FONTANA, Gasparo Ferdinando Felice (noto come Felice)
Terzo dei dodici figli di Pietro, giureconsulto e notaio, e di Elena Caterina Ienetti, nacque a Pomarolo in Val Lagarina e fu battezzato il 3 giugno 1730. Nel 1735 il padre si trasferì con la famiglia da Pomarolo a Villa Lagarina. Il F. avviò la sua formazione a Rovereto sotto la guida di G. Tartarotti e G. Graser. Alla fine degli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta soggiornò in alcune città dell'Italia settentrionale per proseguire gli studi. Fu dapprima a Verona, quindi a Parma presso il matematico I. Belgrado, a Padova, ove ascoltò lezioni dell'anatomista G.B. Morgagni e, forse, a Mantova. Tornato in patria, il Tartarotti lo volle suo collaboratore e l'Accademia degli Agiati di Rovereto, da poco fondata, lo incluse nel 1753 tra i suoi membri con il nome di Celino. Partecipò ai lavori dell'Accadernia, presentando alcune dissertazioni su argomenti scientifici disparati, come la forza della polvere da sparo e la cancrena.
Il 14 luglio 1755 il fratello maggiore, Giovanni Pietro, che era sacerdote, morì lasciandogli per testamento metà del proprio patrimonio a condizione però che vestisse l'abito religioso. Il F. divenne abate, ma non risulta sia stato mai ordinato sacerdote né che sia stato particolarmente vivo in lui il sentimento religioso. Portato dal Tartarotti alla critica della filosofia tradizionale e delle superstizioni, si volse sempre più allo studio delle scienze, tralasciando invece la ricerca storico-letteraria ed erudita così cara al maestro. Nonostante il fervore dei giovani intellettuali aggregati all'Accadernia degli Agiatì, l'ambiente roveretano non poteva offrirglì stimoli scientifici sufficienti, la possibilità materiale di approfondire le proprie indagini, né, infine, alcuno sbocco professionale. Come molti altri intellettuali trentini del Settecento il F. pensò all'espatrio come unica soluzione alla propria esistenza. L'occasione si offrì con l'offerta di divenire tutore di M. Partini, un giovane patrizio di salute malferma, che intendeva proseguire i propri studi a Bologna.
Qui il F. trovò l'ambiente scientifico cui aveva aspirato. Con versatilità che gli rimarrà caratteristica si dedicò contemporaneamente a studi di matematica e di fisica, di anatomia e di fisiologia. Frequentò l'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna, conobbe L. Bassi, G. Veratti, E. Zanotti, P.P. Molinelli, S. Canterzani, F. Algarotti e strinse una amicizia profonda con L.M.A. Caldani, collaborando con lui negli anni 1755-57 a ricerche di fisiologia sperimentale. Fu soprattutto grazie al Caldani che il F. poté esercitarsi in anatomia. ed entrare nel vivo di uno dei principali dibattiti scientifici coevi: quello concernente la validità sperimentale della dottrina dell'irtitabilità enunciata nel 1753 dal fisiologo bernese Albrecht von Haller.
Frutto della collaborazione con il Caldani è anche il primo scritto pubblicato dal Fontana. Ultimato in italiano nel 1757 (Milano, Bibboteca nazionale Braidense, ms. AD.XII.39), esso venne tradotto in francese e pubblicato in forma abbreviata col titolo Dissertation èpistolaire adressée au R. P. Urbain Tosetti nel terzo volume dei Mémoires sur les parties sensibles et initables du corps animal (Lausanne 1760, pp. 157-243), che erano stati raccolti da S.A. Tissot e dallo Haller stesso. In questo scritto di fisiologia sperimentale il F. analizzò alcune tesi anti-halleriane esposte dal bolognese T. Laghi. Come Caldani, anche il F. utilizzò ampiamente la stimolazione elettrica nelle sue ricerche, applicandola, ad esempio, ai nervi cardiaci di un animale vivente e, come il Caldani, ritenne che l'elettricità costituisse uno stimolo molto potente nel muscolo. Egli ipotizzò che il fluido nerveo si diffondesse nei muscoli al fine di livellare la sua ineguale distribuzione nelle varie zone. Diversamente dal Laghi, che aveva ipotizzato una identità tra fluido elettrico e spiriti animali, il F. si mantenne nell'ortodossia halleriana scartando questa ipotesi, sulla quale, tuttavia, tornerà nel 1781, postulando invece l'analogia tra fluido elettrico e fluido nervoso. Nel suo lavoro del 1757riferì anche di alcuni esperimenti farmacologici sull'azione dell'oppio sostenendo, ad esempio, che esso sopprime l'irritabilità intestinale ma non quella cardiaca.
Nell'estate del 1758 il F. si recò col Partini a Firenze e vi soggiornò fino ad ottobre inoltrato. Lì strinse i primi rapporti col botanico S. Manetti e con l'astronomo T. Perelli. Da fine ottobre fino al novembre del 1759 fu prevalentemente a Pisa avvicinandosi a P. Frisi sotto la cui direzione intendeva proseguire gli studi di analisi matematica. A Pisa crebbe la sua consuetudine col Perelli e strinse amicizia col giovane matematico P. Ferroni. Dopo un breve soggiorno a Roma. tornò in Toscana nell'estate del 1760 e per circa cinque anni soggiornò tra Pisa e Firenze. Con decreto del 10 ott. 1765 gli fu conferito presso l'università di Pisa l'insegnamento ad institutiones dialecticas, non senza alcune opposizioni dovute anche all'irregolarità dei suoi studi. Nel novembre del 1766 fu nominato ordinario di fisica a Pisa, fisico granducale e sovrintendente ai gabinetti delle macchine di fisica sperimentale.
Il F. conseguì tali incarichi e la conseguente agiatezza economica grazie a una serie di protezioni, tra cui quella del conte Carlo di Firmian, suo conterraneo. Alle dirette dipendenze di Pietro Leopoldo, il F. ne divenne uno degli uomini di fiducia, e assunse un ruolo significativo nella politica culturale e scientifica del granduca a discapito di studiosi toscani a quel tempo di lui più noti. Ciò determinò nei suoi confronti una acredine che il suo stesso carattere e le polemiche da lui avute accrebbero col tempo, impedendone una integrazione con le élites culturali locali.
Il decennio 1755-65 costituì per il F. un periodo di studi e di ricerche originali, ma i risultati delle sue ricerche furono resi noti soltanto nel biennio 1765-67. Nel 1765, dedicato al conte Firmian, apparve a Lucca il breve trattato Dei moti dell'iride, uno studio analitico di un fenomeno fisiologico, su cui il F. lavorava già dai tempi di Bologna. Ispirato da un problema sollevato dalle controversie sulla irritabilità, questo studio prendeva le mosse dal fenomeno per cui l'iride. stimolata meccanicamente, non reagisce. A quanti pensavano pertanto che l'iride reagisse esclusivamente a uno stimolo specifico, la luce, il F. oppose una serie di esperimenti che dimostrarono definitivamente che l'iride non reagisce a raggi luminosi che colpiscono la sua superficie, ma solo dopo che quei raggi hanno colpito la retina. Che cosa determina questa "concordia" tra i moti dell'iride e la stimolazione della retina? Secondo il F. l'anatomia coeva non era in grado di rispondere al quesito e stabilì fosse necessario studiare lo stato naturale dell'iride. Osservando la pupilla di un gatto profondamente addormentato e vedendola chiusa, ritenne che fosse la distensione. Analizzò quindi una serie di fenomeni che, nell'Ottocento, verranno denominati riflessi pupillari. Descrisse il riflesso fotico, quello fotico consensuale e la reazione d'accomodazione e convergenza. Spaventando ad arte un gatto con la pupilla illuminata notò, con sua sorpresa, che egli dilatava la pupilla (riflesso pupillare psichico). Questa e altre osservazioni lo convinsero che i moti dell'iride fossero moti volontari irresistibili, secondo una distinzione da lui introdotta tra moti volontari deliberati e moti volontari irresistibili. Come la maggior parte degli anatomisti del tempo il F. ritenne erroneamente che nella costituzione dell'iride non entrasse a far parte il tessuto muscolare. Egli avallò così, almeno parzialmente, la teoria vascolare dello Haller secondo cui i moti dell'iride sarebbero causati da un maggiore o minore afflusso di umori. Poiché, secondo il F., lo stato naturale dell'iride era la distensione, egli credette lecito ipotizzare che la sua contrazione fosse dovuta a un deflusso di umori.
Sempre con dedica al Firmian apparve a Lucca nel 1766 il volumetto Nuove osservazioni sopra i globetti rossi del sangue. In esso il F. volle "piuttosto distruggere che fabbricare", come confidò al letterato modenese L. Cerretti; in particolare egli criticò la descrizione morfologica dei globuli rossi fornita da G.M. Della Torre - da lui mai esplicitamente menzionato - negando che essi fossero centralmente forati come da quello sostenuto.
In quegli anni il F. estese le proprie indagini microscopiche agli infusori, agli spermatozoi, al polline e alla patologia vegetale. A quest'ultimo ambito di ricerca appartengono le sue Osservazioni sopra la ruggine del grano, apparse a Lucca nel 1767 (con dedica a G. van Swieten, medico personale di Maria Teresa). Spinto a occuparsi del problema dalle carestie che in quegli anni affliggevano la Toscana, il F. scoprì che la ruggine era costituita da "una selvetta di piantine parassite, che si nutriscono a spese del grano" (Piccinia graminis) e ne fornì un'accurata ed estesa descrizione morfologica. La scoperta rientra nei classici della patologia vegetale e della microscopia utilizzata a scopi sociali. Lui stesso era convinto della sua importanza tanto da sfruttarla in una polemica sul metodo scientifico nei confronti di G. Targioni Tozzetti che, nello stesso anno, pubblicava a Firenze l'Alimurgia, un ponderoso volume colmo di citazioni ed erudizione storica, secondo il F. del tutto inconcludente - e questo nonostante il Targioni Tozzetti pervenisse alla medesima conclusione del F. circa la natura della polvere che infestava il grano. Anche in una recensione all'Alimurgia, apparsa anonima nell'Estratto della letteratura europea per l'anno MDCCLXVII (III [1767], pp. 3-45), il F. intese differenziare nettamente il proprio indirizzo di filosofia sperimentale teso a una indagine essenziale e pertanto più immediatamente utile, da quello erudito e, a suo dire, sostanzialmente infruttuoso che dominava ancora tra gli studiosi fiorentini. Maestri nella logica dell'indagine naturalistica erano, per il F., i ginevrini A. Trembley e Ch. Bonnet.
Nel 1767 il F. pubblicò a Lucca il trattato De initabilitatis legibus, nunc primum sancitis, et de spirituum animalium in movendis musculis inefficacia.
L'opera tentava una sistemazione teorica delle ricerche sperimentali che aveva compiuto negli anni precedenti sulla irritabilità, enunciando cinque leggi: ad ogni contrazione della fibra muscolare è sempre necessario un nuovo stimolo che ne risvegli l'irritabilità; l'irritabilità non è una tal proprietà che sempre convenga alla fibra, ma solo dopo qualche tempo ritorna nel muscolo secondo l'indole e lo stato delle sue fibre; il muscolo contratto per lungo tempo perde l'irritabilità; il muscolo contratto, o compresso per lungo tempo, perde l'irritabilità; il muscolo che per lungo tempo sta rilasciato perde l'irritabilità.
Il F. distinse l'irritabilità (contrattilità), intesa come un fenomeno vitale, dall'elasticità, intesa invece come una proprietà fisica immanente al muscolo. Egli ritenne che la contrazione si compia aumentando la tensione elastica per cui, quando la contrazione cessa, il muscolo si allunga per reazione elastica. Discutendo la sua seconda legge il F. descrisse per la prima volta quello stato fisiologico del muscolo cardiaco in seguito denominato periodo refrattario. L'opera, che attingeva anche alle riflessioni di anti-halleriani come R. Whytt, ebbe vasta risonanza nella letteratura fisiologica coeva.
Sempre nel 1767 apparvero a Lucca, dedicate a Pietro Leopoldo, le Ricerche fisiche sopra il veleno della vipera, un'opera ricchissima di nuovi e audaci esperimenti. Quanto alla via d'emissione del veleno il F. dimostrò che esso fuoriesce dall'estremità del dente canalicolato e non, come aveva sostenuto F. Redi, tra la guaina e il dente. Quanto al veleno criticò l'asserzione di R. Mead, secondo cui esso sarebbe costituito da particelle aghiformi o sali. Criticò anche la dottrina secondo cui l'avvelenamento era dovuto a un'azione sui nervi e sostenne - anche se avrebbe poi modificato tale conclusione - che il veleno uccide "togliendo l'irritabilità ai muscoli, e distruggendo in essi il principio del moto, principio, e sorgente della vita animale".
Tra il 1766 e il 1775 il F. fu quasi interamente assorbito dall'organizzazione e dall'allestimento del Reale Museo di fisica e storia naturale. Esso ebbe sede vicino a palazzo Pitti in palazzo Torrigiani, un edificio appositamente acquistato nel 1771, e venne ufficialmente aperto al pubblico il 22 febbr. 1775.
L'ideale di museo professato dal F. si contrapponeva, per concezione, alle collezioni scientifiche principesche coeve le quali, in genere, erano regolate dai principi del diletto e della curiosità e ambivano a un prestigio sostanzialmente estenore. Egli concepì invece il museo come sede di una ricerca scientifica effettiva, con raccolte ben organizzate e aperte al pubblico tali da permettere ai visitatori una forma di apprendimento diretto delle diverse discipline che spaziavano dalla storia naturale all'anatomia, dalla fisica alla chimica, dall'astronomia alla geologia. Espressione a un tempo dell'universalismo enciciopedista e dei suo spirito didattico, il museo doveva avere la funzione, secondo il F., di determinare un risorgimento delle scienze sperimentali in Toscana e spronare l'interesse, conformemente allo spirito leopoldino, per le scienze utili. Con il pieno appoggio del granduca e considerevoli sovvenzioni, il F. provvide al reperimento e riallestimento del patrimonio di antichi strumenti scientifici e oggetti naturali appartenenti alla Corona, reclutò il personale del museo, fece eseguire nuovi strumenti scientifici anche di sua ideazione e altri ne fece acquistare, creò un laboratorio per la realizzazione di cere anatomiche, istituì una biblioteca specializzata, iniziò la costruzione dì un osservatorio astronomico, acquisì raccolte naturalistiche predisponendo stanze specificamente dedicate alla storia naturale e pianificò la creazione di un orto botanico. Verso la fine del 1773 iniziò a coadiuvarlo G. Fabbroni.
Nel 1775 il F. pubblicò a Firenze le Ricerche filosofiche sopra la fisica animale, dedicandole ad A. von Haller. autore col quale era anche in corrispondenza.
L'opera, divisa in due parti, riproponeva nella prima una revisione e traduzione in italiano del saggio De irritabilitatis legibus, mentre nella seconda offriva una critica della concezione halleriana dell'attività ritmica del cuore, fondata sulla scoperta dell'esistenza del periodo refrattario. Riprendendo idee già espresse nella Dissertation épistolaire il F. sviluppò la distinzione tra causa eccitante (stimolo) e causa efficiente (risposta prodotto) così come il nucleo di quel principio che, nel secondo Ottocento, fu chiamato "del tutto o nulla". Egli infatti si era reso conto che l'irritabilità di una fibra poteva essere evocata da uno stimolo leggerissimo, ma che una volta evocata essa aveva un potere di contrazione proporzionale alle proprie capacità e anche superiore all'intensità dello stimolo. Nel 1775 pubblicò a Firenze anche il Saggio di osservazioni sopra il falso ergot, o Tremella, un opuscolo che, nella sua sostanza, è costituito dalla lettera del 19 maggio 1771 da lui scritta a P. Ferroni e da questo pubblicata nel supplemento delle Novelle letterarie di Firenze nello stesso anno. Le ricerche sull'irritabilità, sul veleno della vipera e sugli infasori condussero il F. a tematizzare il problema della vita e della morte così come quello della sopravvivenza in uno stato di morte apparente.
Rifacendosi alle osservazioni di J.T. Needham del 1743 sulle anguiliette del grano (Anguillulina tritia) che essiccate perdono la loro vitalità per riacquistarla quando vengono umidificate, il F. dimostrò - contrariamente all'opinione dominante - che queste anguillette erano veri e propri animaluzzi che si potevano distinguere in maschi e femmine, che le femmine producevano uova e che le larve rimanevano nel frumento avariato costituendo la masserella biancastra osservata da Needham. Nel caso della Tremella il F. ne aveva studiato il movimento oscillatorio e l'anabiosi, pervenendo all'ipotesi che essa costituisse l'anello d'unione tra mondo vegetale e animale. Con la ristampa, nel 1775, della lettera al Ferroni, il F. intese rivendicare la priorità nella esatta interpretazione dei fenomeni sopra menzionati contro D.M. Roffredi e A. Corti che avevano pubblicato dopo di lui alcuni lavori, l'uno sulle anguillule del grano e l'altro sulla Tremella. Ciò determinò l'inizio di un'aspra polemica col Corti e la definitiva rottura dei suoi rapporti con L. Spallanzani che di Corti era maestro e amico.
I rapporti che il F. intrattenne a Firenze con studiosi stranieri, come J. Bernoulli e J. Ingenhousz, lo convinsero della necessità di un soggiorno all'estero sia per riacquistare intera la libertà di dedicarsi ai propri studi sia per giovare al Museo. Il viaggio gli avrebbe permesso di visionare istituzioni analoghe, selezionare collezioni naturalistiche che completassero quelle del Museo, scegliere direttamente i migliori strumenti scientifici da inviare a Firenze e, infine, incoraggiare una rete di rapporti internazionali che agevolassero la crescita del Museo stesso. Fu, comunque, solo dopo l'apertura ufficiale del Museo che il F. ottenne il consenso definitivo al viaggio (15 maggio 1775), così come il finanziamento necessario all'impresa e il permesso di portare con sé, come aiuto, G. Fabbroni. Passarono per Milano, Pavia (presso il fratello Gregorio), e per Torino; a Ginevra il F. fece visita a Ch. Bormet. Mentre il vecchio naturalista gli apparve troppo speculativo, questi non condivise nel F. l'indirizzo materialista delle sue indagini. I due viaggiatori giunsero quindi a Parigi all'inizio del gennaio 1776 e vi si trattennero fino al luglio del 1778.
Accolto negli ambienti scientifici della capitale come uno dei maggiori filosofi naturalisti contemporanei, il F. si dedicò interamente a ricerche chimiche e tossicologiche, pubblicò una serie di lavori nelle Observations sur la physique, frequentò l'Accademia delle scienze e visitò collezioni statali e private. Insieme col Fabbroni fu affiliato alla loggia delle "Nove Sorelle", l'associazione massonica dagli ideali cosmopoliti tendente a favorire la circolazione delle idee e i contatti tra uomini di diversa provenienza. Mentre il F. indugiò sempre più nelle proprie ricerche, il Fabbroni fu incaricato di una serie crescente di compiti pratici a favore del Museo. Nel luglio del 1778 il F. e Fabbroni si trasferirono a Londra, rimanendovi fino all'autunno del 1779. Nella capitale inglese presentò alcuni lavori alla Royal Society, fece l'acquisto dei principali strumenti scientifici da inviare a Firenze, così come di numerosi oggetti pertinenti la storia naturale; intrecciò alcuni rapporti scientifici, ma soprattutto si dedicò a una rinnovata serie di indagini che includevano anche la microscopia.
Richiamato ormai a Firenze da Pietro Leopoldo, per riprendere servizio al Museo e dedicarsi all'educazione dei figli del granduca, il F. lasciò Londra tra il novembre e il dicembre del 1779, rinunciando a una programmata visita in Olanda. Dopo brevi tappe a Bruxelles e a Parigi, rientrò a Firenze il 19 genn. 1780.
Il lungo soggiorno all'estero del F., testimonianza della liberalità di Pietro Leopoldo e dei suoi sforzi di svecchiamento della tradizione scientifica toscana, facilitò la consacrazione della fama europea del Fontana. Anche il Fabbroni tornò profondamente arricchito da quella esperienza. La rete di rapporti stabiliti, così come la visione diretta delle straordinarie trasformazioni tecnologiche e agricole dell'Inghilterra, orientarono molti dei progetti che, in seguito, il F. avrebbe cercato di realizzare anche attraverso il Museo.
Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta il F. si dedicò intensamente a ricerche di chimica, privilegiando l'analisi della composizione delle varie arie. Egli aderiva alla teoria del flogisto e come chimico aveva un indirizzo marcatamente sperimentale. Nel 1775 pubblicò a Firenze il breve opuscolo, poi più volte ristampato, Ricerche fisiche sopra l'aria fissa, cioè sull'anidride carbonica. Nello stesso anno, sempre a Firenze, pubblicò la Descrizione ed usi di alcuni strumenti per misurare la salubrità dell'aria.
Rifacendosi alla reazione tra aria nitrosa (con ossido di azoto) e aria deflogisticata (ossigeno) studiata da J. Priestley e allo strumento da questo ideato, il F. illustrò otto strumenti atti a misurare la bontà dell'aria convinto della loro potenzialità pratica e, in particolare, medica. Egli, tuttavia, non fornì alcun risultato di analisi compiute con tale strumentazione, né indicò il metodo per usarli. Pochi mesi dopo la pubblicazione del volumetto apparvero a Milano le Ricerche fisiche intorno alla salubrità dell'aria di M. Landriani, uno studioso con cui il F. entrò presto in polemica dopo i primi rapporti cordiali. Il Landriani aveva dato il nome di eudiometro ai nuovi strumenti e dì ricerche eudiometriche il F. continuò a occuparsi negli anni successivi promettendo anche un lavoro definitivo che tuttavia non apparve mai.
A Parigi il F. pubblicò nel 1776 le Recherches physiques sur la nature de l'air nitreux et de l'air déphlogistiqué che riportavano i risultati già ottenuti a Firenze.
L'opera era divisa in due parti: nella prima, riprendendo gli studi del Priestley sull'aria nitrosa (ossido di azoto), il F. ne confermò molti risultati; nella seconda parte descrisse i metodi quantitativi da lui impiegati nella riduzione delle calci metalliche e nella produzione di aria deflogisticata.
A Parigi il F. analizzò la malachite, dimostrandone il contenuto in rame e descrisse il comportamento dello zolfo quando viene riscaldato. La sua scoperta principale concerne tuttavia il fenomeno del potere di assorbimento delle arie da parte del carbone di legna. Egli scoprì tale fenomeno nel 1777, dandone dimostrazione a colleghi e amici, ma lo rese noto a stampa solo nel 1782 (Lettera al sig. Adofo Murray..., in Memorie di matematica e fisica della Società italiana delle scienze, I [1782], pp. 648-706) e rinviandone. come al solito, una trattazione esaustiva in una opera sulle arie mai pubblicata.
Egli dimostrò comunque che l'aria flogisticata (azoto), l'aria deflogisticata (ossigeno), l'aria fissa (anidride carbonica) e l'aria infiammabile (idrogeno) venivano tutte assorbite dal carbone rovente a diversi tassi, e che il carbone spento in acqua liberava "aria infiammabile" (ossido di carbonio). Tali scoperte ebbero vasta eco tra i contemporanei anche prima della pubblicazione dell'articolo in cui ne faceva menzione.
Nel 1778 il F. pubblicò il Mémoire sur la nature de l'acide des animaux... (in Observations sur la physique, vol. XII [1778], pp. 64-75, 169-189), in cui, sulla base di un esame "di sostanze animali, vegetali, gommose e resinose", ritenne di poter riprendere l'idea stahliana riguardo l'esistenza di un acido primitivo che egli identificava nell'aria pura.
Tra il 1779 e l'82 si occupò anche della questione, allora assai discussa, se l'acqua potesse trasformarsi in terra. Incerto, in un primo momento, se ciò fosse sperimentalmente possibile (Mémoire sur la conversion de Veau en terre, ibid., vol. XIII [1779], pp. 161-178), pervenne successivamente a negare che ciò avvenisse (Extrait d'une lettre de m. F. Fontana ... à M. Gibelin ... sur la conversion de l'eau en terre, ibid., vol. XIX [1782], pp. 396-398), sostenendo che in quegli esperimenti in cui con la forza del fuoco si era ottenuta della terra, quest'ultima era in realtà derivata "dalla materia del matraccio di vetro", e che l'acqua non cambiava natura. Si trattava dunque di un artefatto sperimentale. Nei primi anni Ottanta il F. vagliò criticamente le teorie chimiche di T.O. Bergman e di C.W. Scheele e presentò alcuni dei risultati da lui ottenuti nello studio della chimica della respirazione.
L'ultimo scritto significativo del F. in ambito chimico è del 1785 e riguarda la ripetizione e interpretazione delle celebri esperienze di A.L. Lavoisier e J.B. Meusnier sulla decomposizione dell'acqua (Extrait dexpériences faites sur la décomposition de l'eau par m. Felice Fontana, ibid., vol. XXVII [1785], pp. 228 s.). Il F. vi confermava la validità sperimentale delle esperienze dei due chimici francesi, ma differiva da loro quanto all'interpretazione. Tale scritto da un lato venne utilizzato nelle polemiche antilavoisieriane del tempo, dall'altro fu l'occasione di una controversia con F. Giorgi e G. Cioni su pretese priorità, che degenerò in una serie incredibile di pubblicazioni diffamatorie.
Il capolavoro di F. fu stampato a Firenze in due grossi volumi in quarto nel 1781, col titolo Traité sur le vénin de la vipère sur les poisons americains sur le laurièr-cenù et sur quelques autres poisons végétaux. Esso apparve successivamente in una edizione italiana (4 tomi, Napoli 1787)., in due edizioni inglesi (2 voll., Londra 1787 e 1795) e in un'edizione tedesca (Berlino 1787).
Quest'opera, dalla struttura complessa, ebbe una risonanza assai ampia e stabilì definitivamente la fama del F. quale uno dei maggiori scienziati italiani del secolo. L'accurato e sofisticato sperimentalismo, così come l'originalità di numerose osservazioni, ne assicurarono inoltre un'influenza prolungata sulle scienze bio-mediche almeno fino alla metà dell'Ottocento. Essa è divisa in quattro parti dedicate al veleno della vipera. A queste seguono un'appendice sul medesimo argomento, una memoria sul veleno americano chiamato ticunas (curaro), due memorie sull'olio di lauroceraso, una serie di esperienze sul tossicodendro, sull'olio di tabacco, considerazioni sopra le malattie attribuite al sistema nervoso, esperienze sulla rigenerazione dei nervi, osservazioni sulla struttura delle parti elementari del corpo animale. Quest'ultima sezione di osservazioni microscopiche, di oltre 80 pagine, costituisce una sorta di trattato di istologia contenente, tra l'altro, descrizioni originali della struttura dei nervi, dei muscoli, del tessuto cellulare (connettivo), del grasso, delle ossa e dell'epidermide. Seguono dieci tavole con 145 figure e relative spiegazioni, un indice alfabetico degli argomenti e, infine, una serie di aggiunte e correzioni comprendenti anche esperienze sull'oppio.
Con quest'opera, a giusto titolo considerata tra i classici della farmacologia e della tossicologia, il F. dimostrò che anche la problematica inerente ai veleni poteva essere soggetta a una disamina rigorosamente sperimentale. Egli inaugurò numerose tecniche di indagine e introdusse l'uso analitico dell'avvelenamento locale per rilevare l'azione dei veleni sui diversi organi. Corresse l'opinione espressa nel 1767, dimostrando ora che l'azione del veleno della vipera avveniva sul sangue e che la perdita dell'irritabilità muscolare era successiva all'alterazione in esso prodotta. Suggerì quale possibile antidoto il caustico lunare (nitrato d'argento), nonostante ne riconoscesse la difficoltà d'applicazione. Dimostrò che il veleno della vipera non era un acido - né un alcale né un sale -, ma una "gomma animale" (proteina) e stabilì che l'effetto del veleno era da considerarsi proporzionale alla dose iniettata, affermando anche l'esistenza di una dose minima letale che egli misurò, ponendola in rapporto con il peso corporeo. Nel Traité il F. descrisse quella formazione anatomica dell'occhio da lui già scoperta nel 1761 e che fu poi detta "spazio" o "canale" del Fontana.
Tra le importantissime osservazioni istologiche meritano qui di venire menzionate almeno quelle sui nervi. Nei nervi periferici il F. osservò correttamente l'esistenza di striature spirali. Egli osservò anche quelle strutture successivamente chiamate cilindrasse e guaina mielinica. Osservando al microscopio la pelle delle anguille, il F. individuò la presenza di "vescichette uniformi e irregolari" contenenti "un corpo oviforme avente una macchia nel mezzo" (II, pp. 254 s.) e ne forni l'illustrazione (tav. 1, figg. 8-10). Studiosi successivi hanno attribuito al F. non solo l'osservazione di cellule (le vescichette) e del nucleo relativo (il corpo oviforme) ma anche del nucleolo (la macchia nel mezzo).
Durante il soggiorno all'estero del F. la gestione ordinaria del Museo era passata nelle mani di G. Pigri. Con il suo rientro a Firenze il Museo ricevette un impulso straordinario.
Vennero eseguite notevoli opere di ampliamento, gli strumenti scientifici provenienti dall'Inghilterra trovarono una loro collocazione, l'orto botanico venne affidato alle cure di A. Zuccagni, il laboratorio chimico venne incrementato, mentre quello della lavorazione delle cere anatomiche entrò in piena attività. Si eresse la specola astronomica, si allestì una sezione per i prodotti naturali della Toscana, si accrebbe il personale e si acquisirono raccolte naturalistiche provenienti dalla Toscana e dall'estero. Il progetto del F. di stabilire presso il Museo una vera e propria accademia scientifica fondata e sovvenzionata dal granduca non venne tuttavia accolto. Esso, infatti, trovò l'opposizione di alcuni consiglieri di Pietro Leopoldo, i quali proponevano che si formasse spontaneamente una società di studiosi che, dopo alcuni anni di lavoro, richiedesse al sovrano un riconoscimento ufficiale. Questa via, anche considerando i rapporti intrattenuti dal F. con altri studiosi toscani, si dimostrò impraticabile, per cui le attrezzature del Museo vennero sottoutilizzate rispetto alle potenzialità che offrivano. Di fatto la visione che il F. aveva delle istituzioni era l'unica, in ambito toscano, realmente praticabile per rendere il Museo un centro attivo di ricerca.
Il Fabbroni, intanto, ottenne la posizione di principale collaboratore del direttore; ma i rapporti tra i due studiosi, gia incrinati durante il loro viaggio, andarono deteriorandosi ulteriormente. Le incombenze amministrative del Museo misero a dura prova il F.: il suo autoritarismo e l'incapacità di trattare con un personale numeroso e riottoso ne offuscarono la stima presso Pietro Leopoldo. Egli iniziò a delegare al Fabbroni sempre più funzioni per salvare un po' di tempo da dedicare alle proprie ricerche e alla creazione di quella spettacolare serie di cere anatomiche che andò predisponendo, con l'aiuto dell'anatomico P. Mascagni e del modellatore C. Susini e di cui fece eseguire una replica completa destinata al Josephinuin di Vienna.
Alla fine degli anni Ottanta, nell'ambito delle riforme amministrative e con il concorso diretto del Fabbroni, oramai perfettamente inserito negli ambienti amministrativi dello Stato, si pervenne al motu proprio del 19 nov. 1789. Con esso il granduca gli attribuiva le responsabilità gestionali del Museo, limitando ai soli aspetti scientifici quelle del Fontana. Ciò rappresentò una sostanziale emarginazione del F. dal Museo: un colpo dal quale egli non si riebbe mai. Cominciò a diradare la sua presenza al Museo, trasferendo gran parte della propria attività presso la sua abitazione.
Negli anni Novanta il F. lavorò intensamente alla progettazione e realizzazione di modelli anatomici scomponibili in legno. Uno di essi, raffigurante l'intero corpo umano, gli fu richiesto per Parigi da Napoleone Bonaparte, allorché questi visitò Firenze nel 1796.
Il parziale allontanamento dal Museo e il fatto che Pietro Leopoldo, divenuto imperatore con il nome di Leopoldo II (1790), non avesse acconsentito a incontrarlo nella breve visita a Firenze nella primavera del 1791, suscitarono in lui sentimenti antidinastici che trovarono la loro espressione più clamorosa nell'adesione alla causa repubblicana durante l'occupazione francese del 1799. Allorché, ai primi di luglio 1799, i Francesi evacuarono Firenze e vi entrarono gli Aretini, nella furia antigiacobina del momento il F. fu maltrattato e arrestato. Con il successivo ingresso degli Austriaci, il 20 luglio, gli fu intimato di lasciare Firenze, e nell'ottobre dello stesso anno Ferdinando III, suo antico discepolo, lo esiliò dalla Toscana. La partita non era tuttavia finita. Alla fine del 1800, con il ritorno dei Francesi, tornò anche il F. deciso a riaprire la vertenza della gestione del Museo. Ma fu cosa di breve momento. Durante il governo dei triuniviri gli parve riuscire in un suo antico sogno: far rivivere l'Accademia del Cimento. Il 27 febbr. 1801 i triumviri istituirono presso il Museo la Nuova Accademia del Cimento con il F. presidente e P. Ferroni segretario. La seduta inaugurale fu tenuta il 16 marzo 1801. Il 26 dello stesso mese i triumviri dettero le dimissioni e il nuovo governo rinviò ogni decisione circa la dotazione e costruzione della nuova accademia. Terminava così ogni tentativo del F. di riprendere il pieno controllo della sua amata istituzione: al Museo fu visto sempre più di rado.
Nell'ultimo ventennio della sua vita il F. continuò a essere scientificamente attivo. La sua produzione, tuttavia, non mantenne il livello di originalità che aveva contraddistinto tanta parte delle sue ricerche degli anni precedenti.
Egli scrisse su argomenti tra loro assai diversi. Si occupò di parassitologia (Lettera ... al chimico e medico sig. Darcet a Parigi, in Raccolta ferrarese, XIII [1783], pp. 130-146), di respirazione animale (Lettre... à M. le duc de Chaulnes, in Observations sur la physique, XXIII [1783], pp. 262-269), del nervo intercostale (Articolo di lettera ... al sig. abb. G. Mangili. Sul nervo intercostale, in Giornale fisico-medico, III [1792], pp. 94 ss.), di fisiologia botanica (Observations on the Ipomaea Hispida, and some other plants of the family of the Convolvulus, in Tilloch's philosophical Magazine, XII [1802], pp. 16-26) e della questione se le sostanze vegetali emettano calore (Lettera al chiarissimo professore Scarpa sopra il calore naturale delle sostanze vegetali in stato di vita, e di vegetazione, in Effemeridi chimico-mediche, I [1805], 1, pp. 1-27). Uno dei suoi contributi più significativi riguardò l'embriologia, con l'anonima Lettera ad un amico sopra il sistema degli sviluppi (Firenze 1792), in cui assunse ma posizione assai critica nei confronti delle dottrine preformiste sostenute da studiosi autorevoli come Haller, Bonnet, Spallanzani e Caldani. In particolare mostrò che le prove fornite da Spallanzani sulla continuità di strutture nelle uova fecondate e non fecondate di rana non erano conclusive e si dichiarò a favore della tesi che ammetteva in natura una forza capace di organizzare.
Colpito da apoplessia, dopo aver fatto testamento in favore del nipote Bernardino, il F. morì a Firenze il 10 marzo 1805. Gli fu eseguita una maschera mortuaria e fu sepolto in Santa Croce.
Oltre ai lavori del F. citati nel testo, vedi anche: Osservazioni intorno al testicolo umano, in Atti dell'Acc. delle scienze di Siena detta dei Fisiocritici, III (1766), pp. 129-135; Expériences sur l'alcali fixe végétal, et sur l'alcali minéral, in Observations sur la physique, XII (1778), pp. 376-391; Experiments and observations on the inflammable air breathed by various animals, in Philosophical Transactions, vol. LXIX (1780), 2, pp. 337-361; Account of the airs extracted from different kinds of waters, with thoughts on the salubrity of air at different places, ibid., pp. 432-453; Memoria sopra il veleno americano detto Ticunas, ibid., vol. LXX (1780), 2, pp. 163-220; Risultati di sperienze sopra l'elasticità de' fluidi aeriformi permanenti sul mercurio, in Memorie di matematica e fisica della Società italiana, vol. I (1782), pp. 83-88; Principi generali della solidità e della fluidità de' corpi, ibid., pp. 89-103; Articolo di lettera scritta al fratello ... Sopra la luce, la fiamma, il calore ed il flogisto, ibid., pp. 104-110; Lettera al Sig. de Morveau, ibid., vol. V (1790), pp. 581-585; Lettera al celebre signore Ingen-Hausz (16 marzo 1786), Firenze 1786; Lettera al cavaliere Lorgna, Firenze 1786; Articolo di lettera all'ab. Giuseppe Mangili, in Giornale fisico-medico, IV (1972), pp. 116 ss.
Indicazioni concernenti manoscritti superstiti del F. e la sua corrispondenza sono fornite nei primi due tra i lavori citati oltre. In essi, tuttavia, non è fatta menzione della raccolta di autografi del F. - forse più significativa - che è conservata nella Biblioteca di casa Rosmini di Rovereto, solo di recente resa accessibile.
Fonti e Bibl.: La letteratura secondaria sul F. è inclusa nella bibliografia curata da P.K. Knoefel. Si dà notizia, pertanto, solo dei lavori pubblicati a partire dal 1980. F. Fontana, Carteggio con L.M.A. Caldani 1758-1794, a cura di R.G. Mazzolini - G. Ongaro, Trento 1980; P.K. Knoefel, Felice F. 1730-1805: an annotated bibliography, Trento 1980; R.G. Mazzolini, The Iris in eighteenth-century physiology, Bern 1980, pp. 91-100; M. Ferrari - M. Pellegri, Felice F. (1730-1805) a 250 anni dalla nascita, in Natura alpina, s. 2, XXXI (1980), 23, pp. 1-52; P.K. Knoefel, Felice F. on poisons, in Clio medica, XV (1980), pp. 35-65; Id., Felice F.: light thrown on his character by the case of the "spazzino" Guidétti, in Medicina nei secoli, II (1981), pp. 229-242; Id., Felice F.: life and works, Trento 1984; F. Abbri, Le terre, l'acqua, le arie. La rivoluzione chimica del Settecento, Bologna 1984, ad Indicem; M. Vegni Talluri, Felice F., uomo e scienziato del suo tempo, toscano di elezione, in Documenti per una storia della scienza senese, Siena 1985, pp. 195-207; Id., Felice F. e i suoi rapporti epistolari con l'Accademia dei Fisiocritici di Siena, ibid., pp. 209-217; W. Bernardi, Le metafisiche dell'embrione. Scienza della vita efdosofia da Malpighi a Spallanzani, Firenze 1986, pp. 437-452, 460-478; P. Manzini, B. Corti Felice F., L. Spallanzani: due lettere inedite per una polemica, in Bollettino storico reggiano, XXI (1988), 68, pp. 1-12; R. Pasta, Scienza, politica e rivoluzione. L'opera di G. Fabbroni (1752-1822), intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze 1989, s. v.; F. Abbri, Rivoluzione chimica e scienza italiana: le ricerche di Felice F. sull'aria fusa, in Atti del II Convegno nazionale di storia e fondamenti della chimica, in Rend. della Acc. naz. delle scienze detta dei XL, s. 5, XII (1988), pp. 121-131; Id., Science de l'air. Studi su Felice F., Cosenza 1991; R.G. Mazzolini, L'opera del fisiologo Felice F. nella cultura tedesca del secondo Settecento, in Deutsche Aufklärung und Italien, a cura di I.M. Battafarano, Bern 1992, pp. 251-277.