Geologia stratigrafica
SOMMARIO: 1. Introduzione e brevi cenni storici. 2. L'impatto della ricerca petrolifera sullo sviluppo della stratigrafia. 3. Natura e significato della stratificazione nelle rocce sedimentarie. 4. Continuità e discontinuità nelle successioni stratigrafiche. 5. Diversi tipi di unità stratigrafiche: a) unità litostratigrafiche; b) unità biostratigrafiche; c) unità cronostratigrafiche. 6. La Commissione Internazionale di Stratigrafia. 7. Nuovi metodi di indagine: a) stratigrafia paleomagnetica; b) stratigrafia isotopica; c) stratigrafia sismica e stratigrafia sequenziale; d) chemiostratigrafia; e) stratigrafia degli eventi. 8. La situazione attuale: le perforazioni oceaniche e lo sviluppo della stratigrafia integrata. □ Bibliografia.
1. Introduzione e brevi cenni storici
La geologia stratigrafica, o stratigrafia, è - come si desume dall'etimologia di tale termine - la scienza che si occupa di studiare e descrivere gli strati rocciosi che costituiscono la crosta terrestre, la loro organizzazione in unità distinte, cartografabili sulla base delle loro intrinseche proprietà e attributi, e la loro distribuzione e interpretazione rispetto alla storia geologica.
La nascita di questa scienza può esser fatta risalire a circa tre secoli fa. Tra gli scienziati che hanno avuto un ruolo fondamentale in questo campo, è giusto ricordare per primo il danese Niels Steensen, noto anche come Nicolaus Steno o Nicola Stenone (1638-1686), un medico e naturalista celebre per l'opera De solido, con la quale gettò le basi della geologia e della paleontologia. Benché tale opera sia stata pubblicata a Firenze nel 1669, la ‛data di nascita' della geologia è generalmente fatta risalire al 1776, allorché la polemica fra ‛plutonisti' e ‛nettunisti' - capeggiati rispettivamente da James Hutton e Abraham G. Werner - raggiunse il suo apice. Tra gli altri scienziati che hanno contribuito alla nascita di questa scienza, ricordiamo William Smith (detto Strata) e il veneto Giovanni Arduino, che già nel 1759 aveva introdotto - seppur con definizioni talmente primitive da farci sorridere - l'uso dei quattro termini divenuti poi tipici della stratigrafia: Primario, Secondario, Terziario e Quaternario.
Nella sua forma più elementare, la stratigrafia si occupa delle rocce sedimentarie che si trovano nelle porzioni più esterne della crosta terrestre, e i principî classici su cui si basa sono pochi e semplici: il principio di sovrapposizione di Stenone, il principio di correlazione e la legge di Walter sulle relazioni delle facies. Gli strati (di roccia, di sedimenti inconsolidati, di ghiaccio) riflettono l'ambiente e il clima del tempo in cui si sono deposti. Ogni strato è caratterizzato da proprietà litologiche particolari e attributi che permettono di distinguerlo da strati adiacenti. Le successioni stratigrafiche - sia quelle deposte in fondo al mare sia quelle continentali - possono essere continue o possono presentare discontinuità di diversa natura e di diversa durata.
Già da questi brevi cenni risulta che la stratigrafia oggi non è più soltanto descrittiva, ma è una scienza vasta e complessa, a carattere sintetico, non analitico: gli stratigrafi attualmente sono scienziati con competenze diverse in grado di utilizzare i molteplici metodi stratigrafici che si sono andati sviluppando negli ultimi decenni e di interpretarne i risultati organizzandoli in una ‛stratigrafia integrata'.
Il concetto di tempo è comunque fondamentale nella geologia stratigrafica, e può essere inteso in modi diversi: o come successione di eventi verificatisi in un certo ambito; oppure come durata, per il cui calcolo vengono utilizzati metodi di datazione radiometrica (v. geochimica, vol. III); oppure ancora come correlazione di storie diverse, verificatesi in bacini sedimentari separati, talora in continenti lontani.
Ricade nell'ambito della stratigrafia anche la ricostruzione della storia della Terra, in quanto è proprio la stratigrafia che riesce a fornire un quadro generale di riferimento. È per tale ragione che anche eventi magmatici, metamorfici e strutturali rientrano nel campo della stratigrafia moderna.
2. L'impatto della ricerca petrolifera sullo sviluppo della stratigrafia
La ricerca petrolifera ha avuto un ruolo fondamentale nel rinnovamento dell'approccio metodologico alla stratigrafia. Si è passati, negli anni fra le due guerre mondiali, da una scienza tipicamente accademica e museale - che impiegava molti anni, o addirittura decenni, nell'effettuare il rilievo delle successioni stratigrafiche, la raccolta e lo studio dei fossili, il confronto e la correlazione con tutte le conoscenze disponibili per l'intervallo di tempo preso in considerazione - a un tipo di lavoro che doveva tener conto delle esigenze dell'industria, le quali imponevano di raggiungere dei risultati nel più breve tempo possibile sia nella fase di impostazione della ricerca petrolifera, sia, specialmente, durante l'esecuzione dei sondaggi. Occorre ricordare che l'individuazione dei bacini dai quali si estrae il petrolio si basa su affioramenti di riferimento che sono in certi casi tanto distanti (centinaia di chilometri) da rendere problematica la correlazione, strato per strato, con ciò che affiora ai margini del bacino. In altre parole, si è dovuto escogitare un metodo attendibile, il più dettagliato possibile ma semplice e sicuro, per identificare l'età dei sedimenti incontrati nelle perforazioni. È stata perciò sviluppata la micropaleontologia, ossia lo studio dei microfossili, comunissimi nei sedimenti marini e in certi casi anche in quelli continentali o di ambiente transizionale: questa scienza è risultata di grande importanza, in quanto ha permesso di far luce sul tempo, inteso non tanto come durata quanto come successione e come correlazione. Si sono studiati - relativamente al Mesozoico e al Cenozoico - dapprima i Foraminiferi nei sedimenti marini, successivamente i nannofossili calcarei: ostracodi, pollini e spore nei depositi continentali, alghe calcaree e grandi foraminiferi nei calcari di scogliera. Ma il petrolio si trova anche in formazioni più antiche e val la pena di ricordare che lo studio di certi gruppi di microfossili di incerta posizione sistematica, come per esempio i Chitinozoi, ha fatto grandi passi avanti proprio perché nei giacimenti del Sahara algerino, produttivi dal Paleozoico inferiore, questi microfossili sono gli unici presenti e mostrano variazioni significative nel corso del tempo.
Purtroppo, i micropaleontologi che lavorano nell'industria solo raramente dispongono di carote estratte appositamente per controllare la stratigrafia: nella maggior parte dei casi lavorano su cuttings, ossia su piccole quantità di minuti frammenti di roccia contenuti nel fango di perforazione e perciò soggetti a contaminazione. Inoltre, le suddivisioni effettuate dai micropaleontologi (zonazioni) non seguono i dettami della Commissione Internazionale di Stratigrafia (v. cap. 6), ma sono per la maggior parte informali, di uso locale: la loro finalità è quella di suddividere il tempo (rappresentato dalle successioni stratigrafiche incontrate nei pozzi) nel maggior numero possibile di intervalli riconoscibili in modo sicuro, con un ridotto margine di errore. Così la ricerca stratigrafica moderna ha un po' messo da parte lo studio dei macrofossili, un tempo prevalente, a favore di quello dei microfossili, i quali non solo sono molto più comuni e più facilmente estraibili dai sedimenti, ma inoltre spesso formano una successione praticamente continua.
Tutte le compagnie petrolifere si sono avvalse di micropaleontologi, specialisti dei vari gruppi di microfossili e dei vari intervalli stratigrafici. Sono state pubblicate riviste specializzate e vi è stata, da parte delle stesse compagnie petrolifere, una produzione scientifica assai interessante in questo settore. L'industria petrolifera ha inoltre contribuito in modo fondamentale allo sviluppo della ‛stratigrafia sismica' e della ‛stratigrafia sequenziale' a essa associata (v. cap. 7, § c).
Se non ci fossero stati l'industria petrolifera e gli immani investimenti da essa compiuti per ricostruire la geometria degli strati sepolti ed effettuare le conseguenti analisi di bacino, nessuno avrebbe a disposizione le costosissime linee sismiche multitraccia necessarie a suddividere e identificare le unità sismostratigrafiche. È necessario, infine, ricordare che proprio nell'ambito della ricerca petrolifera si sono sviluppati i vari tipi di carotaggi (elettrici, radioattivi, geochimici) effettuati dopo l'esecuzione del sondaggio, che permettono di ricostruire una stratigrafia indiretta (basata non sull'osservazione diretta del sedimento, ma sulla registrazione di parametri fisici e/o chimici) di grandissimo dettaglio. Ma di ciò parleremo più avanti, trattando delle ricerche condotte sui fondi oceanici.
3. Natura e significato della stratificazione nelle rocce sedimentarie
Le rocce sedimentarie sono generalmente stratificate, tranne nei seguenti casi: a) calcari bioermali, dovuti alla crescita di colonie di organismi su bassi fondali (calcari di scogliera sensu stricto, che hanno sviluppo limitato nel tempo e nello spazio); b) depositi glaciali, tipici dell'ambiente continentale nelle aree glacializzate; c) accumuli di frana, anch'essi continentali e di limitato sviluppo laterale; d) materiale sedimentario intruso o estruso in connessione a fenomeni diapirici (diapiri e vulcani di fango, che si trovano sia in mare che sulla terraferma). Per la grande maggioranza, tuttavia, i depositi sedimentari si presentano tipicamente in strati piano-paralleli, talvolta con una straordinaria continuità laterale e con ripetizioni cicliche praticamente identiche replicate decine o addirittura centinaia di volte (v. figg. 1 e 2).
Qual è, allora, il fattore che controlla la stratificazione? Per poter rispondere a questa domanda dobbiamo esaminare in maggior dettaglio la natura dei diversi strati.
Vi sono strati lenticolari, che presentano stratificazione massiccia, con una potenza di diversi metri, con forti variazioni laterali di spessore; è questo il caso dei sedimenti alluvionali, deposti lungo l'alveo fluviale in conseguenza del variare della capacità di trasporto nel corso del tempo. Questi strati si chiudono a becco di flauto contro un margine in rilievo, dandoci delle preziose indicazioni riguardo alla preesistenza di dislivelli fra le varie porzioni di un bacino. Vi sono poi strati sottilissimi, chiamati lamine, che riflettono il variare delle condizioni di sedimentazione nelle diverse stagioni: tipiche al proposito le varve, studiate per la prima volta nel 1915, nel sud della Svezia, da Gerard Jakob De Geer, il quale poté così datare l'ultima deglaciazione e calcolare la velocità di ritiro della calotta glaciale che allora ricopriva la penisola scandinava. Si tratta di depositi caratteristici dei laghi periglaciali, soggetti al gelo nella stagione invernale. La compresenza di un sedimento chiaro, spesso, terrigeno e bene ossigenato, e di uno scuro, sottile, ricco di sostanza organica, documenta il variare delle stagioni, con l'estate caratterizzata da un abbondante apporto terrigeno dovuto alla fusione del ghiacciaio e l'inverno da condizioni di cattiva ossigenazione dei depositi (essendo la superficie del lago ghiacciata), senza apporto terrigeno.
Strati deposti con ciclicità annuale possono essere anche molto più spessi, fino a 10-20 centimetri: è questo il caso dei depositi di salgemma del Permiano superiore nello Zechstein o del Messiniano nella Sicilia meridionale (Miocene superiore). Il sale è una deposizione tipicamente estiva, in quanto l'evaporazione è più forte; il sottile intervallo terrigeno caratterizza invece la deposizione invernale. Sia i depositi dei laghi periglaciali, sia la sedimentazione evaporitica da salamoie sovrasature rappresentano, tuttavia, dei casi eccezionali, e si riscontrano in aree limitate.
Ben diverso è il carattere delle rocce stratificate illustrate nelle figg. 1 e 2, con strati regolari, spessi una decina di centimetri o più, che possono essere seguiti per decine di chilometri; sono questi che si prestano agli studi di ‛ciclostratigrafia' e che hanno costituito un rompicapo per generazioni di geologi. La monotonia delle successioni, la ripetitività dei cicli, l'apparente assenza di ogni variazione nell'ambiente deposizionale rendevano infatti difficile trovarne una spiegazione plausibile. In molti casi gli strati hanno la stessa composizione, magari anche lo stesso colore, e non si riusciva a capire perché si interrompessero per poi ricominciare a deporsi nello stesso modo. Questo tipo di stratificazione è caratteristico dei depositi di mare aperto e profondo, nell'ambiente oceanico, dove le variazioni laterali sono improbabili e quelle verticali avvengono esclusivamente in funzione del tempo. Negli affioramenti la stratificazione è individuabile grazie all'alterazione superficiale, che dà luogo a un'erosione selettiva degli strati più teneri. La stratificazione di questo tipo viene oggi interpretata come la conseguenza di variazioni astronomiche, cioè di piccole ma periodiche variazioni dei vari parametri che controllano la rotazione terrestre. Si parla quindi anche di ‛ciclostratigrafia astronomica' o addirittura di ‛astrostratigrafia'. Tali variazioni sono note come ‛cicli di Milankovič', dal nome dell'astronomo serbo Milutin Milankovič, il quale nel 1920 costruì una curva, chiamata appunto ‛curva di Milankovič', che mostrava le variazioni della costante solare nel Quaternario (v. anche clima, vol. X). I parametri orbitali che influenzano la periodicità delle variazioni sono tre: 1) eccentricità dell'orbita (periodicità 100.000 anni o più); 2) obliquità dell'asse di rotazione terrestre (41.000 anni); 3) precessione degli equinozi (23.000 e 19.000 anni).
Questa curva, accolta a suo tempo con grande entusiasmo dai quaternaristi ma con scetticismo dalla comunità scientifica in generale, ha avuto delle conferme sbalorditive allorché il metodo degli isotopi stabili è stato applicato allo studio delle carote di mare profondo.
A questo proposito è giusto ricordare che già nel 1895 (ossia molto prima che si disponesse di una cronologia geologica affidabile) l'americano Grove K. Gilbert, colpito dalla eccezionale regolarità degli strati delle successioni cretacee del Colorado, aveva avanzato l'ipotesi che la stratificazione fosse controllata da parametri orbitali, e aveva proposto una periodicità di 21.000 anni, ossia del 3° tipo di Milankovič.
Nei carotaggi di mare profondo e nelle perforazioni oceaniche la stratificazione ciclica non si vede, e per documentare le variazioni occorre misurare o contare qualche ‛oggetto geologico'. Fra i pionieri in questo campo va ricordato G. Svante Arrhenius, che nel 1952 mise in evidenza variazioni cicliche nel tenore in carbonati nel Pacifico equatoriale, da lui attribuite a variazioni periodiche della produttività organica.
In tutti i casi di studi ciclostratigrafici si ritiene indispensabile disporre di un sicuro controllo cronologico per poter calcolare in modo affidabile la velocità di sedimentazione: la sola biostratigrafia non è considerata sufficiente e deve pertanto essere affiancata dalla stratigrafia paleomagnetica. Una volta scelto il parametro da misurare (composizione isotopica o tenore in CaCO3, conteggi di singole specie di Foraminiferi planctonici o di coccoliti) si effettuano analisi spettrali per stabilire quale dei parametri orbitali sia dominante, o se siano implicati più parametri.
Negli anni novanta, comunque, non è ancora stato chiarito come mai cicli astronomici caratteristici del Quaternario, ossia di un periodo contraddistinto da fortissime escursioni climatiche, con glaciazioni sia nell'emisfero australe che in quello boreale, possano essersi verificati anche nel Cretaceo, periodo contraddistinto da condizioni climatiche più uniformi di quelle attuali, con temperature molto più alte, senza glaciazioni conosciute in nessuna parte del mondo.
4. Continuità e discontinuità nelle successioni stratigrafiche
Una successione sedimentaria è considerata continua se presenta le seguenti caratteristiche: a) non mostra discordanze angolari fra i vari pacchi di strati; b) non contiene ovvie superfici di erosione; c) non contiene strati induriti e mineralizzati (hard grounds) o prove di sedimentazione condensata; d) contiene tutte le unità biostratigrafiche (biozone) conosciute per quell'intervallo di tempo, ammesso che le condizioni ambientali siano state favorevoli.
Le discontinuità possono essere palesi oppure oscure: nel secondo caso sono molto più difficili da dimostrare. Il ‛tempo geologico' mancante in corrispondenza di una discontinuità può essere breve (poche decine di migliaia di anni), ma anche molto lungo, fino a cento milioni di anni o più: ad esempio, nel sud della Finlandia rocce ad alto grado di metamorfismo o graniti del Precambriano, risalenti quindi a oltre 530 milioni di anni (Ma), sono direttamente ricoperti da sedimenti del Quaternario, di età, dunque, recentissima. Il ‛tempo' mancante viene chiamato lacuna, o hiatus, e può corrispondere a condizioni subaeree (sulle terre emerse) o subacquee.
Si parla di discordanza angolare (angular unconformity) per indicare una discontinuità che si presenta con una deviazione dal parallelismo fra gli strati deposti prima e dopo la discontinuità stessa: ciò presuppone che sia avvenuta una dislocazione tettonica durante la lacuna di sedimentazione, ma non richiede necessariamente un tempo lungo se l'area considerata è geodinamicamente attiva. Anche in Italia esistono esempi di discordanze angolari fra diverse successioni del Quaternario, dunque separate da lacune di breve durata. Si parla invece di discordanza semplice (disconformity) nei casi in cui sia conservato il parallelismo degli strati prima e dopo l'evento.
Le lacune di sedimentazione sui margini continentali passivi sono attribuite alle variazioni del livello del mare che provocano avanzate e ritiri della linea di costa (per un'analisi più dettagliata di questo tipo di lacune, v. cap. 7, § c).
Superfici di erosione, osservate spesso in corrispondenza di discordanze semplici, possono essersi formate in ambiente subaereo, ma spesso sono sottomarine. La storia degli oceani, e specialmente dei margini oceanici, è costellata di episodi erosivi avvenuti a profondità di migliaia di metri, dovuti a correnti di torbida (che si muovono rapidamente, ma occasionalmente, dall'alto in basso) o a correnti di tipo geostrofico, termoaline (che si muovono più lentamente ma con continuità lungo la stessa isobata). La più marcata delle erosioni del secondo tipo si è verificata all'inizio dell'Oligocene, quando con l'apertura del Drake Passage (a sud della Patagonia) si è stabilita per la prima volta una corrente circumantartica accompagnata da un netto deterioramento climatico e da un drastico incremento dei gradienti meridiani in Atlantico.
Nelle discontinuità subaeree si nota spesso la presenza di paleosuoli, o il brusco passaggio da una facies tipica di un ambiente sedimentario a quella di un altro, sempre di tipo continentale. Nelle discontinuità sottomarine tra formazioni rocciose che non sono mai emerse si possono riscontrare livelli o noduli fosfatici, oppure hard grounds, ricchi di ferro e di manganese, ma contenenti talvolta anche materiale di origine extraterrestre. Questi hard grounds hanno grande interesse stratigrafico in quanto sono spesso ricchi di fossili, con elevate concentrazioni dei frammenti di dimensioni più grandi. Dato il loro modesto spessore (da qualche millimetro a qualche centimetro) e la discontinuità laterale, sono difficili da reperire e studiare. Spesso si accompagnano a serie condensate, nelle quali gran parte del sedimento è stato rimosso da deboli correnti di fondo o per parziale dissoluzione.
5. Diversi tipi di unità stratigrafiche
Nella classificazione delle rocce terrestri vengono indicati come ‛unità stratigrafiche' corpi rocciosi raggruppabili in base a qualche particolare proprietà o attributo. Esistono quindi diverse categorie di unità stratigrafiche, a seconda dei parametri che si prendono in considerazione: la costituzione litologica (litostratigrafia), il contenuto fossilifero (biostratigrafia), il tempo rappresentato (cronostratigrafia). In altre parole, si tratta sempre di un insieme di strati in successione che si distinguono da quelli adiacenti (al di sopra e al di sotto) o per la diversa composizione litologica, o per il diverso contenuto fossilifero, o per la diversa età. Vi sono poi le unità geocronologiche, che si differenziano da quelle cronostratigrafiche soltanto concettualmente, in quanto rappresentano il tempo tout court, non un insieme di strati depostisi in quel lasso di tempo.
I nuovi metodi introdotti nella stratigrafia negli ultimi decenni hanno portato alla distinzione di altre categorie di unità stratigrafiche, quali ad esempio quelle sismostratigrafiche, quelle magnetostratigrafiche, o quelle chemiostratigrafiche; tutte queste unità vengono generalmente contraddistinte da numeri.
Nell'ambito delle varie categorie le unità vengono distinte gerarchicamente, passando dalle caratteristiche più generiche a quelle più specifiche.
a) Unità litostratigrafiche.
Le caratteristiche che vengono considerate per definire le unità litostratigrafiche sono la costituzione litologica e la posizione stratigrafica. L'unità-base è la ‛formazione', che per definizione deve essere cartografabile alla scala 1:100.000/1:50.000 e quindi avere uno spessore di almeno diverse decine di metri; inoltre deve esistere una sequenza di strati che costituiscano lo standard di riferimento per quella unità (stratotipo, o sezione tipo). La nomenclatura delle unità litostratigrafiche è binomia: il primo nome deriva dalla litologia dominante, il secondo dalla località-tipo (ad es., Dolomia del Serla, del Trias medio di una località nelle Dolomiti). In mancanza di una litologia dominante, queste unità vengono chiamate formazioni e individuate sulla base del nome della località-tipo, (ad es., Formazione Acquenere dell'Oligocene del Monte Baldo). Le unità litostratigrafiche devono avere dei limiti ben definiti e riconoscibili sul terreno.
Se in una unità si riscontra la presenza d'una transizione litologica è necessario specificare i fattori che hanno reso possibile individuare tale limite litostratigrafico (ad es., la prima comparsa di selci in una successione calcarea); se vi sono variazioni laterali di facies, devono essere indicati anche i criteri da seguire per definire i limiti laterali.
Unità di rango gerarchico superiore alla formazione sono il ‛gruppo' e il ‛supergruppo', che comprendono due o più formazioni con qualche significativa caratteristica in comune. Una formazione può essere suddivisa, per ragioni di opportunità, in una o più unità di rango inferiore (strato, membro e lente) e rimanere indivisa per il resto.
b) Unità biostratigrafiche.
Le unità biostratigrafiche sono quelle che vengono distinte in base al contenuto fossilifero degli strati. L'unità-base è la biozona, che può essere suddivisa in subzone. Vi sono diversi tipi di biozone, alcuni dei quali hanno carattere locale o regionale e richiedono la definizione di uno stratotipo (zone di associazione o cenozone). Le zone standard sono definite dal fossile-guida e non richiedono uno stratotipo (zone di distribuzione: totale, parziale e concomitante).
Le zone di distribuzione totale sono le migliori in senso assoluto, ma sono complessivamente rare, per cui si ricorre agli altri tipi di biozone per suddividere il tempo in intervalli più brevi. La durata di queste biozone, nel Cenozoico e anche nel Mesozoico, nei casi più favorevoli è dell'ordine del milione di anni: ad esempio nel Neogene, che ha una durata di circa 24 milioni di anni, si contano 22 biozone standard a Foraminiferi planctonici, la cui durata media è quindi di circa un milione di anni; nel Quaternario si distinguono 7 biozone a nannofossili calcarei della durata media di 300.000 anni; non tutte queste biozone appartengono, però, al tipo visto fin qui.
Altri tipi di biozone sono le zone di intervallo e le zone di acme, queste ultime caratterizzate da un incremento di abbondanza di un taxon che si estende anche oltre i limiti della zona, che viene quindi considerata nel suo insieme come un'ecozona controllata dalle condizioni ambientali.
c) Unità cronostratigrafiche.
Le unità cronostratigrafiche sono pacchi di strati che si sono deposti in un certo intervallo di tempo del quale costituiscono il ‛tipo di riferimento'.
L'unità base in cronostratigrafia è il ‛piano'. I piani prendono e conservano il nome della località dove sono stati definiti originariamente (ad es., Oxfordiano da Oxford, Tortoniano da Tortona, Cenomaniano da Le Mans), purché anche le successive revisioni critiche degli stratotipi originali confermino che essi possono effettivamente essere considerati rappresentativi. Gli stratotipi dei piani devono essere definiti su successioni marine e fossilifere, possibilmente continue. Negli ultimi anni sta prevalendo il criterio di definire i limiti dei piani (in particolare il limite inferiore) anziché il piano stesso. In questo caso si tratta di stabilire un punto della sezione stratigrafica (chiamato GSSP, Global Stratotype Section and Point) considerato rappresentativo del limite tra due unità cronostratigrafiche (eratemi, sistemi, serie o piani). Tale punto viene scelto in base alla natura della successione, all'accessibilità del luogo e alla possibilità di stabilire correlazioni valide e multiple: in primo luogo l'esistenza di markers fossiliferi significativi, e poi - specie per le successioni cenozoiche - la presenza di inversioni magnetiche in prossimità del limite e di livelli datati radiometricamente. La definizione di un GSSP è il risultato di una procedura complessa, che richiede anni di attività coordinata dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia (v. cap. 6).
Un piano può corrispondere a un intervallo di tempo variabile in media dai 2 ai 10 milioni di anni e ogni piano contiene due o più biozone. In base al criterio gerarchico, la somma di tanti piani costituisce le unità di rango superiore (eratema, periodo, serie): ad es., il periodo Cretaceo comprende i piani dal Berriasiano al Maastrichtiano.
L'unità di rango inferiore al piano è la ‛cronozona', che prende il nome dal fossile prevalente e pertanto si identifica praticamente con la biozona.
La terminologia stratigrafica risente profondamente del grado di conoscenza che si aveva nel secolo scorso, quando sono state proposte e accettate le varie unità cronostratigrafiche. Gli scienziati di uno o due secoli fa definirono le varie unità cronostratigrafiche basandosi su fenomeni vistosi come il passaggio dall'ambiente marino a quello continentale, o una trasgressione avvenuta rapidamente, ma la scarsità dei mezzi di indagine a disposizione non consentiva di percepire le variazioni minori. Tale terminologia, per quanto datata, viene mantenuta in uso per gli indubbi vantaggi che presenta a livello di comunicazioni internazionali e mondiali. Occorre però un lavoro attento di revisione, di ridefinizione, di controllo, che viene coordinato dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia (v. cap. 6) per evitare il disordine e l'anarchia e per mantenere stabile la nomenclatura. I piani sono stati definiti in epoche precedenti la possibilità di effettuare perforazioni nei depocentri (o centri deposizionali) dei bacini sedimentari, e quando i fondi oceanici erano del tutto sconosciuti. Le osservazioni e le raccolte di fossili da parte dei geologi potevano essere compiute solo sulle successioni naturali esposte lungo le pendici dei rilievi, sulle falesie costiere o lungo l'alveo dei corsi d'acqua, nei casi più favorevoli su pareti di cava alte pochi metri. I limiti fra i piani venivano posti là dove vi erano dei cambiamenti percettibili, e spesso questi corrispondevano a lacune di sedimentazione, determinatesi all'inizio di un ciclo sedimentario. Per questo, per la definizione di un piano si ricorre sempre più frequentemente allo stratotipo del limite che spesso non appartiene allo stesso bacino sedimentario.
6. La Commissione Internazionale di Stratigrafia
La stratigrafia svolge un ruolo molto importante nelle scienze della Terra, in quanto fornisce uno schema temporale attendibile, ben fondato e accettato che rappresenta un riferimento di fondamentale importanza in tante discipline: dalla geologia strutturale alla geomorfologia, dalla geodinamica alla cartografia geologica e alla geologia applicata. Ciò spiega come mai la Commissione Internazionale di Stratigrafia (ICS, International Commission on Stratigraphy) sia la più numerosa e articolata delle varie commissioni che compongono l'Unione Internazionale delle Scienze Geologiche (IUGS, International Union of Geological Sciences).
La Commissione si compone di una ventina di sottocommissioni permanenti, di gruppi di lavoro temporanei creati per risolvere problemi particolari, e di comitati. Le sottocommissioni si dedicano in prevalenza allo studio dei vari intervalli di tempo (di regola, vi è una sottocommissione per ogni sistema), ma anche a problemi di natura diversa. Di grande importanza per la divulgazione a livello mondiale dei principî stratigrafici è stato il lavoro della Sottocommissione di nomenclatura stratigrafica, presieduta per lunghi anni dall'autorevolissimo stratigrafo americano Hollis D. Hedberg. Il risultato più tangibile di quasi vent'anni di attività di questa sottocommissione è stato la pubblicazione, nel 1976, di una Guide to stratigraphic classification, ormai accettata in tutto il mondo come un riferimento prezioso e sicuro. Nel 1994 ne è uscita una nuova edizione, riveduta e aggiornata, che tratta anche aspetti e metodi stratigrafici sviluppatisi negli ultimi anni (v. Salvador, 19942).
Un'altra sottocommissione della ICS si è occupata del lessico stratigrafico internazionale, riuscendo a raccogliere e descrivere i termini usati nei vari paesi in un centinaio di volumi - pubblicati ormai una trentina di anni fa - che costituiscono una sorta di catalogo ragionato di grande utilità. Attualmente si sta studiando la possibilità di rivitalizzare i lessici stratigrafici, che richiedono un aggiornamento profondo, e può darsi che prima della fine del secolo questa iniziativa entri in fase operativa.
La Guide to stratigraphic classification contiene precise indicazioni su come definire le sezioni-tipo delle formazioni, come distinguere i diversi tipi di biozone, come definire gli stratotipi dei piani e i GSSP. Per arrivare alla definizione formale di un GSSP occorre innanzitutto creare dei gruppi di lavoro ufficiali, formati da specialisti di quel certo intervallo stratigrafico e da esperti dei vari gruppi di fossili. Questi (e solo questi), dopo avere esaminato criticamente e collegialmente un certo numero di sezioni stratigrafiche reputate adatte allo scopo, devono esprimere un parere in proposito. Una volta raggiunta una maggioranza qualificata (60%) in favore di un determinato GSSP, la proposta viene sottoposta al giudizio della sottocommissione competente, che deve a sua volta esprimere un parere favorevole, sempre a maggioranza qualificata. A questo punto la proposta deve essere votata dalla ICS e ratificata quindi dalla IUGS. Alcuni limiti, pur essendo sottoposti ad attento esame da oltre vent'anni (come per esempio il limite Giurassico/Cretaceo), non sono ancora stati definiti formalmente. Poiché il concetto di stratotipo del limite, e in genere di stratotipo, non è applicabile alle successioni rocciose più antiche, che sono spesso mal definibili, la Sottocommissione del Precambriano ha avanzato recentemente la proposta (v. Plumb, 1991) di definire una serie di nuovi nomi per indicare intervalli di tempo separati da limiti numerici teorici in quanto non identificati sul terreno.
Un'altra iniziativa internazionale di notevole interesse è stata avviata nel 1969, sotto l'egida dell'UNESCO e della IUGS: si tratta dell'International Geological Correlation Program (IGCP), che ha lo scopo di incentivare la ricerca stratigrafica su argomenti specifici, in particolare quelli che riguardano le aree in via di sviluppo e gli intervalli stratigrafici più interessanti. Ogni progetto ha la durata di 4-5 anni e in casi eccezionali può essere rinnovato. Molti dei GSSP menzionati prima, per esempio, sono stati stabiliti grazie a progetti IGCP aventi come oggetto l'intervallo preso in esame.
7. Nuovi metodi di indagine
La stratigrafia si è rinnovata profondamente negli ultimi vent'anni, in conseguenza dei nuovi metodi messi a punto per la misurazione strumentale di parametri fisici o chimici delle rocce sedimentarie: la sismostratigrafia, la magnetostratigrafia, la stratigrafia isotopica e la chemiostratigrafia.
La grande quantità di dati acquisiti attraverso i nuovi metodi e la loro applicabilità sia a successioni affioranti che a serie sepolte in ambiente continentale e oceanico ha arricchito enormemente la stratigrafia, dandole orizzonti più vasti, una più ampia prospettiva e un dinamismo del tutto nuovi. Le nuove acquisizioni permettono oggi di capire meglio la differenza fra le tendenze globali - legate all'evoluzione del mondo organico, alle variazioni climatiche e alle variazioni del livello del mare - e gli eventi regionali, controllati dal vulcanesimo, dal tettonismo, dalla presenza di soglie fra i bacini oceanici e fra questi e i mari mediterranei.
È stato finalmente possibile correlare con un certo grado di sicurezza successioni marine e successioni continentali, in quanto le rocce deposte in ambienti completamente diversi registrano fedelmente la polarità del campo magnetico terrestre esistente al tempo della loro deposizione.
Descriveremo nei prossimi paragrafi alcuni metodi di indagine messi a punto negli ultimi decenni e applicati con sempre maggiore frequenza alla stratigrafia accanto ai metodi tradizionali, che mantengono comunque la loro validità.
a) Stratigrafia paleomagnetica.
L'esistenza di un campo magnetico terrestre era nota fin dall'antichità: sappiamo infatti che Arabi e Persiani facevano uso della bussola per orientarsi. Ma i primi studi scientifici veri e propri risalgono all'inglese William Gilbert, che nel 1600 pubblicò un volume, De magnete, magneticisque corporibus et de magno magnete Tellure, nel quale la Terra veniva descritta come un enorme magnete, i cui poli facevano orientare un ago magnetico in modo diverso nei vari punti della superficie terrestre: orizzontale all'equatore, verticale ai poli. La configurazione del campo magnetico terrestre venne poi studiata dal tedesco Karl Friedrich Gauss nella prima metà dell'Ottocento; egli comprese che solo una piccola parte del magnetismo terrestre ha cause superficiali, ossia è conseguenza della distribuzione di masse rocciose nella crosta terrestre, mentre in grandissima parte è di origine interna. La teoria oggi largamente accettata sulle cause del magnetismo terrestre è quella formulata da E. C. Bullard e nota come ‛teoria della dinamo autoeccitante', secondo la quale il magnetismo sarebbe dovuto a movimenti del nucleo esterno, fluido.
Un altro importante contributo allo sviluppo delle ricerche del magnetismo terrestre fu quello dell'italiano Macedonio Melloni, fondatore dell'Osservatorio vesuviano, il quale pubblicò nel 1853 un interessante studio sulla magnetizzazione permanente che le rocce vulcaniche acquisiscono durante il consolidamento della lava. Alla fine dell'Ottocento, infine, Pierre Curie formulò la legge secondo cui un materiale magnetico perde questa sua proprietà se viene riscaldato oltre una certa temperatura (punto di Curie). Questa temperatura è abbastanza bassa, raggiungendo i 578 °C per la magnetite che è il minerale magnetico per eccellenza.
Il campo magnetico terrestre è soggetto a variazioni di breve periodo, di lungo periodo (secolari) e di lunghissimo periodo. Queste ultime sono irregolari e rappresentano le variazioni più interessanti per la ricerca paleomagnetica, in quanto le inversioni periodiche della polarità magnetica (avvenute in media ogni milione di anni nel periodo più recente del Fanerozoico) permettono, se combinate con altri metodi, di stabilire l'età delle rocce magmatiche e dei sedimenti dotati di magnetismo residuo.
L'interesse degli stratigrafi per questi dati è nato nel 1906, quando il francese J. Brunhes scoprì l'inversione dei poli magnetici, cioè il fenomeno per cui il campo magnetico terrestre non è costante ma varia nel tempo fino a cambiare di polarità. Questa scoperta suscitò grande interesse anche tra gli stratigrafi; infatti, la quasi totalità di minerali magnetici identificati nelle rocce è costituita da ossidi di ferro e di titanio. Poiché questi minerali conservano la magnetizzazione del periodo di formazione, cioè di quando si sono raffreddati al di sotto del punto di Curie, è possibile risalire al valore di alcuni dei parametri caratteristici: declinazione (il nord magnetico), inclinazione e intensità. Si è così trovato che le caratteristiche magnetiche sono soggette a vistose variazioni a seconda del tempo di formazione dei minerali oggetto di ricerca, e che talvolta presentano addirittura una inversione della polarità. Correlando i dati magnetici di minerali di età conosciuta, è stato possibile stabilire che queste variazioni erano caratteristiche dell'età di formazione ed erano quindi la conseguenza di variazioni nel campo magnetico terrestre.
Queste ricerche, applicate alle dorsali oceaniche, hanno portato a una scoperta molto importante, che spiega, tra l'altro, le anomalie magnetiche riscontrabili sulla superficie oceanica che avevano così profondamente angosciato Cristoforo Colombo nel suo primo viaggio verso l'America: si tratta di anomalie assai marcate, che si ripartiscono in bande parallele alternativamente positive e negative da entrambe le parti della dorsale. Nel 1963 F. Y. Vine e D. H. Matthews hanno spiegato quest'anomalia come un effetto della magnetizzazione del magma basaltico, che, dopo essere risalito lungo l'asse della dorsale allo stato fuso, si consolida per effetto del raffreddamento dovuto al contatto con l'acqua del mare e mantiene la polarità esistente in quel momento. A seconda che la polarità sia positiva o negativa, si somma o si sottrae al magnetismo terrestre con alterazioni così evidenti da perturbare il campo magnetico alla superficie dell'oceano anche per due o tre chilometri. Mettendo in relazione la scala delle polarità con la datazione biostratigrafica è possibile effettuare la datazione relativa delle inversioni magnetiche.
Senza entrare troppo nel dettaglio è però necessario ricordare alcune nozioni relative ai principî fisici del paleomagnetismo e alle metodologie di indagine, per apprezzare il significato stratigrafico delle proprietà magnetiche delle rocce.
Esistono sostanze o materiali ferromagnetici, che presentano una forte magnetizzazione e hanno un comportamento non lineare, e sostanze o materiali diamagnetici e paramagnetici, che presentano invece una debole magnetizzazione e hanno un comportamento lineare.
Le caratteristiche magnetiche delle rocce che vengono misurate sono: intensità di magnetizzazione, inclinazione magnetica, declinazione magnetica e suscettività magnetica. Quest'ultima è una quantità adimensionale che corrisponde alla capacità della roccia di magnetizzarsi quando è sottoposta a un campo magnetico.
Come abbiamo già detto, le rocce magmatiche acquistano la loro magnetizzazione quando si raffreddano al di sotto del punto di Curie (magnetizzazione rimanente termica, TRM), in quanto i granuli magnetici si orientano secondo le linee di forza del campo magnetico terrestre esistente al momento. Le rocce sedimentarie, che si formano a bassa temperatura, generalmente in presenza di acqua, acquistano invece la loro magnetizzazione al momento della deposizione (magnetizzazione rimanente detritica, DRM). Questa deriverebbe dall'allineamento dei granuli ferromagnetici al di sotto dell'interfaccia acqua/sedimento quando il contenuto in acqua, a causa della compattazione, si riduce al di sotto del 70% e le particelle vengono fissate (magnetizzazione rimanente detritica post-deposizionale, PDRM). Recentemente sono stati messi a punto sensori che misurano in continuo, su carote di sedimento, la suscettività magnetica. Questo metodo permette di effettuare correlazioni molto dettagliate a livello locale, ma ha scarso interesse nel campo delle ricerche paleomagnetiche a carattere stratigrafico globale, che si rivolgono attualmente allo studio delle successioni sedimentarie continue, ben datate grazie alla presenza di fossili di diverso tipo e, ove possibile, anche all'uso di metodi radiometrici.
Il campionamento (prelievo di campioni orientati) avviene quando è già nota la velocità di sedimentazione: ciò consente di valutare a priori la frequenza dei campioni, così da non lasciarsi sfuggire l'inversione magnetica nota per l'intervallo di tempo preso in considerazione. Dopo aver sottoposto i campioni a vari trattamenti, termici e magnetici, si effettuano infine le misurazioni.
Per essere significative, le ricerche paleomagnetiche vanno effettuate su successioni deposte con continuità, senza lacune di sedimentazione. Infatti, uno studio statistico su una sezione continua, ma nella quale era stata supposta l'esistenza di lacune teoriche, ha permesso di dimostrare che una successione contenente il 25% di lacune può essere correlata con la scala di riferimento, mentre le difficoltà aumentano per lacune comprese fra il 25% e il 50%, e oltre questo limite le correlazioni diventano aleatorie.
Come detto all'inizio di questo paragrafo, la stratigrafia paleomagnetica compare sempre più frequentemente nelle scale dei tempi geologici pubblicate negli ultimi anni; dapprima per il Neogene, poi per tutto il Cenozoico, quindi per il Cretaceo, il Giurassico e fin dove si ha un riscontro delle anomalie magnetiche lineari delle dorsali oceaniche. Attualmente la scala magnetostratigrafica (GPTS, Geomagnetic Polarity Time Scale) si sta estendendo fino al Triassico.
b) Stratigrafia isotopica.
Questo metodo di indagine stratigrafica ha avuto un grandissimo sviluppo negli ultimi anni e rappresenta lo stadio più avanzato di una accurata ricerca di stratigrafia integrata, ad alta risoluzione.
Lo studio è indirizzato di solito ai Foraminiferi planctonici e bentonici che vivono rispettivamente negli strati d'acqua superficiali e sul fondo degli oceani, e che si trovano nei sedimenti marini fossili. Dopo opportuno trattamento dei gusci, preparati in modo da non modificare in alcun modo la loro composizione, si misura, mediante spettrometro di massa, il rapporto isotopico fra l'ossigeno ‛pesante' (18O) e l'ossigeno normale (16O) contenuto nella calcite. Se la calcite fissata nel guscio dei Foraminiferi è in equilibrio isotopico con l'acqua marina - presupposto che sta alla base della teoria di S. Epstein e altri (v., 1953) - il rapporto tra i due isotopi dell'ossigeno varia in funzione della temperatura di precipitazione della calcite. L'equazione è la seguente:
T(°C) = 16,5 - 43(δC - δW) + 0,14(δC - δW)2
dove δC è la differenza di concentrazione di 18O (in %) della calcite, studiata rispetto a uno standard che nei carbonati è il PDB (Peedee Belemnite, Belemnitella americana), e δW è la differenza di concentrazione di 18O dell'acqua rispetto all'acqua oceanica media (valore teorico).
Il δW non può essere determinato con precisione per il passato geologico, mentre è misurabile per il presente. Cesare Emiliani fu tra i pionieri nell'uso di questo metodo - del quale intuì le grandi potenzialità per lo studio delle fluttuazioni climatiche del passato recente, e quindi per la stratigrafia del Quaternario marino - che applicò alle carote prelevate in mare profondo (v. Emiliani, 1955). Egli interpretò le variazioni del δC unicamente in funzione della temperatura (a un aumento del δC corrispondeva un abbassamento di temperatura, e viceversa) e riconobbe così un certo numero di ‛stadi isotopici' che vennero da lui correlati con i cicli di Milankovič. Venne però criticato da Nick J. Shackleton (v., 1967), che sottolineò come le variazioni osservate potevano derivare anche dai cambiamenti del δW indotti dall'effetto ghiaccio. Infatti durante le glaciazioni il ghiaccio bloccato nelle calotte determinerebbe un impoverimento del 18O, come illustrato nella fig. 15.
Nel corso del progetto CLIMAP (Climate Mapping and Prediction), effettuato negli anni ottanta, misurazioni eseguite su un gran numero di carote prelevate a diverse latitudini hanno confermato in modo inoppugnabile la validità del metodo per ricostruire le fluttuazioni climatiche del Quaternario e stabilire delle correlazioni con una precisione che va bene al di là di quella della stratigrafia classica. Fluttuazioni analoghe sono state registrate anche nel caso dei Foraminiferi bentonici, che vivono a profondità tali da rendere del tutto improbabili rapide variazioni di temperatura: ciò dimostra che l'effetto ghiaccio può essere prevalente su quello della temperatura, pur avendo lo stesso segno.
Le perforazioni oceaniche effettuate nell'ambito dei progetti DSDP (Deep Sea Drilling Project) e ODP (Ocean Drilling Program; v. anche oceanografia, vol. XI) hanno permesso di estendere le applicazioni di questo metodo allo studio di successioni stratigrafiche prequaternarie, cenozoiche e, in parte, anche cretacee. Infatti, le successioni sedimentarie rimaste costantemente sepolte sotto il fondo dell'oceano sono soggette in misura molto minore, rispetto alle successioni affioranti sulla terraferma, alle alterazioni - determinate dalla diagenesi e ricristallizzazione dei gusci - del rapporto isotopico dell'ossigeno originariamente fissato dall'organismo, che era in equilibrio con la composizione isotopica dell'acqua marina.
I primi studi di Savin e altri (v., 1975) partivano dalla composizione isotopica della roccia totale, composta di fango a Foraminiferi e coccoliti; questi ultimi - che vivono negli strati superficiali della colonna d'acqua e sono quantitativamente prevalenti - sono mescolati nel sedimento con forme mesopelagiche e batipelagiche. In seguito è stato possibile condurre studi più dettagliati e ottenere curve isotopiche separate per i Foraminiferi bentonici e quelli planctonici, in quest'ultimo caso spesso appartenenti tutti alla stessa specie. Gli spettrometri di massa più avanzati necessitano infatti di pochi milligrammi di calcite per ogni analisi.
Le misure del rapporto isotopico dell'ossigeno si accompagnano di regola a misure sul rapporto isotopico del carbonio (13C/12C) della calcite, che non è influenzato dalla temperatura dell'acqua, ma da altri fattori, fra cui la produttività organica. Come mezzo di correlazione stratigrafica sono stati utilizzati eventi isotopici particolari, come ad esempio il rapido salto di concentrazione del δ 13C che si osserva alla fine del Miocene.
Le ricerche attualmente possibili ci hanno permesso di acquisire numerose conoscenze. Sappiamo, ad esempio, che la differenza fra la temperatura al fondo degli oceani (ricavata dalla composizione isotopica di Foraminiferi bentonici) e quella superficiale (ricavata dalle forme planctoniche) era assai minore nel Cretaceo di quanto non sia attualmente; che vi è stato un netto deterioramento climatico nel Cenozoico; che questo non è stato continuo e graduale, ma discontinuo e con bruschi salti; che il cambiamento più brusco si è verificato nell'Oligocene, ed è coinciso con l'inizio della circolazione circumantartica, conseguente all'apertura del Drake Passage, che ha rappresentato l'ultima fase nel processo di dispersione delle varie placche litosferiche raggruppate intorno all'Antartide.
Lo studio accurato e multidisciplinare delle successioni neogeniche recuperate con carotaggio continuo nei mari tropicali degli oceani Indiano, Pacifico e Atlantico (Mascarene Plateau, Ontong-Giava Plateau, Pacifico orientale equatoriale, Ceara Rise) e nel Mediterraneo ha permesso di portare il numero degli stadi o cicli isotopici riconosciuti e correlati da una decina (con i numeri dispari corrispondenti, secondo quanto fu definito da Emiliani, agli episodi caldi) a oltre cento, compresi in un intervallo di tempo che arriva fino al Pliocene superiore.
c) Stratigrafia sismica e stratigrafia sequenziale.
La stratigrafia sismica e la stratigrafia sequenziale da essa derivata si sono sviluppate negli anni settanta a seguito dell'esplorazione approfondita, effettuata dalle compagnie petrolifere, delle piattaforme continentali e delle scarpate dei margini continentali passivi, dove le successioni sedimentarie raggiungono i massimi spessori (fino a oltre 10 km). Queste esplorazioni erano finalizzate alla ricerca di idrocarburi, e i risultati delle costosissime linee sismiche nonché la loro interpretazione sono rimasti a lungo segreti o confidenziali; tuttavia, per una fortunata combinazione di circostanze, vennero pubblicati i risultati di un decennale lavoro di gruppo promosso da una delle maggiori compagnie petrolifere americane, la Exxon (v. Vail e altri, 1977). Si tratta di una memoria citatissima, in cui si ripropone in chiave moderna il principio dell'‛eustatismo' - ossia delle variazioni del livello del mare indipendenti dai movimenti delle terre emerse - avanzato all'inizio del nostro secolo dal grande geologo austriaco Eduard Suess (v., 1906).
L'approccio previsto da Suess comprendeva tre tipi di studi: 1) l'esame delle linee di costa attuali, ovviamente applicabile solo a situazioni vicine al presente; 2) l'analisi delle facies sedimentarie; 3) la ricostruzione delle antiche linee di costa (approccio paleogeografico).
Al lavoro del geologo classico si affianca ora quello del geologo del sottosuolo, che dispone di strumenti e di documenti impensabili nel passato, come i profili sismici multitraccia che visualizzano la geometria degli strati sepolti e permettono di correlare su grandi distanze successioni sedimentarie ‛invisibili'.
Peter Vail e i suoi collaboratori hanno concettualizzato il tema e modellizzato l'enorme casistica che avevano a disposizione, con particolare riguardo alle zone di transizione fra la terraferma e il mare aperto, che sono ovviamente le più sensibili alle variazioni del livello del mare.
La stratigrafia sismica (v. Payton, 1977) è sostanzialmente un approccio all'interpretazione stratigrafica dei dati sismici, ma risulta efficace solo se è calibrata attraverso accurate datazioni biostratigrafiche dei pozzi. L'unità base della stratigrafia sismica è la ‛sequenza deposizionale', ossia un pacco di strati paralleli fra loro, delimitati da superfici discordanti. La fig. 18 illustra diversi casi di limiti superiori e inferiori di sequenze deposizionali.
Tipicamente la stratigrafia sismica studia sezioni sismiche lunghe decine di chilometri o più che si sviluppano attraverso il margine di un bacino sedimentario, talvolta raggiungendone il depocentro, o centro deposizionale. Per uno studio sismostratigrafico completo occorrono dunque: a) linee sismiche adeguate, di ottima qualità, che permettano l'individuazione e la correlazione delle sequenze deposizionali; b) analisi di facies che permettano di identificare il tempo durante il quale si sono deposte le varie sequenze. La fig. 19 illustra un classico esempio di conversione da una sezione stratigrafica interpretata (in alto), dove in ordinate troviamo lo spessore (in metri) della successione sedimentaria, a uno schema cronostratigrafico (in basso), in cui in ordinate troviamo il tempo (in milioni di anni); le lacune di sedimentazione (espresse da linee ondulate nella sezione in alto) risultano molto evidenti.
Le variazioni eustatiche del livello marino sono state suddivise in cicli di diverso ordine: i cicli di primo ordine sono i più estesi; quelli di secondo ordine, o supercicli, hanno una durata da 10 a 80 milioni di anni; i cicli di terzo ordine (dal Giurassico in poi) hanno una durata di 1-10 milioni di anni; i cicli di quarto ordine e di ordine superiore danno luogo alla stratificazione (ciclotemi) e sono rapportati a cause astronomiche. I cicli sono asimmetrici, nel senso che a un innalzamento graduale segue un rapido abbassamento. Tutte le scale dei tempi geologici pubblicate negli ultimi anni contengono questa curva, o sue modificazioni (v. Haq e altri, 1987), presa da molti come modello di riferimento al quale ci si doveva a tutti i costi conformare, ma molto criticata da altri. Le critiche avanzate, di carattere sia concettuale sia metodologico (v. Pitman, 1978), riguardavano principalmente il fatto che i dati sui quali essa era fondata non erano accessibili agli scienziati, ed evidenziavano inoltre la carenza di controlli effettuati nei vari oceani e sui margini dei diversi continenti, nonché la totale assenza di controllo temporale per eventi che avrebbero dovuto essere considerati come una tendenza globale.
Le variazioni del livello del mare, la loro entità, il loro sincronismo in tutte le parti del mondo, le cause che possono averle determinate oltre al glacialismo - che evidentemente non può essere chiamato in causa per un mondo non glacializzato come ad esempio quello del Cretaceo - rappresentano uno dei problemi più scottanti fra quelli ancora aperti nel campo della stratigrafia. L'Ocean Drilling Program ha fra gli scopi scientifici più importanti proprio la verifica della curva di Vail. Il tema è stato e continuerà a essere affrontato con campagne di perforazione dedicate; finora ne sono state effettuate alcune, parzialmente riuscite. Una di queste (leg 133, margine australiano) ha dato risultati molto interessanti, ma la scarsità di rocce carbonatiche recuperate (si trattava di un margine costituito da calcari di natura organica) ha impedito uno studio veramente accurato.
Lo studio del ‛transetto' attraverso il margine del New Jersey (leg 150) ha avuto un successo solo parziale, in quanto ragioni di sicurezza hanno impedito di effettuare trivellazioni meno profonde ma più in alto lungo il transetto, che avrebbero potuto dare risultati più significativi per l'alternarsi di onlaps e downlaps (trasgressioni e regressioni marine). È stato recentemente proposto di effettuare perforazioni dedicate a questo tema scientifico attraverso il margine della penisola antartica nell'Atlantico meridionale; infatti la profondità del limite esterno della piattaforma continentale, l'imponenza della glaciazione e lo spessore delle sequenze sedimentarie fanno presupporre che la ricerca potrebbe fornire importanti informazioni.
I problemi più importanti da risolvere sono: a) l'identificazione e la quantificazione delle cause dell'eustatismo (oltre a quella ormai ben nota del glacio-eustatismo dovuto a fenomeni astronomici) e delle variazioni nella produzione di nuova crosta oceanica, con conseguente possibile innalzamento del livello del mare nel caso in cui la produzione aumenti considerevolmente sia sulle dorsali, sia specialmente nei fondi oceanici; b) i diversi effetti dell'eustatismo sugli ambienti deposizionali detritici (silicoclastici) e biogenici (carbonatici); c) le cause e i principî che regolano la deposizione/erosione, dai massimi globali di trasgressione (ad es., Cretaceo) ai massimi globali di regressione (ad es., Oligocene); d) stabilire, attraverso mezzi sia biocronologici che geocronologici, il sincronismo o il diacronismo delle trasgressioni e delle regressioni; in caso di diacronismo, stabilirne l'ampiezza con la massima precisione possibile.
d) Chemiostratigrafia.
Si raggruppano sotto questo nome alcuni metodi che usano traccianti chimici per identificare i cosiddetti ‛orizzonti stratigrafici', cioè quelle interfacce che sono indicative di una particolare posizione in una determinata sequenza stratigrafica e possono essere messe in correlazione con quelle di altre successioni.
Alcuni includono sotto il termine ‛chemiostratigrafia' anche le metodiche basate sugli isotopi stabili di ossigeno e di carbonio, metodiche che in questo articolo sono invece state considerate come appartenenti alla ‛stratigrafia isotopica' (v. sopra, § b), perché sono utilizzate da più tempo e occupano un posto di maggior rilievo nella moderna stratigrafia integrata.
Variazioni nel tenore in carbonati possono essere osservate in successioni pelagiche, emipelagiche e/o torbiditiche; esse sono di facile determinazione e permettono correlazioni di una certa precisione quando il loro valore supera il 20-30%. Tali variazioni sono una conseguenza del rapporto fra la componente terrigena e la componente di origine biologica (carbonatica) nei sedimenti e - nel caso che quest'ultima sia predominante - riflettono variazioni della produttività primaria. I punti di osservazione devono essere numerosi: è necessario avere almeno un dato ogni 10.000 anni per avere risultati di una certa affidabilità.
Variazioni nella composizione dei minerali argillosi e del loro grado di cristallinità sono significative nei sedimenti fini, a dominante componente terrigena (fanghi, marne argillose e simili), perché riflettono l'ambiente deposizionale, la provenienza del materiale terrigeno fine e possono anche fornire indicazioni paleoclimatiche. Anche in questo caso occorrono numerosi punti di osservazione; è necessario inoltre disporre di un quadro stratigrafico di riferimento sicuro e dettagliato, in quanto le variazioni possono essere ripetitive.
I minerali più comunemente presi in considerazione sono clorite, caolinite, illite, montmorillonite (o smectite) e anche strati misti e/o rapporti fra i vari minerali. Un altro dato significativo è l'indice di cristallinità poiché riflette la diagenesi subita dal minerale.
Altri parametri che vengono valutati si riferiscono al tenore in quarzo e/o ai componenti silicoclastici; ai minerali pesanti; alla composizione chimica e all'indice di rifrazione dei vetri vulcanici, come pure alla loro morfologia nei livelli cineritici (tefra) che si depositano in ambiente sia oceanico che terrestre in conseguenza di violente eruzioni vulcaniche a carattere esplosivo.
In chemiostratigrafia vengono utilizzati anche elementi in tracce, come ad esempio lo stronzio. Questo elemento, vicariante del calcio nei carbonati (pelagici e non), ha subito delle variazioni notevoli nel Fanerozoico e specialmente dal Giurassico in poi.
Un altro promettente uso dello stronzio in chemiostratigrafia si basa sulle variazioni del rapporto isotopico (87Sr/86Sr) di questo elemento, verificatesi nel corso del Fanerozoico; il valore di tale rapporto, aumentato in modo pressoché continuo da 140 milioni di anni a oggi, consente di datare depositi carbonatici quando, in assenza di fossili significativi (come, per es., nei calcari di scogliera), non è possibile usare il metodo biocronologico.
In un certo numero di sezioni stratigrafiche continue che attraversano il limite Cretaceo/Terziario sono stati riscontrati aumenti repentini di concentrazione dell'iridio (v. anche cap. 7, § e), un elemento abitualmente presente solo in minime tracce. Tali variazioni possono essere attribuite a due cause: eruzioni vulcaniche esplosive di grossa entità o impatto da parte di corpi extraterrestri. Anomalie di questo tipo si riscontrano solo in seguito a ricerche mirate di grande dettaglio, relative a intervalli di particolare interesse. Esse richiedono metodi di campionamento e strumenti che non si usano nella pratica stratigrafica se non in casi eccezionali.
Anche la geochimica organica può in vari modi essere di aiuto alla stratigrafia. La sostanza organica che si deposita in fondo al mare o sui continenti viene generalmente ossidata, decomposta a opera di batteri, consumata e quindi riciclata. In certi casi, però, si instaurano ambienti biogeochimici particolari che impediscono o arrestano la decomposizione e permettono pertanto la conservazione del carbonio organico nei sedimenti, anche in percentuali molto elevate (fino al 20-30%). La sostanza organica può essere di origine marina o continentale, e può derivare da organismi vegetali o animali.
Esistono diversi metodi per studiare la sostanza organica: a) attraverso la composizione del kerogene, che permette di distinguere tra materia organica amorfa (AOM), fitoplancton marino (MFP), fitoclasti legnosi (WFC), fitoclasti erbacei (HFC); b) attraverso l'identificazione di biomarcatori, estratti dai lipidi, caratteristici di particolari tipi di organismi, come i Dinoflagellati; c) attraverso lo studio degli alchenoni, che sono composti organici non saturi derivati da particolari coccolitoforidi; questi composti permettono di risalire alla temperatura dell'acqua superficiale al momento della formazione degli scheletri in un modo completamente indipendente da quello degli isotopi dell'ossigeno (v. sopra, § b).
Questi ultimi metodi, che costituiscono la cosiddetta ‛stratigrafia molecolare', sono stati per ora utilizzati solo nel corso di studi pilota condotti negli ultimi dieci anni.
Nella stratigrafia marina sono ben documentati i periodi di tempo che hanno prodotto depositi ricchi di carbonio organico, caratterizzati da colore scuro; tali depositi - chiamati black shales (quelli più antichi) o sapropels (quelli più recenti, di natura pelagica) - comprendono: a) gli scisti a Graptoliti del Paleozoico; b) gli scisti bituminosi del Lias superiore; c) gli scisti neri, chiamati appunto terres noires, del Calloviano-Oxfordiano; d) gli scisti neri del Cretaceo inferiore (Barremiano, Aptiano) e del Cretaceo superiore (Cenomaniano/Turoniano ‛livello Bonarelli', Coniaciano), coevi nelle serie circum-mediterranee, nell'Atlantico settentrionale e meridionale e nel Pacifico equatoriale; e) i sapropels del Plio-Pleistocene del Mediterraneo orientale, correlabili con grande precisione su distanze di centinaia di chilometri.
e) Stratigrafia degli eventi.
Attualmente l'espressione ‛stratigrafia degli eventi' indica un tipo di approccio stratigrafico mirato a individuare e correlare eventi isocroni improvvisi, ritenuti di significato globale o almeno individuabili in varie parti del mondo. Tale approccio utilizza prevalentemente metodi quali la biostratigrafia fine, ad alta risoluzione, basata possibilmente su gruppi di fossili diversi; la magnetostratigrafia, se le successioni sedimentarie sono adatte a questo tipo di ricerca; e soprattutto i metodi geochimici, che permettono di evidenziare variazioni significative, repentine, di breve durata, documentabili con estremo dettaglio. In realtà, il concetto di evento è fondamentale in stratigrafia, in quanto la storia della Terra è punteggiata da eventi biologici, tettonici, climatici, che hanno avuto profondi effetti sulle successioni sedimentarie, talché A. D. d'Orbigny suddivide il tempo geologico secondo una successione di eventi biologici e tettonici; E. Suess attribuisce maggiore importanza a trasgressioni e regressioni, mentre H. Stille, valido rappresentante della scuola di pensiero tedesca, distingue trenta fasi orogeniche nel Fanerozoico, ciascuna delle quali rappresenta un evento ben definito. Molte di queste fasi coincidono con i limiti fra le maggiori suddivisioni del tempo geologico (cronostratigrafia).
A questo concetto di evento - di tipo tradizionale e ben radicato nel pensiero geologico anche se con significato diverso a seconda delle scuole, e di durata non precisata ma non necessariamente brevissima - si contrappone il concetto moderno, quello cui si riferisce appunto la stratigrafia degli eventi. Si tratta, in un certo senso, del risorgere del catastrofismo, proposto da Georges Cuvier (1769-1832) agli inizi dello sviluppo delle scienze della Terra, ma successivamente abbandonato per il prevalere dell'‛uniformitarismo' introdotto da James Hutton (1726-1797).
Il canadese D. J. McLaren, una personalità scientifica forte e di grande prestigio, nella conferenza che inaugurava la sua presidenza alla Geological Society of America nel 1970, attribuì i maggiori eventi biologici (ad es. le estinzioni di massa) all'impatto di corpi extraterrestri; dieci anni dopo, nel 1980, L. W. Alvarez e i suoi collaboratori scoprirono una marcata anomalia dell'iridio al limite Cretaceo/Terziario nella serie di Gubbio, portando un inaspettato supporto al neocatastrofismo. Da allora il tema è divenuto di grande attualità e ad esso sono oggi dedicati numerosi progetti IGCP.
Le pubblicazioni recenti sul limite Cretaceo/Terziario si contano a centinaia ogni anno, e riguardano tutti i continenti, come pure il fondo degli oceani, dove tale limite è stato identificato in numerosi pozzi (v. figg. 25 e 26). La fig. 25 è la documentazione originale, fornita da H. Luterbacher e I. Premoli Silva nel 1964, del cambiamento faunistico al limite Cretaceo/Terziario nella serie di Gubbio. L'interpretazione oggi largamente accettata è che a causare l'estinzione di massa delle specie cretacee sia stato l'impatto di un meteorite gigante che sarebbe caduto al limite fra l'attuale Golfo del Messico e la penisola dello Yucatán. Studi di estremo dettaglio nelle aree circostanti hanno dimostrato, oltre all'anomalia dell'iridio, la presenza di granuli di quarzo con impronte di impatto, depositi da tsunami (onda di maremoto), frane sottomarine. Un evento di questo tipo ovviamente provoca effetti diversi in diverse parti del pianeta. L'importante è avere alcune sezioni stratigrafiche veramente continue, che rappresentino al 100% il tempo geologico, e datarle con estrema precisione. Partendo da questa cronologia ben controllata si possono cercare le eventuali risposte all'evento in situazioni geodinamiche e biodinamiche diverse.
Un altro limite che presenta estinzioni di massa interpretate in modo analogo è quello tra Frasniano e Famenniano, nel Devoniano superiore, che rappresenta un periodo di relativa calma orogenica, seguita all'orogenesi caledoniana e precedente quella varisica.
Oltre agli eventi dovuti a cause extraterrestri, rientrano nel campo di studio della stratigrafia degli eventi fenomeni tipicamente terrestri come trasgressioni e regressioni (che non sono però rigorosamente isocrone, anche se possono essere assai rapide), caduta di ceneri vulcaniche in seguito a violente esplosioni subaeree, inversioni di correnti marine superficiali e intermedie, che possono provocare effetti catastrofici in mari semi-isolati come il Mediterraneo orientale, provocando anossia al fondo, con formazione di depositi sapropelitici.
Anche l'isolamento del Mediterraneo dall'Atlantico alla fine del Miocene (Messiniano), che portò alla deposizione delle evaporiti per un volume stimato in un milione di chilometri cubi, può essere considerato un evento: la sua esatta durata è ancora oggi oggetto di dibattito, ma presto si arriverà alla soluzione di questo interessante problema.
8. La situazione attuale: le perforazioni oceaniche e lo sviluppo della stratigrafia integrata
Non si può concludere questa trattazione senza menzionare l'Ocean Drilling Program, che rappresenta probabilmente il programma scientifico più importante e di più largo respiro mai organizzato a livello internazionale. Iniziato nel 1968, nello stesso contesto culturale che generò la teoria della tettonica delle placche o tettonica globale, ha continuato ad avere l'appoggio degli enti finanziatori, dapprima solo statunitensi, poi europei, giapponesi, russi, canadesi, australiani. In 25 anni di ricerche di alto livello scientifico (interrotte solo per poco più di un anno, per sostituire, dopo 15 anni di attività, la gloriosa nave oceanografica Glomar Challenger con l'attuale Joides Resolution), sono stati perforati oltre mille pozzi (1.027 al 15 ottobre 1996) in tutti gli oceani del mondo, su fondali profondi generalmente diverse migliaia di metri, con penetrazione nel fondo fino a un massimo di 2 km. Complessivamente sono state prelevate e sottoposte a indagini multidisciplinari carote di sedimenti e di rocce del basamento per una lunghezza totale di oltre 100 km. Nei legs (crociere della durata di due mesi) dedicati allo studio delle successioni sedimentarie tramite stratigrafia ad alta risoluzione, vengono recuperati fino a 5 km di sedimenti, in quanto ogni pozzo viene perforato a carotaggio continuo tre o quattro volte per garantire l'assoluta completezza del recupero.
L'evoluzione dei metodi di studio riflette molto bene gli sviluppi recenti della stratigrafia illustrati nelle pagine precedenti. All'inizio del programma, nei tardi anni sessanta, il carotaggio era prevalentemente discontinuo e venivano usati i metodi classici della biostratigrafia, integrando - per la prima volta sul campo - i dati relativi ai Foraminiferi, ai nannofossili calcarei, ai Radiolari, alle Diatomee; ciò costringeva i vari specialisti a lavorare insieme sulla nave, a confrontarsi con zonazioni non ancora ben integrate e spesso non ancora calibrate con la stratigrafia paleomagnetica, allora agli albori. Anche la stratigrafia sismica, per quanto studiata e interpretata, era ancora nella sua fase iniziale. Nel 1976 veniva montato per la prima volta sulla nave un magnetometro per effettuare le misure di paleomagnetismo sulle carote appena estratte dal fondo dell'oceano. Attualmente sulla nave è installato un magnetometro criogenico di nuova costruzione, un prototipo costruito apposta per poter effettuare misure continue su carote orientate.
Anche la suscettività magnetica viene misurata in continuo, con un altro sensore, prima del sezionamento delle carote, mentre altri sensori misurano la porosità e permeabilità dei sedimenti.
Nei laboratori di geochimica strumenti efficientissimi permettono di analizzare elementi presenti in maggiori quantità e/o in tracce (chemiostratigrafia), mentre i geochimici organici possono misurare il tenore in carbonio organico, la composizione dei gas contenuti nei sedimenti, la composizione della sostanza organica. Recentemente è stato messo a punto uno strumento che permette di misurare il colore dei sedimenti attraverso l'analisi spettroscopica per riflessione: si riescono così a ricostruire con grande precisione e rapidità ripetizioni cicliche dalle quali è possibile ricavare informazioni astronomiche significative.
Le ricerche biostratigrafiche più avanzate vengono condotte direttamente sulla nave, con la sola limitazione del tempo a disposizione, mentre studi più dettagliati - tra cui quelli sugli isotopi, che richiedono preparazioni molto lunghe su un numero elevatissimo di campioni - vengono effettuati a terra. I nuovi dati, che riguardano temi scientifici messi a punto con la massima cura da parte dei migliori scienziati del mondo nei vari settori di ricerca, vengono ottenuti e pubblicati a un ritmo così serrato che è difficile tenersi aggiornati.
L'Ocean Drilling Program ha permesso di ottenere una tale quantità di dati di stratigrafia integrata che siamo ormai vicini ad avere una visione tridimensionale dei fenomeni, ossia a vedere le variazioni non solo nel tempo, ma anche nello spazio; infatti, è ormai possibile confrontare successioni deposte contemporaneamente nei vari oceani alle basse, medie e alte latitudini, ricostruire la storia delle glaciazioni e delle correnti marine, valutare l'influenza del sollevamento delle catene dell'Asia centrale sulla circolazione atmosferica e quella delle soglie sottomarine sulla circolazione oceanica e sulla sedimentazione nei mari mediterranei e così via.
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