DARDANI, Giacomo
Figlio di Andrea e di Clara Bissuol, apparteneva ad una famiglia tra le più cospicue fra quelle dei "cittadini originari", rimasta esclusa dal potere nel 1297 e da allora sempre brillantemente impegnatasi nella struttura amministrativa veneziana.
Difficile districarsi con successo nell'albero genealogico, tra ripetute omonimie e qualifiche simili.
Andrea, padre del D., vissuto nella seconda metà del sec. XIV, nacque da Barnaba di Giacomo (e non da Giacomo come chiaramente attesta il nipote Alvise nel testamento), celebre medico e lettore dello Studio patavino, gran protetto di Francesco il Vecchio da Carrara, che lo nominò anche cavaliere. Estremamente scarne sono le notizie su Andrea, spesso confuso con l'omonimo nipote: fu segretario del Senato e svolse diverse legazioni presso "grandi principi", ma mancano appigli cronologici ed ulteriori informazioni circa tali missioni. Uomo di facoltosi mezzi finanziari, si autotassò nelle guerre antiviscontee per più di 4.000 lire veneziane. Sposato a Clara Bissuol e residente nel "confinio de sancta Maria Magdalena" (cfr. Arch. di Stato di Venezia, Notarile Testamenti, Darvasio Basilio, b. 364, n. 103 del 13 ag. 1399), ne ebbe quattro figli: oltre al D., Lucia, Giovanni e Barnaba.
Anche il D. compì carriera cancelleresca, divenendo segretario del Senato e probabilmente del Consiglio dei dieci, come qualche fonte lascia supporre. Nel 1435 condusse prigioniero a Venezia Marsilio da Carrara - di lì a poco giustiziato in seguito ad un'abortita congiura - che venne affidato in custodia a lui e a Paolo Soranzo. Nel 1442 trattò con buon esito con Niccolò Piccinino, capitano del duca di Milano, la restituzione di beni usurpati a cittadini veneziani nelle passate guerre antiviscontee. È dello stesso anno una "littera patente", datata 10 luglio e valida due mesi, concessa al D. "pro nonnullis agendis suis ad partes Bononiae, Mutinae".
Nel 1445 esercitò a nome del fratello Barnaba, gravemente ammalato, un consolato in Cremona.
Secondo molte fonti, durante questo soggiorno avrebbe contribuito a sventare in Vicenza i piani di un tal Marcabruno Terribile che, sostenuto, pare, da molti nobili vicentini, si proponeva di consegnare la città a Francesco Sforza. È probabile, comunque, che il ruolo del D. nella vicenda sia stato alquanto più defilato rispetto a quel che certe fonti lasciano supporre: non debellatore di oscure congiure ma, più semplicemente, custode del principale colpevole. Una delibera dei Dieci, presa il 22 sett. 1445, premia infatti il D. "quoniam tenuit" Marcabruno "in domo sua in Cremona diebus viginti duobus et misit nuntios et literas, omnia faciendo suis propriis sumptibus pro bono Statu nostri"; gli si assegna perciò dopo la morte di Barnaba il consolato cremonese, con facoltà di trasmetterlo, in caso di morte, ad uno dei figli. In seguito al risanamento di Barnaba, il D. non assunse mai il consolato e anzi, il 29 marzo 1451, vi rinunciò a favore dell'omonimo nipote Giacomo di Barnaba.
A quest'epoca, comunque, la carriera del D. doveva essere già arrivata ai vertici: una delibera dei Dieci presa nello stesso 1451, ma pochi giorni prima, il 26 marzo, concedeva a Nicolò Zio, al D. e a Ludovico Arduino un "offitium ... de primis quae deficient et sibi placebunt", con possibilità di trasmetterlo ai figli e "licentia armorum cum filiis suis", per compensarli dei tre mesi trascorsi in carcere alla custodia di Iacopo Foscari, figlio del vecchio doge.
Dal matrimonio con Pellegrina Testa erano nati al D. quattro figli: Baldassarre (mercante facoltoso, "de confinio sancti Cassiani", morto forse nel 1484: cfr. Arch. di Stato di Venezia, Notarile Testamenti, Bonicardi Gerolamo, b. 69, n. 76), Andrea (segretario del Senato e dei Dieci, svolse diversi incarichi di fiducia e ne ebbe in premio, il 30 ott. 1482, un "officium scribaniae vel massariae" vitalizio; marito di Agnese Franco, fu padre di Piero, Gerolamo - segretario anch'egli, in servizio presso la legazione spagnola nel primo '500 -, Marino, giudice del Proprio, Perina, Maddalena, Dardania ed Elena), Chiara (sposata nel 1452 a Gian Domenico Minio) ed Alvise.
Il D. morì, presumibilmente a Venezia, prima del 1484, ma ebbe sepoltura definitiva in S. Alvise solo nel 1496.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codici, I, Storia veneta 5: M. Toderini, Cittadini, II, cc. 723 (anche per Andrea), 725; Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 1159, cc. non num.; 1701, cc. 82 (per Andrea), 83; 2156: Cronica di famiglie cittadinesche originarie venete, cc. 9 (anche per Andrea), 10; Ibid., Mss. Gradenigo-Dolfin 158 n. 83: Corona seconda della Veneta Repubblica, cc.195r, 197r (anche per Andrea); Ibid., Cons. XI. E. 5: E. A. Cicogna [?], Memorie estratte succintamente da varii codici intorno alle famiglie cittadine veneziane, c. 146; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It. cl. VII, 5 (= 7926): A. Zilioli, Le due corone della nobiltà veneziana, II, c. 51r (per Andrea) e 51v; Mss. It.,cl. VII, 27 (= 7761), Cronaca di famiglie cittadine orig. venete, cc. 2r (per Andrea), 2v-3r, 60v (anche per Andrea), 61r, 86v (per Andrea); Mss. It., cl. VII,166 (= 7307): P. Gradenigo, Mem. concernenti le vite de' veneti cancellieri grandi, cc. 45v-46v (c. 46r per il D.); Mss. It., cl. VII, 341 (= 8623): Storia delle famiglie...,c. 39r (anche per Andrea); Mss. It.,cl. VII, 351 (= 8385): A. Zeno, Appunti geneal. e biografici di famiglie venete, c. 21r (anche per Andrea); M. Sanuto, Diarii, V, Venezia 1981, col. 1166.