GRASSELLINI, Gaspare
Nacque a Palermo il 19 genn. 1796 da Domenico, alto magistrato e poi presidente onorario del Real Patrimonio, e da Silvia Compagnone. Di famiglia appartenente alla media nobiltà, ricevette la prima educazione nell'oratorio dei padri filippini per poi passare all'Università palermitana, dove, mentre studiava diritto, mostrò anche una buona predisposizione per le discipline storiche, per la storia sacra in particolare. Passato poi a Roma e ammesso in prelatura, non tardò a confermarsi giovane di valore, dotato sia sul piano della conoscenza della macchina amministrativa, sia su quello della formulazione teorica dei problemi e della loro soluzione.
Entrato in carriera il 17 giugno 1830 come referendario e ponente di Buon Governo, nel 1832 il G. fu inviato come delegato apostolico ad Ascoli e di qui trasferito l'anno dopo a reggere la ben più delicata - dopo l'occupazione francese - delegazione di Ancona: arrivò in città il 1° ag. 1832 scortato da cinquanta dragoni e ne ripartì quattro anni dopo avendo al proprio attivo il clima di buona convivenza stabilito con le autorità militari francesi e, sul finire dell'incarico, le misure approntate per limitare i danni comunque pesanti del colera; ai benpensanti del posto parve meritevole d'elogio anche la fermezza con cui tenne sotto controllo l'attività delle sette e della Giovine Italia, ma ai risultati che ottenne non fu estraneo l'impiego del famigerato corpo dei centurioni, sorta di milizia irregolare intrisa di spirito sanfedista e usa ad arbitri e violenze d'ogni genere. Il G. uomo di legge aveva così palesato attitudini anche poliziesche.
Nel 1837 fu richiamato a Roma e assegnato da Gregorio XVI al ruolo dei chierici di Camera - prestigioso perché molto ristretto: 12 in tutto - ossia di quei funzionari direttivi che esercitavano le loro competenze nei settori economico-finanziari della vita dello Stato (annona, acque e strade, zecche e bolli, revisione conti, ma anche carceri, archivi, armi ecc.). Al G. toccò la presidenza delle Acque e Strade che mantenne fino al 1847 cumulandovi, a partire dal settembre 1840, il grado di propresidente della congregazione del Censo, altro importante snodo amministrativo che gli consentì di dare ulteriore prova delle proprie capacità, prima con l'emanazione di nuovi regolamenti interni (1840-41), poi disponendo la misurazione e la stima dei terreni, la compilazione di mappe e carte topografiche, il censimento della popolazione (di quest'ultimo curò la revisione nel 1844; restano inoltre del G. la Relazione su la eseguita revisione dell'estimo rustico delle due provincie di Urbino e Pesaro, Roma 1843, quella sulle province di Ancona e Macerata, ibid. 1845, e quella sulle province di Fermo e Ascoli, ibid. 1846, a tutt'oggi utili per i demografi e gli studiosi dei movimenti delle popolazioni).
Per quanto condotta con serietà, l'attività professionale non distolse il G. dagli interessi che fin da adolescente aveva nutrito per la storia e le discipline umanistiche in genere. Che sapesse scrivere lo aveva dimostrato quando era stato incaricato di commemorare ufficialmente, davanti al papa, Francesco I di Borbone re delle Due Sicilie (Laudatio funebris in Franciscum I Utriusque Siciliae regem habita in sacello Quirinali idibus aprilis an. 1831, Romae 1831). Nei dieci anni in cui visse stabilmente a Roma ebbe più volte occasione di misurarsi con i temi storici nelle conferenze che tenne all'Accademia di Religione cattolica o nelle adunanze dell'Arcadia cui era stato ascritto con il nome di Neoclide Sinopeo: da tutti questi suoi interventi, sia che trattasse di storia cristiana (Discorso accademico letto in Arcadia la sera de' 17 apr. 1840 e l'altra de' 5 apr. 1844 sul giudizio avuto di Gesù Cristo innanzi a Caifasso e innanzi a Pilato, ibid. 1844), sia che affrontasse più direttamente il problema della collocazione del Papato nel mondo moderno (Discorso sulla storia de' sommi pontefici letto nell'Accademia di Religione cattolica in Roma il giorno 16 sett. 1841, ibid. 1842), emerge, al di là della convenzionalità dell'interpretazione che nel primo caso ribadisce il concetto della santità e dell'innocenza di Cristo nel processo cui fu sottoposto dal sinedrio ebraico e nel secondo rivendica la funzione unica del Papato nella conservazione e poi nella diffusione della civiltà, una visione della storia come ricerca che porta il G. ad affermare la superiorità della scuola storica tedesca rispetto a quella francese; e dunque, se da un lato egli tende a risolvere tutta la storia umana nella storia della Chiesa e ad auspicare quindi che si scriva una storia generale dei papi, d'altra parte l'attenzione per la metodologia di un Ranke o di un Leo o di un Hurter in antitesi al razionalismo francese testimonia in lui la presenza di una sensibilità aperta verso l'esterno; ed è forse da qui che scaturisce la sua proposta, peraltro non troppo insistita, di affiancare alla storia dei papi quella del sacerdozio e quella del popolo di Dio.
Guadagnatasi presto fama di elemento intelligente e aperto, all'avvento di Pio IX il G., malgrado lo si potesse reputare uomo di Gregorio XVI, non tardò a essere preso in considerazione come possibile fautore del nuovo corso, innanzi tutto per le sue qualità di esperto dei vari rami dell'amministrazione di uno Stato come quello pontificio particolarmente bisognoso di un'opera di ammodernamento, e poi come uomo di cultura dagli orizzonti affatto ristretti. Non si conosce il suo punto di vista sull'orientamento riformatore di Pio IX: si intuisce però, dalle parole prudenti e dagli inviti alla moderazione che sul finire dell'estate del 1846 rivolse ai cittadini di Ancona dove era stato inviato ancora come delegato (Ai sudditi pontificj, Ancona 1846), che il timore di possibili intemperanze da parte della popolazione era per lui l'unico possibile deterrente rispetto all'orientamento ormai chiaro del pontefice e che fondamentale diventava a questo punto il rapporto coi moderati. Va precisato tuttavia che l'adesione del G. a un riformismo generico e molto cauto, quantunque espressione di una volontà di non ostacolare pregiudizialmente i processi in atto, restava però tutto nell'ambito di un modello non certo avanzato di monarchia amministrativa ed eludeva totalmente sia il problema - posto dal Gioberti - di un rinnovamento della Chiesa e della sua gerarchia, sia quello - assai sentito dall'opinione liberale - dell'indipendenza della penisola e dei nuovi equilibri da costruire al suo interno.
Con questo spirito il G., dal 1846 decano dei chierici di Camera, accolse la nomina a governatore di Roma decretatagli dal papa. La carica, affidandogli competenze rilevantissime quali la titolarità della giurisdizione criminale a Roma e provincia e la direzione della polizia di tutto lo Stato, metteva nelle sue mani a partire dal 26 dic. 1846 un potente strumento di controllo della realizzazione del programma riformista ma nello stesso tempo lo esponeva all'osservazione attenta da parte della forze interessate ad accelerarne i tempi d'attuazione. Quasi a voler far dimenticare un passato che lo aveva messo presso l'opinione pubblica "in voce di retrivo" (Farini, p. 174) e facendo leva sulla propria esperienza e immagine di tecnico dell'amministrazione, il G. si inserì bene nelle scelte di Pio IX entrando in settori che davano di per sé l'idea della modernizzazione. Tale il senso della sua partecipazione alla commissione creata per esaminare i progetti di costruzione delle prime ferrovie pontificie (tema al quale dedicò un intervento a stampa Sulle strade ferrate dello Stato pontificio, documenti statistici preceduti da alcune considerazioni, pubblicati dalla presidenza generale del censimento, Ancona 1847) e della sua proposta di concedere la libertà di stampa compilando per il papa un "Rapporto e progetto di legge sulla stampa specialmente periodica" in cui la nuova riforma era giustificata come il mezzo migliore per venire incontro a un'esigenza molto diffusa (e già soddisfatta in forme clandestine o comunque sottratte a ogni controllo), regolamentandola con l'istituto della censura preventiva da affidarsi a un organismo autonomo tenuto a rispondere direttamente al papa. Accolta prontamente, la proposta del G. si concretizzò nell'editto papale del 15 marzo 1847 che altri Stati italiani avrebbero subito preso a modello.
Tra i liberali la nomina del G. a governatore aveva avuto un'eco positiva e a Pisa un bollettino clandestino del gennaio 1847 aveva visto nella sua direttiva alla polizia "di avere occhio solamente ai fatti, e non badare ai pensieri e alle parole" (Montanelli, p. 615) il segno del migliorato rapporto tra le istituzioni e i cittadini. In effetti, se anche non mutarono in profondità il vecchio apparato gregoriano, le sue linee operative parvero ispirate a tolleranza e dettate dal desiderio di conciliare al sovrano il consenso dei sudditi. Per garantirsi tale risultato il G. non esitò a cercare la mediazione dei più ascoltati esponenti del liberalismo: di qui le sue insistenze su M. d'Azeglio perché difendesse la legge sulla stampa dalle critiche degli estremisti e collaborasse a tenere nei limiti della legalità le manifestazioni popolari. Presto, però, nonostante il suo fare felpato il G. venne a trovarsi tra due fuochi: attaccato per un verso dai conservatori per un uso dei metodi repressivi ritenuto troppo blando, per l'altro era sempre più spesso oggetto di lagnanze su una eccessiva disponibilità a tener conto delle pressioni austriache. Senza dubbio lo condizionava l'oscillante politica di Pio IX, incapace di affrancarsi completamente dall'inerzia di una segreteria di Stato non rinnovata nella sua totalità e dunque portata più a boicottare che a sostenere il nuovo corso.
Tuttavia finché durò la copertura del papa il G. si mantenne saldo al suo posto. Nel maggio, però, l'ennesimo provvedimento di espulsione, da lui decretato stavolta ai danni del liberale abruzzese L. Dragonetti, indignò l'opinione pubblica: girò allora l'indiscrezione - ripresa e divulgata a sua volta dall'Azeglio - circa un interesse personale del G. a ingraziarsi la corte di Napoli in vista della probabile, imminente successione al ricchissimo arcivescovado di Palermo. Subito i giornali enfatizzarono la notizia che Pio IX aveva ricevuto da una delegazione di manifestanti una protesta scritta contro l'operato del governatore. Lasciato da solo ad affrontare il malcontento diffuso, il G. dovette ritirare il provvedimento.
L'ipotesi di una sua rinunzia all'incarico, già ventilata nella circostanza, si realizzò qualche settimana dopo, con la cosiddetta congiura reazionaria di metà luglio: accusato di non aver fatto nulla per sventare il fantomatico complotto che si disse ordito dal cardinale L. Lambruschini come risposta alla concessione della guardia civica, il 17 luglio 1847 il G. fu invitato dal nuovo segretario di Stato G. Ferretti a lasciare entro poche ore la città. I mesi successivi, con il graduale arretramento della politica liberale di Pio IX, avrebbero dimostrato che il licenziamento del G. non era stato una misura per eliminare un ostacolo dalla via del riformismo ma un espediente di comodo per tenere buona l'opinione pubblica offrendole un capro espiatorio.
Da Roma il G. si spostò a Napoli avvertendo a lungo il senso della "umiliazione" subita (così diceva in una lettera del 24 dic. 1847 a L. Amat) e resa più grave dalla perdita della promozione a cardinale, per tradizione connessa alla carica di governatore, e dalla sospensione della pensione di 150 scudi mensili.
Tornò allora alla riflessione storica terminando la stesura di un lungo trattato sulle Relazioni della signoria temporale del papa col primato spirituale del romano pontefice, che vide la luce a Napoli nel 1849 e che, tradotto in francese, sarebbe apparso nel 1865 a Parigi con una dedica a Isabella II di Spagna e con il titolo Des rapports du pouvoir temporel avec la souveraineté spirituelle des pontifes romaines: ne veniva fuori l'uomo di buoni studi e di letture a tutto campo, solido nella sua fede ma incapace di placarsi nella sola autorità del dogma; così, anche i recenti profeti del liberalismo, e cioè il C. Balbo del Sommario e delle Speranze, e il Gioberti del Primato e dei Prolegomeni, erano utilizzati, peraltro senza nulla concedere alle moderne teorie politiche, a sostegno della vecchia concezione della necessità di conservare al papa un potere temporale che, a dispetto di quelli che il G. chiamava gli errori degli eretici, veniva qui difeso come fattore di civiltà e progresso ed era sempre ritenuto indispensabile all'esercizio della sovranità spirituale e alla propagazione della fede.
Il papa si ricordò di lui quando, nel 1852, si trattò di riportare l'ordine nella zona più calda dello Stato: nominato commissario straordinario per le quattro Legazioni e prolegato a Bologna, il G. vi si trasferì già a fine aprile trovando una situazione di grande effervescenza, che raggiunse il suo culmine all'inizio del 1853, in coincidenza con l'ultimo sforzo riorganizzativo delle varie cellule mazziniane. Memore dei suoi precedenti, la popolazione bolognese non parve amarlo molto, ma l'appoggio operativo delle truppe austriache d'occupazione e il collegamento con gli apparati repressivi della Toscana e di Modena lo misero in grado di spegnere presto - inizialmente con misure anche molto energiche - i residui focolai insurrezionali; dopo di che il G. si impegnò a ottenere il favore del notabilato locale, degli aristocratici soprattutto, e avviò una politica di opere pubbliche pensate per abbellire Bologna e per alleviare il disagio dei ceti popolari ai quali furono indirizzati anche provvedimenti come il divieto di estrazione dei grani (giugno 1853) e gli sgravi fiscali e le elargizioni del 1853-54; gli fu invece rimproverata l'inerzia con cui affrontò il colera del 1855. Nell'insieme il suo fu un governo che, delegando spesso la repressione agli Austriaci, ridusse gradualmente lo stato d'assedio; e quando lasciò Bologna, la cittadinanza conservò di lui "la ricordanza della sua poltroneria, e del dolce far niente" (Bottrigari, p. 356), non quella delle sue attività poliziesche.
La concessione della porpora (16 giugno 1856) con il titolo diaconale dei Ss. Vito e Modesto, mutato nel 1867 con quello di S. Maria ad Martyres, non accrebbe il peso politico del G. né lo fece uscire dall'isolamento in cui era venuto a trovarsi al ritorno da Bologna, inviso al segretario di Stato G. Antonelli non meno che al papa. Negli anni a ridosso dell'unificazione gli si attribuirono, soprattutto negli ambienti liberali, simpatie e rapporti con il movimento nazionale, sull'onda anche di uno stile di vita disinvolto che lo vedeva spesso partire in incognito per la Francia, scendere nei migliori alberghi, partecipare alle serate mondane; pur nel grande rispetto per la sua preparazione e la sua intelligenza, si sottolineava però sempre la sua indipendenza di carattere e si rispolverava qualche episodio lontano di vita non irreprensibile, con ciò lasciando intendere che egli non era molto affidabile: "Ses habitudes" - scriveva nel 1863 un osservatore - "sont plutôt celles d'un savant que d'un homme d'affaires, et il a la réputation de savoir dire et de non savoir faire" (Weber, II, p. 643). Per quanto lontano dall'area del legittimismo borbonico, mai sembrò che il G. potesse essere preso in considerazione come un possibile interlocutore del governo italiano a fini di conciliazione con la Chiesa (anche se a questo parvero preludere alcuni contatti con inviati del Cavour nel 1861 e un suo incontro con il primo ministro L.F. Menabrea nel 1868).
Certamente, però, il G. non si allineò alle decisioni papali di fine anni Sessanta e durante il concilio Vaticano I protestò contro l'infallibilità assentandosi al momento del voto del 13 luglio 1870; inoltre, dopo il 20 settembre, qualcuno lo sentì, dopo un pranzo in casa di M. Caetani duca di Sermoneta, "esprimersi nel senso più favorevole agli attuali mutamenti" (Documenti diplomatici italiani, s. 2, I, Roma 1960, p. 112). Politicamente la cosa non ebbe seguito: sempre più isolato e malridotto in salute, il G. uscì di scena.
Morì a Frascati il 16 sett. 1875.
Fonti e Bibl.: Alle otto lettere del G. a vari, conservate nella Biblioteca apost. Vaticana, Raccolta Ferrajoli Visconti, nn. 3422-3429, sono da aggiungere le circa cento del Museo centr. del Risorgimento di Roma, sue o a lui dirette (per le collocazioni si consulti l'apposito schedario), tra le quali quella a L. Amat citata nel testo (b. 16/22): si tratta per la maggior parte di corrispondenza ufficiale con le autorità provinciali e con quelle austriache risalente al commissariato nelle Legazioni e relativa soprattutto alla tutela dell'ordine; analoga la documentazione edita da A. Dallolio, Cospirazioni e cospiratori. 1852-1856, Bologna 1913, comprendente le informazioni confidenziali trasmesse al G. dalla polizia del Ducato di Modena. Tra le fonti edite sono ricchi di notizie L.C. Farini, Lo Stato romano dall'anno 1815 al 1850, I, Firenze 1853, pp. 174, 191; G. Spada, Storia della rivoluz. di Roma e della restaurazione del governo pontificio…, I, Firenze 1869, pp. 82, 147, 219, 223 ss., 228, 252; Carteggi di C. Cavour (ed. nazionale), La questione romana, Bologna 1929, I, p. 77; II, pp. 8 s., 198 s., 216, 232; E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, II, (1849-1859), a cura di A. Berselli, Bologna 1962, ad indicem; G. Montanelli, Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850, Firenze 1963, ad indicem; N. Roncalli, Cronaca di Roma, I, (1844-1848), a cura di M.L. Trebiliani, Roma 1972, ad indicem; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa. Dal ritorno di Pio IX al XX settembre (1850-1870), Roma 1975, pp. 151, 425; Chr. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, I-II, Stuttgart 1978, ad indicem; M. d'Azeglio, Epistolario, a cura di G. Virlogeux, III, (1846-1847), Torino 1992, ad indicem. L'attenzione degli storici si è concentrata soprattutto sul G. governatore di Roma: si vedano comunque R. Quazza, Pio IX e Massimo d'Azeglio nelle vicende romane del 1847, I-II, Modena 1954, ad indicem; M. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, III, Città di Castello 1960, ad indicem; G. Martina, Pio IX, I, (1846-1850), e II, (1851-1866), Roma 1974-86, ad indices; G. Ponzo, Le origini della libertà di stampa in Italia, Milano 1980, ad indicem; R. Aubert, Grasselini, G., in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXI, Paris 1986, coll. 1200-1202 (con bibl.); Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità a oggi. Le Marche, a cura di S. Anselmi, Torino 1987, ad indicem; G. Monsagrati, Una moderata libertà di stampa (moderata), in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 1997, n. 1, pp. 146 s.; Roma fra la Restaurazione e l'elezione di Pio IX. Amministrazione, economia società e cultura, a cura di A.L. Bonella - A. Pompeo - M.I. Venzo, Roma-Freiburg-Wien 1997, ad indicem. Tra i repertori: A. Narbone, Bibl. sicola sistematica, I-IV, Palermo 1850-55, ad indicem; G.M. Mira, Bibliografia siciliana, I, Palermo 1875, p. 450; G. Moroni, Diz. d'erudizione stor.-ecclesiastica (per la consultaz. si rinvia a Indice, VII, p. 394); A. Mango di Castelgerardo, Il nobiliario di Sicilia, III, Palermo 1912, p. 338; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica, VIII, Patavii 1978, ad indicem.