Simmel, Georg
Filosofo e sociologo tedesco (Berlino 1858 - Strasburgo 1918). Laureatosi (1881) all’univ. di Berlino, dove dal 1892 fu libero docente di filosofia, divenne nel 1914 prof. ordinario all’univ. di Strasburgo. Influenzato dalla lezione di Kant e del neokantismo, S. ne rifiuta tuttavia l’aspetto fondamentale, vale a dire la possibilità di isolare un livello trascendentale puro della conoscenza: per l’influenza combinata del positivismo, del pensiero di Nietzsche e di quello di Bergson, egli afferma che i valori sono plurali e relativi, poiché legati alle vicende storiche e alla vita. Così, in Die Probleme der Geschichtsphilosophie. Eine erkenntnistheoretische Studie (1892; trad. it. I problemi della filosofia della storia), egli si inserisce nell’ampia discussione, in corso nella cultura tedesca, sullo statuto delle scienze storiche e su alcuni concetti fondamentali introdotti da Dilthey, in partic., la distinzione fra scienze della natura e scienze dello spirito e l’immedesimazione nell’Erlebnis. Ponendo il momento psicologico come fondamento irrinunciabile del sapere storico, S. nega (ed è questo uno dei maggiori motivi di polemica con il marxismo) la possibilità di enunciare delle leggi obiettive che governerebbero la storia: la comprensione storica rimane irriducibilmente individuale e legata alle capacità di immedesimazione, ma anche alle caratteristiche e alla cultura del singolo ricercatore e ha dunque uno statuto di irriducibile relatività.
Autore dell’importante Sociologie. Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung (1908; trad. it. Sociologia), S. era fortemente consapevole delle novità rappresentate dalla società industriale moderna e in partic. dalla vita delle metropoli, a cui dedicò un saggio (Die Grossstädte und das Geistesleben, 1903; trad. it. Le metropoli e la vita dello spirito) che ebbe larghissima influenza sulla filosofia e sulla sociologia successive: in esso viene posta in rilievo la grande influenza che ha sulla vita dell’individuo l’enorme numero di stimoli che comporta la vita moderna. Se è vero, quindi, che il pensiero di S. appare segnato da un individualismo e psicologismo radicali, con le conseguenze relativistiche che si sono viste, è altresì vero che egli introduce come fondamentale la categoria dell’interazione reciproca fra gli individui. È quanto emerge da Philosophie des Geldes (1900; trad. it. Filosofia del denaro): da un lato, sulla scia delle concezioni soggettivistiche del valore economico affermatesi con la scuola marginalistica alla fine del 19° sec., egli pone la valutazione individuale del prodotto come la base del meccanismo economico, sostenendo quindi il primato della circolazione sulla produzione; dall’altro, egli vede nel denaro, e nello scambio di cui esso è lo strumento principe, la massima espressione di una caratteristica fondamentale della vita sociale e anche antropologica, ossia il fatto che ogni soggetto è definito dal complesso delle relazioni in cui è inserito. In questo senso, S. parla del «significato unico dello scambio per la società come realizzazione storico-economica della relatività delle cose»; lo scambio esprime perfettamente la nuova concezione ontologica, puramente relativistica, quantitativa, meramente interazionale e radicalmente antisostanzialistica che emerge con il mondo contemporaneo: «Per quanto attentamente si possa considerare un oggetto dal punto di vista delle sue caratteristiche intrinseche, non vi si troverà il valore economico, dato che questo consiste soltanto nel reciproco rapporto di interazione che si instaura tra più oggetti sulla base di tali caratteristiche in modo tale che ogni oggetto condiziona l’altro e gli restituisce il significato che da quest’altro ha ricevuto».
L’opera che raccoglie il messaggio finale di S. è Lebensanschauung. Vier metaphysischen Kapitel (1918; trad. it. L’intuizione della vita), che è insieme un testo classico della Lebensphilosophie («filosofia della vita») e dello storicismo contemporanei (➔ storicismo). Punto fondamentale dell’argomentazione di S. è il tema del limite che caratterizza la condizione umana; rispetto a esso gli uomini si trovano nella situazione paradossale di non poterne fare a meno e di doverlo al tempo stesso trascendere: «Se infatti il limite è in sé necessario, ogni singolo limite concreto può essere sempre superato in una nuova posizione che si pone a sua volta come nuovo limite. L’analisi di ogni atto unitario della vita conferma sempre queste due proposizioni, primo: che il limite è dato necessariamente; secondo: che però nessun limite è dato una volta per tutte, esso può essere sempre superato» (L’intuizione della vita). Noi siamo dunque presi in un movimento di relativizzazione costante dei nostri valori, relativizzazione che si accompagna alla continua posizione di nuovi valori destinati a essere superati: essenza della vita, conclude S., è «l’autotrascendimento». Sulla base del riferimento al concetto bergsoniano di durata, questa visione è estesa anche al tempo, visto come implicazione di passato, presente e futuro e come trascendimento continuo dei primi due momenti verso il terzo. In un punto, tuttavia, si palesa, anche in quest’opera terminale, il permanere di un certo debito di S. verso il kantismo: l’alternanza fra posizione del limite e sua negazione è vista in modo essenziale anche come una bipolarità dell’azione della vita fra irrigidimento in una forma fissa, netta, «classica» (e qui egli ha di mira soprattutto l’arte) e l’azione che distrugge tali forme, secondo una visione che per molti versi si apparenta a quella che emerge nell’opera letteraria e saggistica di Th. Mann. Due aspetti importanti della posizione simmeliana in quest’opera devono essere infine ancora sottolineati: (1) se la vita è autotrascendenza, ciò significa che in ogni momento dato il nostro Io è consapevole di non poter esaurire, né conoscitivamente né praticamente, il tutto: per questo aspetto S. si inscrive fra coloro che criticano l’immanentismo assoluto dell’idealismo e rivendicano l’irriducibilità dell’alterità alla voracità dell’Io; (2) sul piano morale, poiché il dinamismo vitale impedisce di individuare valori fissi ed eterni, l’unica morale che potrà sostenersi è quella di una «legge individuale», nella quale l’istanza etica non proviene da un imperativo esterno all’individuo, ma dal suo più profondo essere.
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