ALIBERT, Giacomo d'
Conte, costruttore del primo teatro musicale pubblico in Roma, nacque a Parigi nel 1626, figlio di Giacomo, consigliere del re Luigi XIII e sovrintendente delle finanze di Gastone d'Orléans. Venne a Roma intorno al 1656, o qualche anno più tardi, con una raccomandazione per il cardinale Decio Azzolino, buon amico della regina Cristina di Svezia, la quale lo assunse poi al suo servizio nel giugno 1662 in qualità di "segretario dell'ambasciata" o dei "comandamenti".Alcuni incarichi diplomatici presso la corte di Francia non impedirono all'A. di dedicarsi completamente ai musici e alla preparazione degli spettacoli per il teatro privato della regina. Inseritosi ormai nell'alta società romana, l'A. sposò il 10 maggio 1663 Maria Vittoria Cenci, figlia del conte Lorenzo, già capitano della guardia corsa, e di Margherita Gentili.
La cerimonia fu celebrata nella chiesa di S. Spirito "in Saxia"dal vicegerente di Roma, Carafa. Dal matrimonio nacquero numerosi figli, il primo dei quali, Antonio, sarà il costruttore in Roma del teatro Alibert, inaugurato nel 1717, e dal 1726 detto anche "delle Dame".Faceva parte della notevole dote di M. Vittoria (di cui, sembra, l'A. non prese quasi altro che promesse, come sostiene l'Ademollo) anche la proprietà di una casa con giardino alla Lungara, nel luogo denominato poi Via degli Orti d'Alibert, tuttora esistente.
Dopo le nozze, l'A., acquistate. alcune piccole case con terreni dal Collegio dei Greci e dal marchese Nari Domicelli al vicolo del Carciofolo all'Orto di Napoli (in prossimità della piazza di Spagna, già da allora sede di artisti italiani e stranieri), e ridottele in una comoda casa di due piani, vi fece adattare un gioco di palla a corda.
Terminato questo nel marzo 1664, per poterne ottenere la concessione da Clemente IX, l'A. dovette versare una forte quota mensile. Nel 1669, la passione per gli spettacoli, incoraggiata dalla regina Cristina, indusse l'A. a prendere in affitto, insieme con il suocero Lorenzo, dall'arciconfraternita di S. Girolamo della Carità uno stabile di Tordinona, allo scopo di farne un teatro pubblico, e ne affidò la costruzione all'architetto Carlo Fontana. La durata del primo contratto era di quattro anni e l'attività teatrale limitata alla sola stagione di carnevale. Verso la fine del 1670, con i vari proventi delle sue iniziative e delle sue cariche (aveva ricevuto anche dal governo pontificio quella di governatore delle armi di Nettuno), l'A. poté finalmente ridurre il teatro per la musica, dopo alcuni spettacoli di prosa ("doppo che fu ultimato per li boffoni": v. Cametti). L'8 genn. 1671, il teatro, chiamato di Tordinona o Massimo, venne solennemente inaugurato con il dramma musicale di Francesco Cavalli Scipione Affricano (libretto di N. Minato), preceduto da un prologo di circostanza in lode di Clemente X e Cristina di Svezia, musicato da Alessandro Stradella, allora in Roma.
Le varie vicende di questo primo teatro pubblico di Roma furono legate a quelle dell'A. per lunghi anni, quasi fino alla sua morte.
Trascorse le quattro stagioni di attività, il 6 febbr. 1674 il Tordinona veniva chiuso, in attesa di riaprirsi nel carnevale del 1676 (essendo il 1675 anno santo), ma per quella data il teatro rimase inspiegabilmente inattivo. Morto Clemente X il 22 luglio del 1676, il nuovo papa, Innocenzo XI, proibì ogni spettacolo e la riapertura del Tordinona.
Frattanto, Cristina non fu più in grado di corrispondere lo stipendio all'A., e questi tentò invano, con le consuete speculazioni finanziarie di giochi e concerti, di riaprire il teatro. Egli profittò allora delle sue buone relazioni con la corte dei Savoia, e nel maggio 1677 si recò a Torino, dove nel carnevale aprì al pubblico un teatro a pagamento. Nel gennaio 1678 il Teatro Ducale iniziava così la sua storia per merito dell'A., desideroso di ottenere da Carlo Emanuele II qualche carica onorifica a corte e di stabilirsi a Torino in qualità d'impresario. Ritornato a Roma, nel marzo, dopo un breve soggiorno a Venezia, vista inutile la sua proposta al Teatro Ducale di far rappresentare per il carnevale del 1679 l'opera Vespasiano,di Carlo Pallavicini (con la quale opera s'era inaugurato allora a Venezia il nuovo teatro di S. Giovanni Grisostomo), continuò ad organizzare in Roma sale da giuoco, concerti e spettacoli di marionette, deciso a non muoversi più dalla città ormai sua.
"Duce delle cose teatrali romane " (Ademollo), egli rimase fedelissimo alla regina Cristina, alla cui morte (19 apr. 1689), peraltro, non ebbe alcun lascito notevole. Nell'agosto del 1689 moriva anche Innocenzo XI, e l'A. si affrettò a valersi della elezione del nuovo papa Alessandro VIII, favorevole agli spettacoli, per riprendere in affitto il Tordinona. Il 5genn. 1690 il teatro venne, infatti, riaperto con ogni pompa, e vi fu rappresentato un dramma scritto dal cardinale Pietro Ottoboni, nipote del papa, e musicato da Alessandro Scarlatti, La Statira.La buona ripresa del teatro fu, però, alquanto danneggiata l'anno seguente, quando vi fu eseguita l'opera Il Colombo ovvero l'India scoperta,su libretto del cardinale Ottoboni, e forse anche da lui musicata, che suscitò una serie di gustose pasquinate, in cui vennero colpiti il papa, il cardinale e lo stesso Alibert. Due anni più tardi (1693), l'A. cercò di prendere in enfiteusi dall'arciconfraternita di S. Girolamo il Tordinona per effettuarvi cambiamenti e migliorie di suo gradimento. Dopo varie alternative, riuscito nell'intento, affidò ancora una volta all'architetto C. Fontana l'incarico di rinnovare il teatro.
Il 25 genn. 1696, il Tordinona fu riaperto al pubblico, splendidamente trasformato, con la rappresentazione dell'opera Penelope la casta di G. Perti. Sollecitato dalla sua passione e dai discreti incassi, l'A. vagheggiò la costruzione di altri teatri pubblici, uno nel palazzo Baldinotti vicino alla chiesa di S. Silvestro "in Capite"(adibito a ricovero di fanciulli abbandonati), l'altro nella vecchia casa di sua proprietà all'Orto di Napoli, nella via del Babuino. Ma il papa Innocenzo XII, succeduto dal 1691 ad Alessandro VIII, concesse il primo locale alle monache di S. Silvestro e gli negò il permesso di far sorgere un teatro vicino alla piazza di Spagna, frequentata da numerosi stranieri ("per li riguardi politici del luogo").
Di più, accogliendo durante l'estate del 1697 le richieste di alcuni cardinali e prelati avversi agli spettacoli (che accusavano le rappresentazioni del Tordinona, il teatro stesso e i luoghi vicini di esser fonti di immoralità e di scandali), ordinò la demolizione del Tordinona. Anche in questa occasione, violente e caustiche fiorirono le pasquinate contro il provvedimento a danno del teatro, che dovette attendere fino al 1733 per essere ricostruito.
Il duro colpo riportato dall'A. fu un poco attenuato quando, giunta a Roma nella primavera del 1699 Maria Casimira di Polonia, egli venne assunto al suo servizio, con l'incarico di provvedere agli spettacoli del teatrino privato nella palazzina della regina alla Trinità dei Monti. L'A., ormai vecchio e stanco, ma sempre appassionato e competentissimo di teatro, trascorse gli ultimi suoi anni presso la regina Maria Casimira. Morì, nella sua casa vicino a piazza di Spagna, il 23 ag. 1713.
Bibl.: A. Ademollo, I teatri di Roma nel sec. XVII,Roma 1888, pp. 129 ss., 144 ss., 153-154, 178, 192 198-205; A. Cametti, La regina di Svezia, l'arte musicale e gli spettacoli teatrali in Roma,Roma 1931, pp. 35, 37; A. Cametti, Il teatro di Tordinona poi di Apollo,I, Tivoli 1938, pp. 16 ss., passim (con ampia bibl. italiana e francese); A. De Angelis, Nella Roma papale - Il teatro Alibert o delle Dame (1717-1863),Tivoli 1951, pp. 11-12.