CARRARA, Giacomo
Nacque a Bergamo il 9 giugno 1714 dal conte Carlo e da Anna Maria Passi. Dovette rivelare una precoce inclinazione per le arti figurative, tanto che, compiuti col fratello minore, il futuro cardinale Francesco, gli studi di lettere e filosofia presso il Collegio mariano di Bergamo, venne inviato a studiare disegno a Verona, e poi a Venezia e Bologna. I disegni che di lui restano - presso l'Archivio della Accademia Carrara in Bergamo - rivelano di fatto una certa sicurezza di mestiere, anche se nessun specifico talento creativo. Tornato in patria, i suoi interessi sembrano concentrarti sugli studi eruditi, sia mediante rapporti - poi mantenuti a lungo - con studiosi locali come il Serassi, il Tiraboschi e il Lupi, sia con la elaborazione di varie memorie manoscritte di argomento storico-municipale, epigrafico e numismatico. Il tono di queste memorie è generalmente polemico, l'informazione vasta e sicura: ma non sono riconoscibili contributi di effettivo valore storico, né vi si rivela un particolare interesse ai problemi figurativi. Oltre alla fitta corrispondenza - spesso di grande interesse documentario e largamente utilizzata dai suoi interlocutori - il contributo più importante del C. in questo specifico settore resta il munifico contributo (di 1.000 ducati) concesso nel 1766, che permise la concreta realizzazione del Museo di antichità di Bergamo, voluto dal cardinale Furietti.
Una svolta decisiva nella vita del C. si ebbe nel 1755, alla morte del padre che, sembra, si era tenacemente opposto sia alle aspirazioni di "conoscitore" del figlio, sia al suo matrimonio con la cugina, Marianna Passi. Con l'eredità paterna, e appena prima di concludere il matrimonio, il C. intraprese un lungo viaggio di studio (1756-58), che lo portò a Parma, Bologna, Roma, Firenze e Pisa, e che rimase decisivo per la formazione della sua personalità. Fu infatti in questo viaggio che egli pose le basi della sua raccolta di quadri, ampliò ed approfondì le sue conoscenze di "intenditore" d'arte, allacciò durevoli relazioni con studiosi, collezionisti, artisti e personalità della cultura, probabilmente abbozzando nelle linee generali il programma di creare una raccolta d'arte a disposizione del pubblico, con annessa scuola di pittura: programma che perseguirà per tutta la vita. Entrambi i progetti, ripetutamente accennati nella fitta corrispondenza, ebbero di fatto una gestazione lunga, complessa e per molti aspetti non ricostruibile storicamente: si realizzarono solo a partire dal 1780, con l'acquisto di una vecchia trattoria ("La Campana") in via della Noca a Bergamo, e la sua radicale trasformazione ad opera dell'architetto Costantino Gallizioli e dei decoratori Federico Ferraris e Donnino Riccardi. Nel 1785 la galleria, nettamente separata dalla casa di abitazione del C. in via Pignolo, era ormai aperta agli intenditori, e pochi anni più tardi (1793) anche la scuola prendeva a funzionare, sotto la direzione del milanese Sadis. Nel 1795 il C., nell'intento di dare continuità alla sua iniziativa, faceva testamento, lasciando tutti i suoi beni alla galleria e scuola di pittura, affidate per la gestione ad una commissaria di cinque membri da lui nominati, con l'impegno della cooptazione. L'anno seguente il C. si spegneva a Bergamo, il 20 aprile 1796.
La personalità del C. aveva preso consistenza relativamente tardi, a partire dal 1755, quando, raggiunta una relativa disponibilità finanziaria - la sua situazione era quella di medio proprietario terriero -, egli poté dare sfogo alla sua passione di collezionista, e di conseguenza dare un taglio ben più originale alla sua attività di studioso. Le sfere di interesse sono strettamente integrate, l'una interferisce sull'altra in modo determinante, ognuna contribuendo a definire la fisionomia - tipica del Settecento in ambiente provinciale - del "conoscitore" di gusto aperto e aggiomato, ma nello stesso tempo concretamente interessato alla "gloria" della patria municipale.
Di fatto, i primi studi di argomento specificamente artistico hanno un carattere ancora prevalentemente compilativo, anche se il tono erudito - da studioso documentato anche se spesso acritico - è talvolta vivacizzato dalla conoscenza diretta delle opere. A questo genere appartengono due testi fondamentali, entrambi elaborati prima del 1770:l'Abbozzo di una descrizione delle pitture notabili di Bergamo (Bergamo, Accademia Carrara, cart. XIX, fasc. 3), che è chiaramente servito da fonte per la prima Guida artistica della città, redatta da Francesco Bartoli nel 1774, e le Giunte all'Abbecedario pittorico dell'Orlandi (ibid., fasc. 5), in parte utilizzate nella edizione del 1763. E nello stesso ambito di idee si colloca la lunga collaborazione con monsignor Giovanni Bottari (conosciuto a Roma nel 1757), cui il C. fornì sia originali di lettere sia notizie e delucidazioni storiche, ampiamente inserite nei volumi IV e V della Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura (Roma 1764-1766). Questi lavori, pur interessantissimi per la ricchezza e la precisione delle informazioni, mantengono però il tono erudito e un poco pedante dei manoscritti giovanili. Non vi è in essi evoluzione metodologica, e quasi mai originalità di giudizio: qualità che il C, andò sviluppando lentamente, in stretta relazione con l'espansione della sua raccolta, che costituiva del resto il suo interesse principale.
L'esame del concreto formarsi della raccolta consente di evidenziare alcuni momenti caratteristici, rivelatori di un mutare dell'indirizzo critico del Carrara. Il primo nucleo fu certamente costituito dalla collezione paterna, ereditata - a metà col fratello Francesco - nel 1755. Si tratta di una tipica raccolta patrizia bergamasca del Settecento: predominano gli artisti locali (Fantoni, Caniana, Baschenis, Ceresa, Galgario), affiancati da buoni pittori "di genere" (Tempesta, Crivelli, Sanz): fanno eccezione due grandi pale (di D. Tintoretto e F. Bassano), ma entrambe erano frutto di acquisti realizzati dallo stesso Carrara.
L'intervento in prima persona del C. si avverte subito dopo, con l'arrivo di settantadue dipinti "di prima scelta" acquistati durante il viaggio del 1756-58, a Bologna, Roma e Firenze: il gruppo fondamentale è costituito da dipinti dei Carracci e della loro scuola, e il tono è classicistico e accademico, esattamente in linea con la personalità di erudito in viaggio di studio che il C. manteneva ancora, in quegli anni.
Solo per successivi acquisti, scaglionati in un lungo giro d'anni, la raccolta cambia fisionomia, rivelando un gusto sempre più complesso e moderno, anche se non particolarmente spregiudicato. In un primo tempo, sembra che il C. abbia proceduto ad acquisti massicci, di intere raccolte (come quella dei conti Bettami, in Bergamo), come per formare l'ossatura - qualitativa ma anche quantitativa - della sua collezione: provvedendo, nello stesso tempo, a raccogliere una ricchissima bibliografia specializzata (testi di storia delle varie "scuole "artistiche, e soprattutto guide artistiche locali), con l'evidente intento di formarsi una competenza scientifica in funzione della ricerca delle opere. In un secondo tempo, dal 1770 circa, gli acquisti si fanno più radi e oculati, il C. procede quasi esclusivamente su segnalazione da parte dei numerosi corrispondenti, o su "ordinazione" da parte sua. In questo, egli si vale sia delle numerose conoscenze ormai consolidate (specie nell'ambito di intenditori ed antiquari di Venezia, Milano e Bologna), sia della acquisita notorietà locale di "conoscitore", che gli apre le porte delle raccolte private e soprattutto delle chiese, in piena fase di ristrutturazione e rammodernamento. Alla morte del C., la raccolta aveva una consistenza di circa 1.400 dipinti, senza contare i disegni e le stampe, numerosissimi: per quanto riguarda i quadri, esiste un diligente inventario, redatto nel 1796 dal restauratore Bartolomeo Borsetti e pubblicato integralmente dal Pinetti nel 1922, che consente una analisi almeno approssimata della struttura interna della raccolta.
Anche tenendo conto della relativa correttezza delle attribuzioni - non ben valutabili per la dispersione di una buona parte della raccolta - gli orientamenti di ricerca e di scelta del C. appaiono abbastanza ben definiti. Il nucleo più consistente era costituito da dipinti di scuola veneziana o veneta, con una marcata preferenza per la pittura del Cinquecento, nella linea Giorgione, Tiziano, Veronese, Tintoretto, Bassano: una scelta abbastanza ovvia, sia per le reali disponibilità del mercato veneto e bergamasco, sia in rapporto agli interessi specifici del C., quali risultano dai suoi scritti e dalla sua biblioteca. Quasi pari è però la rappresentanza dei pittori bergamaschi, a riprova del suo interesse storico "municipale". Va tuttavia osservato che il repertorio si articola su una linea storico-critica precisa (Gavasio, Lotto, Previtali, Cariani, Moroni, Salmeggia, Cavagna, Ceresa, Galgario), che coincide esattamente con gli orientamenti espressi nelle Vite dei pittori… bergamaschi di Francesco Maria Tassi. Tale coincidenza non va però interpretata, come pur è stato fatto, nel senso di una precisa aderenza del C. alle idee del Tassi, suo parente ed amico: ed anzi il rapporto va probabilmente invertito. Fin dal 1760 si ha, infatti, notizia di acquisti fatti dal C. nelle chiese bergamasche, nell'intento di recuperare e conservare opere di grande antichità di cui le chiese (oltre che a Bergamo in paesi viciniori, come Alzano, Torre Boldone, Scanzo, Almenno, Serina, Endenna, ecc.) si sbarazzavano: e questo interesse non è solo "campanilistico", volto cioè a dimostrare l'antichità della scuola pittorica bergamasca, ma si apre talvolta - come nel caso dei Tre crocefissi del Foppa, o nella distinzione delle varie personalità poi confuse nel mitico, Gavasio - a vere intuizioni critiche, quali il Tassi, acritico compilatore, non ebbe certamente mai. Meno cospicua è invece la "presenza" di maestri dell'Italia centrale, che in pratica si riducono a qualche esemplare di ambiente correggesco e carraccesco (Correggio, Parmigianino, Garofalo, Carracci, Schedoni): tutto lascia credere che si tratti del nucleo acquistato nel 1756-57, e poi non incrementato nel tempo. Lo stesso si dica della pittura dichiaratamente barocca, pressocché inesistente: a parte esemplari isolati di Pietro da Cortona e di scuola di Rubens, il sec. XVII è rappresentato o dall'accademia carraccesca o da veneziani come Carpioni o Padovanino, di gusto fortemente neocinquecentesco; sembra quindi che vi sia nel C. una vera preclusione al barocco, del resto in linea coi tempi.
Molto contraddittorio, infine, è il suo atteggiamento nei confronti della pittura contemporanea. Nonostante le frequenti esaltazioni - da parte di amici o di più recenti "agiografi" bergamaschi - dell'aggiornamento e della sicurezza del suo gusto, non sembra che il C. abbia intuito la grandezza dei vedutisti veneziani, da Marco Ricci al Canaletto a Guardi, che certo conosceva ma che non incluse di fatto nella sua raccolta: e il fatto è tanto più sorprendente quando si pensi ai molteplici contatti a lungo mantenuti con altri artisti veneziani coevi, dallo Zuccarelli al Piazzetta, dal Cappella allo Zais, dal Diziani a Sebastiano Ricci. Evidentemente, operavano in lui, anche nel periodo tardo, remore di gusto derivanti dalla iniziale formazione classicistica, con conseguenti prevenzioni nei confronti della pittura "di genere": di fatto, relativamente scarso è lo spazio concesso nella raccolta ai paesaggi e alla natura morta, e viceversa predominante è la rappresentanza dei temi di figura e di storia: atteggiamento che trova del resto riscontro nell'impronta - accademica - che il C. darà più tardi alla scuola di pittura.
Nonostante questi limiti, la raccolta possedeva dunque un suo preciso "taglio" critico: il C. vi rivela una personalità che travalica la fisionomia del "conoscitore", per assumere quella dello storico. In una accezione originale, però: il C. giunge ad essere "storico" non tramite i documenti, ma in conseguenza di una attenta lettura delle opere e di una appassionata frequentazione degli ambienti artistici. Di fatto, è impressionante il numero degli artisti con i quali il C. era in corrispondenza, divenendone perfino - nonostante la modestia dei suoi mezzi finanziari - protettore e mecenate. Fin da giovane aveva stabilito rapporti di frequentazione con Fra' Galgario, il Nazzari, lo Zuccarelli, forse anche il Magnasco; più tardi, fu in amicizia con Francesco Bartolozzi, cui commissionò una serie di incisioni dal Guercino, con G. B. Piranesi, che a lui dedicò le Antichità romane (1756), con una vastissima serie di artisti veneti e lombardi cui ottenne commissioni importanti a Bergamo e nel circondario (Sebastiano Ricci, Gaspare Diziani, Bartolomeo Nazzari, Pietro Rotari, Carlo Carloni, Giovanni Raggi, Santino Cattaneo, Francesco Cappella, Mauro Picenardi, Saverio della Rosa, Vincenzo Orelli, Giovan Battista Dell'Era, Enrico Albricci, per non citare che i maggiori). Il C. svolse così il ruolo - insolito e in certo modo ambiguo - di mecenate per interposta persona: ed è lo sbocco più originale della sua competenza di "conoscitore", il momento in cui egli assume una posizione attiva nell'ambito della cultura bergamasca del Settecento.
Nello stesso tempo, l'esperienza diretta di opere e artisti lo guidò nella elaborazione di quello che va considerato il suo capolavoro storico, le Giunte alle Vite de' pittori del conte F. Tassi (Bergamo, Accademia Carrara, cart. XIX, fasc. 4).
Alla morte del Tassi (1782), fu il C. a volere la pubblicazione del manoscritto delle Vite, cui aveva collaborato con segnalazioni di opere e con spunti critici che risultano indirettamente dalla corrispondenza; e nelle varie fasi dell'edizione, uscita finalmente nel 1793, fornì una serie di note e ampliamenti che furono inclusi nel testo, anche con una certa confusione di paternità. Per quanto se ne può giudicare, spetta proprio al C. la parte più autenticamente storico-critica: la caratterizzazione "tizianesca" del Cariani, la distinzione delle fasi "giorgionesca" e "tizianesca" all'interno delle opere del Palma (fasi che corrispondono di fatto alla distinzione tra Palma il Vecchio e Palma il Giovane, che pur il C. non era in grado di scindere per difetto di documentazione storica), l'individuazione della componente controriformistica nella pittura sacra del Ceresa, il riconoscimento dell'accademismo latente del Salmeggia, la splendida analisi del linguaggio pittorico di Fra' Galgario. Non vi è, beninteso, una particolare chiarezza metodologica: si direbbe invece che si tratti di intuizioni critiche dovute a pura sensibilità di lettura, analogamente a quanto poteva accadere in un Boschini: ma ciò non infirma la validità di tali giudizi, veramente anticipatori in ambito settecentesco.
Il C. era dunque pervenuto, nel concreto "farsi" della raccolta, ad un vero rovesciamento delle proprie posizioni, superando i suoi limiti iniziali di "erudito". E si comprende bene il suo ironico commento alla visita dell'abate Lanzi: "…quasi nulla conosce tolto che della Scuola Romano Fiorentina della quale intendo che abbia scritto, e (credo) che faccia questo viaggetto per scrivere anco della Lombarda e Veneziana…"; e la conseguente durissima critica di questo genere di scrittori d'arte: "A dir vero gli scritti di tali autori io nulla li reputo, e resto anzi sorpreso che abbiano coraggio di scrivere, non essendo in caso come dice il proverbio milanese che di copiare dalla carta e mettere in pagine" (lettera all'abate Bianconi, 20 ott. 1792: cfr. Pinetti, 1922, p. 56).
Gli ultimi anni di vita del C. furono dedicati alla realizzazione di un ultimo progetto, la fondazione di una scuola di pittura. Non sono in tutto chiare le finalità che egli voleva raggiungere con questa iniziativa, maturata in un lungo corso di anni (forse, come si è detto, dal 1760 circa) e finalmente realizzata nel 1793, in alcuni locali del nuovo palazzo di via della Noca. Certo, egli voleva assicurare una continuità nel tempo a quella scuola pittorica bergamasca che egli stesso aveva contribuito a rivelare: e, illuministicamente, riteneva che ciò fosse possibile solo con una scuola, che sostituisse con chiarezza di metodo le ormai esaurite botteghe artigiane. Ma, nello stesso tempo, affiorano in essa precise istanze di tipo assistenziale (la scuola era riservata a dieci o dodici allievi di disagiate condizioni economiche, mantenuti a spese della scuola stessa), e tutta l'organizzazione si basava sul capitale (il patrimonio Carrara) e sulla iniziativa di privati (la commissaria cui fu affidata la gestione): caratteristiche che non trovano riscontro nelle analoghe iniziative del tempo, e che accennano ad una concezione dell'educazione decisamente più arcaica.
A parte queste differenze, però, la scuola di pittura nasceva come esatto riscontro delle tante accademie nate in Italia nella seconda metà del Settecento. Il programma di insegnamento puntava apertamente in direzione accademica e classicheggiante, limitandosi al disegno e alla accademia di nudo; i maestri chiamati ad insegnarvi (Dionigi Sadis nel 1793, Pietro Roncelli dal 1794) erano incisori e pittori di storia, e utilizzavano testi - ancora conservati, con annotazioni dello stesso C. - di indirizzo apertamente carraccesco. Sembra qui che il C. scavalchi, per dir così, tutta la grande pittura del Settecento italiano e saldi la sua primitiva educazione classicistica a nuove istanze, ormai dichiaratamente neoclassiche, in linea con i tempi: rinnegando anche, almeno in parte, il grande lavoro di educazione del gusto che egli stesso aveva compiuto, come storico e come conoscitore nell'ambiente bergamasco, e ciò probabilmente per un primo, subitaneo riflesso dei grandi avvenimenti che avevano sconvolto, in quegli ultimi anni del Settecento, il mondo e la società in cui egli era vissuto.
Alla morte del C. il nucleo galleria-scuola rimase inalterato per pochissimi anni, forse solo fino alla morte della vedova. Già all'inizio dell'Ottocento, con la assunzione del Diotti, la scuola accentuava la sua dipendenza - di indirizzo e di metodo - dalla Accademia di Brera, distinguendosi solo per l'interesse esclusivo dedicato alla grande pittura "di storia", nella ricerca fortemente provinciale del "genio" locale. L'edificio stesso fu radicalmente trasformato, in relazione alle nuove esigenze della scuola, con l'ampliamento realizzato entro il 1810 da Simone Elia: e la raccolta fu di conseguenza spostata e modificata, fino a che, nel 1835, la maggior parte di essa fu dispersa con una grande vendita all'asta che eliminò quasi l'intero gruppo dei dipinti del Seicento e del Settecento, non più graditi alla sensibilità neoclassica che era divenuta ormai imperante.
Nell'archivio dell'Accademia fondata dal C. sono conservate, oltre a quelle citate nel testo, altre sue opere; cart. XVIII, fasc. 2: Memorie di carattere (1758-1784);cart. XIX, fasc. 3: Memorie diverse e appunti di storia bergomense (1750circa); cart. XIX, fasc. 1213: Memorie pittoriche (1780circa). Ivi sono anche i carteggi di vari corrispondenti del C. dal 1735 al 1796:cart. III, IV, V, VI, VII, VIII, IX (la cartella VI contiene le lettere del fratello Francesco).
Fonti e Bibl.: Bergamo, Arch. Carrara, B. Borsetti, Inv. della Raccolta di quadri del conte G. C.(ms.);Bergamo, Bibl. civica, C. Marenzi, Elogio del conte G. C. letto… il dì 10 ag. 1826 nell'Accademia Carrara…(ms.); B. Vaerini, Gli scrittori di Bergamo, Bergamo 1788, passim; G. Bottari, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, IV, Roma 1764, pp. 316 ss.; V, ibid. 1766, passim;G.Dandolo, La caduta della Rep. di Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni,App., Venezia 1857, pp. 189-190; G. Frizzoni, Le Gallerie dell'Accad. Carrara, Bergamo 1907, pp. 7 ss.; A. Pinetti, Noterelle ghislandiane, in Boll. della Civica Bibl. di Bergamo, V(1911), 3, pp. 8-15; Id., L'Accad. Carrara in Bergamo. Vicende e glorie, Bergamo 1912, passim;Id., Lettere ined. di mons. Bottari e del conte G. C., in Boll. della Civica Bibl. di Bergamo, VIII(1914), 1, pp. 1-55; Id., F. Bartoli comico ed erudito bolognese e la prima guida artistica di Bergamo,ibid., X(1916), 4, pp. 160 ss.; Id., Il conte G. C. e la sua raccolta, Bergamo 1922; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, V, Bergamo 1959, ad Indicem;L. Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. Il Borgo di Pignolo, Bergamo 1962, pp. 201 ss.; C. L. Ragghianti, Antichi disegni e stampe della Accad. Carrara in Bergamo, Bergamo 1963, pp. 5-7; F. Russoli, Accad. Carrara, Catalogo, Introduzione, Bergamo 1967, pp. 5-8.