CAVAZZA, Gherardo
Bolognese, figlio di Iacopo, intorno al 1326 dimorava a Camerino, dove aveva bottega di orafo. Conosciamo queste notizie dall'unica sua opera datata e firmata: il reliquiario della mano di s. Filippo ap. già nella chiesa di S. Domenico, detta di S. Maria del Mercato, a Sanseverino Marche, ora nella Pinacoteca civica di quella città.
Èalto cm 54, di bronzo dorato, lavorato a sbalzo, a nielli e smalti colorati con figure di santi e decorazioni fioreali; sul largo piede raggiato e lobato sono sbalzate otto figure entro altrettante cornicine trilobate: Crocifissione, SS. Giacomo (?), Ludovico, Giovanni Battista, Paolo, Pietro, Giovanni Evangelista, Madonna. Ilpiede si stringe a pilastrino di sezione ottagona decorato a tenue rilievo e diviso a metà da un nodo ornato di otto nielli tondi aggettanti e figurati; si allarga in alto in una piccola piattaforma ottagonale a mensola, formata da una piramide tronca rovesciata e sostenente, attraverso un collarino pure ottagonale, una teca a monofora bilobata con rosoncino, quadrilobo, dove si custodiva la reliquia; la teca è scandita da una cornicina decorata di rilievi floreali coperta di smalti e pietre dure incastonate. Il reliquiario culmina in una piccola nicchia a baldacchino al cui riparo è la statuina di bronzo dorato di un santo benedicente con la destra e con un libro nella sinistra, presumibilmente l'apostolo cui apparteneva la reliquia sottostante.
Sul collo del piede del reliquiario corre su tre linee sovrapposte l'indicazione dell'anno e del committente in chiari caratteri gotici: "Anno Dni MCCCXXVI fecit fieri hoc opus/frater Franciscus De BonoRe[ctor] i[n] pat/rio [conventu] ordinis fratru[m] praedicatoru[m]". Al disotto, sulla breve inclinazione che dà inizio alla base, il nome, la patria e la residenza dell'autore incisi lungo un'unica linea: "Hoc opus fecit Girardus Iacobi Cavaça D[e] Bono[n]ia i[n] Cam[ereno]". L'integrazione della prima iscrizione è del Ranaldi, per il quale "De Bono" è un patronimico (Del Buono) e "patrio" viene completato da "conventu", che sarebbe stato omesso dall'incisore forse per calcolata insufficienza di spazio. L'Aleandri (1905) per primo dà l'esatta trascrizione del nome dell'autore, mentre per l'innanzi era stato letto erroneamente: "Giacomo Gherardo Cavalca" (Ricci), "Giraldo Cavalca" (Valentini), "Gherardo Iacopo Cavazza" (Serra, 1929).
La presenza attiva dell'orafo bolognese nel Camerinese non ci viene altrimenti documentata, ma giustamente si presume di non poterla limitare a quest'oggetto che rivela finezza di gusto e genialità di inventiva.
Per analogie stilistiche e tecniche, l'Aleandri attribuì al C. l'anonima splendida croce stazionale della basilica collegiata di S. Venanzio a Camerino trafugata, con indizi di furto su corrimissione, i primi giorni del settembre 1968. Alta un metro e lavorata in lamina di argento, era adorna di nielli e smalti, ma con colori più vari e smaglianti e un'infinita serie di angeli e di santi (se ne contavano quaranta sul retto). Il Serra propende a riferirla a oreficeria francese, probabilmente di Limoges, e la dice eseguita circa la metà, del sec. XV. La lontananza geografica e ancor più le figurazioni di alcuni santi camerinesi, quali Venanzio, Porfirio e Leonzio, strettamente e unicamente legati alla tradizione e al culto della Chiesa locale, non permettono di consentire. Tra questi due oggetti si potrebbe collocare la croce processionale della chiesa arcipretale di Serrapetrona (Macerata), accesa di vivaci figurazioni sotto smalti dominati da un abbagliante color turchino.
Fu trafugata nel sec. XVI, ma recuperata e parzialmente restaurata nel 1555. Le due prime righe dell'iscrizione a caratteri gotici contenevano forse la data e il nome dell'esecutore, ma andarono perdute in quella occasione; si ricostruisce invece il nome del committente Ugolino di Andrea da Serrapetrona, ministro provinciale dell'Ordine francescano nella Marca di Ancona, che dal Civalli sappiamo eletto a quella carica l'anno 1379. Il Serra attribuì questa croce ad un Cecco da Camerino, orafo, egli dice, del sec. XIV, che R. Romani (Guida... di Camerino..., Terni 1927, p. 274), forse per semplice lapsus, trasferì al sec. XV. Di costui non si ha altra notizia ed è probabile vada identificato con quel maestro Cecco da Camerino, del quale per altro non è specificata la professione, ma è nominato come padre dell'argentiere e fonditore Gentiluccio, ricordato dal Ricci senza alcun riferimento a opere da lui eseguite. A questo dunque verisimilmente, piuttosto che al padre, potrebbe appartenere il lavoro o comunque a un allievo di quella scuola di orefici che dal C. - fattosi camerinese in un momento di grande prestigio della città per la potenza acquisita dalla famiglia dei Varano - avevano appreso l'uso di unire all'incisione e allo sbalzo dei metalli i nielli e gli smalti. Quindi alla stessa bottega andrebbe assegnata l'inedita croce astile, d'incerta provenienza ma custodita anch'essa nella Pinacoteca civica di Sanseverino, certamente eseguita nel sec. XIV e più vicina di tutte al reliquiario del C., perché in essa il lavoro dell'orafa si limita a costruire tenui cornici circolari di lamina d'argento dorato disseminate di piccole pietre dure dai vivaci colori (turchesi, ametiste, diaspri, ecc.) e che incastonano più grandi calotte di cristallo fortemente bombate, destinate a custodire reliquie di santi con notevoli effetti di riflessi luminosi. Questi quattro pezzi costituiscono un'unità del tutto diversa dalle innumerevoli croci astili diffuse nel Camerinese - ben dodici ne raccoglie il Museo diocesano -, tutte lavorate tra i secoli XIII-XVII, ma di solo metallo.
Bibl.: Bibl. Apost. Vat., ms. Patetta 81:A. Bacchini, Relatione informativa e stor. dell'origine privilegi e preminenze della Serrapetrona (Camerino)... anno 1712, ff. 170-175; O. Civalli, Mem. storiche dei minori conventuali..., in G. Colucci, Antichità picene, XXV, Fermo 1794, p. 72; L. Cicognara, Mem. spettanti alla storia della calcografia, Prato 1831, Append., pt. III, lett. D, p. 227; A. Ricci, Mem. storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, I, Macerata 1834, pp. 95 s.; G. Ranaldi, Memorie storiche di S. Maria del Glorioso presso Sanseverino..., Macerata 1837, p. 50; D. Valentini, Il forastiere in Sanseverino Marche..., Sanseverino Marche 1868, pp. 111 s., 175nn. 74-75; S. Servanzi Collio, Descriz. di nove croci antiche..., Camerino 1883, pp. 15-20, Id., Lo statuto municipale del Castello di Serrapetrona…, Camerino 1884, pp. 15-17; V. E.Aleandri, Nuova guida storica artistica industriale di Sanseverino Marche, Sanseverino Marche 1889, pp. 93, 123; Id., La civica Pinacoteca di Sanseverino Marche, in Rassegna bibliogr. Per l'arte italiana, VIII(1905), p.155n. 1; L. Serra, Itinerario artist. delle Marche, Roma 1921, pp. 66, 68; Id., L'arte nelle Marche, I,Pesaro 1929, p. 333; II,Roma 1934, p. 497(dove è scritto Serravalle invece di Serrapetrona); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 229.