Basile, Giambattista
Uno scrittore di fiabe indimenticabili
Giambattista Basile, vissuto all'inizio del 17° secolo, fu poeta di corte e compose versi tradizionali; in privato, invece, scrisse in dialetto napoletano una raccolta di fiabe che lo rese famoso: Lo cunto de li cunti, definito da Benedetto Croce "il più bel libro italiano barocco", dove tra l'altro compare per la prima volta il personaggio di Cenerentola
Tutti conoscono e hanno amato il personaggio di Cenerentola descritto da Charles Perrault nei suoi Racconti, ma pochi sanno che la storia di quella fanciulla, prima di essere portata al successo dallo scrittore francese, era giunta alle orecchie del napoletano Basile: egli ne aveva tratto materia per una delle sue favole, La gatta cenerentola, inclusa ne Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de' peccerille, pubblicato postumo nel 1634-36.
Lo cunto de li cunti è una raccolta di cinquanta fiabe di origine popolare, raccontate nel corso di cinque giornate (da cui il titolo postumo de Il Pentamerone) e inserite all'interno di una cornice narrativa più ampia, anch'essa fiabesca, che raccorda e motiva tutti gli altri racconti. Le favole sviluppano spunti fantastici vivi nella tradizione e universalmente noti: è il caso de La gatta cenerentola e di Cagliuso, la storia di un gatto sapiente che aiuta un poveruomo a far fortuna, resa famosa da Il gatto con gli stivali di Johann Ludwig Tieck. Altri personaggi, recuperati da una più vivace ambientazione popolare secentesca, godranno poi di non minore fortuna nei libri di fiabe per ragazzi, come l'indimenticabile Vardiello, giovane sprovveduto, baciato dalla fortuna, a dispetto della sua semplicità.
In una struttura tradizionalmente letteraria s'innesta la materia popolare e fantastica, narrata con perizia stilistica e lessicale, ricca di sovrabbondanti metafore, oltreché di stravaganti similitudini che donano leggerezza e allegria ai racconti. Queste caratteristiche sono tipiche, insieme all'uso del meraviglioso, agli spunti drammatici, alla propensione per le scene erotiche e per la deformazione grottesca, di un gusto tipicamente secentesco che possiamo definire barocco.
C'era una volta ‒ così inizia la storia ‒ il re di Vallepelosa, che aveva una figlia di nome Zora. La fanciulla era talmente triste che il padre, nella speranza di indurla a ridere, aveva escogitato i più fantasiosi espedienti, senza però riuscire mai nell'intento; finché un giorno, mentre è affacciata alla finestra, Zora assiste al vivace litigio sorto tra un paggio e una vecchia: il gesto osceno che la donna rivolge al giovane suscita nella fanciulla risa irrefrenabili. Ma all'ilarità della principessa, la vecchia, che si crede beffata, risponde con una maledizione: la fanciulla non potrà sposare altri che il principe di Camporotondo, Tadeo. Questi, a causa di un incantesimo, giace, senza vita, in un sepolcro, ed è destinato a prendere in moglie solo colei che saprà risuscitarlo, riempiendo di lacrime una brocca. Zora si mette subito in viaggio per trovare il principe e, dopo sette anni, giunge al sepolcro. Qui, presa la brocca, inizia a riempirla con le sue lacrime finché, dopo averla quasi colmata di pianto, cade esausta in un sonno profondo. Nel frattempo, si trova a passare di lì una schiava che, conoscendo la faccenda dell'incantesimo, decide di approfittare della situazione: si sostituisce alla fanciulla addormentata e, destato il principe, lo sposa. Al risveglio, Zora scopre l'inganno e per non perdere Tadeo va ad abitare di fronte al palazzo dove dimorano i due sposi. Da lì, con arti magiche, suscita nella moglie del principe un ardente desiderio di ascoltare racconti. Tadeo, per accontentare la consorte, sceglie dieci popolane affinché narrino, ogni giorno, per cinque giorni, un racconto ciascuna. Si apre così una successione di storie animate da orchi, fate, fanciulle, coraggiosi ragazzi e mille altri indimenticabili personaggi. All'inizio della quinta giornata viene chiamata, in sostituzione di una delle narratrici, Zora che, per ultima, incanterà i circostanti con la storia dei suoi guai, svelando infine l'inganno della schiava. Scoperto il tradimento, il principe condanna a morte la moglie, per poi congiungersi felicemente a Zora.