, figlia di Galeazzo, avrebbe dovuto sposare un figlio di Pagano della Torre (ibid., p. 70).
Nell’autunno del 1311 Galeazzo fu nominato vicario di Cremona, venendone tuttavia espulso già nel gennaio del 1312, a seguito dell’offensiva di Guglielmo Cavalcabò (Gentile, 2007, p. 264). In seguito si inserì nelle contese per il controllo di Piacenza, dove Alberto Scotti, a mezzo di repentini voltafaccia, era riuscito ancora una volta a ottenere la signoria. Grazie all’intervento di Baldovino di Treviri, Galeazzo poté accreditarsi quale mediatore nelle trattative fra gli Scotti e i Landi: l’arbitrato pronunciato dal fratello di Enrico VII nell’aprile del 1313 regolò i dissidi tra le fazioni e accordò a Galeazzo il vicariato imperiale per sei mesi (Castignoli, 1997, p. 10).
La convenzione (redatta quasi sicuramente di concerto con il nuovo vicario) ridefinì l’assetto istituzionale del comune urbano: un Consiglio maggiore di millequattrocento membri, nominati per metà da Alberto Scotti e per metà da Ubertino Landi (restava espulsa per il momento la fazione dei Fontanesi) e un consilium sapientium direttamente nominato da Galeazzo (Constitutiones..., cit., 1906-1911, p. 1280).
La dominazione di Galeazzo a Piacenza (1313-22) fu connotata dalla complessa transizione verso nuovi assetti politici interni. Le fonti suggeriscono il progressivo smarcamento dalle istituzioni popolari (successivamente obliterate, nella riforma statutaria promossa dal signore attorno al 1320: Fugazza, 2009, pp. 222 s.) e il tentativo di conferire un ruolo costituzionale alle fazioni. Una prima pacificazione con i Fontanesi (in giugno) fu mandata a monte da Alberto Scotti: di qui la volontà di sbarazzarsi del vecchio signore, espulso di lì a poco con un abile stratagemma (Chronica tria Placentina..., a cura di B. Pallastrelli, 1859, p. 373).
Morto Enrico VII, Galeazzo si fece proclamare dominus da un consiglio cittadino composto di soli ghibellini. Dopo un anno di duri scontri, a partire dal 1315 riuscì però a trarre a sé le famiglie guelfe, facendo leva sulla loro avversione a Scotti (il quale «omnibus magnatibus Placentie superstare volebat»: ibid., p. 393) e offrendo forse una differente proposta politica, fondata sulla promozione delle partes a perno del nuovo reggimento. Negli anni successivi, infatti, le testimonianze del controllo esercitato dalla fazione ghibellina sul Consiglio cittadino si accompagnano a chiari indizi del coinvolgimento dell’aristocrazia guelfa nella vita politica della signoria (ibid., pp. 408 s., 412).
Il controllo del contado portò in dote a Galeazzo imponenti risorse finanziarie, ulteriormente incrementate dalle sistematiche imposizioni fiscali al clero (Castignoli, 1997, pp. 14-17). La politica aggressiva nei confronti delle immunità ecclesiastiche causò aspri conflitti con il vescovo Ugo Pilori, indotto a lasciare la città attorno al 1316. Trovò riparo ad Avignone, dove dal 1320 si iniziò a lavorare al celebre dossier processuale contro Matteo e Galeazzo, accusati di pratiche magiche ai danni del pontefice (André-Michel, 1909, p. 277; Biscaro, 1920, p. 448; Parent, 2014, pp. 66-82).
Con il padre e i fratelli prese parte alle operazioni contro le forze della coalizione guelfo-papale-angioina. Nel 1319 appoggiò il Comune di Parma contro l’offensiva di Giberto da Correggio (Chronicon parmense..., cit., pp. 160 s.); nell’estate del 1320 fronteggiò, insieme al fratello Marco, l’avanzata di Filippo di Valois. Il vicario di Roberto d’Angiò fu probabilmente corrotto e convinto a tornare sui suoi passi (Cognasso, 1955, p. 135). L’escalation militare portò a nuove rotture politiche: dalla metà del 1321 i guelfi piacentini sembrano saldamente insediati nel contado, in lotta con Galeazzo. Ciò non impedì importanti successi: in novembre colse insieme a Matteo una grande vittoria a Bardi (novembre 1321), che gli permise di eliminare Giacomo Cavalcabò e di fare il suo ingresso a Cremona (gennaio 1322), dove provò – come a Piacenza – ad avviare una politica di conciliazione tra le parti (Gentile, 2007, p. 271).
La pubblicazione della scomunica contro di lui (1° marzo 1322) contribuì a minarne il consenso. Già in aprile Verzuso Landi, uno dei capi del ghibellinismo piacentino, decise di ribellarsi (Castignoli, 1997, p. 21). La difficile situazione politica ambrosiana, dove si dibatteva sull’opportunità che Matteo riconoscesse la sottomissione alla Chiesa, indusse Galeazzo a tornare a Milano (fine maggio). In breve tempo convinse il padre a ritirarsi dalla vita politica e riuscì a far saltare gli accordi intavolati fra i dodici ambasciatori milanesi e il Legato papale (Chronicon modoetiense, 1728, col. 1118).
Più che la pace con la Chiesa, Galeazzo intendeva ostacolare i progetti di certa parte del ghibellinismo milanese, che manifestava insofferenza verso di lui. L’espediente di celare all’opinione pubblica la morte del padre (24 giugno 1322) fu necessario per garantire la sicura transizione dinastica: dopo due settimane, il consiglio generale di Milano proclamò Galeazzo signore (B. Corio, Storia di Milano, cit., p. 679).
Importanti successi furono colti in estate a Bassignana e nel piacentino (Giulini, 1856, p. 129); in ottobre, tuttavia, Verzuso Landi riuscì a prendere il controllo di Piacenza scacciando Beatrice e Azzone Visconti (Castignoli, 1997, pp. 22 s.). La perdita della città emiliana costituiva un grave danno, anche sul piano del consenso interno: Galeazzo temeva soprattutto le spaccature nel fronte ghibellino, come dimostrano le lettere inviate ai suoi sostenitori pochi giorni dopo i fatti di Piacenza (Chronicon modoetiense, cit., col. 1121).
I timori erano giustificati. All’inizio di novembre del 1322 un moto nobiliare guidato da Francesco da Garbagnate e Lodrisio Visconti riuscì a espellere Galeazzo (che riparò a Lodi, ospite dei Vistarini: Giulini, 1856, p. 134). Il nuovo governo, comunque a trazione ghibellina (G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, 1991, p. 373), cedette non appena si profilò all’orizzonte la possibilità che i Torriani fossero reintrodotti in città: l’11 dicembre Galeazzo fece ritorno a Milano, con l’ausilio proprio di Lodrisio e dei mercenari tedeschi stanziati in città, il cui potere di pressione sulle vicende urbane era ormai palese (B. Corio, Storia di Milano, cit., p. 685). I giorni successivi si presentò dall’inquisitore chiedendo la riconciliazione: una mossa volta a tergiversare mentre si preparava la formale concessione della signoria da parte della città, che avvenne il 29 dicembre (Besozzi, 1981, p. 237).
Nei mesi successivi, le forze guelfe puntarono dritto sui Visconti, politicamente e militarmente. Galeazzo fu definitivamente scomunicato (12 marzo 1323); le truppe guidate da Raimondo de Cardona avanzarono su Milano, ma furono costrette a ripiegare a Monza in estate (Cognasso, 1955, p. 176). Nel frattempo il signore si era assicurato l’appoggio di Ludovico IV il Bavaro, che inviò un contingente di stipendiari al comando del vicario generale Berthold di Neiffen. Il 23 giugno Galeazzo, in qualità di «protector et defensor civitatis et districtus», giurò fedeltà al Bavaro (Constitutiones..., a cura di J. Schwalm, 1909-1913, p. 586). La nuova situazione consentì rilevanti successi, come a Vaprio (28 febbraio 1324), dove lo stesso Cardona cadde in mano milanese (B. Corio, Storia di Milano, cit., p. 695). Dopo la battaglia, Galeazzo decise però di non puntare immediatamente su Monza, dove le forze guelfe si trincerarono. Il borgo fu conquistato solo a dicembre: anche qui il signore tentò una politica di pacificazione tra le fazioni locali (Chronicon modoetiense, cit., coll. 1143 s.).
I successi aumentarono l’acredine dei parenti contro Galeazzo (ibid., col. 1148). Il fratello Marco e Lodrisio ambivano a ruoli di primo piano: la loro opposizione fu solo mitigata dalle concessioni effettuate dal signore a Stefano (Arona), Marco (Rosate) e Lodrisio (il Seprio) attorno al 1325 (Cognasso, 1955, pp. 193 s.).
La discesa in Italia del Bavaro, nel 1327, fece esplodere i dissidi. Già durante i preparativi della spedizione Marco aveva forse provato a mettere in cattiva luce il fratello presso il candidato alla corona imperiale (Chronicon modoetiense, cit., col. 1149); le accuse contro Galeazzo furono mosse in maniera palese durante il viaggio del Bavaro verso Milano, in occasione dell’incontro di Trento (Giulini, 1856, p. 166). Entrato Ludovico in città (16 maggio 1327), Galeazzo dovette fare anche i conti con la rivalità di Cangrande Della Scala, che ambiva a presentarsi al re come primo fra i lombardi ai danni del signore di Milano (Cognasso, 1955, p. 197), ma riuscì probabilmente a spuntare la concessione del vicariato imperiale (D. Fiamma, Manipulus..., 1727, col. 731).
Gli eventi seguiti all’incoronazione imperiale (31 maggio) sono oscuri. All’inizio di luglio Galeazzo, Azzone, Luchino e Giovanni furono arrestati e tradotti a Monza. Alle pressioni esercitate dagli oppositori dei Visconti si aggiunse il timore che si volesse attentare alla vita del Bavaro: un sospetto alimentato dalla misteriosa scomparsa di Stefano, morto dopo avere assaggiato alcune pietanze destinate a Ludovico IV mentre era di credenza alla mensa regia (sulle diverse versioni fornite dalle cronache, cfr. Giulini, 1856, pp. 172 s.).
Deposto Galeazzo, sotto la tutela del vicario generale Guglielmo di Montfort si formò un consiglio di ventiquattro cittadini (fra i quali Franzino Visconti, Ramengo Casati e Ottorino Burri, futuri oppositori di Azzone), che resse la città «in odium Galeaz» (G. Fiamma, Manipulus..., cit., col. 732; G. Villani, Nuova Cronica..., cit., p. 559). In agosto, forse dietro versamento di un forte riscatto, tutti i parenti furono liberati; Galeazzo invece restò in carcere fino al marzo del 1328, quando fu rilasciato grazie alla mediazione di Castruccio Castracani degli Antelminelli, presso il quale anche il figlio aveva trovato accoglienza (Biscaro, 1919, p. 104). Militò poi a fianco del signore toscano (Constitutiones..., a cura di J. Schwalm, 1914-1927, pp. 381, 383).
Poco dopo la presa di Pistoia cadde ammalato e morì, presso il castello di Pescia, il 6 agosto 1328 (G. Villani, Nuova Cronica, cit., p. 626).
Certamente amplificata dal perdurante stato di conflittualità militare, l’instabilità politica interna che caratterizzò la parabola di Galeazzo (tanto a Piacenza quanto a Milano) va ricondotta agli embrionali tentativi di promuovere il superamento del modello signorile di stampo popolare attraverso una politica fondata sull’equilibrio tra le fazioni e sul coinvolgimento di guelfi e ghibellini nel governo. Il progetto suscitò una vivace opposizione soprattutto in seno al campo ghibellino e popolare (non casualmente, a Milano, gli oppositori più accessi di Galeazzo furono alcuni fra i più fermi sostenitori del regime del padre), ma fu ripreso e portato a compimento da Azzone nel decennio successivo (Del Tredici, 2017b, pp. 314-317).
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Vitae duodecim Vicecomitum Mediolani, Robert Estienne, Paris 1549, pp. 84 s.; G. Fiamma, Manipulus Florum sive historia Mediolanensis, in RIS, XI, Mediolani 1727, coll. 731 s.; Chronicon modoetiense, ibid., XII, Mediolani 1728, coll. 1118, 1121, 1143, 1144, 1148, 1149; Chronica tria Placentina a Johanne Codagnello ab anonimo et a Guerino conscripta, a cura di B. Pallastrelli, Parma 1859, pp. 373, 393, 408 s., 412; Les registres de Boniface VIII. Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux des archives du Vatican, I, a cura di G. Digard - M. Faucon - A. Thomas, Paris 1884, p. 492; Iohannis de Cermenate historia. De situ Ambrosianae urbis et cultoribus ipsius et circumstantium locorum ab initio et per tempora successive et gestis imperatoris Henrici VII, a cura di L.A. Ferrai, Roma 1899, pp. 47 s.; Chronicon parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di G. Bonazzi, in RIS, IX, Città di Castello 1902-1904, pp. 80, 160 s.; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum inde ab a. MCCXCVIII usque ad a. MCCCXIII (1298-1313), in MGH, Leges, IV, 1-2, a cura di J. Schwalm, Hannoverae et Lipsiae 1906-1911, pp. 463, 1280; Chronicon estense cum additamentis usque ad annum 1478, in RIS, XV, 3, a cura di G. Bertoni - E.P. Vicini, Città di Castello 1908-1937, p. 56; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum inde ab a. MCCCXIII usque ad a. MCCCXIV, in MGH, Leges, V, a cura di J. Schwalm, Hannoverae et Lipsiae 1909-1913, p. 586; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum inde ab a. MCCCXXV usque ad a. MCCCXXX, ibid., VI, 1, a cura di J. Schwalm, Hannoverae 1914-1927, pp. 381, 383; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A.M. Morisi Guerra, Milano 1979, pp. 561-563, 565-572, 679, 685, 695; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Parma 1991, pp. 373, 559, 626.
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