CAPECE GALEOTA, Giacomo
Nacque, probabilmente a Napoli, nella prima metà del sec. XV. Come la maggior parte dei nobili napoletani il C., pur appartenendo ad una famiglia tradizionalmente fedele agli Angioini, si rassegnò, dopo la sconfitta di re Renato (1442), al dominio aragonese; si pose anzi, insieme col fratello Rubino (che durante l'assedio di Napoli aveva ricevuto dall'Angiò l'incarico di difendere l'acquedotto), al servizio di Alfonso come condottiero di lance. Ancora nel 1452 le sue relazioni col sovrano aragonese dovevano essere buone, poiché il 4 marzo di quell'anno ricevette da lui un appannaggio di 25 once annue (Fonti aragonesi, III, p. 32). Ma dopo la morte di Alfonso (1458) e lo sbarco di Giovanni d'Angiò il C. si schierò decisamente dalla parte di quest'ultimo: partecipò infatti alla sua breve campagna rivestendo una posizione di primo piano e fu coinvolto col principe angioino nella sconfitta di Troia (18 ag. 1462). Ritiratosi a Campobasso assieme a Cola di Monforte cercò di resistere fino a quando, nell'aprile del 1464, Giovanni abbandonò la lotta e tornò in Provenza: ridotto all'isolamento ed in preda a stringenti difficoltà economiche il C. seguì nell'esilio il duca angioino, fuggendo insieme al Monforte presso il re Renato.
Al servizio degli Angiò nella guerra per la corona d'Aragona, il C. combatté in Catalogna contro Ferdinando il Cattolico accarezzando la speranza di un prossimo rientro in patria al seguito di una nuova spedizione angioina. Nel 1468 venne fatto prigioniero dagli Aragonesi; tornato in Provenza acquistò sempre più stima ed onore presso il re Renato, che il 6 dic. 1470 lo nominò giudice conservatore dei giudei di quella regione. Nello stesso anno aveva tentato di recarsi a Napoli per assistere al matrimonio della figlia, rimasta in patria, ma le autorità aragonesi gli avevano negato il salvacondotto il 20 marzo (Fonti aragonesi, III, p. 89).La morte improvvisa di Giovanni d'Angiò nel dicembre 1470 non interruppe la guerra che i suoi capitani conducevano e tra il 1470 ed il 1471 si accese un'aspra lotta per il possesso di Barcellona e Gerona; in uno scontro presso il fiume Bejes nell'ottobre del 1471 il C., che aveva il comando dell'esercito, venne fatto nuovamente prigioniero. Nonostante la vittoria di Peralda (4 apr. 1472), l'impresa di Catalogna terminò col ritiro delle truppe angioine ed i capitani italiani tornarono in Provenza. Dalla corte di Renato il C. assieme a Cola di Monforte si trasferì presso quella di Carlo il Temerario, in seguito al trattato di pace stipulato tra la casa d'Angiò e quella di Borgogna e all'esaurimento delle ambizioni militari e politiche degli Angioini. Nel dicembre 1472 si recò in Italia, accompagnato dal Monforte, per raccogliere truppe scelte: l'impresa durò circa un anno, osteggiata dal duca di Milano e dalla Repubblica veneta e favorita da Iolanda di Savoia; al termine i due erano riusciti a radunare un migliaio di uomini che andarono a ingrossare le file borgognone. All'atto di lasciare l'Italia il C. indirizzò una lettera a Ludovico Gonzaga marchese di Mantova (24 sett. 1473), informandolo delle intenzioni di Carlo il Temerario che si apprestava alla guerra contro l'imperatore e delle sue preoccupazioni per la successione angioina dopo la morte di Nicola figlio di Giovanni, alla cui causa egli restava sia pure idealmente ancora legato; l'8 novembre dello stesso anno scrisse ancora una volta al marchese di Mantova, smentendo le dicerie su un accordo tra la Borgogna e l'Impero (Croce, p. 107). In compenso della missione Carlo donò al C. una croce di diamanti e perle. Nel luglio 1474 questi partecipò all'assedio di Neuss guidando duecento lancieri italiani, altrettanti arcieri inglesi ed un certo numero di fanti; ebbe anche il comando di una delle due grandi balestre fatte costruire nel novembre dello stesso anno per difendere i vettovagliamenti dell'armata borgognona. Nel corso dell'assedio gli Imperiali catturarono due suoi nipoti, offrendo loro la libertà dietro riscatto, ma il C. rifiutò. Il suo valore fu messo in luce dai combattimenti che si susseguirono durante l'assedio: in particolare il C. si distinse il 23 maggio 1475, quando, con un audace assalto ad una collina tenuta dalle truppe imperiali riuscì a conseguire la vittoria decisiva.
La personalità di Carlo il Temerario affascinava il gentiluomo napoletano, perché incarnava ai suoi occhi un aristocratico ideale di virtù cavalleresca: in una lettera del 17 marzo 1475, scritta durante l'assedio a Gian Galeazzo Sforza, a cui era legato da devozione ed amicizia, egli parla in termini ammirati del suo signore, felicitando il duca di Milano per l'alleanza conclusa con lui (Croce, p. 112). Analogamente in una lettera del 27 febbr. 1476 al marchese di Mantova esalta l'impresa di Lorena, a cui non aveva partecipato, e la campagna appena intrapresa contro gli Svizzeri (Croce, p. 117).
Nella guerra contro gli Svizzeri il C. partecipò alle sfortunate battaglie di Granson e di Morat, distinguendosi anche in quest'occasione nonostante le rovinose sconfitte. Durante la battaglia di Nancy (5 genn. 1477) comandava l'ala sinistra dell'esercito borgognone, lungo il fiume Meurthe: attaccato dalla fanteria svizzera e dalla cavalleria del conte di Thierstein, resistette eroicamente e riuscì a respingere il nemico; ma di lì a poco fu costretto a ripiegare, coinvolto nella sconfitta del resto dell'esercito. Nel corso delle drammatiche vicende che seguirono la morte di Carlo, il C. continuò a mantenersi fedele alla casa di Borgogna: lo troviamo a capo della difesa di Valenciennes assieme a Philippe de Ravestain e successivamente alla testa di numerose spedizioni ed incursioni in sostegno della stessa città tra la primavera e l'estate 1477, come ad esempio verso Crespin dove furono sconfitti i Francesi della guarnigione di Quesnoy. Si trovava ancora a Valenciennes nel 1478 nel periodo in cui il duca Massimiliano d'Austria, che aveva sposato Maria di Borgogna, era a Bruges per l'investitura del Toson d'oro. Nello stesso anno si recò a Mons insieme a tutti i generali e nobili fedeli alla casa di Borgogna, partecipando ad un'adunata generale promossa da Massimiliano. Ritornò poi nuovamente a nord, attaccando ancora volta Quesnoy: questa volta però l'intervento dei Fiamminghi di Dammartin travolse le truppe borgognone ed il C. si salvò a stento, restando ferito alla testa. Dopo questa sconfitta il C. si congedò dalla corte di Borgogna e passò nelle file del re di Francia Luigi XI, divenuto erede e successore di Renato d'Angiò. Il re aveva saputo sfruttare a suo vantaggio la fedeltà angioina del condottiero napoletano, attirandolo nel suo campo con una lunga opera di persuasione, come ci ricorda una lettera del 10 giugno 1477 di Marco Trotti al duca di Milano (Croce, p. 140 n. 2); del resto anche la Repubblica di Venezia nel marzo di quell'anno era entrata in contatto con lui per assicurarsene i servigi dopo la morte del duca di Borgogna. Il 1º ottobre del 1477, mentre militava ancora nell'esercito borgognone, il C. aveva ricevuto dal sovrano di Francia 8.000 lire tornesi come anticipo delle 20.000 assegnategli come soldo annuale. Non erano mancate dunque al C. né lusinghiere sollecitazioni, né motivi ideali che giustificassero un cambiamento di campo: tuttavia egli non combatté immediatamente contro i suoi commilitoni e fu solo nella primavera 1480 che effettuò un'incursione contro Namur, affrontando soldati borgognoni.
Il C. rimase per dieci anni al servizio della corona francese, e fu compensato coi titoli di consigliere, ciambellano e nel 1482 di signore di Laroche (forse La Roche-de-Glune [Drôme]); tuttavia, nonostante questa fase della sua vita ci sia poco nota, la sua permanenza agli ordini del re non dovette essere del tutto convinta: già nell'agosto 1478 manifestò l'intenzione di tornare in Italia e nel 1482, volendo trasferirsi al servizio di Venezia, entrò in contatto con Giovanni di Rossano, che fece naufragare l'accordo poiché aveva avuto da Renato di Lorena l'incarico di assoldare il C.; ma anche questa trattativa rimase senza esito. Dei dissapori del C. con Luigi XI è testimonianza una lettera di protesta del 6 nov. 1482 contro un intervento del re che voleva trasferire il porto di Laroche al monastero di St. Claude. Non abbiamo notizia di contrasti con Carlo VIII e ritroviamo il C. nel 1484 in Linguadoca e nel 1486 in Borgogna, a capo di 50 lancieri. Tuttavia le trattative con Venezia ripresero nel 1487-88, al punto che venne ratificata la condotta che prevedeva il suo passaggio alla Repubblica per il 20 luglio 1488.Nell'aprile 1488, nelle lotte che seguirono l'ascesa al ducato di Bretagna di Anna, figlia del duca Francesco II, il C. scese in campo accanto al comandante supremo francese, il La Trémouille; il 7-8 luglio 1488 morì in combattimento davanti a Saint-Aubin in Bretagna. Un ritratto del C. ci è stato conservato da una medaglia di Giovanni di Candida del 1475 (V. Tourner, Jean de Candida..., in Revue belge de numismatique et de sigillographie, LXV [1919], tav. III).
Fonti e Bibl.: J. Molinet, Chroniques, a cura di G. Doutrepont-O. Jodogne, I, Bruxelles 1935, pp. 34, 45, 50 s., 97, 99, 100, 111, 145 s., 165 s., 218, 220 s., 236, 238, 241 ss., 256, 258, 265, 269; II, ibid. 1935, p. 62; Fonti aragonesi, a cura di B. Mazzoleni, III, Napoli 1963, pp. 32, 89; F. de Beaucaire-Péguillon, Rerum Gallicarum commentarii ab a. C. MCCCCLXI ad annum MDLXXX, Lugduni 1625, p. 66; S. de Sismondi, Storia dei Francesi, Capolago 1838, p. 395; M. de Barante, Histoire des ducs de Bourgogne, IV, Paris 1842, p. 336; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, III, Torino 1845, pp. 185 s.; P. M. Perret, Jacques Galéot et la République de Venise, in Bibliothèque de l'Ecole de chartes, LII (1891), pp. 590-614; A. Lecoy de la Marche, Le roy René, I, Paris 1875, p. 389; B. Croce, Vite di avventure,di fede e di passione, Bari 1947, ad Indicem; E.Pontieri, Ferrante d'Aragona re di Napoli, Napoli 1969, ad Indicem.