GHIRARDINI, Gherardo
Nacque a Badia Polesine il 13 luglio 1854 da Giovanni e Maria Crestani.
Su incoraggiamento di un fratello sacerdote compì i primi studi e frequentò il liceo di Rovigo; si iscrisse, poi, alla facoltà di lettere dell'Università di Bologna dove fu allievo di G. Carducci, relatore alla sua tesi di laurea.
Il lavoro Della visione di Dante nel paradiso terrestre fu pubblicato a Bologna nel 1877; nello stesso anno era apparso, sempre a Bologna, un altro suo studio, Delle due principali opinioni intorno all'origine della Casa di Savoia. La pubblicazione su Dante trovò sostenitori, ma anche detrattori, fra cui il dantista G.A. Scartazzini, che non scalfirono, tuttavia, il giudizio lusinghiero di Carducci, rimasto vicino all'allievo.
Nel frattempo nel G. era andato maturando l'interesse verso l'archeologia e non fu forse un caso che, proprio in occasione della discussione della tesi di laurea, Carducci donasse all'allievo l'autografo dell'ode Dinanzi alle Terme di Caracalla. Il mutamento d'interessi e d'indirizzo di studi è stato spiegato con l'influenza esercitata dal magistero di E. Brizio - che nell'autunno del 1876 era stato chiamato a ricoprire la cattedra di archeologia, proprio quando il G. si iscriveva all'ultimo anno del corso universitario - e con la contemporanea, intensa stagione di ricerche e scoperte archeologiche a Bologna.
L'arrivo di Brizio segnò, in effetti, un deciso cambiamento nello studio dell'antico presso l'ateneo felsineo: con lui si chiuse la fase dell'archeologia intesa come antiquaria e si aprì quella nella quale la disciplina venne via via inserita nell'ambito della storia dell'arte e, nel contempo, finalizzata alla ricerca e allo studio di "documenti talora umili, ma non per questo meno preziosi dell'Italia preromana". Tra il G. e Brizio, separati da una differenza di età di soli otto anni, nacque un profondo legame di amicizia mai venuto meno e, nel 1878, nel prestigioso Bullettino dell'Instituto di corrispondenza archeologica, vide la luce il primo studio di argomento archeologico del G., Nuovi vasi scoperti a Bologna.
Intanto, subito dopo la laurea, per non gravare sulle non floride finanze familiari, il G. aveva cominciato a dare lezioni private; quindi, per interessamento di Carducci, aveva ottenuto un incarico come docente in un liceo di Firenze. Nel gennaio 1878, insieme con L.A. Milani, risultò vincitore di una borsa triennale presso la Scuola italiana di archeologia, che gli consentì di soggiornare a Pompei, Roma e Atene, e di entrare in contatto con numerosi archeologi italiani (fra cui L. Pigorini e G.B. De Rossi) e stranieri (W. Helbig, A. Furtwängler, C.R. e F. von Duhn): furono questi i suoi anni di formazione come archeologo.
Terminato il triennio presso la Scuola italiana di archeologia, ebbe qualche difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro e se ne lamentò proprio con Carducci, a cui scrisse una lettera amareggiata (Morabito, 1964).
Qualche mese più tardi, tuttavia, ottenne l'incarico di ispettore presso la Galleria degli Uffizi, ma non ne fu soddisfatto, essendovi impiegato per lo più in questioni di carattere amministrativo. Presto, comunque, su incarico di G. Fiorelli, fu inviato dal ministero della Pubblica Istruzione in diverse parti d'Italia in missioni che, fra il 1881 e il 1885, occuparono gran parte del suo tempo.
Inizialmente fu mandato a Tarquinia per seguire gli scavi che stavano portando alla luce materiale di epoca villanoviana. Il suo arrivo coincise con l'inizio d'indagini rigorose, i cui risultati egli tentò d'inquadrare storicamente in alcuni interventi nelle annate 1881 e 1882 delle Notizie degli scavi di antichità.
Successivamente, ebbe la responsabilità delle indagini a Formello e sul Poggio di Colonna di Buriano, dove il medico-archeologo L. Falchi aveva localizzato la polis etrusca di Vetulonia. Nel 1881 fu incaricato di dare relazione degli scavi dell'anfiteatro di Padova e nel 1882 di svolgere ricerche in "vari luoghi di scavo nell'Italia superiore", di cui dette prontamente notizia (sempre nelle Notizie degli scavi di antichità).
Le ricerche e le pubblicazioni di questi anni gli valsero la nomina a professore di archeologia presso l'Università di Pisa, dove rimase sino al 1899. Gli anni trascorsi nella città toscana furono considerati dallo stesso G. i migliori per i suoi studi.
Condusse scavi nella stessa Pisa (rinvenendo, sotto le strutture romane, frammenti di ceramica attica, che gli diedero l'occasione per affrontare il problema della presenza etrusca nella città e nei dintorni), a Genova e nell'area ligure. Durante gli anni pisani molta della sua attenzione fu dedicata a Volterra, dove, a partire dal 1885, iniziavano a venire alla luce tracce della civiltà villanoviana; diresse, in particolare, lo scavo della necropoli della Guerruccia, del quale dette un resoconto ritenuto esemplare nel periodico Monumenti antichi pubblicati a cura dell'Accademia dei Lincei (1898). Notò analogie tra il materiale villanoviano di Volterra e quello di Bologna e comprese l'importante ruolo di collegamento svolto da Volterra tra l'Etruria propria e l'Etruria padana.
Nel frattempo aveva iniziato a pubblicare uno dei suoi studi più significativi: La situla italica primitiva studiata specialmente in Este, suddiviso in tre parti (ibid., 1893, 1897, 1900); in esso cercò di dare conto del fenomeno della situla (propriamente "secchio") nella civiltà atestina inserendolo nel quadro dell'Italia antica, e ne propose una seriazione cronologica e tipologica, ipotizzando una diffusione del vaso da Sud a Nord, dall'Etruria propria all'area veneta, dove trovò "la vera e propria sede del suo svolgimento", con il tramite della Bologna etrusca.
All'inquadramento storico e culturale della civiltà atestina aveva, peraltro, già dedicato attenzione analizzando i materiali scoperti nel fondo Baratela (Este. Intorno alle antichità scoperte nel fondo Baratela, in Notizie degli scavi…, 1888), dove ne aveva proposto una suddivisione in fasi, che prevedeva un periodo più antico denominato "italico o tipo di Villanova", uno intermedio detto "veneto o tipo di Este" e uno finale chiamato "gallico o tipo di La Tène". Aveva ipotizzato anche l'assenza di brusche cesure fra le fasi, in particolare tra la prima e la seconda, e aveva respinto l'idea di un "tramutamento di popoli, di cui l'uno sospingesse o soppiantasse l'altro". In proposito va segnalato che il G. rifiutò sempre, anche per la questione etrusca, il collegamento automatico fra un mutamento culturale e l'arrivo di un nuovo popolo. Si trattava di una posizione in contrasto con gli stessi insegnamenti del Brizio e allora isolata, ma poi riconosciuta come uno dei suoi apporti teorici più innovativi e duraturi.
Negli anni pisani, seppure assorbito dalle problematiche dell'Italia preromana, non trascurò mai il campo dell'archeologia greca e romana: si ricordano i suoi studi su alcuni bronzi rinvenuti a Creta (1888), sull'Apollo del Belvedere (1889), sulla copia Ludovisi del Satiro versante (1892).
Nell'autunno del 1899, il G. fu chiamato a occupare la cattedra di archeologia presso l'Università di Padova, dove rimase fino al 1907 ricoprendo anche la carica di soprintendente alle Antichità del Veneto. In quest'ultima veste fu molto attivo, assunse la direzione di scavi rilevanti, e seguì l'allestimento del Museo di Este, aperto al pubblico nel 1902, e di quello di Adria, inaugurato nel 1905. In proposito sostenne che i musei italiani di nuovo allestimento non dovevano limitarsi ai manufatti di alto valore artistico ma raccogliere qualsiasi tipo di suppellettile o materiale lavorati dall'uomo.
Tale posizione, che il G. ribadì in più occasioni e, soprattutto, in un importante bilancio dell'archeologia italiana nel primo cinquantennio unitario (L'archeologia nel primo cinquantennio della nuova Italia, Roma 1912), derivava non da una svalutazione della storia dell'arte, ma dalla consapevolezza che la storia dell'Italia preromana "era più un problema di storia che di arte e di una storia che si poteva fare solo attraverso umili testimonianze archeologiche" (Sassatelli, 1984). In merito devono avere interagito i ricordi degli insegnamenti di Carducci e di Brizio.
Nel 1907, alla morte del Brizio, lasciò l'ateneo patavino e si trasferì a Bologna, dove tenne i corsi di archeologia e di antichità umbro-etrusco-galliche (insegnamento, denominato talora anche paleoetnologia umbro-etrusco-gallica); nello stesso tempo ricoprì la carica di soprintendente alle Antichità e di direttore del Museo civico.
Dell'attività quale soprintendente vanno ricordati lo scavo nel palazzo di Teodorico a Ravenna (dove prestò grande attenzione alle stratigrafie, riuscendo così a cogliere le diverse fasi dell'edificio) e quello della necropoli di S. Vitale a Bologna, che gli dette l'occasione per ritornare sul problema delle origini della città. Un certo numero di corredi funerari, dopo essere stati restaurati, furono esposti nel Museo civico; sempre per questo museo incrementò la raccolta dei gessi, procedendo all'acquisto di calchi di monumenti particolarmente noti, fra cui l'auriga di Delfi, l'Hermes di Prassitele, il discobolo di Castel Porziano, il Trono Ludovisi e l'Athena Lemnia.
Un tema su cui il G. tornò negli anni dell'insegnamento bolognese fu quello della provenienza degli Etruschi e della formazione della loro civiltà, che fece risalire alla piena fioritura della cultura villanoviana.
A suo giudizio il loro arrivo non sarebbe avvenuto in un solo momento, ma "a turbe divise, a intervalli, in tempo abbastanza lungo così da penetrare e insinuarsi coi traffici fra gli abitanti del paese […] quasi a formare lentamente una sola compagine etnica" (1914). Si trattava di una posizione fortemente innovativa per il primo decennio del Novecento e, sotto certi aspetti, anticipatrice di ipotesi sviluppate in seguito da M. Pallottino.
Il G. morì a Bologna il 10 giugno 1920.
Fu socio nazionale dell'Accademia dei Lincei, presidente della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, membro ordinario dell'Istituto archeologico germanico e socio di diverse accademie.
Fonti e Bibl.: Necr. in Revue archéologique, XI (1920), pp. 94, 332-334; Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, XI (1921), pp. 6-38; C. Anti - G. Fiocco - L. Laurenzi - A. Mancini, G. G. nel centenario della nascita. Con due autografi inediti di G. Carducci, Padova 1958; F. Morabito, Maestri nell'ateneo bolognese: Carducci e G., in Nuova Antologia, giugno-luglio 1964, pp. 207-227, 344-358; D. Manacorda, Cento anni di ricerche archeologiche italiane: il dibattito sul metodo, in Quaderni di storia, XVI (1982), p. 91; G. Sassatelli, I dubbi e le intuizioni di G. G., in Dalla stanza delle antichità al Museo civico. Storia della formazione del Museo civico archeologico di Bologna, a cura di C. Morigi Govi - G. Sassatelli, Bologna 1984, pp. 445-464 (con elenco completo delle pubblicazioni del G., pp. 459-464); A.M. Brizzolara, La gipsoteca e l'insegnamento dell'archeologia, ibid., pp. 465-474; M. Barbanera, L'archeologia degli Italiani, Roma 1998, pp. 5, 63, 65, 103, 105-107, 137, 212; Enc. Italiana, XVI, p. 917.