MORGAGNI, Giambattista
È il fondatore dell'anatomia patologica; nacque a Forlì il 25 maggio del 1682, morì a Padova il 5 dicembre 1771. D'ingegno pronto e precoce, si dilettava a verseggiare e dare pubblica mostra della sua erudizione classica nell'Accademia dei Filargeti della nativa Forlì, alla quale s'era aggregato quattordicenne. Innamorato delle scienze filosofiche e naturali, si recò a sedici anni a Bologna e si pose al seguito del più illustre dei discepoli di Marcello Malpighi, Antonio Maria Valsalva, lettore di anatomia nello Studio, e di lui divenne amico e cooperatore. In Bologna il Morgagni si laureò a 19 anni in filosofia e medicina e per l'intensa applicazione sofferse allora di una malattia d'occhi, che lo tormentò poi, di tempo in tempo, per tutta la vita.
L'inesausto amore per il sapere gli aveva già aperto due anni prima le porte della bolognese Accademia degl'Inquieti, che divenne più tardi Istituto delle scienze e dove egli diede prova di tale elevatezza mentale da suggerire, quasi due secoli dopo, alla critica carducciana il giudizio che il ricordo del Morgagni compendia "quanta parte di scienza s'innovasse e perfezionasse" nel celebre Studio bolognese e "come alla severità sperimentale si accompagnasse l'umanità delle lettere e la erudizione".
Dopo la laurea, lo Spedale di Santa Maria della Morte fu la sua prima palestra, con le sue corsie di malati e la sua sala di dissezione. A ventiquattr'anni, essendo stato il suo maestro Valsalva invitato a tener lezione a Parma, poté egli con onore supplirlo a Bologna, senza per questo rinunziare alle predilette ricerche anatomiche originali, che in quello stesso anno 1706 egli diede alle stampe col titolo di Adversaria anatomica (prima). Al ritorno del Valsalva a Bologna il Morgagni abbandonò lo Studio e venne a Venezia, dove ebbe dimestichezza con Giandomenico Santorini, insegnante di anatomia presso il Collegio dei fisici veneziani. Frequentando la farmacia di Girolamo Zannichelli "uomo dottissimo", come lo dice un biografo, "perito nella notomia e nella cognizione dei libri migliori" non tanto nell'anatomia, quanto nella chimica e nella farmacoterapia, il Morgagni deve essersi addestrato, in ossequio alla concezione unitaria della medicina e nell'eventualità di doversi dedicare all'esercizio pratico. E vi si dedicò infatti di proposito tra il 1709 e il 1711 nella città natale. Per quali ragioni egli abbia abbandonato Bologna nel 1707, peregrinando poi per due anni fra Padova, Venezia e la Romagna, i biografi, anche i più vicini a lui, non dicono. Si deve escludere che a questa decisione l'abbia indotto qualche motivo di rancore col Valsalva, perché al suo primo e forse unico maestro egli rimase costantemente affezionato, conservando con lui rapporti epistolari inspirati a somma devozione sia da Padova sia da Venezia. Né a Padova, pur allora grande centro di cultura umanistica, egli poteva trovare un più largo orizzonte aperto alla sua sete di sapere se, com'ebbe a scrivere al Lancisi di Roma "non vi si tagliava più e il Molinetti - che vi teneva anatomia - non mostrava d'aver letta nemmeno la prima pagina di qualsiasi moderno". È verosimile che, dopo il ritormo del Valsalva da Parma, il Morgagni sia stato preso da una crisi d'incertezza sul suo destino accademico, dacché forse le contingenze del momento gli precludevano a Bologna la via per salire. Migrando nel Veneto accarezzava egli fin da allora il proposito di esibirsi al governo della repubblica, dopo l'abilitazione cattedratica conquistata sotto la guida del Valsalva, onde le sue aspirazioni all'insegnamento trovassero adeguato appoggio nei riformatori del celebre Studio di Padova? Di fatto, promosso il Vallisnieri (1711) dalla seconda alla prima cattedra di medicina teorica per la morte del Guglielmini, posero i riformatori gli occhi sul Morgagni che, invitato alla successione del Vallisnieri, vide coronate appieno le proprie speranze. Il suo ingresso ufficiale nel corpo accademico di quell'università a soli 30 anni e la grandissima risonanza ch'ebbe nell'ambiente scientifico di quel tempo l'originale orazione ch'egli tenne nel marzo del 1712, per la inaugurazione del suo corso col tema Nova institutionum medicarum idea, gli assicurarono fin da quel momento la conquista di un grado gerarchicamente più elevato.
Nel 1714, resasi vacante per la morte di B. Ramazzini la cattedra di medicina pratica in primo loco, vagheggiò il M. per un istante di poter succedere al grande pioniere della patologia del lavoro e ne scrisse al Lancisi, che lo sconsigliò da ogni approccio, non parendogli quella materia adatta all'indole degli studî nei quali il M. aveva acquistato ormai chiara fama, per quanto in Forlì tra il 1707 e il 1711 e in Padova nell'insegnamento, avesse egli conseguito anche rinomanza di clinico esperto. Giudicava il Lancisi che fosse assai più consona all'eccellente preparazione del M. nell'anatomia la cattedra di questa branca, in quei tempi tenuta in grande onore e che per la morte di Michelangiolo Molinetti restò scoperta l'anno dopo e, a richiesta del Morgagni, a lui stesso affidata dal senato veneto nell'ottobre 1715, cattedra illustrata da lui senza pari sino alla morte.
Col 1715 ha inizio in realtà quel suo apostolato didattico che lo trova avvinto alla scuola ancor quasi nonagenario, sempre sereno di spirito, sempre sommo nell'arte di trasmettere ai giovani i tesori della sua erudizione e quelli vieppiù preziosi delle proprie scoperte anatomiche, illuminate dalla divinatoria saggezza nell'interpretazione dei morbi (quae ab Anatome pendent res Medica et Chirurgica).
Poche e fugaci visite alla terra natale gli consentivano i suoi impegni scolastici, anche perché il gravame economico dei suoi quindici figli esigeva da lui un ininterrotto raccoglimento nel lavoro. Ma della sua piccola patria, Forlì, il M. consacra l'amore nelle quattordici Epistolae Aemilianae, laddove i monumenti più insigni della Romagna trovano celebrazione ben degna sebbene egli, con l'abituale modestia, le riconosca "imperfetta fatica". Né s'indusse mai a lasciare, malgrado le molteplici lusinghiere offerte, quell'Ateneo patavino ov'ebbe il battesimo di maestro e della cui gloria antica egli fu il rinnovatore, né "quella città che tutte le altre, e per umanità e per dottrina, avanzava". La seduzione di più doviziose, non di più alte tribune, da cui il suo verbo potesse avere maggiore eco nel mondo scientifico, non distolse il M. da quella che egli stimava la sede migliore per la libertà di concezione e d'insegnamento all'infuori d'ogni dogma della scolastica e della fede che la repubblica "munificientemente", com'egli dice, consentiva alla Universitas Studiorum.
Il M. fu un matematico della medicina, nella quale egli impresse il suggello del positivismo. Non fu soltanto un pioniere dell'idea che ogni singola malattia lascia quasi indefettibilmente un'impronta viscerale sua propria, la quale dà ragione dei sintomi constatati in vita e permette una logica ricostruzione dell'intero quadro morboso, ma fu altresì un precursore del metodo della revisione storica retrospettiva d'ogni argomento di studio; in questo lavoro di commento critico il M. mette in luce priorità ignorate, rettifica gli errori e segnala le lacune di coloro che, trattando il medesimo tema, non ne avevano con precisione e completezza registrati i precedenti bibliografici. La sua arte didattica richiamò allo Studio di Padova scolari di ogni parte d'Europa: gli studenti della nazione germanica, frequentatori dell'Archiginnasio, gli dedicarono adhuc viventi un ricordo marmoreo, mentre il senato veneto, per sollecitazione dei riformatori dello Studio, stabiliva per lui un trattamento economico eccezionale (2200 ducati d'oro all'anno).
Mente aperta a tutte le correnti del pensiero, il M. non fu soltanto anatomico e medico, ma prosatore e poeta, storico, archeologo e versato nell'agronomia.
La produzione scientifica del Morgagni è poderosa e s'inizia con il primo dei sei Adversaria anatomica, che vide la luce, come si è ricordato, nel 1706 e che, a detta del maestro, gli giovò "con l'aiuto di Dio" a conquistare la cattedra di Padova. Negli Adversaria trova posto un infinito numero di osservazioni e di rilievi originali sulla struttura delle varie parti del corpo umano, dalle tasche laringee alla idatide della ghiandola germinativa, dalle fossette uretrali ai muscoli cervicali anteriori, dal liquido del vitreo ai noduli delle valvole arteriose del cuore. Afferma, a ragione, il Puccinotti che se si dovessero ricordare col suo nome tutte le scoperte anatomiche ch'egli fece, forse un terzo delle parti del corpo umano si denominerebbe da lui. Appartiene al 1712 la sua celebre orazione già menzionata dal titolo Nova institutionum medicarum idea, in cui traccia il programma della medicina nuova, vero testamento scientifico di un giovane antiveggente, che sulle rovine della metafisica costruisce la scienza positiva e preconizza l'evoluzione fatale della medicina sulle tracce di quel metodo sperimentale, che al Galilei aveva suggerito l'apostrofe valere assai più l'osservazione di un fatto, anche se minimo, che la più seducente astrazione filosofica. Fra le opere di minor mole sono da noverarsi le già ricordate Epistolae Aemilianae, il De vita et scriptis Antonii Mariae Valsalvae commentariolum, le Epistolae anatomicae duodeviginti, in cui esalta a ogni passo il valore del maestro Valsalva, e quella miniera di piccole gemme letterarie, storico-critiche, archeologiche e cliniche che è formata dagli Opuscula miscellanea. Ma dopo gli Adversaria l'opera più feconda di bene e la più ponderosa che l'arte medica del sec. XVIII abbia largito alla società umana, è certamente il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, nel quale in forma di "lettere all'amico", il "medico di grande fama", come lo definì papa Benedetto XIV, ricorda, in una veste latina squisita, i più istruttivi casi clinico-anatomici caduti sotto l'osservazione e del Valsalva e sua nel corso della loro lunga carriera didattica, riunendo i tipi affini e ponendo di contro l'uno all'altro il quadro clinico e l'anatomico. Degli avvenimenti clinici peregrini il M. in quest'opera, che ebbe in quattro anni tre ristampe e fu tradotta in inglese e in tedesco, vi tratta di rado, preferendo i più comuni, che sono quelli, egli scrive, "che si vedon di sovente nell'esercizio della medicina.. e perciò i più utili... e che occorre far conoscere, piuttosto che gli altri in piccol numero, che forse non si vedranno mai". Le più svariate malattie dell'uomo trovano nel De sedibus un'illustrazione critica acuta, infiorata di un'erudizione bibliografica veramente originale per i tempi, non solo, ma per il costume dello stile scientifico in uso. L'acume di clinico rivaleggia in quelle pagine magistrali con la singolare perizia dell'anatomista indagatore, nello snidare, dal complesso delle alterazioni plastiche viscerali, il genuino cardine della malattia, per dare il dovuto posto alle manifestazioni minori.
L'imperatore Carlo VI, il re Carlo Emanuele III di Sardegna, l'imperatore Giuseppe II e i due papi Clemente XIII, già vescovo di Padova, e Benedetto XIV ebbero per lui riguardi specialissimi e giudizî assai lusinghieri. La sua effigie figura in ritratti antichi, medaglioni e busti oltre che in un monumento a grandezza naturale, eretto a spese di un suo concittadino, Camillo Versari, che il comune di Forlì, il 24 maggio 1931, dal Palazzo degli studî della città tradusse sulla pubblica piazza a lui intitolata.
Bibl.: L. Messedaglia, L'Iter Italicum Patavinum di D. Cotugno, in Atti del R. istituto veneto, LXXIII (1913-14), parte 2ª; G. Bilancioni, G. M. Profili, n. 62, Roma 1922; C. Fiorentini, Giovanni Battista M. Primo saggio di bibliografia sintetica, Bologna 1930; R. Zanelli, Nuovo saggio di bibliografia morgagnana, Forlì 1932.