PARIS, Gaston
Nato ad Avenay (Champagne) il 9 agosto 1839, morto il 5 marzo 1903 a Cannes, è a buon diritto considerato, insieme con Paul Meyer, quale uno dei pionieri in Francia della filologia romanza, alla cui nascita - dal seno del romanticismo - aveva, si può dire, assistito nella casa paterna (v. paris, paulin). Il padre fu colui che gli trasmise l'amore per le ricerche erudite e lo addestrò nello studio degli antichi testi francesi; il padre stesso, per ragione del prestigio che si riconosceva agli atenei germanici, e con lo scopo di fargli imparare il tedesco, gli consigliò un periodo di studî in Germania e, dietro il parere di F. Wolf, lo condusse a Bonn, nel 1859, dove il P. conobbe F. Diez, di cui divenne allievo e amico. Breve il soggiorno; ma profondi ne furono gli effetti, perché il grande disciplinatore della filologia romanza, il Diez, segnò dell'impronta del suo metodo saggio e oculato la mente del suo scolaro, appena ventenne. Il quale, ritornato in Francia, s'iscrisse all'École des chartes, in cui sostenne, nel 1862, la nota tesi Étude sur le rôle de l'accent latin sur la langue française, che tradisce l'influsso metodologico del Diez, e rese al Diez omaggio anche maggiore col tradurre, un anno dopo, l'introduzione della sua grammatica (Introd. à la grammaire des langues romanes, Parigi 1863). Così egli, mentre si affermava romanista, apriva in Francia un nuovo periodo di studî nel campo delle lingue neolatine.
Seguirono alcuni saggi letterarî sull'epopea francese (Huon de Bordeaux, La Chanson de Roland et les Nibelungen), nella quale aveva tanto lavorato suo padre; e poco dopo, nel 1865, uscirono le due tesi presentate alla Faculté des lettres dell'università di Parigi (De pseudo Turpino; Histoire poétique de Charlemagne), in cui si dispiegano (soprattutto nell'Histoire, forse il suo capolavoro) in tutta la loro vastità e ricchezza le su̇e doti caratteristiche: esposizione cristallina e attraente, vero riflesso di un lucido pensiero, acume d'erudito e di psicologo, dottrina profonda e svariatissima, sagacia e originalità congiunte a un metodo severo e rigoroso, ma temperato e addolcito da una passione schietta e contenuta. Insieme con lo scienziato, parlava in lui il poeta innamorato del Medioevo e delle leggende cavalleresche francesi e parlava altresì l'uomo a cui gli studî erano scuola di nobiltà e ammaestramento civile, tanto che i suoi scritti erano aspettati e letti avidamente, in quella loro lingua splendente, con quella misurata facoltà d'interessare e di far pensare, vera gioia dell'intelletto. Queste doti lo portarono nel 1896 all'Académie française nel posto lasciato vuoto dal Pasteur. Dalla tribuna della Revue de Paris o da quella del Journal des Savants o della Revue critique o della Romania (l'insigne rivista di filologia romanza da lui fondata col Meyer nel 1872 e diretta sino alla morte) o di altri periodici, il P. sapeva parlare così alla folla come alle esigue schiere degli eruditi. Alcuni saggi divulgativi su Tristano, su Tannhäuser, su Rudel, su Roncisvalle, ecc., divenuti presto celebri, furono raccolti dallo stesso autore in tre volumi: La poésie du moyen âge (1885 e 1888); Penseurs et poètes (1896); e Poèmes et légendes du moyen âge (1900), per non parlare delle Légendes du moyen âge pubblicate dopo la sua morte (1003); altri saggi eruditi di linguistica e di letteratura francese furono messi insieme più tardi dagli allievi, in altri due volumi pieni di elegante dottrina: Mélanges linguistiques (1906) e Mélanges de littérature (1910, a cura di M. Roques).
Incaricato sin dal 1866 nella Sala Gerson dell'insegnamento della filologia francese, cioè della disciplina che egli illustrò via via con l'ingegno e con la sua ammirevole e indefessa attività alla Sorbona, all'École des hautes-études e in particolare al Collège de France, era naturale che si risolvesse a dare forma definitiva ad alcuni suoi corsi di lezioni, che finirono col chiamare a Parigi non pochi studiosi d'oltre i confini della Francia. Ne venne quel modello d'indagine filologica che fu La vie de Saint Alexis (1871); ne vennero i limpidi Extraits de la Chanson de Roland e molti altri scritti (alcuni in collaborazione con allievi e amici) e ne venne, in particolare, frutto e sintesi d'un immane lavoro, l'aureo manuale La littérature française au moyen âge (1888), che ha efficacemente promosso in tutti i paesi civili lo studio dell'antica letteratura di Francia. Di tanto straordinario lavoro si può seguire lo svolgimento percorrendo i volumi della Romania sino al 1903: trentadue volumi; in cui trova un riflesso tutta la sua grande e nobile attività ispirata all'amore disinteressato della scienza e al culto delle più pure idealità umane.
Bibl.: P. Meyer, A. Thomas, Morel-Fatio e L. Havet, Obsèques de G. P., in Romania, XXXII (1903), p. 334 segg.; G. I. Ascoli, in Rend. Ist. lomb., XXXVI, p. 351; A. D'Ancona, in Rend. della R. Acc. dei Lincei, XII, p. 128; E. Monaci, G. P., in Nuova Antologia, 1° aprile 1903; F. Novati, in Emporium, XVIII (1903); P. Rajna, Elogio di G. P., in Atti della R. Accad. d. Crusca, Firenze 1904.