Di Venanzo, Gianni
Direttore della fotografia, nato a Teramo il 18 dicembre 1920 e morto a Roma il 3 febbraio 1966. Insieme a G.R. Aldo, con il quale lavorò da operatore alla macchina, è considerato il più grande direttore della fotografia del cinema italiano. Protagonista indiscusso del rinnovamento dell'immagine nel dopoguerra, superò le formule classiche dell'illuminazione, basate sulle cosiddette tre regole (taglio, luce diffusa e controluce), rinunciando spesso alle edulcorazioni del controluce e caricando di valori espressivi la luce diffusa, che usò soprattutto riflessa contro pannelli di polistirolo bianco. Diede un impulso decisivo alla liberazione dalle forti limitazioni imposte da un'illuminazione pesante, soprattutto negli interni, consentendo ai registi di girare sfruttando la mobilità della macchina da presa lungo le quattro pareti del set, e portò nel panorama del grande cinema realizzato in studio la sua lezione di operatore realista, mescolando abilmente la poetica delle piccole fonti di luce con quella dell'illuminazione classica. Il suo stile fatto di contrasti vigorosi ma perfettamente dominati ‒ assolutamente moderno per l'epoca ‒ caratterizza le opere di Michelangelo Antonioni, Francesco Maselli, Francesco Rosi e Valerio Zurlini, oltre che una serie di piccoli e grandi capolavori in bianco e nero degli anni Cinquanta e Sessanta, da Cronache di poveri amanti (1954) di Carlo Lizzani a Le ragazze di San Frediano (1954) di Zurlini, da Lo scapolo (1955) di Antonio Pietrangeli a Un ettaro di cielo (1958) di Aglauco Casadio, a I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. Attivo quasi esclusivamente in patria, D. V. ottenne cinque volte il Nastro d'argento. Dopo un'infanzia in una famiglia di modeste condizioni, nel 1937 si trasferì a Roma, dove frequentò i corsi del Centro sperimentale di cinematografia, che lasciò nel 1941 per entrare nella troupe di Massimo Terzano sul set del film Un colpo di pistola (1942) di Renato Castellani. Negli anni seguenti completò l'apprendistato professionale al fianco di Aldo Tonti, in Fari nella nebbia (1942) di Gianni Franciolini e Ossessione (1943) di Luchino Visconti. Dopo la guerra fu uno degli operatori del documentario Giorni di gloria (1945), film collettivo di montaggio coordinato da Mario Serandrei e Giuseppe De Santis, a cui parteciparono anche Visconti e Marcello Pagliero, nel quale furono inserite le riprese, girate da D. V. in precedenza per il Publicity War Board, delle uccisioni dei fascisti D. Carretta e P. Koch. D. V. iniziò subito una prestigiosa carriera da operatore alla macchina nelle troupe di Ubaldo Arata (Roma città aperta, 1945, di Roberto Rossellini), Otello Martelli (Paisà, 1946, di Rossellini; Caccia tragica, 1947, di De Santis), Michel Kelber (La beauté du diable, 1950, La bellezza del diavolo, di René Clair). Per La terra trema (1948) di Visconti e Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica, offrì la sua esperienza di puntiglioso operatore di macchina a G.R. Aldo, che stava muovendo i primi passi come direttore della fotografia. In quel periodo firmò le sue prime immagini in una serie di documentari, alcuni dei quali diretti da Marcello Pagliero nell'ambito dell'Euro-pean Recovery Program. L'esordio da direttore della fotografia avvenne con il primo film diretto da Lizzani, Achtung! Banditi! (1951). Ma a far conoscere e apprezzare il suo temperamento e la sua rapidità sul set fu un film a episodi prodotto da Marco Ferreri, L'amore in città (1953), girato quasi tutto in esterni e in ambienti reali e non ricostruiti, diretto a più mani da un gruppo di giovani registi emergenti: Lizzani, Antonioni, Maselli, Federico Fellini, Dino Risi e Alberto Lattuada. Vicino agli ambienti dei cineasti progressisti e soprattutto a Lizzani, D. V. venne subito apprezzato per la sensibilità tagliente, mai incline all'edulcorazione, e per la scrupolosa cura nell'ammorbidire le ombre. La sua ricerca sull'uso delle piccole fonti di luce (photofloods e photospots montate su pinze) giunse a maturazione sul set dei film di Antonioni, regista particolarmente attento alla costruzione delle immagini, che aveva già conosciuto e apprezzato queste soluzioni luministiche grazie al suo operatore precedente, Enzo Serafin. In Le amiche (1955), Il grido (1957), La notte (1961) e L'eclisse (1962) D. V. e Antonioni esplorarono le potenzialità dei nuovi e maneggevoli mezzi illuminanti, perfettamente integrati in un cinema che concepiva in maniera rivoluzionaria il rapporto fra attori e spazio della messa in scena. D. V. sistemò le photofloods in gruppi, inventando quelli che saranno poi definiti i mini-bruti, riducendo così sempre di più lo spazio di utilizzo dei vecchi e pesantissimi proiettori, i cosiddetti bruti, che continuò a usare soltanto per gli esterni. Lo stesso gusto fotografico, piegato a esigenze narrative diverse, si ritrova nei primi film di Rosi, La sfida (1958), I magliari (1959), Salvatore Giuliano (1962), Le mani sulla città (1963), Il momento della verità (1965). In quegli anni firmò anche le immagini di I delfini (1960) e Gli indifferenti (1964) di Maselli. Tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà dei Sessanta fu il più premiato fra gli operatori italiani, ottenendo Nastri d'argento rispettivamente per Il grido, I magliari e Salvatore Giuliano. Un quarto gli venne attribuito per il film considerato il suo capolavoro nel campo del bianco e nero, 8 1/2 (1963) di Fellini. I suoi contatti con il cinema a colori non furono molti, ma di grande efficacia, come mostra Giulietta degli spiriti (1965), prima incursione di Fellini nel colore e grande saggio della fantasia coloristica di D. V., che nemmeno di fronte alla scarsa sensibilità dei negativi a colori dell'epoca volle mettere da parte il suo stile fondato sull'uso delle piccole luci: il risultato fu un cromatismo che alterna sprazzi sgargianti di tinte piene e momenti più misteriosi, dove il nero resta il colore dominante. Questo film procurò a D. V. il quinto Nastro, assegnatogli alla memoria, poco tempo dopo la sua morte, avvenuta sul set del suo primo film statunitense, The honey pot (1967; Masquerade) di Joseph L. Mankiewicz. Molti altri furono i registi cui prestò il proprio talento figurativo, tra i quali Christian-Jaque, Joseph Losey, Alberto Cavalcanti, Lina Wertmüller, Luigi Comencini, Mauro Bolognini, Elio Petri. Al fianco di D. V. si formarono due operatori italiani come Erico Menczer e Pasqualino De Santis.
Esterno giorno. Vita e cinema di Gianni Di Venanzo operatore, a cura di D. Bosi, Roma 1997.