PEPOLI, Giacomo
PEPOLI, Giacomo. – Figlio terzogenito di Taddeo di Romeo e di Bartolomea di Bonifacio Samaritani, Giacomo Pepoli nacque a Bologna verso il 1315.
Nulla sappiamo dell’infanzia e della prima giovinezza. Nel 1338 sposò Samaritana, figlia di Obizzo della Rosa, signore di Sassuolo (Sommari, 142, p. 168). La dote patrimoniale era modesta; politicamente prezioso, invece, il legame con quella famiglia, che aveva rilevanza strategica nello scacchiere padano. Dal matrimonio nacquero almeno tre figli (Obizzo, Giacomo e Zerra), e Samaritana era certamente ancora in vita nel 1378, quando a Ferrara, definendosi vedova di Giacomo Pepoli, portava a termine operazioni immobiliari (Storia, genealogia, nobiltà, 24, c. 79v). Già nel 1342, tuttavia, Taddeo aveva concordato per Giacomo un nuovo matrimonio con una figlia di Mastino della Scala (Ghirardacci, 1669, p. 162; Storia, genealogia, nobiltà, 24, c. 79r). La signoria bolognese coronava così una complessa trattativa diplomatica, condotta a Ferrara nei primi mesi del 1342, che coinvolgeva, oltre ai Pepoli, gli ambasciatori di Firenze e i rappresentanti scaligeri ed estensi. Altri figli ebbe Giacomo da questo secondo matrimonio: complessivamente sono almeno sette i maschi (Obizzo, Zerra, Giacomo, Antonio detto Mastino, Benedetto, Giorgio, Modesto detto Pietro) e quattro le femmine (Telda, Bianca, Cristina, Taddea), di cui abbiamo testimonianze nell’archivio di famiglia, senza poter stabilire con certezza se nati dalle prime o dalle seconde nozze (Sommari, 142, p. 340; Storia, genealogia, nobiltà, 24, c. 79r).
Fin da giovane, Giacomo partecipò attivamente alla vita politica bolognese, dimostrando doti di coraggio e intraprendenza, al limite della temerarietà. Nel 1334 devastò le case dei rivali Sabadini, poi costretti all’esilio (Corpus chronicorum Bononiensium, II, 1938, p. 441). La mobilitazione continuò allora per diversi mesi, tanto che ancora nel 1335 Giacomo accorse a sostegno della sua fazione nel territorio di San Giovanni in Persiceto, affrontando, prima ancora che i nemici, una piena rovinosa del Reno, che travolse e uccise molti dei suoi. Il giovane Giacomo manifestò un’indole particolarmente animosa nel 1336, quando in seguito a un violento alterco con il vescovo di Bologna, che non intendeva assegnare una pieve a un suo fedele, uscì ferito al volto dal palazzo vescovile, per rientrarvi con la forza di lì a poco, guidando i suoi alla devastazione del palazzo e costringendo il vescovo alla fuga (Corpus chronicorum Bononiensium, II, 1938, pp. 458-462). Proclamata poi, il 28 agosto del 1337, dal consiglio del popolo la signoria di Taddeo, Giacomo divenne uno dei più stretti collaboratori del padre. Negli anni seguenti ebbe modo di mettere in luce ripetutamente le sue doti militari, guidando ad esempio, nel settembre del 1338, una campagna nel territorio ravennate, o difendendo con successo nel 1342 il confine appenninico dalle minacce della ‘grande compagnia’ di Guarnieri di Urslingen, che transitava da Lucca verso la Romagna. Anche in campo diplomatico, Giacomo diede alla politica del padre un contributo non trascurabile. Nel febbraio del 1343 condusse di persona, a Firenze, una trattativa con il duca d’Atene, mentre nel 1345 ebbe il compito onorevole di accogliere Umberto II, delfino di Vienne, e di accompagnarlo in città, circostanza di cui approfittò per farsi addobbare cavaliere dal prestigioso ospite nella chiesa di S. Domenico. Ai destini della propria famiglia Giacomo diede in questi anni un indirizzo decisivo, più direttamente certo di Taddeo, impegnato sulla scena pubblica. E fu, questo, l’effetto di una scelta consapevole del padre, che emancipò Giacomo nel 1338, avviandolo di fatto a dirigere le attività economiche e patrimoniali di famiglia, e privilegiandolo in questo rispetto a Giovanni, primogenito ma emancipato solo nel 1341 (Sommari, 142, pp. 162, 219). Ottenute con l’emancipazione numerose terre fra San Giovanni in Persiceto, Crevalcore e Sant’Agata, Giacomo avviò nella zona un processo di colonizzazione, fondando nuovi insediamenti.
Ancor più rilevante per i destini futuri dei Pepoli fu l’acquisto, dal conte Ubaldino degli Alberti di Prato, del castello di Castiglione dei Gatti e dei relativi diritti signorili, affare concluso da Giacomo nel 1340 al prezzo di 20.000 lire di bolognini, grazie al quale la famiglia entrava in possesso dei territori su cui più a lungo nei secoli avrebbe esercitato la sua giurisdizione. Fra il 1344 e l’anno successivo, si avviava poi, a opera di Giacomo, ma certo per ispirazione di Taddeo, la costruzione del grande palazzo di famiglia in strada Castiglione, simbolo imponente, ma non invasivo (Trombetti Budriesi, 2007, p. 794), di un potere signorile che intendeva affermare di sé un’immagine di «prestigio senza arroganza».
All’ombra del padre, dunque, Giacomo Pepoli sviluppò, come il fratello Giovanni, una carriera pubblica non avara di successi e di riconoscimenti. Le cose cambiarono bruscamente quando, morto Taddeo il 29 settembre 1347, i due figli gli succedettero nella signoria, ottenendo prima il riconoscimento del Consiglio del Popolo di Bologna, poi la conferma del vicariato da parte di Clemente VI. Nei tre anni della loro signoria (1347-1350) Giacomo e Giovanni si trovarono ad affrontare gravissime circostanze: minacce esterne che provenivano contemporaneamente da nord (Visconti) e da est (papato); andamenti climatici sfavorevoli e ripetute carestie; conseguenze devastanti dell’epidemia del 1348. Da parte sua, la tradizione storiografica municipale non perdonò mai ai figli di Taddeo di aver invertito il corso delle scelte compiute dal nonno Romeo, che aveva sacrificato alla politica immense ricchezze accumulate con il credito. Il 16 ottobre 1350 infatti, come registrano fedelmente gli atti notarili dell’archivio di famiglia, Giacomo e Giovanni Pepoli vendettero a Giovanni Visconti per la cifra di 170.000 fiorini d’oro la piena signoria sulla città e sul territorio di Bologna, riservandosi i castelli di Castiglione, San Giovanni, Crevalcore, Cento, Sant’Agata e Nonantola (Sommari, 142, p. 301).
In quei mesi i destini dei due fratelli si stavano separando. Giovanni era caduto, nel luglio 1350, nelle mani del rettore pontificio Astorgio di Durfort, le cui truppe minacciavano da est il territorio bolognese. Giacomo allora, per organizzare la difesa e in forza del trattato stabilito dal padre Taddeo poco prima di morire, si era rivolto all’alleato visconteo. Giovanni, liberatosi dalla prigionia e fuggito a Milano, avviò quelle trattative destinate a concludersi con la vendita del 16 ottobre. Di fatto, le condizioni di quell’accordo non si realizzarono: accusati di tramare con i fiorentini per sottrarre la città ai Visconti, Giacomo e il figlio maggiore Obizzo furono incarcerati nel giugno 1351, condotti a Milano e condannati al carcere perpetuo. Giovanni invece non fu incriminato e anzi ottenne dai Visconti rilevanti incarichi amministrativi. Nel 1354 anche Giacomo fu perdonato, riebbe tutti i suoi beni, compreso il feudo di Castiglione, e anch’egli in qualche modo fu inquadrato nelle strutture del potere visconteo. Nel 1359 lo troviamo al fianco di Bernabò Visconti, a capo di una truppa che univa forze milanesi, bolognesi ed estensi (Corpus chronicorum Bononiensium, III, 1939, pp. 47, 87). Da quel momento si perdono le sue tracce fino al 1367. Il 22 settembre di quell’anno, Giacomo Pepoli dettò a un notaio forlivese il proprio testamento, nel quale istituiva eredi i figli Benedetto, Mastino, Zerra e Giacomo (Sommari, 142, p. 340). Morì il giorno successivo a Forlì e il suo corpo fu trasportato in seguito a Bologna, per essere tumulato in S. Domenico nell’arca del padre Taddeo (Storia, genealogia, nobiltà, 24, c. 79v).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Famiglia Pepoli, Istrumenti, serie I/A, Sommari, 142; Storia, genealogia, nobiltà, 24, «Volume in foglio in cui si mostra a grado a grado i sogetti che ha avuto la famiglia Pepoli»; C. Ghirardacci, Historia di vari successi d’Italia e particolarmente della città di Bologna, avvenuti dall’anno 1321 fino al 1425, Bologna 1669; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, II-III, RIS2, XVIII, pt. 1, Bologna 1938-1939; G. Antonioli, Conservator pacis et iustitie. La signoria di Taddeo Pepoli a Bologna (1337-1347), Bologna 2004; A.L. Trombetti Budriesi, Bologna 1334-1376, in Storia di Bologna, 2, Bologna nel Medioevo, a cura di O. Capitani, Bologna 2007, pp. 761-866; G. Lorenzoni, Conquistare e governare la città. Forme di potere e istituzioni nel primo anno della signoria viscontea a Bologna (ottobre 1350-novembre 1351), Bologna 2008.