GORRESIO, Gaspare
Nacque a Bagnasco, piccolo centro montano dell'alta Val Tanaro, nel Cuneese, il 18 genn. 1807 da Giovanni Battista, notaio, e da Clotilde Dealberti.
Compiuti gli studi superiori nel seminario vescovile di Mondovì, si trasferì a Torino, dove, ospite del collegio delle Provincie, frequentò l'Università, della quale era rettore l'eminente filologo e semitista abate A. Peyron, laureandosi in filologia nel 1830, e cioè poco prima che l'Università venisse chiusa da Carlo Felice, per essere riaperta solo due anni dopo. L'aiuto del marchese Antonio Brignole Sale, patrizio genovese, erudito e influente uomo politico, gli consentì di trascorrere due anni a Vienna e di seguirvi alcuni corsi di perfezionamento in filologia classica. Era allora ambasciatore sardo a Vienna il conte C. Beraudo di Pralormo ed è quindi probabile che proprio a quel periodo risalga la loro profonda amicizia. Rientrato a Torino nel 1832, il G. ottenne l'incarico di docente di storia presso l'Accademia militare. L'apprezzamento riscosso da alcune sue pubblicazioni sulla mitologia, sulla poesia di Pindaro, sull'arte drammatica, sul genio e l'affinità delle lingue greca, latina e tedesca, gli procurò l'aggregazione alla facoltà di lettere. Il G. si trovò quindi partecipe di un periodo particolarmente fecondo per la scienza e la cultura.
Infatti, durante il regno di Carlo Alberto (1831-49) vennero attuati un ampio progetto di riforme politiche e istituzionali e un profondo rinnovamento culturale. Il merito di questo rinnovamento va attribuito a P. Balbo, presidente dell'Accademia delle scienze e vero artefice della politica culturale dell'età albertina, il quale, grazie anche al sostegno di un folto gruppo di intellettuali, seppe vincere una certa diffidenza del sovrano verso i contenuti innovativi della ricerca, soprattutto di quella umanistica.
Pochi mesi dopo aver fondato, nel 1837, con C. Marenco e C. Bon Compagni di Mombello, la rivista scientifico-letteraria Il Subalpino, il G., desideroso di completare le ricerche che dalla cultura greca lo avevano portato verso la cultura indiana e attratto dalla fama acquisita dalla scuola dell'indologo E. Burnouf, si recò a Parigi, dietro invito del marchese Brignole Sale, che vi ricopriva allora l'incarico di ambasciatore del Regno di Sardegna e che gli aveva fatto avere il sostegno economico del sovrano. A Parigi il G. ebbe modo di apprendere anche la lingua cinese dal grande sinologo S. Julien, ma fu soprattutto assorbito dagli studi della lingua e della letteratura sanscrita, che egli compì sotto la guida del Burnouf, del quale, oltre che discepolo brillante, divenne in seguito amico devotissimo. Il profitto fu tale che dopo solo due anni fu in grado di intraprendere con rigore di scienziato, "ispirazione di poeta, ed entusiasmo di artista" - come ebbe a dire I. Pizzi nella sua commemorazione - l'ardua e imponente iniziativa di far stampare con caratteri devanagarici appositamente coniati dall'Imprimerie royale (in seguito nationale e infine impériale) e di offrire dunque all'Italia il vanto della prima traduzione in Europa del poema epico Rāmāyaṇa, attribuito al poeta Vālmīki.
Delle due recensioni esistenti, la settentrionale, preferita dagli studiosi tedeschi perché ritenuta più antica, e quella bengalese o gauḍa, egli scelse, con felice intuito, quest'ultima, di gran lunga superiore per valore letterario e perfezione estetica. L'edizione del testo sanscrito fu il risultato di un'attenta collazione di manoscritti condotta sui codici appartenenti alla Bibliothèque royale di Parigi e in seguito su quelli conservati a Londra presso la Royal Society of sciences e la East India House. A Londra, dove giunse il 20 apr. 1841, il G. si avvalse dei preziosi consigli e dell'aiuto di H. Wilson, docente di letteratura sanscrita a Oxford e direttore del museo e della biblioteca dell'East India House ed ebbe la possibilità di consultare i commenti: Manohara di Lokānatha Cakravartin e RāmāyaṇaTilaka di Ragunātha Vācaspati. Il G. si valse inoltre del commento di Kullūkabhaṭṭa e dei precedenti lavori di A. von Schlegel e di altri.
Nell'introduzione al primo volume, dopo la dedica a Carlo Alberto, il G. metteva acutamente in evidenza le contraddizioni e le interpolazioni contenute nel testo ed evocava con rara finezza l'atmosfera del poema. Si trattava perciò di una introduzione tanto scientificamente puntuale e densa di precise notazioni critiche e di penetranti valutazioni estetiche da essere considerata uno studio a sé stante. Con la sua traduzione il G. ha creato un'opera d'arte sia per la chiarezza di immagini, sia per il fascino di espressione e per l'eleganza di stile e di lessico. La diligente fedeltà della traduzione e l'eleganza del suo dettato gli valsero la nomina a socio dell'Accademia della Crusca (12 febbr. 1867).
In una lettera del 3 luglio 1838 indirizzata ad A. Peyron, oltre ai ringraziamenti per le numerose presentazioni a letterati francesi e studiosi e personalità piemontesi residenti a Parigi per motivi di studio o in esilio come E. Dal Pozzo principe della Cisterna, il G. espose con entusiasmo il suo ambizioso progetto, pur dichiarando che si trattava di "un lavoro assai arduo e lungo assai". In una successiva lettera del 3 genn. 1842 informò il Peyron che la stampa del poema, rimosse le difficoltà e adempiute le formalità, aveva avuto inizio. L'entusiasmo per gli studi e le ricerche che stava conducendo, il resoconto dei problemi relativi alla preparazione della stampa e del lavoro di traduzione, le condizioni di vita e le amarezze derivanti dalla costante carenza di fondi sono contenuti in numerose lettere inviate da Parigi al conte di Pralormo, allora ministro delle Finanze.
La pubblicazione del testo e della traduzione del Rāmāyaṇa (24.000 strofe suddivise in sette libri) coprì praticamente l'arco di un trentennio, dal 1843 al 1870. Oltre un secolo dopo, il governo indiano ha fatto pubblicare in edizione anastatica, dall'Indian Heritage Trust, i volumi contenenti il testo sanscrito (1980-82) e un altro volume (1986) contenente le introduzioni, tradotte in inglese da O. Botto.
L'impresa, eccezionale sotto il profilo scientifico e tecnico, fu resa possibile grazie all'aiuto economico concesso al G. da Carlo Alberto e mantenutogli poi dal governo piemontese pur tra numerose difficoltà, delle quali è ricordo nella corrispondenza intercorsa tra il 16 sett. 1841 e il 16 giugno 1859. È una corrispondenza fitta, nella quale i temi squisitamente culturali e scientifici si intersecano con i viluppi quasi soffocanti di una faticosa ed estenuante "storia amministrativa". In questo singolare dialogo da una parte c'è il G., isolato, ma tenace sostenitore della propria ciclopica fatica, convinto che da essa verrà "al Piemonte la gloria di aver dato un'opera così grande all'Europa" (lettera del 16 sett. 1841 al Pralormo); dall'altra gli uomini che si avvicendarono alla guida dei ministeri piemontesi delle Finanze e dell'Istruzione (dal citato Pralormo al conte S. Gallina, da mons. D. Pasio a L.F. Des Ambrois de Nevâche, da U. Rattazzi al conte G. Ponza di San Martino, da G. Lanza al conte C. Benso di Cavour), talvolta critici e scettici, ma più spesso sinceramente preoccupati per gli esiti "inappaganti" di una "certa speculazione commerciale letteraria" che avevano creduto potersi legare al Rāmāyaṇa. La vicenda fu chiusa definitivamente dal Cavour, subentrato al Rattazzi, al quale il G. si era precipitato a scrivere il 4 febbr. 1858, con uno stanziamento sui fondi discrezionali del ministero.
Risalgono a questo periodo numerosi articoli sulla conoscenza dell'India pubblicati sul Subalpino (1839), una lettera sull'epopea indo-aria inviata a D. Galanos, che la incluse tra i suoi Frammenti critici (Atene 1847), notizie sull'India fornite a C. Balbo per le sue Meditazioni storiche (1855) e a V. Gioberti per la Protologia (ed. postuma 1857), nonché una lettera sull'uso della seta in Oriente e soprattutto in India inviata a E. Pariset, autore dell'Histoire de la soie (1865).
Nel 1852, preceduto da una fama ormai consolidata, il G. ritornò in patria e il governo gli affidò la cattedra degli studi indo-germanici o, come corresse egli stesso nell'introduzione al III volume della sua traduzione, "ario-pelasgici". Questo incarico, che egli tenne per tre anni, fu il primo insegnamento di discipline indianistiche istituito in Italia.
Nel 1859, alla morte di C. Gazzera, il G. fu chiamato a ricoprire il posto di direttore della Biblioteca universitaria (ora nazionale) di Torino e il 12 maggio 1859 fu nominato, grazie all'appoggio del Peyron, segretario perpetuo dell'Accademia delle scienze di Torino per la classe di scienze morali e filosofiche, della quale faceva parte dal 26 genn. 1843.
Il G. non si interessò attivamente di politica e, al pari del Peyron, fu piuttosto uno spettatore degli eventi. I suoi rapporti con il Gioberti furono del tutto formali a causa sicuramente della diversità di carattere e delle divergenze in politica tra il Gioberti e il Peyron, verso il quale il G. nutrì e mantenne sempre una riconoscente devozione; frequentò a Torino, insieme con numerosi altri intellettuali del tempo, il salotto letterario della baronessa Olimpia Rossi Savio di Bernstiel e intrattenne una fitta corrispondenza con il Peyron, il Brignole Sale, il Pralormo (dopo la sua morte, nel 1855, il rapporto proseguì con il figlio Roberto), C. Gazzera, F. Sclopis di Salerano, G. Arri, il filosofo Giuseppe Ferrari e con i più insigni studiosi del tempo.
I riconoscimenti che in vita gli furono tributati furono molti e prestigiosi. Fu, infatti, nominato senatore del Regno (15 febbr. 1880), membro della Société asiatique, corrispondente straniero, dal 1876, dell'Académie des inscriptions et belles-lettres, socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (dal 7 luglio 1878), cavaliere dell'Ordine del Merito civile di Savoia, membro onorario della Royal Asiatic Society di Londra e della Société académique indo-chinoise di Parigi, ufficiale della Légion d'honneur di Francia.
Morì a Torino il 20 maggio 1891, senza aver potuto dare alle stampe due lavori ansiosamente attesi: un volume di critica complementare del Rāmāyaṇa e una specie di compendio del Mahābhārata.
Opere: Rāmāyaṇa, poema indiano di Valmici, in 8°, I-XI, Parigi 1843-70 (Ādikāṇḍa, Ayodhyākāṇḍa, Araṇyakāṇḍa, Kiṣkindhyākāṇḍa, Sundarakāṇḍa, Yuddhakāṇḍa, Uttarakāṇḍa). Ne fu realizzata anche un'edizione di lusso in 4°, in tiratura limitata. Il G. pubblicò anche un'editio minor della sola traduzione in 3 voll. (Milano 1869-70, ristampata nel 1945), mentre dell'Uttarakāṇḍa pubblicò due saggi separati di versione negli Atti dell'Accademia delle scienze di Torino (voll. IV [1868-69] e V [1869-70]). Parte dell'introduzione all'Uttarakāṇḍa fu pubblicata anche in Rivista orientale, 1867, con il titolo Le fonti dell'epopea e l'Uttarakāṇḍa. L'opera fu recensita, tra gli altri, da J.-J. Ampère (in Revue des deux mondes, n.s., XVII [1847], 19, pp. 996-1017) e da E. Burnouf (in Journal des savants, 1844, pp. 129-142). Presso l'Accademia delle scienze di Torino il G. pubblicò i Rendiconti e diversi articoli nelle Memorie e negli Atti. Nelle Memorie: Notizia dei lavori e della vita letteraria del cav. abate Costanzo Gazzera, s. 2, XX (1863), pp. 123-140; negli Atti: Unità d'origine dei popoli indo-europei, II (1866-67), pp. 582-589; Notizia stor. sull'Accademia reale delle scienze di Torino, VIII (1872-73), pp. 105-111; Dei manoscritti sanscriti che si trovano nelle pubbliche e private biblioteche dell'India, IX (1873-74), pp. 652-668; Idea generale di un'opera sulle civiltà arye, ibid., p. 668; I Vedi, XIV (1878-79), pp. 469-483; I climi e le condizioni naturali dell'India: sunto di una lettura, XV (1879-80), pp. 419-427; Cenni stor. sulla progressiva conoscenza dell'India, XVIII (1882-83), pp. 313-317; Del catalogo dei manoscritti sanscriti che si pubblica nelle varie parti dell'India, XXII (1886-87), p. 280; Notizia sulle più recenti pubblicazioni della "Bibliotheca Indica", ibid., p. 335; Due punti di archeologia concernenti l'India, XXIII (1887-88), p. 419.
Miscellanea (recensioni, introduzioni e presentazioni di scritti): tra gli altri, Cenni storico-statistici sulla R. Biblioteca universitaria di Torino, Torino 1872; Il primo secolo della Reale Accademia delle scienze di Torino (1783-1883), ibid. 1883. Compose anche due Carmi (in sanscrito, Yuvarājodvāhagītā, e in cinese, con una versione italiana), per le nozze di Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena (1842).
Fonti e Bibl.: Per la data di nascita (generalmente indicata in 1808) si rimanda a Libro del battesimo, vol. XI (1771-1818, n. 292), conservato nella parrocchia di S. Antonio il Grande di Bagnasco e al volumetto Stato delle anime della medesima parrocchia, relativo agli anni 1818-95. Le notizie sugli studi e le ricerche del G., i problemi e le vicende legate alla pubblicazione del Rāmāyaṇa e la storia amministrativa di questa impresa sono contenuti in vari carteggi, tra i quali: quello già ricordato con i ministri piemontesi, pubblicato in L. Bravi, G. G. e la sua traduzione del Rāmāyaṇa. Storia amministrativa con documenti inediti, in Boll. storico-bibl. subalpino, LXVII (1969), pp. 141-264; la corrispondenza inedita conservata presso l'Accademia delle scienze di Torino (include lettere al conte F. Sclopis di Salerano, all'abate G. Arri e all'abate C. Gazzera); corrispondenza con l'abate A. Peyron pubblicata in L. Pesce, Amedeo Peyron e i suoi corrispondenti. Da un carteggio inedito, Treviso 1997; una corrispondenza inedita con il conte C. Beraudo di Pralormo conservata presso la biblioteca privata dei discendenti nel castello di Pralormo; una corrispondenza con il marchese A. Brignole Sale (cfr. R. Ronzitti, Il Rāmāyaṇa di G. G. nel Fondo Brignole Sale, in La Berio, XXXIX, gennaio-giugno 1999, pp. 51-57); la corrispondenza (una lettera e un breve messaggio) con V. Gioberti conservata presso la Biblioteca civica di Torino (cfr. G. Balsamo-Crivelli, Le carte giobertiane della Biblioteca civica di Torino, Torino 1928, pp. 121, 207); e le lettere di G. Ferrari al G. (cfr. G. Monsagrati, A proposito di una recente biografia di G. Ferrari: vecchie tesi e nuove ricerche, in Rass. stor. del Risorgimento, LXVII [1980], pp. 291-296).
A. De Gubernatis, Cenni sopra alcuni indianisti viventi, in Riv. europea, IV (1872), 3, pp. 44-59; Id., Matériaux pour servir à l'histoire des études orientales en Italie, Paris 1876, ad ind.; V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II: trent'anni di vita italiana, Torino 1878-95, I, pp. 117-118; VI, p. 142; VIII, p. 521; A. De Gubernatis, Diz. biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, p. 522; F. Garelli, In memoriam: G. G., in Riv. delle biblioteche. Periodico di biblioteconomia e di bibliografia, II (1889), pp. 115 s.; A. De Gubernatis, Gli studi indiani in Italia, in Giorn. della Società asiatica italiana, V (1891), pp. 102-126; P. Villari, Commemorazione, a nome del governo, del senatore G. G., in Atti parlamentari, Senato, Discussioni, XVII legislatura, tornata del 22 maggio 1891; necrologi: M.G. Darmesteter, in Journal asiatique, XX (1892), pp. 44-46; F. Lasinio, in Atti della R. Accademia della Crusca, 1891, pp. 13 ss.; I. Pizzi, in Annuario della R. Università di Torino, anno 1892-93, Torino 1892; Id., in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, XLII (1906-07), pp. 566-572; E. Pappacena, G. G., in Arte antica e scienza moderna, Carpi 1935, pp. 475-480; O. Botto, G. G., in East and West, V (1954), pp. 36 s.; F. Scialpi, G. G., in R.M. Cimino - F. Scialpi, India and Italy, Rome 1974, pp. 138-140; I. Piovano, G. G., Torino 1983; O. Botto, Gli studi di orientalistica, in L'Università di Torino. Profilo storico e istituzionale, a cura di F. Traniello, Torino 1993, pp. 134-140; C. Della Casa, Imitatori e rivali di G. G. nel mondo letterario italiano del XIX sec., in Indologica Taurinensia, XIX-XX (1993-94), pp. 93-100; A. Bongioanni - R. Grazzi, Torino, l'Egitto e l'Oriente, Torino 1994, pp. 100 s.; O. Botto, L'orientalisitca, l'indologia e l'egittologia, in Milleottocentoquarantotto, Torino, l'Italia, l'Europa, a cura di U. Levra - R. Roccia, Torino 1998, pp. 269-276.