SAVELLI, Giacomo
SAVELLI, Giacomo. – Figlio di Pandolfo, nacque quasi certamente a Roma negli ultimi decenni del XIII secolo; nulla si sa dell’identità della madre.
Nipote del pontefice Onorio IV, fu il principale esponente del casato nei primi decenni del Trecento.
Il 1° giugno 1325, Roberto d’Angiò, nella sua veste di senatore di Roma, nominò Giacomo Savelli e Francesco Orsini suoi vicari per sei mesi, ma fu ben presto costretto a intervenire per reprimere gli abusi perpetrati dai due. Orsini si dimise e il sovrano angioino lasciò il solo Giacomo a rappresentarlo. Questi, evidentemente perseguendo scopi legati ai propri interessi, perpetrò alcuni veri e propri soprusi: in particolare, fece segregare ingiustamente nelle carceri del palazzo senatorio alcuni membri della famiglia Farnese. È possibile che a questo episodio sia da ricollegare la grave insurrezione messa in atto contro Giacomo nel mese di ottobre del 1325.
A questo episodio l’Anonimo romano, basandosi sui suoi ricordi d’infanzia, dedica il secondo capitolo della sua Cronica: «Como Iacovo de Saviello senatore fu cacciato de Campituoglio per lo puopolo e della cavallaria de missore Stefano della Colonna e missore Napolione delli Orsini» (a cura di G. Porta, Milano 1979, pp. 10-12). Giovanni Villani ricorda invece che fu una delle carestie che affamavano periodicamente la città ad accendere l’animo dei romani, tanto più che Roberto d’Angiò non si preoccupava di rifornire di grano l’Urbe. In breve, «tutta Roma stava armata» e al grido «muoia, muoia il sanatore» un contingente di cavalieri mosse verso il Campidoglio (ibid.), guidato da Stefano Colonna e Poncello Orsini, ai quali, dopo che nel 1323 avevano ricoperto la carica di vicari senatoriali di Roberto d’Angiò, era stato concesso l’ufficio di sindacatori (o di giudici di S. Martina), che di fatto rappresentava il solo incarico municipale che dopo la fine del capitanato prendesse istituzionalmente le difese degli interessi popolari. Giacomo si era asserragliato nel palazzo senatorio, ma temeva comunque di non poter resistere; così non si oppose ai due sindacatori che lo presero in custodia e lo dichiararono decaduto dall’ufficio.
Giacomo, tuttavia, di lì a tre anni (1328) ricoprì nuovamente l’incarico di senatore in coppia con Giacomo Colonna, detto Sciarra, per alcuni mesi. D’altra parte, se pure aveva dovuto subire una pesante onta nel 1325, il suo prestigio era rimasto sostanzialmente inalterato. Ad esempio, nella seconda metà del 1326 egli partecipò alla campagna militare del rettore provinciale contro la città di Narni insieme a Bertoldo Caetani (Duprè Theseider, 1952, p. 450).
In occasione della turbolenta venuta a Roma di Ludovico il Bavaro per ottenere la corona imperiale – nonostante la ferma contrarietà del pontefice Giovanni XXII – Savelli, insieme con Sciarra Colonna e Tebaldo di Sant’Eustachio, capeggiò la fazione romana che sostenne il neoeletto imperatore.
«Sciarra della Colonna e Iacopo Savelli, ch’erano capitani del popolo, coll’aiuto di Tibaldo di quegli di Santo Stazio, grandi e possenti Romani, i quali tre caporali erano stati cagione de la revoluzione a Roma [...] I sopradetti tre capitani del popolo sempre nel segreto, dissimulando il popolo, ordinavano e trattavano la venuta del Bavaro e di farlo re de’ Romani, per animo di parte ghibellina, e per molta moneta ch’ebbono da Castruccio duca di Lucca, e de la parte ghibellina di Toscana e di Lombardia», così narra Giovanni Villani, che riferisce anche che, quando Ludovico lasciò Roma, Giacomo, Sciarra, Tebaldo e i loro sodali furono costretti a fuggire dalla città, dove si scatenò la vendetta: «di molti furono abattuti e guasti i loro palazzi e beni, e condannati», testimonia Giovanni Villani (vedi Nuova Cronica, a cura di G. Porta, 2006, rispettivamente pp. 582 e 639). Solamente due anni dopo essi poterono ottenere il perdono da parte del papa.
Gli anni Trenta furono un periodo assai turbolento per la città di Roma: le tregue stabilite tra le fazioni attraverso la mediazione dei rappresentanti del papa non sortirono effetti, e in questo quadro si può affermare che Giacomo fu allora uno dei più facinorosi tra i baroni romani. Nel 1336 la Curia era particolarmente preoccupata nel timore che le terre della Chiesa fossero minacciate da un attacco militare proprio da parte di Savelli, il quale di lì a poco si rese protagonista anche di un episodio particolarmente efferato nel cuore della città. Il 28 aprile 1337 Giacomo Savelli, Angelo Malabranca e vari Orsini assalirono – addirittura con l’ausilio di una macchina da assedio – la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, arrecando gravissimi danni alla sua struttura, dalla demolizione del campanile a quella del tetto, dalla distruzione delle campane a quella delle lastre di marmo della facciata e delle pareti della chiesa; tutto questo molto probabilmente per danneggiare e recare offesa al cardinale Giovanni Colonna, che ne era titolare.
Nell’occasione si manifestò un’intensa conflittualità; i tentativi di raggiungere una nuova tregua tra gli schieramenti baronali da parte dei delegati papali fallirono ancora una volta miseramente. Le conseguenze furono gravi e si fecero sempre più frequenti e aspri gli scontri nel territorio romano tra i vari casati baronali con i rispettivi alleati e contingenti di armati. Savelli fu senz’altro tra i principali protagonisti di questi combattimenti; sappiamo infatti che con le sue milizie unite a quelle di alcuni esponenti della famiglia Orsini andò all’assalto di Giordano Orsini ed Enrico Colonna, che avevano occupato con la forza due castelli in Sabina.
Nel maggio del 1340 Savelli e Bertoldo Orsini, con milizie agguerrite loro proprie e dei loro stretti alleati mossero contro il Campidoglio, a sostegno di Francesco Alberteschi e Annibaldo Annibaldi di Montecompatri, ritenuti responsabili di ostacolare il regolare approvvigionamento alimentare della città da parte dei nuovi senatori (dal 1° marzo) Tebaldo di Sant’Eustachio e Martino Stefaneschi (che avevano a loro volta sostituito Bertoldo Orsini e Orso Anguillara, in carica dal 1° gennaio 1340). L’attacco fallì e gli assalitori occuparono la limitrofa chiesa dell’Aracoeli. Una sollevazione popolare li costrinse ad abbandonare la chiesa e a rifugiarsi nelle loro fortezze cittadine, dalle quali essi però continuarono a sferrare attacchi, tanto efficaci che i due senatori furono in fine costretti a lasciare il Colle.
Sappiamo anche che anteriormente al 1341 Giacomo aveva occupato il castrum di Boccea del capitolo di San Pietro in Vaticano e che i canonici della basilica erano stati costretti a richiedere l’intervento diretto del pontefice per ottenere giustizia.
Nel 1351 Savelli fu ancora coinvolto nelle lotte di fazione cittadine, allorquando riuscì a cacciare dal Campidoglio il vicario papale in Roma, Ponzio Perotti, vescovo di Orvieto, che aveva occupato con i suoi sodali il palazzo senatorio per cercare di mantenere l’ordine pubblico in città.
Dopo tale anno non si hanno più notizie di Giacomo. Si ignorano dunque data di morte e luogo di sepoltura.
Fonti e Bibl.: Collectionis bullarum brevium aliorumque diplomatum Sacrosanctae Basilicae Vaticanae, I, Roma 1747, pp. 319 s.; A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, II, Roma 1862, pp. 83 s., num. 107; Anonimo romano, Cronica, a cura di G. Porta, Milano 1979, pp. 10-12, 14 s.; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 2006, pp. 582 s., 639.
A. De Boüard, Le régime politique et les institutions de Rome au Moyen-Age. 1252-1347, Paris 1920, pp. 87, 103, 110 s., 125, 260, 262 s., 270; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, I, Roma 1935, pp. 99 s.; A. Mercati, Nell’Urbe dalla fine di settembre 1337 al 21 gennaio 1338, Roma 1945, passim; E. Duprè Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 392, 432, 445, 450, 459 s., 462, 466, 487, 497 s., 501 s., 505 s., 625 s., 703; S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e primo Trecento, Roma 1993, pp. 99 s., 222 nota, 316, 406, 419 s.; M.T. Caciorgna, L’influenza angioina in Italia: gli ufficiali nominati a Roma e nel Lazio, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen-Âge, CVII (1995), pp. 173-206 (in partic. pp. 193 nota, 205); S. Carocci, Barone e podestà. L’aristocrazia romana e gli uffici comunali nel Due-Trecento, in I podestà dell’Italia comunale, a cura di J.-C. Maire Vigueur, II, Roma 2000, pp. 847-875 (in partic. p. 869).