COZZI, Geminiano Francesco Antonio
Nacque in Modena, secondo di sette figli, il 7 febbr. 1728, da Giuseppe e Caterina Zoccolari, allora dimoranti in Borgo di Sant'Agnese (parrocchia di S. Pietro). Ceramista, non si hanno notizie sulla sua formazione. Il C. si trasferì a Venezia presumibilmente circa il 1754 insieme con la sorella Domenica, ventottenne e il fratello quattordicenne, Vincenzo (Stazzi, 1981, pp. 11, 15). Sposò Antonia Caterina Sauli dopo un precedente matrimonio con Anna Manni, sempreché non si riferisca a un omonimo il documento dell'Archivio parrocchiale di S. Giorgio in S. Francesco a Modena (Morti, 1796-1836, vol. V., cc. 93-97), dal quale risulta che un Geminiano Cozzi ebbe da Anna Manni una figlia di nome Domenica. A Venezia entrò come socio nella manifattura dei coniugi sassoni Nathaniel Friedrich e Maria Dorothea Hewelcke in un momento difficile per l'azienda, la quale infatti, nonostante i finanziamenti da lui procurati, fu costretta a chiudere nell'agosto 1763. Il C. si diede a riattivarla in proprio, impiantando le fornaci in un edificio presso le fondamenta di Canal Regio verso S. Giobbe. Il 21 agosto 1765 il Senato, avendo constatato che la fabbrica, ormai attiva da un anno, era "ridotta... a quello stato di perfezione, che non lascia più dubbio al progresso... " (Drake, 1868, p. XXXI), accordò i privilegi e i sussidi che il C. aveva richiesti il mese addietro. Determinante per le autorità fu l'argomento, addotto dal C. in un accorato memoriale, dell'impiego vantaggioso, nella manifattura, di terra non importata da mercati esteri, ma locale, il caolino del Tretto.
Nel 1765 il C. venne indirettamente coinvolto nel processo intentato da Pasquale Antonibon, titolare della manifattura novese, contro suoi ex dipendenti allo scopo di contrastare a un tempo le diserzioni di questi (diversi dei quali passati al C.) e la slealtà della concorrenza. Ma l'episodio non valse a frenare l'ormai fervida attività della fabbrica veneziana che, di lì a tre anni, diede lavoro "a ottantatré Capi di famiglia, divenuti maestri nelle rispettive mansioni dell'arte" (Barbantini, 1936, p. 15) in una produzione largamente diffusa grazie anche al battage pubblicitario promosso a mezzo di stampa dal C., con spirito di moderno imprenditore, ben oltre i confini della Repubblica veneta, fin nel Levante. Successivamente il C., sempre appoggiato dal Senato con misure protezionistiche, esenzioni e sovvenzioni, estese l'attività dalla porcellana "ad uso orientale", al campo della maiolica, sul tipo di Marsiglia e di Strasburgo, dunque a piccolo fuoco, nel 1769, e, nel 1781, in linea con le nuove tendenze della cultura e del gusto, alla terraglia "ad uso d'Inghilterra". Altro settore produttivo erano le "piastrelle da camin ad uso Olanda". Né in alcun campo della produzione mancarono creazioni di ispirazione propria.
Il 18 magg. 1778, per far fronte alle difficoltà finanziarie, venne decisa la cessazione della ditta "Geminiano Cozzi" e contestualmente se ne creò una nuova nella quale al C. si affiancarono il fratello Vincenzo (ai due fu affidata la direzione tecnica) e Bonaventura Marinoni, che era stato uno dei finanziatori privati dell'impresa. Nel 1784, dopo diverse vicende e controversie, la società Cozzi-Marinoni venne sciolta e passò, con obbligazioni varie, in proprietà dei soli fratelli Cozzi. Infine la società fu trasferita al solo Vincenzo, con atto rogato in Ferrara (dove il C. al momento dimorava in località parrocchia S. Pietro) il 9 giugno 1791.
Il C. pare sia morto (Stazzi, 1981, p. 13) tra l'agosto 1797 e il maggio 1798, in precarie condizioni economiche a stare a una cambiale di L. 1.860 della quale non era riuscito a onorare la scadenza all'aprile 1797, subendone le conseguenze giudiziarie. Gli era premorta nel 1788 la sorella Domenica, sua probabile collaboratrice in fabbrica; il fratello Vincenzo morì invece il 10 nov. 1804 a sessantaquattro anni.
La vedova del C., Antonia Caterina Sauli, passò a nuove nozze (col marchese Giuseppe Fabris da Begliano di Monfalcone) il 25 magg. 1799; non si sa se abbia lei continuato la fabbrica sino al 1812, anno nel quale tradizione vuole ella sia morta; certo è che trasferì a Doccia i segreti di fabbricazione (Stazzi, 1981, pp. 122, 160 s.). Le ultime notizie sulla manifattura risalgono al 1799; in ogni caso le vicende storiche culminate col crollo della Serenissima, e le conseguentemente mutate condizioni di vita, dovettero segnarne decisamente il declino. Numerose testimonianze ne rimangono in musei e in raccolte private, oltre che in un nutrito catalogo compilato dal C. nel 1783, ovvero al culmine della sua attività, per dar la misura del prodigioso sviluppo raggiunto.
La vasta produzione del C. comprende vasellame da tavola, servizi da caffè, da tè, da cioccolata, corredi di spezieria, vasi portafiori e oggetti vari d'arredamento, pomi da bastone, statuette e gruppetti plastici. Superato lo spirito aulico ed esclusivo tipico di F. Vezzi, pioniere in tal campo, in nome d'una affatto nuova volontà commerciale, la committenza diviene la più varia: le proliferanti "botteghe da caffè" non meno dei conventi e del ricco patriziato, la media borghesia e i ceti non abbienti non meno delle alte magistrature e della Serenissima in prima persona.
Le porcellane del C., di pasta dura, sono riconoscibili per un'ancora - dipinta in rosso per lo più, di rado in azzurro, e nei pezzi di particolare pregio in oro -; quasi mai marcata è la produzione plastica. Esse sfoggiano nel vasellame, spesso con fini trafori a cestello o, come sui coperchi e sui manici, con caratteristici rilievi di frutti e di tralci fioriti, un decoro di vario e spesso vivace repertorio che, se guarda a modelli di Meissen e di Sèvres, pure presenta una sua indubbia originalità. Dipinto nei toni più sovente del rosso ferro, del verde smeraldo, del blu cobalto, del porpora, e reso talora prezioso da fregi d'oro zecchino, esso va dalle figurine cinesi al delizioso motivo a fiorellini e farfalle policromi o a mazzi di rose, di tulipani, di viole - temi prevalenti anche nella maiolica e nella terraglia -; dal motivo "a bersò", assai tipico, e dai paesetti ispirati alla pittura veneta del tempo, a nastri e ghirlande, alle imprese araldiche, persino alle carte da gioco. Anche l'ispirazione a prototipi aulici, pur non consueta, dà luogo a qualche pezzo di non poco significato: è il caso del bel piatto del Victoria and Albert Museum siglato "F. Cozzi 1780" e riproducente noti dipinti del palazzo ducale di Venezia.
In delicata policromia o in bianco è la produzione plastica, d'un sapiente modellato che in più casi richiama esempi mitteleuropei e in specie viennesi, in modi, anche in essa come nel vasellame, compiacenti alle chinoiseries e in regola con i dettami rococò e più tardi neoclassici (i quali ultimi, in generale, più che nelle fredde statuette mitologiche si riveleranno benefici in alcuni vasi di squisita fattura). Con garbata lepidezza essa esibisce putti e nani della vena d'un Callot, rare figure d'alchimisti, maschere della commedia dell'arte, magots, gruppetti di genere ispirati al costume contemporaneo, la parte più saporosa, questa, d'un repertorio che pure vanta soggetti sacri, mitologici o allegorici, in qualche caso d'estrema eleganza.
Figura di intraprendente organizzatore, il C. fu anche, sappiamo dalle fonti, uomo colto e appassionato ricercatore, studioso egli stesso dei problemi tecnici del settore. Fu il primo in Italia ad adottare la porcellana per uso industriale (fabbricaz. di cremortartaro e lacca di Verzino), ma mise i suoi studi e le sue cognizioni chimiche anche al servizio di altri campi della tecnica: escogitò una nuova composizione di cristallo tersissimo e la formula per una migliore cementatura dell'oro per la Zecca (alla quale Zecca, peraltro, forniva sin dal 1773 crogiuoli in porcellana per la fusione dei metalli preziosi); progettò materiali per la fabbrica di mattoni pubblici (1776); costituì una società per lo sfruttamento dei faggi da ridurre in carbone; cerco di dare incremento all'arte del corallo, ottenendo al riguardo dal Senato, insieme con i fratelli Galbiani di Sebenico, la concessione per sei anni del diritto esclusivo e gratuito di pesca nei mari di Dalmazia (1787); si occupò ancora d'innesti di garofani, della coltura degli agrumi, d'un progetto per la coltivazione del tabacco, ecc. Di altre notizie sulla sua vita, d'un suo apprendistato presso il Vezzi (Minghetti, 1939) 0 presso l'Antonibon (Buccino Grimaldi-Cariello, 1978) non è da tener conto poiché sono senza fondamento. Che sia stato banchiere prima di intraprendere l'attività di ceramista, come è riportato in studi relativamente recenti (Lane, 1963, e altri), neppure sembra trovare conferma.
Bibl.: V. Lazari, Notizia delle opere d'arte e d'antichità della racc. Correr di Venezia, Venezia 1859, pp. 88 s.; W. R. Drake, Notes on Venetian Ceramics, London 1868, pp. 6 s., 9, 22, 33-36, 40; App., pp. IV, XXV-XXXIV; G. M. Urbani de Gheltof, Studi intorno alla ceramica venez., Venezia 1876, pp. 67 ss.; G. Campori, Notizie stor. e art. della maiolica e della porcellana di Ferrara nei sec. XV e XVI, Pesaro 1879, p. 108; G. Corona, La ceramica, Milano-Napoli-Pisa 1885, pp. 364 s.; Arte ceramica e vetraria (catal.), Roma 1889, p. 151; Ch. de Grollier, Manuel de l'amateur de porcelaines…, Paris 1914, pp. 376, 380-84; G. Ballardini, Aspetti della ceramica ital. del Settecento, in Rivista di Venezia, VIII (1929), pp. 780 s.; C. Baroni, Le ceramiche di Nove di Bassano, Venezia 1932, pp. 213 ss.; F. H. Hoffmann, Das Porzellan der europäischen Manufakturen im XVIII. Jahrh., Berlin 1932, pp. 117, 148, 202 s., 305; C. Baroni, Nuoviorientamenti dello studio della ceramica venez. del '700, in Rivista di Venezia, XIV (1935), pp. 371-84; G. Morazzoni, Le porcellane italiane, Milano-Roma 1935, pp. 152-68; N. Barbantini, Le porcellane di Venezia e delle Nove (catal.), Venezia 1936, pp. 7, 9-15; G. Lorenzetti, Maioliche venete del Settecento (catal.), Venezia 1939, pp. 7-12; A. Minghetti, Ceramisti, Roma 1939, p. 134; S. Ducret, Venezian. Porzellan, in Pro Arte, I (1942), pp. 13 s.; Catal. d. mostra di maioliche, porcellane e terraglie del Vicentino, a cura di G. Barioli, Venezia 1955, pp. 17 ss.; G. Morazzoni, La terraglia italiana, Milano s. d. [1956], pp. 68-71; G. Morazzoni-S. Levy, Le porcellane ital., I, Milano 1960, pp. 35-44; S. Levy, Maioliche settecentesche lombarde e venete, Milano 1962, pp. 26 s.; A. Lane, La porcellana ital., Firenze 1963, pp. 38-45, 112; F. Stazzi, Porcellane ital., Milano 1964, pp. 55-68; H.-P. Fourest, La maiolica in Europa, Novara 1964, p. 122; W. Chaffers, Marks and Monograms on European and Oriental Pottery and Porcelain, I, London 1965, pp. 441 s., 446; G. Mariacher, La raccolta di ceramiche del Museo Correr di Venezia, in Faenza, LI (1965), pp. 6 ss.; O. Ferrari-G. Scavizzi, Maioliche ital. del Seicento e Settecento, Milano 1965, pp. 24 s.; O. Ferrari, Porcellane del Settecento, Milano 1966, pp. 21-26; R. Charles, Porcellane europee del Settecento, Firenze 1967, pp. 237-42; F. Stazzi, Porcellane della casa eccellentissima Vezzi (1720-1727), Milano 1967, pp. 14, 20, 45 s., 60; Musei e gallerie di Milano. Museo d'arti applicate, G. Lise, Le Porcellane, Milano 1975, pp. 12, 25-27; A. Mottola Molfino, L'arte della porcellana in Italia, I, Busto Arsizio 1976, pp. 26 ss., 45 s.; G. C. Boiani, Contributo sulla porcellana C. Un servizio con arma della città di Fano, in Faenza, LXIV (1978), pp. 77-86; L. Buccino Grimaldi-R. Cariello, Le porcellane europee nel Museo Correale in Sorrento, Cava dei Tirreni 1978, pp. 205-10; E. Biavati, Necrologio per Francesco Merlini, in Faenza, LXV (1979), p. 146; F. Stazzi, Le porcellane veneziane di G. e Vincenzo C., Venezia s. a. [1981]; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 39.