Gerusalemme
Città della Palestina centrale (704.900 ab. nel 2004), proclamata da Israele propria capitale unita e indivisibile nel 1980, ma il cui status non è riconosciuto in sede internazionale (v. oltre). È situata nella parte più alta dell'altopiano giudaico, a 750 msm, nella striscia di terra tra il Mar Mediterraneo e il Mar Morto, a E di Tel Aviv, a S di Ramallah, a O di Gerico e a N di Betlemme.
Nel 1917, nel corso della Prima guerra mondiale, l'occupazione della Palestina da parte delle truppe britanniche mise fine al lungo dominio ottomano nella regione. In quello stesso anno il ministro degli Esteri della Gran Bretagna A. Balfour rilasciò una dichiarazione con la quale il governo britannico si impegnava a facilitare "la creazione in Palestina di una sede nazionale (national home) per il popolo ebraico", senza con ciò pregiudicare il diritto all'esistenza delle comunità non ebree della regione. Alla fine del conflitto la Gran Bretagna ottenne il controllo della Palestina attraverso il mandato conferitole, nell'aprile del 1920, dalla Conferenza di San Remo delle potenze vincitrici. La Gran Bretagna veniva invitata a facilitare l'immigrazione e l'insediamento degli ebrei nella regione rispettando lo spirito della dichiarazione Balfour, il cui testo fu inserito anche nello statuto del mandato internazionale della Società delle Nazioni (1922), con cui la Gran Bretagna fu ufficialmente e definitivamente investita dell'incarico.
La popolazione della Palestina mandataria (i territori a ovest del fiume Giordano) era allora di circa 750.000 ab.: di questi appena 85.000 gli ebrei e 71.000 i cristiani. Nel 1922, all'inizio del mandato, G. era una città di 62.100 ab., tra cui 34.000 ebrei (poco più della metà), 13.500 musulmani e 14.600 cristiani. Negli anni dell'amministrazione britannica G. registrò un rapido aumento della popolazione e una crescita delle tensioni e dei conflitti fra gli immigrati ebrei, che si insediavano soprattutto nei nuovi quartieri occidentali, e la popolazione araba, prevalente nella città vecchia situata nella parte orientale. Il piano di spartizione della Palestina fra uno Stato arabo e uno ebraico, approvato il 29 novembre 1947 dall'Assemblea generale dell'ONU, prevedeva che la città di G. e i suoi dintorni dovessero costituire una zona a sé stante (corpus separatum) all'interno dello Stato arabo, sottoposta a uno speciale regime internazionale sotto il controllo delle Nazioni Unite. In questo modo si intendeva salvaguardare i diritti di ebrei, cristiani e musulmani e la libertà di accesso e la protezione dei Luoghi santi delle tre religioni: la vicinanza o addirittura la coincidenza di alcuni tra questi, come il Monte del Tempio ebraico, con il muro del Pianto, e al-Ḥaram al-Sharīf (il nobile santuario), terzo luogo santo dell'Islam noto anche con il nome di Spianata delle moschee, rendevano e rendono ancora particolarmente delicata la questione.
Dopo il rifiuto arabo di accettare la risoluzione dell'ONU, il giorno successivo la proclamazione dello Stato d'Israele (15 maggio 1948), gli eserciti dell'Egitto, della Siria, della Transgiordania, dell'Irāq e del Libano invasero il territorio del neonato Stato ebraico. La guerra del 1948-49 (durante la quale - maggio 1948 - il quartiere ebraico della città vecchia fu quasi totalmente distrutto dalle truppe transgiordane) portò all'occupazione di G. da parte delle forze israeliane (settore occidentale) e transgiordane (la città vecchia con i principali Luoghi santi) e alla sua conseguente divisione di fatto, sancita dall'armistizio del 3 aprile 1949 fra Tel Aviv e ̔Ammān. Malgrado la rinnovata affermazione da parte dell'Assemblea generale dell'ONU (dicembre 1949) del principio dell'internazionalizzazione di G., Israele e Giordania (nuovo nome della Transgiordania dall'aprile 1949) procedettero all'annessione delle rispettive zone di occupazione e, nel gennaio 1950, Israele proclamò G. propria capitale. Il settore sotto controllo giordano fu annesso formalmente da ̔Ammān, con il resto della Cisgiordania, nell'aprile 1950, e da allora non fu consentito il libero accesso ai luoghi di culto ebraici.
Dopo la guerra del giugno 1967, che permise a Israele di estendere il suo controllo all'intera Cisgiordania, il settore orientale della città fu occupato e G. riunificata sotto la sovranità israeliana. I confini della municipalità vennero significativamente spostati molto più a est, arrivando a includere non solo il settore in precedenza governato dalla Giordania, ma anche alcune parti della Cisgiordania stessa, tra cui una trentina di villaggi arabi. La città passò da 38 km2 a 108 km2 e i nuovi confini municipali furono disegnati in modo da inglobare la maggiore quantità possibile di terra ed escludere al contempo il maggior numero possibile di arabi. Tutti i provvedimenti amministrativi e legislativi israeliani in tal senso furono ripetutamente denunciati dall'Assemblea generale dell'ONU fin dal luglio 1967. Nel maggio 1968 il Consiglio di sicurezza dell'ONU, con l'astensione degli Stati Uniti e del Canada, approvò la risoluzione 252, che condannava l'operato israeliano, e l'anno successivo ribadì la sua condanna approvando all'unanimità una censura ancora più severa dell'atteggiamento di Israele: nella successiva risoluzione 267 (luglio 1969) venivano stigmatizzate come giuridicamente nulle e non avvenute tutte le misure volte a modificare lo status di Gerusalemme. Nel corso degli anni Settanta Israele proseguì, con l'intervento sulle caratteristiche fisiche e demografiche della città (allontanamento dei residenti arabi dalla città vecchia, trasformazioni urbanistiche, insediamenti ebraici ecc.), l'opera di integrazione fra le due parti di G. e di quest'ultima nel territorio nazionale, cercando così di pregiudicare ogni possibile, futuro, tentativo palestinese di minacciare la sovranità israeliana sulla città.
Nel 1980 l'annessione fu solennemente sancita da una legge fondamentale dello Stato (approvata in luglio dal Parlamento israeliano, la Knesset) che proclamò G. capitale unita, indivisibile ed eterna di Israele; nell'agosto dello stesso anno con la risoluzione 478 il Consiglio di sicurezza dell'ONU (con l'astensione degli Stati Uniti) censurava la legge in questione, emanata in palese violazione degli accordi internazionali, invitando tutti gli Stati a stabilire esclusivamente a Tel Aviv le proprie rappresentanze diplomatiche in Israele (invito da allora effettivamente rispettato dalla quasi totalità dei Paesi). Negli anni Ottanta la crescita della tensione fra il governo israeliano e la popolazione araba di G., che dalla fine del 1987 partecipò all'intifāḍa palestinese, si manifestò, fra l'altro, in alcuni incidenti verificatisi in prossimità dei Luoghi santi (particolarmente gravi quelli dell'ottobre 1990, seguiti alla provocazione del gruppo estremista ebraico dei Fedeli del Monte del Tempio, che fecero registrare la morte di 17 palestinesi). Dopo la proclamazione nel novembre 1988 dello Stato di Palestina, "con la Città santa di Gerusalemme come sua capitale", la questione di G. ha continuato a rappresentare un tema di particolare difficoltà nei successivi tentativi di dialogo arabo-israeliano.
All'inizio degli anni Novanta un ulteriore ostacolo ai colloqui di pace era rappresentato dall'insediamento di Ma̓ale Adumim, a sette chilometri da G. in direzione est verso il Mar Morto. Sorto nel 1975 per volontà di un governo laburista, Ma̓ale Adumim diventò un municipio autonomo nel 1991, il più grande insediamento israeliano dei Territori occupati. Nella seconda metà del decennio, in particolare dopo la vittoria elettorale del maggio 1996 di B. Netanyahu alla testa di una coalizione di estrema destra, G. fu al centro di un'intensa attività: prima la decisione di aprire un antico tunnel che correva sotto le moschee di ̔Umar e al-Aqṣā, il cuore della città vecchia (settembre 1996), in seguito la costruzione di un quartiere ebraico sulla collina di Har Homa, Abu Ghneme per i palestinesi, a sud-est della città (febbraio-marzo 1997), infine l'ampliamento dei confini della città a una serie di centri ebraici vicini (giugno 1998), il cosiddetto piano della Greater Jerusalem. Quest'ultimo, per quanto osteggiato dalla comunità internazionale e dagli stessi centri ebraici situati a ovest di G., che non vedevano di buon occhio il loro inglobamento nella città, nasceva dall'esigenza di implementare al massimo la popolazione ebraica di G., che era minacciata dalla crescita demografica dei palestinesi. La caduta del governo Netanyahu provocò in seguito l'abbandono del piano, ma fu Har Homa a segnare, simbolicamente, uno spartiacque.
Con questo quartiere, costruito espropriando una sessantina di ettari dai villaggi arabi, si completava l'accerchiamento della parte araba della città. L'insediamento, come altri precedentemente edificati, si interponeva tra preesistenti villaggi arabi così da impedirne l'ingrandimento oppure l'espansione nel territorio cisgiordano. Lo stesso carattere arabo di G. est era indebolito dalla continua infiltrazione di coloni ebrei, al punto da spingere la Lega araba a creare un fondo dedicato a sostenere là araba di G. (ottobre 2000).
La questione di G., che anche con il governo del laburista E. Barak vide intensificarsi la politica degli insediamenti, minacciava ormai l'intero processo di pace e la possibilità di compiere anche piccoli passi in tale direzione, come dimostrò il fallimento dei negoziati di Camp David (luglio 2000), fortemente voluti dal presidente degli Stati Uniti B. Clinton e dal primo ministro israeliano Barak. Furono infatti le divergenze sul problema di G. (e su quello della sorte dei profughi palestinesi) a determinare il fallimento degli incontri. Gli israeliani per la prima volta si mostrarono disposti a mettere in discussione il loro controllo sulla totalità di G. e a cedere ai palestinesi la sovranità sui quartieri arabi situati a nord-est e a sud-est della città; Y. ̔Arafāt, da parte sua, inquadrava questa proposta nell'ambito più ampio del ritiro israeliano dalla Cisgiordania e non come una questione inerente al destino di G. stessa, dal momento che si trattava di quartieri non inclusi nei confini municipali di G. prima della guerra dei Sei giorni del 1967. Il cuore del problema restavano i quartieri arabi nella città vecchia e al-Ḥaram al-Sharīf, luogo simbolo di entrambe le religioni, sui quali gli israeliani non intendevano cedere la sovranità ai palestinesi; nel corso delle trattative, infatti, si parlò esclusivamente di eventuale sovranità simbolica e non effettiva dei palestinesi, una sorta di controllo amministrativo. Ma ̔Arafāt si mostrò irremovibile sulle questioni di principio esigendo la restituzione dell'intera G. Est, compresa, quindi, la città vecchia, in quanto territorio occupato dagli israeliani. Una delle ultime proposte di Clinton sulla Spianata delle moschee vedeva la sovranità israeliana sui Luoghi santi delegata al Consiglio di sicurezza dell'ONU, ma ̔Arafāt oppose un netto rifiuto. Due mesi dopo il collasso delle trattative G. tornò prepotentemente sulla scena con lo scoppio della seconda intifāḍa, detta di al-Aqṣā. Evento scatenante fu la visita del leader israeliano del Likud A. Sharon alla Spianata delle moschee; il giorno successivo alla visita, dopo la preghiera musulmana del venerdì, si verificarono i primi scontri che presto dilagarono a Gaza e in Cisgiordania trasformandosi in vera e propria rivolta (v. palestina).
Tra il 2001 e il 2002 G. fu oggetto di numerosi e devastanti attentati contro la popolazione civile che provocarono la morte di decine di persone; nel 2003, dopo un periodo di relativa calma, i terroristi di Ḥamās (Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, Movimento della resistenza islamica) tornarono a colpire in più occasioni la città (giugno, agosto e settembre), provocando la morte di oltre quaranta israeliani. Nel giugno 2002 il governo Sharon si pronunciò per la costruzione di una barriera di separazione tra Israele e la Cisgiordania con l'obiettivo di prevenire gli attentati suicidi sul territorio israeliano, drammaticamente aumentati nei primi sei mesi dell'anno. Con l'intenzione dichiarata di proteggere la vulnerabilità di G., Israele disegnò molta parte del tracciato del muro non lungo la Linea verde dell'armistizio del 1949 con la Giordania, ma penetrando più o meno in profondità nella Cisgiordania, annettendo di fatto intere porzioni di territorio palestinese e isolando completamente G. a est. Il tracciato della barriera, rispondendo all'esigenza di inglobare nell'orbita municipale di G. più insediamenti possibili, lasciava circa 200.000 palestinesi al di qua del muro, con l'effetto di ostacolare coloro che giornalmente si recavano in città per lavorare e studiare, o viceversa dalla città si riversavano nei campi. I posti di blocco, gli espropri dei campi coltivati e le difficoltà nei ricongiungimenti familiari rendevano critiche le condizioni di vita della popolazione palestinese di G. Est, anche in considerazione del fatto che i palestinesi che vivono a G. non hanno la cittadinanza, ma soltanto una residenza permanente, uno status soggetto di conseguenza a possibili restrizioni o addirittura a revoche, come avvenuto, per es., negli anni 1995-1999 nel tentativo di contenere la popolazione araba della città. Le proteste della comunità internazionale contro la costruzione del muro hanno fatto registrare la posizione sempre più defilata degli Stati Uniti, meno disposti a esporre a critiche l'operato israeliano a G. Est e nei dintorni.
Le decisioni prese dal governo israeliano nel febbraio 2005, circa la definizione di un tracciato più prossimo a quello della Linea verde, hanno lasciato più o meno inalterato il quadro intorno a G., con l'eccezione dell'aggiunta di una nuova sezione del muro che include anche l'insediamento di Ma̓ale Adumim. Variazione che impedirebbe la possibile continuità territoriale palestinese tra la zona di Ramāllāh a nord e quella di Betlemme a sud di Gerusalemme.
bibliografia
B'Tselem, The Israeli information center for human rights in the occupied territories, A policy of discrimination: land expropriation, planning and building, May 1995.
M. Benvenisti, City of stone. The hidden history of Jerusalem, Berkeley 1996.
A. Cheshin, B. Hutman, A. Melamed, Separate and unequal. The inside story of Israeli rule in East Jerusalem, Cambridge (Mass.) 1999.
R. Friedland, To rule Jerusalem, Berkeley 2000 (1a ed. New York 1996).
P. Pieraccini, E. Dusi, Gerusalemme: un accordo impossibile?, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, 2001, 1, pp. 93-112.
B. Wasserstein, Divided Jerusalem. The struggle for the Holy City, New Haven-London 2001.
Foundation for Middle East peace, Jerusalem special report, summer 2006, 13.