Genova
Qual da gli aridi scogli
erma su 'l mare Genova
sta, marmoreo gigante
(Giosue Carducci, Giambi ed epodi)
Genova per noi e per tutti
di Antonio Di Rosa
8 gennaio
Con un concerto di beneficenza del tenore José Carreras al Teatro Carlo Felice si inaugura ufficialmente Genova 04, la serie di manifestazioni di teatro, arte, musica e danza che si terranno durante l'anno nel capoluogo ligure, designato il 28 maggio 1998 capitale europea della cultura per il 2004. Due fondamentali obiettivi hanno ispirato il programma: ridefinire l'identità culturale di Genova come città a più vocazioni - dove convivono porto, industria, attività turistiche e culturali - e conferire alle nuove acquisizioni un'impronta stabile, facendo in modo che i risultati ottenuti durino nel tempo.
La collina delle idee
'La collina delle idee': quale migliore immagine per significare la trasformazione di un sito che ospita container nel progetto più avveniristico per il cambiamento di una vecchia città industriale? Lì, in quelle quattro parole, si cela il progetto che Renzo Piano, l'architetto genovese più famoso nel mondo, ha lanciato per proiettare Genova nel firmamento europeo. Lo ha battezzato 'Leonardo' perché sulle pendici della piccola erta nel Ponente della città nascerà una sorta di culla pensante dove creatività e umanesimo si coniugheranno per ospitare un villaggio tecnologico formato da 250 aziende e integrato dall'IIT, l'Istituto italiano di tecnologia, il centro di eccellenza della ricerca della nazione.
Quando arrivai a Genova, quattro anni fa, la città non si era scrollata di dosso i velenosi fumi delle acciaierie né le fisime e i dubbi che l'avevano accompagnata negli ultimi dieci anni. Cosa si doveva fare di una città con l'industria pesante in declino, soffocata dagli ingorghi quotidiani di infrastrutture autostradali vecchie e logore, di un porto meraviglioso ma con spazi non sufficientemente ampi, di un centro storico di grandi dimensioni ma prigioniero della malavita, di un turismo all'anno zero?
Il genovese, si sa, è il re del mugugno, del 'maniman' (una specie di filosofia antirischio buona per l'uomo ossessionato dalla paura di sbagliare), della riservatezza ma anche della difficoltà di comunicare all'esterno una città in piena metamorfosi. Questa staticità, prevalente per anni, impediva alla città di provare a conoscersi meglio, ad attivare quelle energie in grado di produrre mutamenti, di stimolare quei pochi imprenditori disposti a investire, a finanziare grandi progetti. Genova sembrava ripiegata sulle realizzazioni allestite per le Colombiadi del 1992, giusto per ricordare come si conviene il famoso concittadino che scoprì l'America. Soprattutto il Porto Antico con il suo Acquario, la Città dei Bambini, i Magazzini del Cotone e dell'Abbondanza, le vertigini provocate dal Bigo.
All'improvviso accade qualcosa che dà impulso al cambiamento. Un circolo virtuoso si innesta su una città statica e tutto comincia a muoversi. L'anno decisivo è il 2001. Il governo D'Alema decide di assegnare a Genova l'organizzazione del G8, l'incontro tra i capi di Stato più potenti al mondo. I tormenti sui possibili disordini vengono superati dall'eccitazione legata all'arrivo di decine di miliardi per migliorare l'accoglienza della città. Cambiano le strade, si rifanno le facciate di alcuni palazzi del centro storico, piazza De Ferrari viene arricchita con la costruzione di una grande fontana. Ritocchi e lavori di sostanza che si incrociano e che diventano uno dei primi momenti della trasformazione in corso.
Arriva come un turbine il G8. La città viene blindata. Vengono allestite le gabbie per separare la 'zona rossa', dove si svolgeranno i lavori del vertice con i potenti della Terra, diplomatici e giornalisti al seguito, dalla zona dove si assieperanno le migliaia di manifestanti giunti da tutto il mondo. Quello che è avvenuto fa parte ormai della storia: un morto, decine di feriti, scontri terribili tra polizia e contestatori, una città piegata dal lutto e dalla paura. Ma proprio in quei giorni nasce la nuova Genova. Non più quella vecchia città industriale vicino a Portofino, ma la sede del cruento G8. Le immagini fanno il giro del mondo. Tutti riconoscono sulle carte geografiche della penisola quel puntino urbano in cui Bush e gli altri presidenti hanno subito l'assalto dei no global.
Da lì parte la consapevolezza che Genova merita un'attenzione diversa, può crescere, può lasciarsi alle spalle un passato di buona e cattiva industrializzazione e guardare oltre. Il nuovo orizzonte si chiama tecnologia, che porta sviluppo e occupazione, un porto ancora più forte, turismo, cultura, insediamenti strategici. Da quei giorni cominciano le campagne per spegnere l'altoforno delle acciaierie Ilva di Cornigliano, per spazzare via dagli Erzelli le montagne di container (mentore il manager Carlo Castellano, per anni inascoltato), per costringere il governo a dare il via al Terzo Valico (collegamento ferroviario veloce con Milano) in modo da dimezzare i tempi di comunicazione con il cuore dell'Europa.
E da lì cominciano anche a prendere più sostanza le forme del progetto Leonardo e dell'IIT.
Tutti capiscono che questa città va risarcita perché la deindustrializzazione ha lasciato sul terreno migliaia di posti di lavoro, i giovani laureati emigrano a Milano o vanno all'estero, gli anziani rappresentano il nucleo fondante. 'Genova per noi' non è più uno slogan per sognatori ma l'obiettivo che amministratori, imprenditori, manager, intellettuali si sono prefissi di raggiungere per dare un nuovo volto e un nuovo sviluppo a una città che sta vivendo una crisi di identità.
È necessario un anno, il 2002, per scacciare l'incubo del G8 e rimettere in moto la macchina, per fare pressioni sul governo e riannodare tutti i fili della progettualità messa da parte in dodici mesi costellati di polemiche e analisi su quello che è avvenuto durante il vertice. Ma per sostenere i piani di sviluppo serve un'unità di intenti che raramente la città ha avuto e che soprattutto adesso manca. Alla Regione governa il Polo (Sandro Biasotti), al Comune e alla Provincia l'Ulivo (Giuseppe Pericu è il sindaco, Alessandro Repetto il presidente della Provincia).
Dunque, dilagano le 'rattelle', come vengono definiti in genovese i continui litigi. Nel 2003 il patto anti-rattelle lanciato dal Secolo XIX raccoglie l'unanimità dei consensi. Tutti percepiscono che l'occasione non va sprecata. È meglio sedersi attorno a un tavolo e confrontare le proprie idee piuttosto che ostacolare quelle dell'avversario politico. I risultati sono sorprendenti.
Il 'barone' delle acciaierie, l'industriale Emilio Riva, si ritrova da solo, con i sindacati, a difendere l'altoforno di Cornigliano. Mesi di discussione portano infine all'accordo. L'area a caldo sarà chiusa e 700 ettari di terreno saranno restituiti alla città.
Detto così, può sembrare poca cosa e invece la stipula dell'intesa fa riemergere i progetti, la discussione si allarga, gli attori del new deal genovese riescono allo scoperto. Il genio di Renzo Piano fa il resto. Erzelli diventerà il simbolo della città (nell'arco di dieci anni). Leonardo, per una volta, farà sì che l'utopia si trasformi in realtà. Su quella collina, 250 aziende hi-tech, un campus universitario e l'IIT formeranno il centro pensante della ricerca italiana. Le energie intellettuali si coniugheranno con quelle ambientali: pannelli solari, turbine eoliche e 8000 alberi piantati su 370.000 m2 diventeranno il polmone verde della città, quello che Piano ha definito "il parco più bello del mondo". Cinque coppie di torri di acciaio gemelle completeranno quella sorta di luogo magico partorito dalla mente del geniale architetto e i container spariranno definitivamente.
Così il Ponente di Genova, dove Piano ha insediato il suo workshop, la cosiddetta periferia, rinasce "con le idee e con il riempimento del deserto affettivo, non con i centri commerciali e con i consumi": una stilettata agli errori degli amministratori che, fino a ieri, avevano pensato di 'regalare' a quell'area solo insediamenti commerciali e nient'altro.
Il fronte del porto
Finalmente profeta in patria, Piano accoglie la richiesta della Regione e di tutta la classe dirigente e, varcando il confine degli Erzelli, progetta il futuro dell'intera città, soprattutto del waterfront: l'espansione del porto, dove sistemare le riparazioni navali concedendo nuovi spazi, e l'aeroporto verso il mare come a Osaka in Giappone. "Il mio compito, nobilissimo, è di metter ordine a 150 anni di struggimenti, di definire le priorità, il disegno di insieme, senza altre diavolerie. Stiamo studiando tutto, i venti, le correnti, con gli specialisti con cui ho progettato l'aeroporto di Kansai". Il progetto, di per sé avveniristico, ha un senso compiuto. La pista d'atterraggio tiene in scacco il porto per cui una nave impiega sei ore per scaricare 400 container e tre ore per entrare e uscire. Dunque, bisogna ridurre i tempi di queste operazioni. La pista in mare libera spazi per 300 ettari di grande flessibilità e si realizza un porto canale di 8 km nel quale possono attraccare in modo lineare 20 navi. Così il porto diventa competitivo, la vera fabbrica di Genova, una splendida macchina da soldi che non ha mai tradito la città neanche nei momenti difficili. "Oggi il porto è serrato - dice Piano - con i monti troppo vicino e il mare troppo profondo. Lo spostamento consente anche di ridurre l'inquinamento acustico". Per la costruzione saranno utilizzati cassoni realizzati a secco, navi di cemento da 50x300 m, con una tecnica simile a quella usata per la nuova diga di Montecarlo. Il tutto può essere realizzato in quattro-cinque anni.
Il progetto Genova prevede anche un tunnel sotto il porto perché la città ha bisogno di essere liberata. Non è più accettabile che il petrolchimico resti in mezzo alle case e il porto petroli a 50 m. Va delocalizzato, secondo Piano, e ritrovato un nuovo rapporto con il mare. Nel DNA di Voltri c'è una vocazione - sostiene l'architetto - e bisogna riportare lì la flotta peschereccia, a ponente del porto, creando una cittadella con ristoranti e un buon mercato del pesce: un aspetto romantico ma anche industriale collegato alle autostrade e alle ferrovie. Piano vuole lasciare grandi spazi alla Fiera, qualche accosto, una nave-albergo o ristorante come a San Francisco.
Per le attività di manutenzione, i rimorchiatori, le pilotine, il bunkeraggio, è prevista un'isola di servizi davanti a Sampierdarena. "Sogno di trasferire lì anche il nuovo generatore dell'ENEL che crea disturbo e neutralizza la bellezza di 500 m di porto con mucchi di carbone".
Sono previste tre fasi: da zero a cinque anni si fanno le cose già contenute nel piano regolatore e si progetta. Da cinque a dieci anni si cominciano a realizzare le strutture a mare. Negli altri dieci si chiude tutto. Letto così, sembrerebbe una sorta di libro onirico che non vedrà mai la luce. Ma, pur tra mille polemiche e discussioni, questo megaprogetto è la vera scommessa della città.
Ci si assume la responsabilità di programmare uno sviluppo ventennale per far diventare Genova la perla del Mediterraneo oppure si decide di tarparle le ali in maniera definitiva.
Questo piano sarà sostenuto da uno sviluppo infrastrutturale che prevede una serie di progetti concatenati. Ogni progetto è destinato a cadere se il Terzo Valico non sarà realizzato, se non verrà costruita la 'gronda' (il collegamento autostradale che 'salta' la città per passare da Ponente a Levante), se le Ferrovie non ultimeranno i piani di raddoppio. Ma anche su questo versante ci sono già i primi finanziamenti e una volontà ben definita di realizzare tutto.
Genova 04
La fase progettuale non ferma la crescita della città, nel senso che Genova si fa più bella e affronta il secondo appuntamento in tre anni (dopo il G8, l'anno della capitale europea della cultura) per sancire il salto di qualità da città poco conosciuta a città aperta. E con la cultura Genova gioca in casa perché qui sono transitati o hanno vissuto grandi scrittori (Stendhal, per esempio) e grandi artisti che lavoravano per i potenti di turno.
La mostra L'età di Rubens rappresenta uno di questi momenti magici. La rassegna di Chagall, la mostra Arte e Architettura, quella sui transatlantici, il Festival della Scienza sono i punti di forza di un anno di svolta.
Mai la città è stata invasa dai turisti come in questi mesi, mai è stata la sede di grandi convegni, di eventi sportivi e musicali di tali dimensioni, mai Genova ha dispiegato la forza della sua immagine su tante riviste e giornali.
Il ritmo della vita è cambiato. Non c'è più quel senso di isolamento e di abbandono che era palpabile soprattutto nei 'carruggi' del centro storico. Fino a qualche anno fa questa magnifica area era quasi impraticabile. Furti, scippi, rapine: la sera non era consigliabile circolare per le viuzze, pena un'aggressione o un assalto dalle sgradevoli conseguenze. Ora non è più così. Cultura e divertimento hanno trovato una felice sintesi.
La cattedrale di San Lorenzo non è più un simbolo nel deserto ma è stata affiancata dall'insediamento di una parte dell'università e dallo sviluppo dei poli museali. Palazzo Bianco, Palazzo Rosso e Palazzo Tursi (sede del Comune) rappresentano un circuito culturale estremamente virtuoso.
È un sistema integrato di preziosità artistiche sul quale sono piovuti finanziamenti per 15 milioni di euro pubblici e privati.
I musei di Strada Nuova hanno tenuto a battesimo come primo evento la mostra L'invenzione dei Rolli. Genova città dei palazzi. I Rolli sono il sistema di edifici privati che doveva essere messo a disposizione per accogliere le maggiori personalità in visita alla vecchia Repubblica marinara. In pratica in otto sale dentro Palazzo Tursi vengono esposti i quaranta disegni che Rubens fece durante il suo soggiorno genovese. Disegni inediti che riflettono lo splendore di quell'epoca e dai quali si capisce con estrema chiarezza come si viveva a Genova nel Cinquecento e nel Seicento.
Il centro storico rappresenta il cuore della città, dove al giardino segreto di Santa Maria di Castello fanno da contraltare il campus di Architettura sulla collina di Sarzano, il laboratorio di un'azienda che progetta robot, i cantieri navali, la galleria di arte contemporanea, il locale trendy, la vecchia friggitoria di Sottoripa: uno scenario fantastico per chi ci abita e per chi si avventura nei carruggi. Negli ultimi mesi sono nati tantissimi locali (ristoranti, caffè dove si legge e si beve, enoteche ….), tutto ciò che riflette la svolta di Genova, da città grigia a città viva, frenetica, ricca di stimoli culturali, aperta ai giovani che desiderano trascorrere una serata diversa e divertente.
Il futuro è legato a tutte queste componenti.
Una città per il futuro
La città si deve liberare del reticolo di un passato industriale che ha garantito migliaia di posti di lavoro ma non ha creato le condizioni per uno sviluppo diverso. Per anni il dibattito, un po' sterile, ha puntato sul rafforzamento di un sistema che stava cadendo a pezzi invece di immaginare un new deal. Adesso ci sono le condizioni per ripartire, per creare una piattaforma articolata sui nuovi orizzonti dell'economia e su alcuni frammenti della vecchia in grado di garantire delle buone opportunità.
Le imprese hi-tech, la ricerca di base, la cultura, il turismo, il porto, le infrastrutture, il divertimento possono consentire a Genova di uscire dalla fase di transizione in cui è rimasta appesa negli ultimi venti anni. 'Genova per noi' non è solo un verso musicale di un cantante-poeta ma una linea di movimento. I genovesi si stanno riappropriando delle radici della loro città. Hanno capito che la storia di Genova può trasformarsi in una grande occasione per il futuro.
La presenza di Renzo Piano, un architetto che ha inondato il mondo con idee e progetti, costituisce l'asso nella manica, una carta importante da giocare per conferire ai piani di crescita un tocco di originalità. La città va pensata, ed è pensata, in maniera diversa. Genova può entrare nel firmamento europeo, può essere uno degli approdi a cui sarà difficile rinunciare, come Barcellona, come Roma, come Venezia, come Londra, come Parigi. Ha bisogno di avere un simbolo, qualcosa che la renda affascinante e appetibile sotto tutti i punti di vista. Ha bisogno di essere messa nelle condizioni di poter ospitare i grandi geni della scienza e della tecnologia per diventare una capitale della ricerca scientifica e tecnologica. Senza gli uomini di talento è quasi impossibile immaginare uno sviluppo di alto livello.
Riposti nel cassetto i mugugni, vizio atavico dei genovesi, la città ha capito che la metamorfosi è realizzabile con l'iniziativa, l'investimento e le energie. E sta lavorando in questa direzione.
Il progetto Erzelli è uno dei punti forti di questa prospettiva. L'istituzione dell'IIT da parte del governo identifica questa città con la grande ricerca. Premi Nobel delle varie discipline fanno parte del comitato di gestione. Da qui a dieci anni non è inverosimile pensare che l'IIT diventi realmente quello che il MIT (Massachusetts institute of technology) è per gli Stati Uniti. Il messaggio è chiaro: "Dare spazio ai giovani ma con una ferrea meritocrazia". Le parole di Federico Capasso, uno dei maggiori fisici italiani, inventore del laser a cascata quantica, membro dell'IIT, ci richiamano a una realtà che va sovvertita. Una regione di anziani, come la Liguria, un paese di anziani come l'Italia, vanno trasformati creando nuove opportunità per i giovani. Se l'IIT arriva in Italia nel 2004, il MIT è stato fondato negli USA nel 1861. Siamo in ritardo ma possiamo farcela. Perché l'IIT a Genova attiverà un circuito virtuoso tra creazione della conoscenza, realizzazione tecnologica e germinazione di nuovi business. La debolezza italiana, ed europea in generale, è la chiusura del triangolo tecnologia-scienza-impresa. Il successo dell'IIT è legato al ruolo che deciderà di interpretare l'industria. Dunque, grandi investimenti, nuove risorse, per avere progetti strategici.
E tutto avverrà a Genova. Da qui partiranno gli input per l'innovazione. La città si propone come polo della nuova tecnologia. Ne avrà vantaggi per il proprio sviluppo, per i giovani, per tutti. Il salto di qualità è legato a questo filo d'Arianna che nessuno dovrà spezzare. È chiaro che i lavori in corso potranno raggiungere l'obiettivo a patto che la classe dirigente se ne faccia carico. Nessuno può porre veti o disseminare ostacoli sulla strada di uno sviluppo che non ha alternative.
Le Colombiadi del 1992 sono state la prima occasione non sfruttata per uscire dalla crisi incombente. I progetti varati in quella occasione non hanno avuto seguito perché non esisteva una strategia di crescita adeguata alle esigenze della città. Oggi le condizioni sono diverse. I due appuntamenti clou degli ultimi tre anni (il vertice del G8 del 2001 e la capitale europea della cultura del 2004) hanno spinto in modo diverso Genova verso obiettivi esaltanti.
È nato un movimento di idee e di progetti, di cui fanno parte uomini politici di diversa estrazione, imprenditori, intellettuali, giovani, che è destinato a rafforzarsi. L'interrogativo leniniano "che fare?" ha trovato molte risposte, tutte utili per consentire alla città di proporsi sulla ribalta nazionale e internazionale. Il florilegio di iniziative destinate a Genova conferma questo trend di sviluppo. La bellezza della città non è ormai un segreto custodito da chi ci abita ma è stato rivelato all'esterno. L'immagine viene esportata attraverso le grandi manifestazioni e anche su altri canali.
Il Porto Antico e i carruggi costituiscono l'ambiente ideale per fiction televisive, film per il grande schermo e spot per prodotti di livello internazionale. È un set privilegiato per chiunque si cimenti nel mondo dello spettacolo. È questo un segnale importante per il futuro, un indice di crescita della città a tutti i livelli.
Possiamo dire che Genova non è solo per noi ma per tutti.
repertorio
Cenni sulla storia e la topografia di Genova
Genova sorge nel punto più interno dell'arco litoraneo ligure a ridosso dell'Appennino, dove questo si abbassa e si apre in una serie di agevoli valichi che collegano la costa con il retroterra padano. Nel corso del suo sviluppo la città, avanzando dal mare verso i colli che la cingono ad anfiteatro, ha assunto una caratteristica forma a fuso, con propaggini risalenti le valli che solcano i versanti dell'Appennino.
A partire dal 5° secolo a.C. è testimoniato sulla collina di Castello un insediamento dei Liguri Genuates, che nella sottostante baia del Mandraccio disponeva di un porto naturale, protetto dai venti, presto divenuto fiorente emporio marittimo, base di traffici e di intensi rapporti con il mondo greco, etrusco e punico. Conteso fra i romani e i cartaginesi durante la seconda guerra punica, alla fine del 3°secolo a.C., l'insediamento divenne municipium romano, derivandone l'assetto urbanistico a fasce semicircolari concentriche e l'organizzazione del territorio con la suddivisione dei beni urbani (civitas e castrum) da quelli rustici (suburbium). Nel 2° secolo a.C., con la definizione del sistema viario romano, Genua acquistò importanza, venendosi a trovare all'innesto tra l'antica via Aurelia e la nuova via Postumia. Questo ruolo di snodo di traffici marittimi e terrestri fu conservato per tutta l'età romana.
Nel corso della guerra greco-gotica (535-553) Genova fu conquistata da Belisario. Rimase a lungo bizantina, anche dopo l'invasione longobarda. Tra il 642 e il 644 se ne impadronì Rotari. Nel successivo periodo longobardo la città riacquistò lentamente la sua importanza marittima quale capoluogo del ducato di Liguria; in età carolingia fu sede di contea e si segnalò nella lotta contro i pirati saraceni, le cui incursioni la danneggiarono gravemente nel 930 o 931, nel 934 e nel 935.
Con la dissoluzione dell'Impero carolingio, la contea di Genova divenne Marca Obertenga fino al 1056, quando l'accordo tra il vescovo e la nobiltà e la conseguente rinuncia dei marchesi alla propria giurisdizione diedero origine all'autonomia cittadina. Le antiche compagnie commerciali di rione si trasformarono in organismi amministrativi e militari autonomi fino a costituire una compagna communis (1099), di durata quadriennale, che accoglieva, oltre al vescovo, individui provenienti da ogni ceto in funzione della loro residenza cittadina.
In questo periodo la Repubblica di Genova estese il proprio dominio su tutta la Liguria e sulla Corsica affermandosi rapidamente come grande potenza commerciale e fondando il proprio sviluppo sull'indipendenza politica, sull'incontrastato possesso delle coste liguri e sul controllo dei valichi verso l'interno: premesse necessarie alla progressiva conquista dei mercati dell'Occidente. Nel frattempo le compagnie organizzarono, in alleanza con i pisani, le prime imprese marinare nel Mediterraneo, e alla fine dell'11° secolo, con il successo delle crociate private e della prima crociata ufficiale del Comune, diedero inizio all'espansione coloniale genovese nel Medio Oriente. Alla necessità di adeguare la situazione urbanistica alla grande crescita demografica ed economica corrisposero la costruzione della Ripa maris (1133) - un'infrastruttura commerciale marittima pubblica -, la divisione della città (1130-34) in due grandi aree a loro volta suddivise in otto 'compagne rionali', e infine, nel 1155, la realizzazione di una nuova più ampia cinta muraria, di cui rimangono la porta Soprana e la porta dei Vacca.
La presenza di una società sempre più privatistica e frantumata e il crescente peso finanziario delle imprese oltremare portarono, nel 1191, al passaggio del potere dalla collettività, rappresentata dalla struttura istituzionale della compagna communis, al podestà, tentando in questo modo di equilibrare lo scontro interno alle forze cittadine. Pochi anni dopo, con la definitiva vittoria del Comune sui feudatari del contado costretti a inurbarsi, le discordie si aggravarono, esprimendosi politicamente nell'antagonismo fra il partito guelfo (i Rampini) e quello ghibellino (i Mascherati). Il primo prevalse durante il regno di Federico II, che vide Genova, alleata a Venezia e al Pontefice, soccombere all'imperatore presso l'Isola del Giglio (1241), per poi risorgere rapidamente e imporre la sua volontà nel Concilio di Lione.
Dopo la morte di Federico II, contro il dominio delle casate feudali (Fieschi-Grimaldi e Doria-Spinola, rispettivamente guelfe e ghibelline) si affermò la borghesia che, nel 1257, capeggiata da Guglielmo Boccanegra, istituì il capitano del popolo. Ma il tentativo compiuto da Boccanegra di usare i poteri dittatoriali per un governo al di sopra delle classi sociali venne frustrato e la magistratura del capitano del popolo abbattuta. Nel 1270 s'instaurò, per un quindicennio, la 'diarchia' dei capitani del popolo Oberto Doria e Oberto Spinola, mentre la potenza marittima della città si affermava sovrana nel Mediterraneo, contro gli angioini, la Chiesa e la Repubblica di Pisa: quest'ultima, sopraffatta nella battaglia navale della Meloria (1284), fu costretta nel 1300 alla pace definitiva che consacrava il dominio di Genova nel Tirreno. Anche Venezia fu sconfitta nelle acque delle Curzolari, nel 1298; ma la vittoria non poté essere sfruttata politicamente dai genovesi, spossati dallo sforzo militare compiuto, nella pace di Milano, conclusasi grazie alla mediazione di Matteo Visconti (1299). Il vertiginoso aumento dell'intensità degli scambi che caratterizzò quel periodo orientò sempre più l'interesse alle strutture portuali e alla nascita di una vera e propria cultura urbanistica che si manifestò con la costruzione della Darsena a Pré, la fortificazione a ovest della porta dei Vacca e con l'istituzione di una magistratura con compiti di gestione urbanistica della zona del porto e dell'intera città.
Nel 1311 la città si diede in signoria all'imperatore Enrico VII; ma già nel 1318 i guelfi, guidati dai Fieschi e dai Grimaldi, s'impadronirono del potere, con l'aiuto di Roberto re di Napoli. Nel 1339 il movimento antinobiliare si concluse con la nomina a signore e doge a vita di Simone Boccanegra. Iniziava così il periodo dei dogi perpetui. Ma neanche questo istituto poté porre termine alle lotte tra famiglie nobiliari le quali, sebbene escluse dal dogato, continuavano ad avere un peso determinante nella politica cittadina. La florida situazione economica e la debolezza istituzionale esponevano Genova alla volontà di conquista degli altri Stati, arginata tramite un avvicendamento di protettorati tra i quali si ripeterono alternativamente quelli di Francia e di Milano. Per difendersi dai continui assedi, furono edificate le nuove mura in due fasi (1320-27 e 1347-50) arrivando a comprendere l'area identificata sin dai tempi dei romani nel raggio dei mille passi; le 'compagne' della città furono ulteriormente suddivise in 'conestagie' e lo sviluppo urbanistico si contraddistinse per la costruzione di una fitta rete di 'case torri' collegate da viali facilmente sbarrabili e controllabili. Il governo popolare instaurato nel 1356 nell'intervallo fra un protettorato di Milano e uno francese non riuscì a superare il confronto armato con Venezia nella guerra di Chioggia (1378-81), a conclusione della quale la pace di Torino trovò i genovesi allo stremo delle loro forze. La caduta di Costantinopoli in mano turca nel 1453 chiuse la grande politica coloniale della Repubblica che, sebbene rimanesse sempre emporio preminente del commercio mediterraneo, specie con le coste iberiche e africane, cessò di esistere come potenza navale.
Passata in mano ai francesi di Luigi XII all'inizio del 16° secolo, Genova seguì da allora in poi le fasi alterne delle lotte franco-imperiali per il predominio in Italia, durante le quali venne saccheggiata spietatamente dalle truppe imperiali (1522). Nel 1528 l'ammiraglio Andrea Doria, passando dalla parte francese a quella di Carlo V, ottenne il riconoscimento dell'autonomia alla città, di fronte alla quale si presentò in veste di liberatore. Fu allora introdotta una nuova costituzione (dei dogi biennali), con prevalenza della vecchia aristocrazia, ma con riconoscimenti alla nuova di origine borghese, iscritta al liber civitatis.
L'alleanza tra Andrea Doria e l'impero spagnolo di Carlo V aprì il cosiddetto 'secolo d'oro', caratterizzato dallo straordinario slancio verso gli investimenti finanziari in tutta Europa e quindi dal potere economico-finanziario dei banchieri e degli armatori genovesi cui corrispose, in città, la costruzione di splendide ville e palazzi nobiliari. In questo periodo si colloca il progetto di Strada Nuova, tra piazza Fontane Marose e piazza della Meridiana, in una zona periferica poco edificata e non lontana dal centro mercantile. Frutto di una concezione urbanistica totalmente innovativa rispetto alla tradizionale sistemazione dei percorsi urbani della città, Strada Nuova si distingue per l'ampiezza del piano stradale rettilineo e, soprattutto, per l'armonia tra la larghezza del tracciato e l'altezza dei suoi 13 palazzi. Dieci di essi risalgono alla seconda metà del Cinquecento e furono costruiti contemporaneamente alla strada da architetti diversi per le grandi famiglie genovesi (tra le quali Spinola, Lomellini, Grimaldi), che fecero di questa via il proprio quartiere residenziale. Testimone di questo particolare momento storico-artistico fu Peter Paul Rubens che nei primi decenni del Seicento, durante il suo soggiorno nella 'Superba', riprodusse e pubblicò ne I Palazzi di Genova disegni, spaccati e piante di nove palazzi di Strada Nuova, simbolo della stagione di massimo splendore del patriziato locale che volle celebrare il proprio prestigio chiamando i maggiori rappresentanti dell'arte italiana ed europea.
Se Andrea Doria poté mantenere il suo potere nonostante le congiure interne e l'indipendenza della Repubblica contro le pretese di Carlo V, non accadde lo stesso per i suoi successori, minacciati dalle mire annessionistiche dei Savoia e dallo scontro tra Spagna e Francia. Nell'ottica di difendere la propria autonomia anche in caso di definitiva rottura con l'alleato spagnolo e grazie all'impegno finanziario pubblico unito a quello privato dei nobili e dei ceti subalterni, nel 1626 vennero costruite le nuove mura della città e, benché il traffico portuale fosse in netto calo, per proteggere il porto dalle tempeste di libeccio fu realizzato il Molo Nuovo.
Nel 1684, avendo rifiutato di disarmare la propria flotta secondo le intimazioni della Francia, Genova resistette al bombardamento ininterrotto cui la sottopose dal mare la flotta francese, che distrusse intere zone da Banchi a Castello e tutta la collina di S. Andrea; isolata diplomaticamente, l'anno successivo la Repubblica dovette cedere alle richieste del re e inviare il doge a umiliarsi a Versailles. Cominciò da questo momento un lungo periodo di legami sempre più stretti con la Francia che coinvolse Genova nelle lotte contro l'impero austriaco. La città fu così occupata nel 1746 dagli imperiali ma si liberò grazie alla rivolta popolare - iniziata secondo la leggenda da Balilla - e mantenne il proprio governo come Repubblica aristocratica fino al 1797, quando ebbe inizio la Repubblica democratica ligure voluta da Napoleone su modello francese.
Nel 1805, proclamatosi Napoleone re d'Italia e imperatore di Francia, si annetté anche la Repubblica ligure ma, dopo la sua sconfitta, il congresso di Vienna, fallito il tentativo di restaurare la vecchia Repubblica, assegnò Genova al Regno di Sardegna, che l'occupò nel gennaio 1815. Il gretto e oppressivo conservatorismo dell'amministrazione piemontese fece della città, nei decenni seguenti, un centro di azione antigovernativa. Sotto Cavour, Genova perdette il porto militare, restando tuttavia il principale emporio marittimo del Piemonte: e tale rimase anche dopo l'incorporazione nel nuovo Stato italiano, potenziando la sua naturale funzione economica attraverso un rapido progresso industriale e commerciale.
Nella sua espansione l'abitato inglobò una serie di Comuni limitrofi, soprattutto costieri, annessi poi in tempi diversi (un primo gruppo nel 1874 e un secondo nel 1926) anche a livello amministrativo. Si trattava però di Comuni che avevano spesso assunto caratteristiche urbane e funzioni proprie, sia industriali (come Sampierdarena, Sestri Ponente, Voltri), sia turistiche (come Sestri Levante, Nervi, Pegli), cosicché la loro annessione creò notevoli squilibri nella fisionomia globale di quella che nel 1926 divenne la 'Grande Genova' del regime fascista. Questa particolare morfologia urbana ha condizionato infatti i rapporti centro-periferia: l'allineamento simmetrico di insediamenti sulle due Riviere al posto della classica 'cintura' periferica ha reso il centro cittadino difficilmente accessibile e ha inoltre alimentato nelle aree estreme un forte spirito autonomistico.
Ebbe origine alla metà dell'Ottocento, quando la città fu investita delle profonde trasformazioni economiche suscitate dalla prima rivoluzione industriale, anche la profonda differenza funzionale tra la periferia del Levante, a carattere residenziale, e quella del Ponente, formata da quartieri industriali, che è proseguita fino a oggi, seppure con ritmi e connotazioni diversi nel tempo. Il passaggio da un'economia basata oltre che sul commercio marittimo su un artigianato specializzato nelle lavorazioni di pregio, al quale erano sufficienti gli spazi ridotti della città vecchia, a un'economia industriale, che aveva invece bisogno di ampie aree per la localizzazione degli impianti e per ospitare la manodopera, proiettò le strutture produttive verso il Ponente cittadino. Qui, per la vicinanza del porto, che riforniva le industrie di materie prime, e per la presenza di aree pianeggianti nella bassa Val Polcevera, la quale rappresentava anche la via più breve e agevole verso il retroterra padano, si trovavano riunite le condizioni migliori per soddisfare le esigenze dettate dal nuovo profilo funzionale della città. Si localizzarono in questa zona le prime industrie manifatturiere (alimentari, del legno, della carta, saponifici, cementifici) e anche alcune industrie di base come quella siderurgica (il cui nucleo originario fu l'Ansaldo, fondata nel 1852) a supporto della produzione cantieristica. Più tardi, in concomitanza con l'afflusso di idrocarburi (che divennero ben presto la voce più importante del movimento marittimo), si aggiunsero le industrie petrolchimiche.
L'aumento del volume dei traffici rendeva sempre più pressante l'esigenza di un rinnovamento del porto, cosicché il Consorzio autonomo, fondato nel 1903, provvide ad attrezzare, in tempi diversi, successivi tratti costieri verso occidente, mentre procedeva di pari passo l'industrializzazione della breve cimosa litoranea corrispondente. Dopo il 1945 si diede sistemazione al grande complesso siderurgico dell'Italsider a Cornigliano, colmando un tratto di mare, e si progettò (1964) un ampliamento del porto fino a Voltri. Il processo di industrializzazione provocò un forte afflusso di manodopera e la conseguente richiesta di alloggi popolari. Buona parte dell'edilizia economica si localizzò accanto alle industrie, mentre anche il centro storico diveniva residenza delle classi operaie; per le sue condizioni fatiscenti e malsane esso veniva infatti abbandonato progressivamente dalle classi più abbienti, che preferivano i nuovi quartieri della città alta o quelli del Levante cittadino. A oriente, infatti, la distanza dallo scalo marittimo e la difficoltà di comunicazioni con il retroterra avevano reso antieconomica ogni iniziativa industriale, imprimendo ai quartieri una fisionomia residenziale favorita dalla presenza di numerose antiche ville e dalla vicinanza di località climatiche di fama internazionale come Nervi o Rapallo.
Negli anni Sessanta l'aumento dei traffici portuali e la continua espansione dell'economia indussero a ipotizzare (e in certa misura a realizzare) un decentramento industriale oltre l'Appennino, nella media Valle Scrivia, dove si sarebbero potute trovare quelle aree di cui era carente il versante a mare. Ma la crisi della siderurgia, della cantieristica e del settore petrolifero hanno ridimensionato fortemente la domanda di spazio, mentre il nuovo profilo funzionale, con la valorizzazione del terziario avanzato (soprattutto l'impiantistica, la robotica, la consulenza per il commercio internazionale e per l'economia marittima in genere), ha cambiato rapidamente la fisionomia della città. In quest'ottica si sono realizzate alcune strutture innovatrici: innanzitutto la metropolitana, a supporto della strada sopraelevata costruita (ancora negli anni Sessanta) a ridosso del porto.
L'offerta di spazi venutasi a determinare, soprattutto in Val Polcevera, con la crisi della grande industria statale e del suo indotto ha spinto a una riorganizzazione delle industrie medie e piccole, lasciando pure un certo spazio alle attività artigianali. Si è potuto anche programmare lo spostamento in queste aree di attività terziarie, oggi localizzate nel centro della città e che contribuiscono in larga parte al suo congestionamento. Accanto a queste iniziative, un più razionale sistema di collegamento tra Val Polcevera e Val Bisagno, con il conseguente snellimento del traffico, contribuirà a salvaguardare la città vecchia con i suoi palazzi a gradinata, le vie in salita, le scalinate, le caratteristiche funicolari, e il centro storico con i 'carruggi' e gli alti palazzi eredi delle medievali 'case torri'.
Agli inizi del terzo millennio, dopo una fase di declino economico e demografico (Genova ha attualmente circa 650.000 abitanti), si assiste a una ripresa e a un crescendo esponenziale dei traffici e del ruolo portuale, ai quali si affianca un'intensa attività di recupero dei maggiori monumenti e di creazione di nuovi spazi museali, avviata in occasione delle celebrazioni colombiane del 1992. Il porto ha avuto ancora una volta funzione di fulcro: tornato a essere il più importante del Mediterraneo, è luogo di attività commerciali e industriali, ma anche punto di arrivo e di passaggio per il turismo che nella parte storica ristrutturata, il Porto Antico, trova un'area turistico-culturale per eccellenza. Nel nuovo disegno economico-strategico della città, inoltre, si va affermando sempre più un'economia a carattere tecnologico, legata all'elettronica e all'informatica, di carattere privato o multinazionale.
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Le capitali europee della cultura
In base a una risoluzione del 13 giugno 1985 ogni anno i governi dell'Unione Europea nominano una o più città 'capitale europea della cultura'. La manifestazione vuole "essere l'espressione di una cultura caratterizzata, nella sua formazione storica e nel suo sviluppo contemporaneo, dal fatto di possedere al contempo elementi comuni e una ricchezza generata dalla diversità" e si propone di rendere accessibile al pubblico europeo aspetti particolari della cultura della città, della regione o del paese interessato, promuovendo un nutrito programma di eventi culturali e di scambi artistici in tutti i settori.
Il Trattato di Maastricht del 1992 ha ribadito e precisato questo concetto. Successivamente la manifestazione è stata inserita nell'ambito delle azioni comunitarie in campo culturale, così come previsto dall'art. 151 del Trattato di Amsterdam, in vigore dal 1° maggio 1999. In tale nuovo contesto, è stata adottata la Decisione 1419/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che regola le modalità di candidatura e di selezione delle città interessate per il periodo 2005-2019.
Genova e Lille, nominate capitali europee della cultura dai governi dell'Unione Europea il 28 maggio 1998, sono quindi le ultime città a essere state designate secondo la vecchia procedura intergovernativa che non era ancorata a precisi parametri predefiniti, ma veniva presa dai rappresentanti degli Stati membri.
La nuova procedura di designazione adottata a partire dal 2005 prevede invece che ciascuno Stato membro a turno ospiti la capitale europea della cultura dopo aver presentato la propria candidatura tramite un progetto, di dimensione europea, basato soprattutto sulla cooperazione culturale, i cui obiettivi principali siano: evidenziare le correnti culturali comuni agli europei; promuovere manifestazioni che coinvolgano operatori culturali di altre città degli Stati membri; assicurare la mobilitazione e la partecipazione al progetto di ampi settori della popolazione; promuovere il dialogo tra le culture dell'Europa e le altre culture del mondo; valorizzare il patrimonio storico e architettonico urbano, nonché la qualità della vita nella città. Ogni città designata dovrà inoltre tenere conto dei criteri di pianificazione e di valutazione specificamente indicati nella Decisione istitutiva: la realizzazione di manifestazioni e creazioni artistiche; la valorizzazione delle personalità e degli eventi che hanno contraddistinto la storia e la cultura della città; la realizzazione di progetti culturali che favoriscano l'accesso dei giovani alla cultura o che siano volti a rafforzare la coesione sociale e lo sviluppo dell'attività economica, in particolare dell'occupazione e del turismo.
Inizierà la nuova serie l'Irlanda con Cork nel 2005, seguiranno la Grecia con Patrasso nel 2006, Lussemburgo nel 2007, il Regno Unito con Liverpool nel 2008, poi Austria (2009), Germania (2010), Finlandia (2011), Portogallo (2012), Francia (2013), Svezia (2014), Belgio (2015), Spagna (2016), Danimarca (2017), Paesi Bassi (2018), Italia (2019).
Da quando la manifestazione ha avuto inizio sono state capitali europee della cultura: Atene (1985), Firenze (1986), Amsterdam (1987), Berlino (1988), Parigi (1989), Glasgow (1990), Dublino (1991), Madrid (1992), Anversa (1993), Lisbona (1994), Lussemburgo (1995), Copenaghen (1996), Salonicco (1997), Stoccolma (1998), Weimar (1999), Avignone, Bergen, Bologna, Bruxelles, Cracovia, Helsinki, Praga, Reykjavik e Santiago de Compostela (2000), Rotterdam e Porto (2001), Bruges e Salamanca (2002), Graz (2003).