GIAPPONE.
– Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Bibliografia. Politica economica e finanziaria. Storia. Bibliografia. Architettura. Bibliografia. Letteratura. La letteratura femminile. La letteratura post 3.11. Bibliografia. Cinema. Bibliografia
Demografia e geografia economica di Anna Bordoni. – Stato dell’Asia orientale. Il Paese, segnato da una pesante stagnazione economica, vede da anni diminuire e al tempo stesso invecchiare la propria popolazione: al censimento del 2010 gli abitanti risultavano essere 128.057.695, scesi a 126.999.808 nel 2014, secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs). In base ai dati resi noti dal governo, nel 2013 sono nati 1.031.000 bambini e sono stati registrati 1.275.000 morti. La conseguenza di questo incremento naturale negativo, accompagnato da un basso tasso di fecondità (1,4 figli per donna nel 2014) e da un’elevata speranza di vita media, è una percentuale di anziani tra le più alte del mondo: la quota di persone che hanno superato i 65 anni di età è pari a un quarto del totale. Se la tendenza rimarrà la stessa, il Paese vedrà la propria popolazione ridursi di un terzo nell’arco di cinquant’anni. Tutto ciò ha un risvolto immediato anche di natura economica, data la crescente incidenza delle pensioni sulla spesa pubblica: la quota non supera il 20% del PIL, ma si stima che, tra circa venti anni, potrebbe oltrepassare il 35%. Una soluzione a tale situazione potrebbe essere quella di aprire all’immigrazione una società tradizionalmente isolata (gli stranieri rappresentano meno del 2% del totale); un rapporto delle Nazioni Unite del 2011 stima che, per mantenere costante la percentuale di popolazione in età lavorativa, il G. dovrebbe ricevere oltre 600.000 immigrati l’anno fino al 2050.
Con una superficie territoriale di poco superiore a quella italiana, il G. ha più del doppio degli abitanti e si colloca quindi tra i primi Paesi al mondo per densità demografica (337 ab./km2). Le città con più di 300.000 ab. sono 30, mentre quelle con oltre un milione di abitanti 12. Nell’area compresa tra Tōkyō e Nagoya e nella regione di Ōsaka si registra il maggiore sviluppo urbano ed economico. Le quattro grandi aree metropolitane – Tōkyō, Yokohama, Kawasaki (31,7 milioni di abitanti e una densità sette volte superiore alla media nazionale), Nagoya (6 milioni e mezzo), Ōsaka, Kōbe, Kyōto (17,5 milioni), Kitakyūshū (5 milioni) – costituiscono una vera e propria megalopoli lineare, simile a quella che si estende sulla costa nordorientale degli Stati Uniti, dove la densità media supera i 4000 ab./km2. Ciò comporta notevoli problemi per la popolazione: molti operai vivono in appartamenti di pochi metri quadrati, messi a disposizione dall’azienda per cui lavorano, in palazzi-alveare che hanno funzioni quasi esclusivamente di dormitori. Il governo sta tentando di invertire il flusso migratorio che ha portato gran parte della popolazione giapponese a inurbarsi, vendendo a prezzi vantaggiosi appezzamenti nelle zone rurali.
Una caratteristica della società nipponica è la grande omogeneità etnica, linguistica, culturale e storica. Il 99,4% della popolazione è giapponese, mentre l’unico gruppo distinto è quello autoctono degli Ainu, presenti quasi esclusivamente sull’isola di Hokkaidō, da sempre discriminati e riconosciuti ufficialmente dal Parlamento soltanto il 12 giugno 2008.
Condizioni economiche. – Fino alla crisi globale del 200809, il G. è stata la seconda economia del mondo in termini di PIL e, nonostante nel 2010 sia stato superato dalla Cina, rimane tuttora uno dei primi Paesi nella graduatoria del PIL pro capite a parità di poteri d’acquisto (PPA), con 37.683 $ (2014). Dopo il 2009 l’economia nipponica ha proceduto in modo altalenante: il +5% del 2010 è stato smentito dal −1% del 2011, seguito dal +2% del 2012 e dal +0,3% del 2013. Per favorire il rilancio, il governo di Shinzō Abe ha adottato un approccio macroeconomico (definito dai media Abenomics), che rappresenta un’inversione di tendenza rispetto alle politiche economiche precedenti. In sostanza, il primo ministro ha promosso una forte iniezione di liquidità attraverso un vasto piano di opere pubbliche (in particolare con la costruzione di nuove infrastrutture), in grado di indurre crescita nel breve-medio periodo. Egli ha altresì favorito l’indebolimento della moneta nazionale, lo yen, nei confronti del dollaro, misura che ha portato a un abbassamento della curva deflazionista, che interessava ormai da cinque anni l’arcipelago, e ha fatto crescere l’inflazione in misura sufficiente a stimolare le esportazioni. Tuttavia il deficit commerciale è aumentato del 65,3% (2013), a causa delle consistenti importazioni di idrocarburi, ormai necessari a integrare la produzione del parco nucleare dopo l’incidente di Fukushima (v. oltre). Al tempo stesso, per la prima volta dal 1997, è sceso il tasso di disoccupazione (stabilizzatosi al 3,7% nel 2014) e il Paese è così arrivato alla quasi piena occupazione. Tra gli obiettivi del governo Abe c’è anche un’espansione del welfare per le famiglie, destinato ad aumentare la partecipazione femminile al mercato del lavoro (bassa rispetto agli altri Paesi sviluppati). Quest’ultimo, peraltro, sta vivendo un momento di transizione ed è oggi rivolto a una maggiore diffusione della flessibilità e degli impieghi part time.
Per risollevare l’economia nipponica devono tuttavia essere affrontate anche altre riforme strutturali, riguardanti in particolare il livello del debito pubblico, che è il più alto al mondo (245% del PIL nel 2013, ammontava al 170% nel 2005 e al 50% nel 1991) e pesa sul bilancio dello Stato per il pagamento degli interessi passivi accumulati. Attualmente il debito è sostenuto per oltre il 90% dai giapponesi, a bassi tassi, e nessuno ha interesse che tale sistema finanziario crolli. Ma il risparmio nazionale ha dei limiti e non esiste certezza che il G. possa continuare a finanziarsi localmente. In caso di un’evoluzione della struttura del debito, come, per es., il ricorso ai mercati stranieri, la capacità di finanziamento stabile e a basso costo del G. potrebbe essere posta in discussione. Per tentare di stabilizzare il budget e poter continuare a immettere denaro pubblico nell’economia, nel 2012 il governo Abe ha deciso il progressivo raddoppio (dal 5 al 10%) della tassa dei consumi, giudicando l’economia abbastanza forte da assorbire la manovra.
La forza lavoro del Paese è distribuita per il 3,9% nell’agricoltura, il 26,3% nell’industria e il 69,8% nei servizi (2010), settori che contribuiscono alla formazione del PIL rispettivamente per l’1,1%, il 25,5% e il 73,4% (2013). La superficie coltivata, già molto limitata, è progressivamente diminuita, per cui, nonostante l’impiego di avanzate tecniche agronomiche, il comparto agricolo non riesce a soddisfare il fabbisogno interno e il G. è costretto a importare derrate alimentari. La coltura principale è il riso (10,6 milioni di t nel 2012), che occupa oltre la metà dell’arativo, seguita da frumento, soia, patata, patata dolce, barbabietola da zucchero. Importante è anche la produzione di agrumi, cereali, legumi, ortaggi, legname (il 68,6% del territorio è occupato da foreste), come pure quella legata all’allevamento di bovini, suini e bachi da seta. Nel comparto ittico il Paese si pone ai primi posti nel mondo per quantità di pesce sbarcato (4.756.040 t nel 2011); nonostante sia in vigore una moratoria internazionale sulla caccia alle balene, il G. continua a praticarla, ricorrendo al pretesto dei fini scientifici.
Per quanto riguarda il settore secondario, il Paese, povero di risorse minerarie, dipende totalmente dalle importazioni di materie prime e soprattutto di petrolio. Per ridurre la forte dipendenza energetica dall’estero, il G. ha potenziato nel tempo l’apparato elettronucleare, che oggi conta 50 centrali, cui se ne aggiungono altre 2 in costruzione. In seguito al terremoto (magnitudo 9 della scala Richter) che ha colpito il Paese l’11 marzo 2011 e al conseguente maremoto che si è abbattuto sulle coste della regione di Tōhoku, alcune centrali nucleari sono state pericolosamente danneggiate: 14 reattori si sono spenti grazie alle barre di controllo, ma il processo di sicurezza, che avrebbe dovuto raffreddarle, è stato compromesso dal maremoto, provocando esplosioni e fuga di materiale radioattivo, in particolare nella centrale di Fukushima, che continua a rilasciare radioattività nell’ambiente. In seguito alla catastrofe, molti giapponesi, consapevoli dei pericoli di una cattiva gestione degli impianti e di una scarsa supervisione da parte dei produttori di energia, hanno creato un movimento di opinione favorevole alla chiusura dei reattori. Tuttavia il governo è deciso a non rinunciare all’unica fonte di energia prodotta domesticamente, che evita la completa dipendenza dall’estero e isola il Paese dalle tensioni internazionali.
L’industria manifatturiera esporta prodotti finiti ad alta tecnologia (17,5% sul totale dell’export di manufatti nel 2011) ed è strutturata in complessi finanziario-industriali che si occupano anche della commercializzazione del prodotto e si avvalgono della collaborazione di tante piccole aziende artigianali. Particolare rilievo riveste il settore meccanico e dei mezzi di trasporto, efficiente in tutti i suoi comparti. In particolare, l’industria automobilistica, che nel 2013 ha prodotto 8.189.323 autovetture e 1.440.747 veicoli commerciali, si è affermata a livello mondiale e vanta numerosi impianti di produzione e montaggio anche in altri Paesi dell’Asia orientale, in America Latina, negli Stati Uniti e in Europa. Notevoli dimensioni hanno raggiunto anche l’industria siderurgica, metallurgica e chimica. Nel 2013 si è registrato un rialzo della produzione industriale, con il più alto indice di produzione manifatturiera dal 2006.
Uno dei maggiori punti di forza del G. risiede nelle entrate derivanti dagli investimenti esteri e nella capacità di mantenersi costantemente ai vertici tecnologici, grazie alla priorità strategica che il Paese attribuisce alla ricerca di dollari a favore di questi due settori (3,4% del PIL). Inoltre la scommessa vinta da Tōkyō, dove è stato ufficialmente deciso che si terranno i XXXII Giochi olimpici, edizione 2020, creerà nuove occasioni per attirare investimenti e dare fiducia ai consumi.
Il commercio, già danneggiato dalla depressione del 2008-09 e dal terremoto del 2011, soltanto recentemente mostra segnali di ripresa. Nel 2012 i principali partner per le esportazioni sono stati Cina (18,1%), Stati Uniti (17,8%), Repubblica di Corea (7,7%) e Thailandia (5,5%); per le importazioni, al primo posto è sempre la Cina (21,3%), seguita, ma a distanza, dagli Stati Uniti (8,8%), dall’Australia (6,4%) e dall’Arabia Saudita (6,2%).
Il governo nipponico è impegnato a concludere accordi di libero scambio con l’Unione Europea e a mantenere quelli già esistenti nell’ambito della Trans pacific partnership (TPP), proposta di accordo commerciale tra gli Stati Uni ti e gli 11 Paesi del Pacifico. Questi ultimi, al momento, si trovano in fase di stallo per la riluttanza del G. ad accettare tutte le richieste statunitensi circa l’eliminazione delle tariffe in campo agricolo. Il premier Abe ha promesso una riforma di questo settore attraverso il passaggio dal tradizionale sistema di sussidi e dazi alla promozione dell’export.
Bibliografia: Y. Takao, Reinventing Japan: from merchant nation to civic nation, New York 2008; K.G. Henshall, A history of Japan: from stone age to superpower, New York 20123; D. McCargo, Contemporary Japan, New York 20123; Japan’s economic relations with China, Russia, and India, ed. T.G. Rawski, «Eurasian geography and economics», 2012, 53, 4, pp. 419-501; D.W. Edgington, R. Hayter, ‘Glocalization’ and regional head quarters: Japanese electronics firms in the ASEAN region, «Annals of the Association of American geographers», 2013, 103, 3, pp. 647-68; J. Kingston, Contemporary Japan: history, politics and social change since the 1980s, Hoboken (N.J.) 20132; K. Fukao, V. Kravtsova, K. Nakajima, How important is geographical agglomeration to factory efficiency in Japan’s manufacturing sector?, «The annals of regional science», 2014, 52, 3, pp. 659-96; S. Haruyama, Y. Taresawa, Local community activities for disaster reduction in regard to the 2011 tsunami, «Geographia polonica», 2014, 87, 3, pp. 401-08; M. Hayashi, Urban poverty and regulation, new spaces and old: Japan and the US in comparison, «Environment & planning», 2014, 46, 5, pp. 1203-25.
Politica economica e finanziaria di Giulia Nunziante. – Le politiche economiche intraprese nei primi anni del 21° sec. e in particolare le misure di consolidamento del sistema bancario hanno posto le basi per una crescita economica sostenuta e robusta, pur contribuendo al deterioramento progressivo dei conti pubblici. A partire dal 2006 è stata adottata una nuova politica monetaria più trasparente ed efficace nel contrastare la deflazione, anche se la Banca centrale ha continuato ad avvalersi di una certa discrezionalità nella determinazione annuale del tasso di inflazione obiettivo. Sul fronte del consolidamento finanziario dello Stato, la spesa pubblica è stata ridotta, soprattutto con il taglio degli investimenti pubblici e la diminuzione del numero dei dipendenti statali. Per promuovere la diffusione nel mercato interno di sane dinamiche competitive, nel 2005 è stato riformato il quadro normativo in direzione antimonopolista e nel 2007 è stata avviata la privatizzazione delle Poste, nonché rinvigorito il piano di stimolo alla concorrenza nei mercati finanziario e dei capitali, anche con l’adozione di misure di tutela della trasparenza. La crisi finanziaria che ha gravemente colpito il Paese dalla seconda metà del 2007 ha condotto il governo nipponico ad adottare un ampio ventaglio di misure riguardanti il settore finanziario e le politiche fiscali e monetarie. In particolare, le autorità hanno prontamente rivisto le regole e le prassi in materia di immissione di capitali pubblici negli istituti di credito e di acquisto di titoli dalle banche, mentre altre iniziative sono state realizzate per incoraggiare l’erogazione di prestiti alle PMI (Piccole e Medie Imprese).
Dal 2008, la Banca centrale ha adottato misure non convenzionali di politica monetaria per la stabilità dei mercati finanziari e ha agevolato il finanziamento alle imprese. Questi interventi sono stati realizzati anche grazie allo stanziamento di fondi statali distribuiti a più riprese durante il periodo di flessione dell’attività economica. Inoltre, il governo ha introdotto un ampio programma di stimoli all’economia che, sommato all’aumento delle erogazioni per gli stabilizzatori sociali attivati a fronte della crisi, ha contribuito a un drastico deterioramento dei conti pubblici. Tra i principali interventi di politica fiscale si annoverano l’aumento dei trasferimenti alle imprese e alle famiglie, l’incremento della spesa pubblica in infrastrutture sociali e nell’istruzione, lo stanziamento di sussidi per politiche attive del lavoro e per la formazione, la riduzione della pressione fiscale sui redditi delle persone fisiche soprattutto per le classi meno abbienti. Nel corso del 2012, a causa delle nuove pressioni deflazionistiche sul mercato interno, le autorità monetarie hanno rinnovato l’intenzione di combattere la riduzione dei prezzi definendo per il medio-lungo periodo un tasso di inflazione obiettivo del 2%; nel 2013 il tasso del 2% viene definito anche come obiettivo di breve periodo che la Banca centrale ha perseguito con misure espansive della base monetaria, con l’acquisto di titoli di Stato di lungo termine e l’accettazione quali garanzie per finanziamenti di ultima istanza di nuovi e diversificati titoli di rischio. In questo periodo, la finanza pubblica è stata condizionata dal peso finanziario degli interventi di ricostruzione dopo il terremoto del 2011 e dalla nuova politica energetica del Paese intesa a diminuire la dipendenza dal nucleare e incrementare la fornitura di energia alternativa, anche rinnovabile. Le autorità di governo hanno altresì varato una riforma dell’agricoltura volta principalmente a incrementare la concorrenza nel settore, l’efficienza produttiva e la stabilità dei flussi commerciali sulla base di accordi internazionali. Altri interventi hanno riguardato il mercato del lavoro, con misure a tutela dei lavoratori maturi e di quelli con contratti atipici, e il mercato reale, in particolare per promuovere la competitività industriale e l’innovazione. Infine, nel corso del 2014, il governo Abe, pur proseguendo nel programma di stimolo alla crescita, ha aumentato l’imposta sui consumi con l’intento di interrompere la spirale deflattiva e garantire la tenuta dei conti pubblici.
Storia di Paola Salvatori. – Il sistema politico giapponese continuò a essere caratterizzato da una forte instabilità, frutto delle lotte interne ai partiti e delle resistenze della potente élite burocratica, restia a subire un ridimensionamento del proprio ruolo. Dal 2005 al 2009 gli scontri tra le diverse correnti del Partito liberaldemocratico, conservatore, al potere quasi ininterrottamente dal 1955, portarono al susseguirsi di quattro esecutivi tutti, inevitabilmente, scarsamente incisivi. A Koizumi Jun᾽ichirō, premier fino al settembre 2006, seguirono come capi di governo Abe Shinzō (sett. 2006-sett. 2007), Fukuda Yasuo (sett. 2007-sett. 2008) e Asō Tarō (sett. 2008-sett. 2009). Le riforme proposte, seppure relativamente omogenee nelle grandi linee (privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, allentamento degli intrecci tra gruppi finanziari e industriali), rimasero per lo più incompiute, mentre il Paese registrava una stagnazione economica e nuovi scandali finanziari si abbattevano sia sugli esponenti dell’amministrazione pubblica sia su quelli del partito di governo. A fronte di questa situazione l’opposizione iniziò a coagularsi e a prendere forza e il Partito democratico, di centrosinistra, registrò una rapida crescita dei consensi.
Vincitore delle elezioni del 2007 per il rinnovo della metà dei membri della Camera alta, il Partito democratico riuscì a imporsi anche nelle elezioni politiche generali del 2009, nelle quali conquistò 308 seggi su 480, relegando per la prima volta nella storia del G. il Partito liberaldemocratico al secondo posto. Salutata da molti come un’occasione storica di cambiamento, la vittoria del democratici non comportò in realtà mutamenti significativi e non riuscì a dare stabilità al Paese, che si trovò così ad affrontare ancora una volta un susseguirsi di crisi di governo. L’esecutivo guidato da Hatoyama Yukio, insediatosi all’indomani delle elezioni, riuscì a resistere poco meno di un anno scontando sia l’acutizzarsi della crisi economica internazionale, e il conseguente peggioramento della situazione interna con la crescita della disoccupazione, sia la mancata realizzazione delle promesse elettorali (prime fra tutte il potenziamento del welfare e lo smantellamento della base militare statunitense di Futenma a Okinawa), sia infine l’esplodere di nuovi scandali finanziari riguardanti esponenti di primo piano del partito. Stessa breve durata ebbe il governo del suo successore, Kan Naoto, insediatosi nel giugno 2010. Già ministro delle Finanze nel precedente esecutivo, Kan pose come obiettivo prioritario il contenimento del debito pubblico (salito a oltre il 200% del PIL) promuovendo una razionalizzazione del welfare e pesanti tagli alla spesa.
Durante il suo mandato il Paese visse quella che lo stesso Kan definì come «la più grande tragedia nazionale dalla fine della Seconda guerra mondiale». L’11 marzo 2011 lo tsunami causato da un violentissimo terremoto di magnitudo 9 della scala Richter investì la centrale di Fukushima Daiichi e provocò la fusione di tre reattori, causando il più grave incidente nucleare dopo quello di Černobyl′ nel 1986. Il bilancio delle vittime superò le 15.000 persone e secondo la Banca mondiale i danni materiali ammontarono a più di 230 miliardi di dollari. Criticato per la gestione dell’emergenza del sisma e dell’emergenza nucleare di Fukushima, Kan fu costretto a fare un passo indietro e lasciò il posto a Noda Yoshihiko (sett. 2011), chiamato al difficile compito di fronteggiare la ricostruzione postsisma/tsunami e di proseguire nel contempo nel risanamento dei conti pubblici.
Sulla scia del suo predecessore e spinto dall’urgenza di reperire fondi per la ricostruzione, Noda continuò la politica di austerità e nel 2012 varò un provvedimento che prevedeva un graduale aumento dell’IVA, destinata a passare – nel giro di 3 anni – dal 5 al 10%. Quest’ultima decisione provocò la spaccatura del partito e un conseguente indebolimento dell’esecutivo, già sceso bruscamente nei sondaggi. A pesare nello scollamento tra il premier e la base elettorale, oltre all’innalzamento delle tasse, contribuì anche la sua incerta posizione nei confronti della politica energetica, oscillante tra proclami sull’uscita dal nucleare e il riconoscimento della sua necessità per evitare pesanti danni alle industrie. Pressato dalle manifestazioni di piazza nel settembre 2012, il governo approvò infine una nuova strategia che prevedeva l’abbandono del nucleare nell’arco di circa trent’anni. Nel tentativo di recuperare consensi, in vista delle elezioni politiche anticipate indette per dicembre, l’esecutivo varò anche un pacchetto di investimenti per sostenere l’economia e scongiurare la ricaduta nella recessione. La manovra non servì tuttavia a salvare il Partito democratico, che subì una clamorosa sconfitta nelle consultazioni che riconsegnarono il Paese ai liberaldemocratici. Questi passarono da 118 a 294 seggi contro i 57 dei democratici; terza forza politica del Paese con 54 seggi si affermò il Partito della restaurazione (di stampo nazionalista). Abe tornò così alla guida dell’esecutivo con un programma economico-finanziario (denominato Abenomics) che comportava un radicale cambiamento di rotta rispetto ai suoi predecessori. L’Abenomics prevedeva infatti l’adozione di politiche monetarie espansive, politiche fiscali mirate a stimolare la crescita attraverso l’aumento della spesa pubblica e riforme economiche strutturali che consentissero un aumento degli investimenti del settore privato, una maggiore concorrenza e un innalzamento del tasso di popolazione attiva con un maggior coinvolgimento delle donne. Il deprezzamento dello yen e i forti investimenti nelle opere pubbliche realizzati nel corso del 2014 riportarono il G. a tassi di crescita consistenti, ma le riforme strutturali tardarono a decollare. Ostacoli incontrò anche l’iniziativa del premier di prendere parte al trattato di libero scambio trans-Pacifico per le resistenze dei produttori nazionali timorosi della concorrenza dei prodotti stranieri.
Anche sul piano della politica energetica e della politica estera il ritorno di Abe segnò un profondo mutamento. Il governo tornò infatti sulla decisione di abbandonare gradualmente l’energia nucleare, prevedendo la riapertura delle centrali atomiche in grado di superare i test di sicurezza, e inaugurò sul piano internazionale una politica più dinamica e aggressiva, che puntava a superare il pacifismo postbellico attraverso la revisione dell’art. 9 della Costituzione, a rafforzare i legami con Washington e ad assumere una posizione intransigente verso la Cina, in particolare riguardo alle dispute territoriali relative alle isole Diaoyu (note anche sotto la denominazione giapponese Senkaku), nel Mar Cinese Orientale. A peggiorare i rapporti con Pechino (che comunque restava il principale partner commerciale del G.) e a incrinare quelli con la Repubblica di Corea, contribuiva anche il dilagante revisionismo storico promosso dall’ala più conservatrice del Partito liberaldemocratico e dal Partito per la restaurazione, volto a ridimensionare, se non addirittura a negare, le atrocità commesse dall’esercito giapponese durante le occupazioni in Cina e Corea.
Alla fine del 2014 l’economia giapponese subì una nuova battuta di arresto: il PIL tornò di segno negativo e i consumi interni crollarono, anche in seguito all’aumento dell’IVA. Per fronteggiare la situazione, Abe rinviò il previsto ulteriore inasprimento della tassa sui consumi e rilanciò la sua ricetta economica chiamando gli elettori alle urne. Svoltesi in dicembre, le consultazioni politiche anticipate – che fecero registrare un elevatissimo tasso di astensione (circa il 47%) – riassegnarono la maggioranza dei seggi alla coalizione di governo e consentirono ad Abe di mantenere la guida dell’esecutivo.
Bibliografia: K. Shimizu, Abenomics after Japan’s upperhouse election, «Current history», 2013, 112, 755, pp. 210-216;Party politics in Japan. Political chaos and stalemate in the 21st century, ed. R.J. Hrebenar, A. Nakamura, Abingdon-New York 2015.
Architettura di Leone Spita. – Colpito da una spirale deflativa da oltre vent’anni, il G. dopo il terremoto e il maremoto del Tōhoku (2011) ha chiesto all’architettura di fare un passo indietro volontario, per dichiarata solidarietà con i connazionali colpiti. Tuttavia, nonostante i disastrosi eventi naturali che ciclicamente lo colpiscono, il Paese rimane un importante laboratorio di sperimentazione dell’architettura, tanto che negli ultimi due anni diversi architetti giapponesi sono stati insigniti del prestigioso Pritzker prize: Toyo Ito nel 2013 e Shigeru Ban nel 2014, preceduti da Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa nel 2010.
L’arretramento, imposto inoltre da fattori macroeconomici, è percepibile ormai anche nella capitale. Quale ne sia la vera causa, il G. di oggi sta percorrendo un’anabasi che definisce calamitosa, ma che invece è, auspicabilmente, virtuosa. Ito, Kumiko Inui, Sou Fujimoto, Akihisa Hirata e Naoya Hatakeyama hanno condiviso un progetto dal titolo Home-for-all (presentato alla Biennale di Venezia 2012) e si sono impegnati nella costruzione di uno spazio per la convivialità e l’incontro di coloro che vivono nei container dopo aver perduto la propria casa nello tsunami. In G. la comunità degli architetti si è interrogata sulla necessità che l’architettura ricopra la sua antica funzione, quella di fornire un riparo in una riesamina del primigenio significato di una disciplina diventata invece mero strumento dell’economia.
Ormai definitivamente archiviata la bubble economy – (1986-91) periodo dominato dall’enfasi architettonica e dalla scala smisurata delle realizzazioni – le ricerche che accompagnano la produzione architettonica degli ultimi dieci anni condividono prevalentemente un’autoregolazione e un atteggiamento quasi intimista. Di grande rilievo anche internazionale gli studi sull’abitare contemporaneo condotti da un gruppo di architetti di due generazioni tra cui spiccano, per la prima: Nishizawa (Moriyama House, Tōkyō 2005, e Garden & House, Tōkyō 2011); Atelier Bow-Wow (Tower Machiya, Tōkyō 2010, e Tama Machiya, Tōkyō 2013); Atelier Tekuto (Lucky Drops, Tōkyō 2005, Boundary House, Chiba Prefecture 2012) e i Tezuka Architects (Deck House, Tōkyō 2012, e Hipped roof house, 2014); mentre nella seconda si segnalano tra gli altri: Fujimoto (House N, Oita, 2008, Tōkyō Apartment e House NA, Tōkyō 2010) e Jun’ya Ishigami (House for a young couple, Tōkyō 2013). Questi progettisti hanno declinato in chiave radicale i concetti di isolamento, contiguità, trasparenza, massività e sono riusciti a costruire case che si attorciglia no, o si inseriscono, in lotti tanto piccoli da sembrare, a un occidentale, ridicolmente fuori scala. A permettere tale sperimentazione il forte legame tra gli architetti e alcuni noti ingegneri (tra i quali Mikio Koshihara per il legno, Takashi Manda per il cemento e Jun Sato per l’acciaio) impegnati nella realizzazione di strutture ‘su misura’ che rendono possibili queste acrobazie spaziali.
Ai progetti sull’abitazione, si affiancano altri interventi che condividono una dimensione medio-piccola e si trovano spesso fuori dai grandi centri urbani. Sono musei, luoghi di ricerca e cultura progettati da Terunobu Fujimori (Nemunoki Museum of art, Kakegawa 2006); Tadao Ando (21_21 Design Sight, Tōkyō 2007); Ishigami (KAIT Pavilion, Kanagawa 2008); Nishizawa (Teshima art museum, Kagawa 2011); Fujimoto (Musashino Art University museum & library, Musashino 2011); Sejima (Shibaura Building, Tōkyō 2011, e Inujima art house project, Inujima 2013); Ban (Studio nella KUAD, Kyoto University of Artand Design, 2013); Kengo Kuma (v., Daiwa ubiquitous computing research building, Tōkyō 2014). A tali interventi va aggiunta una sala concerti itinerante per le zone colpite dallo tsunami, un’architettura gonfiabile realizzata da Arata Isozaki con lo scultore Anish Kapoor (Ark Nova, 2013).
La scelta di Tōkyō come sede delle Olimpiadi del 2020 e la realizzazione dell’imponente Tōkyō national stadium di Zaha Hadid Architects, ha riportato l’attenzione sul tema delle grandi opere e ha provocato un acceso dibattito tra gli architetti, capeggiati da Fumihiko Maki, e una conseguente clamorosa protesta sui mezzi di informazione circa la necessità di un intervento di tale portata – economica e materiale – in questi anni difficili. Lo scopo, parzialmente centrato, era di ridimensionare il volume e i costi dello stadio.
Si segnala infine l’importante studio Tōkyō 2050 Fibercity in cui Hidetoshi Ohno tratteggia un nuovo paradigma urbano, che si può estendere ad altre aree metropolitane in cui un tasso di natalità nullo porterà le città a una seria contrazione.
Bibliografia: L. Spita, Due mani indivise: architetti e ingegneri in Giappone, «l’industria delle costruzioni», 2008, 404, nr. monografico: Architettura e sperimentazione in Giappone, pp. 421; T. Ito, K. Inui, S. Fujimoto et al., Architecture. Possible here? “Home-for-all”, Tokyo 2013; Eastern Promises. Zeitgenossische Architektur und Raumproduktion in Ostasien, hrsg. C. Thun-Hohenstein, A. Fogarasi, C. Teckert, catalogo della mostra, Wien, Museum für angewandte Kunst, Wien 2013, pp. 178-241.
Letteratura di Luisa Bienati. – Dagli anni Ottanta la letteratura giapponese ha vissuto decenni di grande trasformazione, caratterizzati dalla contiguità e dall’interscambio con altri media: manga, anime, cinema, dorama televisivi, Internet. Un cambiamento così grande che scrittori e critici hanno proclamato più volte che «la letteratura giapponese moderna è arrivata al suo termine» o «che la storia della letteratura è finita negli anni ’80», quando i romanzi dal contenuto serio e impegnato sono stati sostituiti dai prodotti della subcultura giovanile. Il romanzo avrebbe cioè perso la sua capacità di esplorare questioni morali o intellettuali e di dar voce a quella nuova sensibilità che era stata alla base della costruzione di un Paese moderno. In questo sen so è finito – sostiene il famoso critico Karatani Kōjin – il romanzo moderno; gli scrittori della postmodernità sono considerati più globali, meno legati al proprio Paese, meno giapponesi. Più difficile dunque parlare di una letteratura ‘nazionale’, sia perché gli autori stessi concepiscono la loro arte come transnazionale, sia perché sulla scena letteraria si assiste al fiorire e al successo di una letteratura di immigrati di seconda generazione (zainichi bungaku), come Yū Miri (n. 1968) e Yang Yi (n. 1964), o di stranieri che scelgono di scrivere in giapponese, come Ian Hideo Levy (n. 1950), o di giapponesi che scrivono sia nella propria lingua sia in lingua straniera, come Tawada Yōko (n. 1960).
Anche dal punto di vista dei contenuti la discontinuità con la letteratura impegnata del secondo dopoguerra risulta evidente: «per esempio, gli scrittori che si presentano ai premi dei giovani talenti sono poco interessati alla frattura che si va accentuando tra ricchi e poveri, all’invecchiamento della popolazione e alla bassa natalità, all’ambiente, alla tecnologia che rende possibili i cloni umani; piuttosto sembrano preoccupati di mantenere domani la quotidianità dell’oggi» (Ozaki 2007, p. 11). La letteratura degli ultimi decenni pare aver perso la sua funzione di forza critica verso lo Stato e la società, com’era stata in precedenza, per diventare puro entāteimento (entertainment), letteratura di intrattenimento.
Certo, dal punto di vista della critica letteraria è difficile elaborare giudizi duraturi su voci e generi nuovi – legati alla diffusione dei telefoni cellulari e ai social network – che sono una sfida all’idea stessa di testo scritto. Eppure il successo della letteratura giapponese contemporanea è innegabile, sia in G. sia all’estero, dove le opere sono sempre più tradotte e alcuni scrittori sono ben noti e seguiti dal grande pubblico.
Negli ultimi anni si è registrato nella storia del Paese un evento drammatico, il triplice disastro del marzo 2011 – il sisma, lo tsunami, l’incidente nucleare – che ha ferito nel profondo la società giapponese e ne ha mutato il contesto culturale; per la letteratura si è presentato subito come una sfida nella sperimentazione di nuovi linguaggi e nuovi mezzi di comunicazione. Gli eventi del 2011 hanno segnato una cesura nella contemporaneità giapponese, tanto che sempre più si parla oggi di letteratura post 3.11 (san ten jūichi «tre punto undici», abbreviazione usata in G. a indicare l’11 marzo 2011). Gli scrittori hanno ricominciato a interrogarsi sul ruolo della scrittura, sul loro impegno e sulla loro responsabilità come intellettuali di fronte agli ‘eventi estremi’ con cui ancora una volta – dopo la devastazione atomica del dopoguerra – il Paese ha dovuto confrontarsi.
Una linea di continuità nell’ultimo decennio si può ritrovare nel successo di autori già affermati come Murakami Haruki (n. 1949) che con Afutadaku (2004; trad. it. After dark, 2008) ha celebrato i venticinque anni dal suo debutto. Sono seguiti 1Q84 (2009-10; trad. it. 1Q84, Libro 1 e 2. Aprile-settembre, 2011; Libro 3. Ottobre-dicembre, 2012) e Shikisai o motanai Tazaki Tsukuru to, kare no junrei notoshi (2013; trad. it. L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, 2014). Ogni volta la preannunciata pubblicazione dei libri di Murakami suscita molta attesa nei lettori, registrando poi un gran successo di vendite e, anche, di critica. Un fenomeno inedito nella storia della letteratura giapponese perché il successo dello scrittore è globale, tradotto in più di cinquanta lingue, europee come asiatiche. Il romanzo 1Q84 richiama nel titolo 1984 di Orwell (perché la lettera Q in giapponese si legge come il numero nove) e nella lunga trama, che si snoda in tre volumi, presenta una continuità con le opere precedenti di temi, atmosfere e suggestioni. «Alcuni sostengono che 1Q84 non sia il libro più riuscito di Murakami – afferma il traduttore italiano Giorgio Amitrano –, però a mio avviso Haruki ha costruito una storia che attira progressivamente il lettore nella sua tela fino ad avvolgerlo completamente» (Intervista a Giorgio Amitrano, traduttore di 1Q84 (Haruki Murakami), «La biblioteca dell’Estremo Oriente», 16 ott. 2012, http://bi bliotecaestremooriente.blogspot.it/2012/10/intervista-giorgio-amitrano-traduttore.html).
Il primo decennio degli anni Duemila ha visto anche il ritorno alla scrittura di Ōe Kenzaburō (n. 1935), dopo la decisione annunciata alla consegna del Nobel nel 1994 di mettere fine alla sua lunga carriera di romanziere. Nel 2005 Ōe Kenzaburō ha pubblicato Sayonara, watashi nohon yo! (Addio, libri miei!), ultima parte della trilogia iniziata nel 2000 con Torikaeko (trad. it. Il bambino scambiato, 2013) e proseguita nel 2002 con Ureigao no dōji (L’infante con il viso malinconico). Nel 2006 l’opera è uscita in volume come Okashina futarigumi (sūdo kappuru) (Strane pseudo-coppie). Nello stesso anno lo scrittore ha annunciato l’istituzione del nuovo premio Ōe Kenzaburō con lo scopo di ridare vita alla letteratura scritta, nell’epoca del digitale.
In G. i premi letterari sono numerosi e svolgono una funzione molto importante nella definizione dei generi di appartenenza, nel garantire la visibilità degli autori e nella costruzione della loro legittimazione simbolica. Nel 2007 Ōe Kenzaburō ha pubblicato Rōtashi Anaberu Rii sōkedachitsu mimakaritsu (trad. it. La vergine eterna, 2011), caratterizzato da un’intricata rete di allusioni ai lavori di Edgar Allan Poe e di altri scrittori occidentali che da sempre lo hanno ispirato, e da una struttura narrativa che mescola personaggi reali e fittizi. Suishi (2009, Morte nell’acqua) e Bannen yōshikishū. In reito sutairu (2013, In late style) sono esemplari di quello che lui stesso ha definito, riprendendo l’espressione di Edward Said, il suo ‘tardo stile’, nel senso di un’anzianità non riconciliata con il proprio tempo e che continua a concepire la scrittura come strumento di critica e di denuncia. In quest’ultima opera, Ōe Kenzaburō fa proprio l’interrogativo inquietante degli scrittori contemporanei: quale scrittura è possibile dopo gli eventi del 3.11?
Secondo il critico letterario Ichikawa Makoto, Abe Katsushige (n. 1968) può essere considerato l’erede di quella narrativa che – a partire dagli scrittori moderni del Novecento e poi con Ōe Kenzaburō – è rimasta viva anche nel primo decennio del 21° sec., continuando a mettere a fuoco l’inconciliabile conflitto tra una concezione moderna dell’individuo e lo sviluppo di una società e una nazione al passo con l’Occidente. Nel 2004 Abe Katsushige ha ottenuto il premio Akutagawa con Gurando Fināre (Gran finale). Nel 2010 con la pubblicazione di Pisutoruzu (Pistilli), Abe ha completato la sua ‘Jinmachi saga’, ambientata nel paese d’origine nel Nord del G., una storia di persone e di luoghi tra realismo e dimensioni magiche e fantastiche. Sulla stessa scia anche il romanzo di Isozaki Ken’ichirō (n. 1965) Tsui no sumika (2009, L’ultima dimora), vincitore del premio Akutagawa nel 2009, e Kueki ressha (2011, noto come The drudgery train nell’adattamento cinematografico diretto da Nobuhiro Yamashita nel 2012) di Nishimura Kenta (n. 1967), vincitore dello stesso premio nel 2011, che con questo romanzo autobiografico ha riaffermato la vitalità dello shishōsetsu («romanzo dell’io»), il genere letterario predominante della letteratura giapponese moderna.
Scrittori il cui esordio risale agli anni Ottanta-Novanta, come Kakuta Mitsuyo (n. 1967), Yoshida Shūichi (n. 1968) o Kirino Natsuo (n. 1951), si segnalano per un distacco deciso dai canoni della precedente letteratura ‘moderna’. Yōkame no semi (2007; trad. it. La cicala dell’ottavo giorno, 2014) di Kakuta e Akunin (2007, Il criminale) di Yoshida uniscono a una narrativa molto strutturata, nello stile del detective novel, un profondo scavo psicologico nel carattere dei personaggi che avvince e coinvolge i lettori portandoli a riflettere sulla società contemporanea e sui mali che la affliggono. Kakuta ha pubblicato nel 2009 Kumachan (Signor orso), una collezione di storie che esaminano a fondo questioni esistenziali e relazionali, come anche i più recenti Hisoyaka na hanazono (2010, Il quieto giardino fiorito), Nakushita mono tachi no kuni (2010, Il paese delle cose perdute) e Tsurī hausu (2010, Three houses). Quest’ultimo è un romanzo storico che segna una svolta nella sua produzione, inserendosi in un filone che negli ultimi anni ha ripreso vigore per la capacità di riflettere attraverso eventi passati la crisi contemporanea. Di Yoshida, noto per Pāku raifu (Park life, premio Akutagawa 2002), è anche il romanzo Ikari (Rabbia) del 2014, storia di un crimine basato su un fatto di cronaca realmente accaduto.
Kirino Natsuo ha vinto nel 2008 il premio Tanizaki con Tōkyō-jima (L’isola Tōkyō) che narra una storia di sopravvivenza su un’isola deserta, come metafora della condizione dell’uomo d’oggi; l’intento di denuncia emerge dalla descrizione dell’isola come immagine rovesciata della metropoli contemporanea. Nel 2009 ha pubblicato In (In), un romanzo vicino allo stile dello shishōsetsu, che conferma il tentativo della scrittrice di superare la fiction popolare per una letteratura più tradizionale. Ha poi ottenuto il premio Yomiuri 2010 con Nanika aru (Qualcosa), un romanzo su Hayashi Fumiko, famosa scrittrice della prima metà del Novecento.
Di questa nuova generazione, ricordiamo anche il più popolare scrittore di mystery Isaka Kōtarō (n. 1971), famoso per i suoi manga, che si segnala per i romanzi Shinigami no seido (2005, L’accuratezza della morte) e Gōruden Suranbā (2007, Golden slumbers), vincitore del premio Yamamoto Shūgorō e poi adattato per lo schermo nel 2010 per la regia di Yoshihiro Nakamura. Il più recente PK (2012) comprende tre storie che spaziano dal soprannaturale alla politica contemporanea, alla fantascienza e che pongono i personaggi sempre di fronte a dilemmi etici, espressione dell’inquietudine del post 3.11.
La stessa profondità di visione, in una trama fantascientifica che intreccia possibili mondi futuri con strategie geopolitiche del presente narrativo, si ritrova in Don (2009, Dawn) di Hirano Keiichirō (n. 1975). Lo scrittore, già noto al pubblico per il suo primo romanzo Nisshoku (1999, Eclisse di sole) che gli valse il premio Akutagawa quando era ancora studente, negli anni successivi ha confermato la sua tendenza controcorrente nell’uso di un linguaggio dallo stile complesso e raffinato. Il suo romanzo Kūhaku o mitashinasai (2012, Riempite i vuoti) nella forma narrativa del thriller porta il lettore alla riflessione su un problema drammatico del suo Paese, il disagio esistenziale che è all’origine dell’alto numero di suicidi riportato ogni anno dalle statistiche.
Nel 2010 è uscita l’ultima opera del grande scrittore comico Inoue Hisashi (1934-2010), Isshūkan (Una settimana), che ha confermato la sua abilità nel descrivere con tocco ironico anche eventi storici drammatici come l’invasione sovietica della Manciuria nel 1946 e l’imprigionamento di soldati giapponesi durato molti anni dopo la fine della guerra.
Un fenomeno nuovo, che ancor più lega la letteratura allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, è quello dei keitai shōsetsu (romanzi sul cellulare), produzioni di brevi testi narrativi che nascono con i 400-500 caratteri del lo schermo di un cellulare e, attraverso siti Internet dedicati, raggiungono un’ampia diffusione. Sono composti in prevalenza da ragazze tra i 15 e i 25 anni che usano pseudonimi per poter liberamente raccontare vicende, anche dai lati oscuri, su filoni narrativi prestabiliti, con storie di adolescenti che vivono traumi quali l’aborto, lo stupro, la prostituzione o amori infelici, e attraverso queste esperienze conquistano una sofferta maturità. Gli esempi più noti sono Koizora (2007, Cielo d’amore) di Mika, Eien no yume (2006, Sogno eterno) di Mone, Akai ito (2007, Il filo rosso) di Mei o Moshimo kimi ga (2007, Se mai tu) di Rin, diventati best seller nel 2007 in versione cartacea. Testi che nascono dal digitale trovano poi la forma scritta o la versione manga o di dorama televisivi. Setouchi Jakuchō (n. 1922), famosa scrittrice e monaca buddhista ora novantatreenne, autrice di una delle più importanti edizioni moderne del Genji monogatari (Storia di Genij) di Murasaki Shikibu, ha dichiarato di aver scritto nel 2008 keitai shōsetsu con lo pseudonimo di Murasaki. Un suo keitai è stato pubblicato a stampa con il titolo di Ashita no niji (2008, L’arcobaleno di domani). La vivacità della scrittrice è testimoniata anche dal romanzo Ran (2013, Brillante) che narra la storia d’amore dei protagonisti negli anni dell’anzianità.
Proprio il 2008 ha segnato i mille anni dalla composizione del capolavoro della letteratura classica giapponese e in G., come in molti altri Paesi, l’evento è stato ricordato con numerosi convegni, mostre e pubblicazioni. In Italia è stata pubblicata da Einaudi la prima traduzione italiana integrale (La storia di Genji) condotta sul testo classico da Maria Teresa Orsi.
Nel 2008 con il premio Akutagawa si è assistito a un evento inedito: vincitrice è stata una scrittrice di madrelingua non giapponese, la cinese Yang Yi, per il romanzo Toki ga nijimu asa (2008; trad. it. Un mattino oltre il tempo, 2010) che ha come sfondo le proteste studentesche di piazza Tiananmen nel 1998.
La letteratura femminile. – La letteratura femminile è uno dei filoni più prolifici e di successo della letteratura contemporanea: tra le scrittrici già affermate, Miyabe Miyuki (n. 1960) autrice di mystery e di romanzi storici, ha pubblicato la storia fantastica Bureibu sutōri (2008, Brave story) e Soromon no gishō (2012, Lo spergiuro di Solomon), ultimo volume della sua trilogia, di imminente uscita in versione cinematografica. Significative delle voci dell’ultima generazione sono anche le opere più recenti di Kawakami Mieko (n. 1976), premio Akutagawa 2008 con Chichi to ran (Seni e ovuli), che ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti anche per Hevun (2009, Heaven) e la collezione di poesie Mizugame (2012, Vaso per l’acqua); Inu to hamonika (2012, Il cane e l’armonica) di Ekuni Kaori (n. 1964); Hitojichi no rōdokukai (2011, Club di lettura degli ostaggi) e Kotori (2012, Uccellino) di Ogawa Yōko (n. 1962). Ogawa Ito (n. 1973) con il best seller Shokudō katatsumuri (2008; trad. it. Il ristorante dell’amore ritrovato, 2010) ha vinto in Italia il premio Bancarella 2011 per le opere a tema culinario. Tra i giovani scrittori che si sono distinti di recente Fujino Kaori (n. 1980) con Tsume to me (2013, Unghie e occhi) e Sakuragi Shino (n. 1965) per Hoteru Rōyaru (2013, Hotel Royal). Gli ultimi premi Akutagawa sono stati assegnati a Oyamada Hiroko (n. 1983) perAna (2013, La buca) e a Shibasaki Tomoka (n. 1973) per Haru no niwa (2013, Giardino di primavera).
Yoshimoto Banana (n. 1964), dopo il grande successo dei suoi primi romanzi, ha continuato la sua prolifica attività: in Kanojo ni tsuite (2008; trad. it. A proposito di lei, 2013) e Moshi moshi shimokitazawa (2010; trad. it. Moshi moshi, 2014), il tema del trauma e della guarigione, o la ricostruzione di una quotidianità e di rapporti affettivi dopo uno shock, sono elementi di contiguità con i suoi romanzi precedenti; con Suuiito hiaafuta (2011, Sweet hereafter), una delle prime opere letterarie ispirate in modo dichiarato dal disastro di Fukushima, Yoshimoto si è confermata scrittrice della ‘guarigione’. Il confronto continuo con il trauma vissuto tramite la permeabilità di passato/presente è alla base della costruzione dell’identità dei personaggi. La protagonista Sayoko sopravvive alla perdita in un incidente del suo compagno e recupera lentamente la sua condizione fisica e mentale. Comuni ai romanzi di Yoshimoto sono, anche qui, la ‘ricostruzione’ affettiva, tramite la formazione della ‘famiglia non-biologica’, l’assenza di una definita figura patriarcale, la sovrabbondanza di personaggi con caratteristiche di genere ambigue. Nessun riferimento diretto a Fukushima, ma nella postfazione l’autrice lega il messaggio di speranza a tutti coloro che, vivi o morti, hanno sofferto le conseguenze della catastrofe che, afferma, «ha cambiato completamente la mia vita – anche se vivo a Tōkyō».
La letteratura post 3.11. – Gli anni più recenti sono stati segnati da un’ampia produzione, in prosa e in poesia, sui temi del disastro e del pericolo nucleare. Nell’ottobre del 2014 sono stati raccolti in volume (Kentōshi, Messaggeri che offrono luci) i cinque racconti di Tawada Yōko che hanno per sfondo il 3.11 trasfigurati in una visione fantastica e distopica. Tra i primi scrittori a trattare il tema nel 2011 Kawakami Hiromi (n. 1958) con Kamisama 2011 (La divinità del 2011), Takahashi Gen’ichirō (n. 1951) con Koi suru genpatsu (La centrale nucleare dell’amore), Furukawa Hideo (n. 1966) con Umatachi yo, soredemo hikari wa mukude (Cavalli, la luce è ancora pura). Del 2012 è la raccolta di racconti Shinsai to fikushon no ‘kyori’ (La ‘distanza’ tra disastro e fiction) nell’ambito del progetto Waseda Bungaku’s charity project: Japan earthquake charity literature, pubblicata in italiano con il titolo Scrivere per Fukushima (2013). Del 2012 è anche la raccolta Soredemo sangatsu wa mata (Ciononostante è ancora marzo). Un poeta, originario delle regioni colpite del Tohoku, pioniere di una ‘poesia delle macerie’, è Wagō Ryōichi (n. 1969) che ha lanciato il primo twitter nell’immediatezza del disastro e che continua dal suo profilo (https://twitter.com/ wago2828) a ‘scagliare’ al mondo le sue parole di disperazione e di speranza (poi riunite in raccolte come Shi no tsubute, Poesie lanciate; Shi no mokurei, La preghiera silenziosa della poesia, e Shi no kaikō, Incontro di poesia).
Bibliografia: «Bungei nenkan», 2004-2014; «Japanese booknews», 2004-2014, http://www.jpf.go.jp/j/index.html; Ozaki Mariko, Gendai Nihon no shōsetsu, Tōkyō 2007 (trad. fr. Écrire au Japon. Le roman japonais depuis les années 1980, 2012); J. Scott Miller, Historical dictionary of modern Japanese literature and theater, Lanham (Md.) 2009; Japanese literature and world literature. A Symposium at Waseda University, ed. M. Gardiner, N. Morita, A. Massey, Tōkyō 2012; Literature and art after “Fukushima”, ed. L. Gebhardt, Y. Masami, Berlin 2014 (anche on-line,http://www.buchgestaltung-online.de/Leseproben/Leseprobe_Literature_and_Art_after_Fukushima.pdf; 19 genn. 2015).
Cinema di Simone Emiliani. – Il cinema giapponese ha mostrato nel 2014 incoraggianti segnali di ripresa dopo la flessione registrata dal 2011: 161.166.000 biglietti venduti, 615 film prodotti (record assoluto) e 3364 schermi complessivi.
Nella varietà dei generi affrontati c’è stato sempre un legame con la tradizione del passato, ma anche forti elementi di novità rappresentati soprattutto dall’esplosione del j-horror (Japanese horror) dalla fine del decennio precedente con Ringu (1998; The ring) di Hideo Nakata, lo stesso cineasta che si sarebbe recato negli Stati Uniti per dirigere il remake del sequel che aveva realizzato nel 1999, The ring two (2005; The ring 2) con Naomi Watts, prima di tornare in patria per firmare Kaidan (2007; Apparition -Amare oltre la morte). In gran parte di questi film la tensione si alimenta spesso soprattutto con ciò che non viene mostrato, con la costruzione di inquietanti atmosfere psicologiche e ambientali in cui si avverte la presenza di fantasmi e maledizioni. Oltre a Nakata, tra i più importanti registi che hanno affrontato il genere vanno ricordati Kiyoshi Kurosawa, con il suo cinema di apparizioni, metafisico, in cui si vuole mettere in luce la solitudine dell’umanità (l’ottima serie televisiva Shokuzai, 2012, nota con il titolo Penance), e Takashi Shimizu che, dopo il successo della saga inaugurata da Ju-on (2000; Ju-on. Rancore), non ha saputo ripetersi a quei livelli come ha dimostrato il recente Senritsu meikyû 3D (2009, noto con il titolo The shock labyrinth: extreme 3D). Anche il prolifico Takashi Miike ha più volte affrontato l’horror (Ôdishon, 1999, noto con il titolo Audition, resta uno dei capisaldi del genere), ma ha anche diretto commedie, fantasy, thriller, polizieschi e film in costume come Jûsan-nin non shikaku (2010; 13 assassini), remake del jidaigeki (film di samurai) di Eichi Kudo del 1963. E altri cineasti come Shinya Tsukamoto (Kotoko, 2011) e Shion Sono (Kimyô na sâkasu, 2005, noto con il titolo Strange circus) hanno spesso lasciato emergere tratti di horror nei loro film caratterizzati da uno stile molto personale.
Nel cinema di animazione il maestro riconosciuto è Hayao Miyazaki, con i suoi film prodotti solo dal suo Studio Ghibli in cui risultano sempre centrali il tema dell’ambiente, la costruzione di mondi fantastici, il contrasto tra la purezza dello sguardo dei bambini e quello degli adulti. Il regista ha annunciato il ritiro dopo il suo ultimo film, Kaze tachinu (2013; Si alza il vento). Fondamentale negli anime (il termine giapponese con cui vengono chiamati i film di animazione) anche il lavoro di Satoshi Kon (Papurika, 2006; Paprika - Sognando un sogno), scomparso nel 2010,quello di Katsuhiro Ôtomo (Suchîmubôi, 2004; Steamboy) e, più recentemente, di Shinkai Makoto (Koto no ha no niwa, 2013; Il giardino delle parole).
Nel 2012 il cinema giapponese ha perduto uno dei suoi grandi registi, Kôji Wakamatsu (Kyatapirâ, 2010; Caterpillar), investito da un taxi, mentre Takeshi Kitano ha intrapreso una nuova strada, più onirica e spettrale, ora per dare forma al tormentato processo della creazione artistica (Akiresu to kame, 2008; Achille e la tartaruga) ora per dare vita ai fantasmi dello yakuza-movie (Autoreiji, 2010, Outrage; Autoreiji biyondo, 2012, Outrage beyond). E se Yôji Yamada (Chiisai ouchi, 2014, noto con il titolo The little house) ha proseguito sulla linea del mélo classico ispirato alle atmosfere del maestro Yasujiro Ozu, Hirokazu Koreeda ha affrontato nei suoi film le complicate dinamiche familiari, come nell’imponente Soshite chichi ni naru (2013; Father and son), mentre Naomi Kawase (Hanezu no tsuki, 2011; Hanezu) nell’ultimo decennio si è fatta conoscere a livello internazionale grazie alla sua frequente partecipazione al Festival di Cannes.
Bibliografia: M.R. Novielli, Metamorfosi. Schegge di violenza nel nuovo cinema giapponese, Castello di Serravalle 2010.