SOLARI, Gioele
– Nacque ad Albino (Bergamo) il 25 aprile 1872, da Antonio, di famiglia nobile, e da Enrichetta Camozzi.
Nel paese natale compì gli studi elementari, mentre frequentò le scuole medie e il liceo classico nel collegio dei barnabiti di Lodi. Si recò quindi a Torino, nell’autunno del 1891, per frequentare la facoltà di giurisprudenza, ove si laureò nel 1895, con una tesi su I salari e i prezzi in Italia, negli Stati Uniti e in Inghilterra dal 1860 al 1894 come indice delle condizioni economiche e sociali. Alla laurea in giurisprudenza, Solari ne fece seguire altre due: in lettere nel 1896, in filosofia l’anno seguente. Sposò Maria Clara Masante, da cui non ebbe figli.
La prima tesi di laurea nacque in seno al laboratorio di economia politica fondato nel 1893 da Salvatore Cognetti de Martiis. Il laboratorio fu luogo di incontro e di dialogo tra orientamenti diversi, sia sul piano politico sia su quello culturale, con la tentata connessione tra liberalismo e socialismo. E al socialismo il giovane Solari guardò con empatia, spinto come scrisse il suo allievo Norberto Bobbio, «dalla sua indole generosa [...] dal suo senso profondo della giustizia» (L’opera di Gioele Solari, in Bobbio, 1986, p. 151); non fece parte del ‘socialismo dei professori’, ma ne condivise l’impegno a fianco delle classi umili, e negli anni universitari prese parte a manifestazioni di piazza, tenendo anche qualche comizio. Collaborò brevemente alla turatiana Critica sociale, dove pubblicò il primo articolo (Lo Stato e le sue funzioni nella Nuova Zelanda, VII (1897), 8, pp. 120-122), seguito da altri cinque, fino al 1900.
Fondamentale fu l’insegnamento di Giuseppe Carle, titolare di filosofia del diritto, che scelse come suo maestro. Da lui apprese i dettami del positivismo sociale, che nondimeno declinò in maniera originale, cercando un incontro con l’idealismo che, beninteso, per Solari doveva essere comunque ‘sociale’.
A partire dal 1897, il neolaureato si avviò alla carriera scolastica, insegnando varie discipline a Torino e nella regione. Nel contempo intraprendeva la carriera accademica. Il primo lavoro significativo, La scuola del diritto naturale nelle scienze morali e sociali, venne pubblicato a Torino nel 1904: in esso rivelò attitudini «a quelle indagini di storiografia filosofica intese a collegare la storia delle idee alla storia dei fatti» (Firpo, 1983, p. 280). L’opera gli procurò la libera docenza in filosofia del diritto, nel medesimo anno. Diede inizio immediatamente all’attività didattica rivestendo vari ruoli. Nel 1912 compì il balzo verso la cattedra: straordinario a Cagliari – il soggiorno sardo lo indusse a studiare vicende e figure locali, a cominciare da Giovanni Battista Tuveri –, quindi ordinario a Messina nel 1916, per ritornare infine a Torino, riprendendo servizio nella sua antica facoltà nell’ottobre del 1918, non senza i buoni uffici di Luigi Einaudi, Gaetano Mosca e altri colleghi.
Da allora, in parallelo all’intensissima attività didattica, avviò la vera produzione scientifica, nella quale fruttificarono gli stimoli di Carle, il quale sosteneva che la filosofia del diritto dovesse rinunciare alla metafisica per scendere nel «fertile terreno delle scienze» (N. Bobbio, L’opera di Gioele Solari, in Id., 1986, p. 152). Da Carle, soprattutto, Solari, docente e studioso, ricavò un «fine civile», ossia capace di rompere gli steccati accademici e guardare alla società, allo Stato, alla politica, accogliendo l’idea che la filosofia del diritto dovesse «farsi interprete delle nuove esigenze dello Stato moderno», con un occhio di riguardo per il nuovo Stato nazionale italiano (G. Solari, Avvertenza, in Studi storici di filosofia del diritto, 1949, p. XX). Alla collocazione anomala di Carle corrispose la situazione di Solari, «un caso isolato e singolare» nel panorama italiano della prima metà del Novecento e probabilmente per questo poco ricordato (Firpo, 1983, p. 271).
Oltre a Cognetti, primo maestro, che lo aprì all’attenzione alla società e al momento economico, e dopo Carle, maestro di positivismo, idealismo sociale e filosofia civile, va considerato un docente altrettanto e ancor più anomalo, coetaneo di Solari, con il quale egli fu legato in un forte e duraturo sodalizio, Piero Martinetti, rimasto però esterno all’ateneo torinese (insegnò a Milano), benché tutt’altro che estraneo alla cultura accademica cittadina. Martinetti fu l’animatore della Rivista di filosofia, sia prima sia dopo lo spartiacque del 1931, quando egli fu tra quei pochi che rifiutarono di giurare secondo la nuova formula fascista. Il fatto fu probabilmente determinante per la stima che Solari nutrì verso di lui, che post mortem divenne venerazione. Fu proprio Solari a prendere il testimone, gestendo la rivista, di cui peraltro Martinetti continuò a essere il direttore-ombra.
Uno dei motivi conduttori di tutta l’opera di Solari appare il superamento del dualismo individuo-società. In tale direzione, egli pose mano a un’opera che lo impegnò per tutta la vita, L’idea individuale e l’idea sociale nel diritto privato (Milano-Torino 1911-1918), un vasto affresco che testimonia una filosofia sociale del diritto «in opposizione alla filosofia giuridica dell’individualismo giusnaturalistico» (N. Bobbio, L’opera di Gioele Solari, in Id., 1986, p. 153) forse il titolo principale nella sua produzione, sempre stando al giudizio bobbiano.
La sua fu un’instancabile attività, didattica e di studio, come ebbe a riconoscere un suo collega, di tutt’altra collocazione ideale e scientifica: «considerava il lavoro – nel suo caso, lo studio – come un dovere il cui adempimento rigoroso e scrupoloso giustificava l’essere al mondo e il restare in vita» (A. Guzzo, Incontri con Gioele Solari, in Gioele Solari..., 1972, p. 7).
Un’attitudine testimoniata dai registri delle lezioni, e da un’enorme mole di appunti, schede di lettura, note biobibliografiche e ritagli di stampa. Se ne ricava una onnivora curiosità, tutt’altro che confinata entro i canoni della filosofia del diritto o filosofia politica o discipline sorelle; risulta evidente la coesistenza di storia e filosofia politica, e un’attenzione alle tematiche squisitamente giusfilosofiche che sembra scemare nel corso degli anni, a vantaggio di un metodo storico-filologico.
Nel corso degli anni, Solari avvicinò sempre più il proprio insegnamento alla storia delle dottrine politiche e tenne (negli anni 1926-29) l’incarico di storia delle istituzioni e delle dottrine politiche, che lasciò al suo primo allievo – laureatosi nella stessa tornata in cui si laureò Piero Gobetti, sempre con Solari, nel luglio del 1922 – Alessandro Passerin d’Entrèves. Nella lettera prefatoria al volume contenente la tesi di laurea di questi – volume pubblicato da Gobetti –, il professore scriveva: «Mi sembra (e mi è caro crederlo se nol fosse) rilevare in esso traccie [sic] di quello che è da lunghi anni il travaglio della mia modesta quanto appassionata attività di studioso ed insegnante, attività diretta a penetrare e a superare il dissidio tra la concezione kantiana della libertà intesa come espressione della personalità morale dell’uomo, e il concetto della libertà oggettiva che si attua e si concreta nella Società e nello Stato, concetto che fu la ragione profonda della speculazione postkantiana nelle use applicazioni al problema del diritto e dello Stato» (in A. Passerin d’Entrèves, Il fondamento della filosofia giuridica di G. G. F. Hegel, Torino 1924, p. 5).
Studiare implica scelte in largo senso politiche, obbliga a schierarsi davanti ai valori. Tuttavia, lo studio viene prima e sarebbe comunque difficile sostenere che nell’insegnamento di Solari venissero immessi contenuti dalla forte caratura politica. Questo non toglie che, tenendo conto delle testimonianze, non sia arbitraria la conclusione che metodologia didattica del docente e attitudine scientifica del ricercatore si integrino, in qualche modo, con l’orientamento politico-ideale dell’uomo: «in odore di antifascismo», sì, ma non protagonista di battaglie alla Francesco Ruffini, il quale – unico nella facoltà – si rifiutò di sottoscrivere il giuramento nella nuova formula escogitata nel 1931. Un esempio che, accanto a quello di Martinetti, Solari aveva ben presente, allorquando, invece, firmò, ma un sentimento di vergogna lo accompagnò tutta la vita.
Solari cercò, pur con qualche incertezza, di formare allievi culturalmente coerenti alla propria impostazione, e non arretrò davanti a gesti coraggiosi, come quello di offrirsi come testimone a discarico per Mario Andreis, suo allievo, militante di Giustizia e libertà: gesti siffatti attirarono al professore di filosofia del diritto «vessazioni e prepotenze», come ricordò Aldo Garosci (Tre lezioni, in Agnelli et al., 1985, p. 231). Un altro scolaro, Mario Einaudi, figlio di Luigi, ricevette una dedica autografa alle dispense dell’anno 1941-42: «Al suo Mario Einaudi / perché / ricordi l’antico affezionato maestro / quando ritorneranno in onore / giustizia e libertà» (nella biblioteca della Fondazione Einaudi, Torino).
Fra questi gesti forse il più significativo è la risposta formalmente cortese, ma negativa all’invito del novembre del 1940 dalla facoltà di giurisprudenza di Pisa, relativo alla partecipazione a un volume collettivo e a un successivo convegno sul tema Principi generali dell’ordinamento giuridico fascista. Pur ribadendo fino in fondo la propria concezione della socialità («La nuova dichiarazione dei diritti deve informarsi alle esigenze non dell’individuo solo, ma dell’individuo in quanto è parte di una realtà sociale che lo trascende»), prendeva le distanze da un regime nel quale lo Stato e in esso il governo prevaricano su individuo e società. «Eticità», sì, e «trascendenza», dunque, ma «della società, non dello Stato e molto meno del potere esecutivo» (L. Firpo, Gioele Solari. Tre lettere e nove ‘voci’, in Agnelli et al., 1985, pp. 259-261). Il fascismo, che si pretende creatore di un suo diritto e di una sua giustizia, non è che una forma politica storicamente data, dunque transeunte. Lo Stato etico del fascismo non è altro che un artificio, di una cattiva filosofia, ossia dell’ideologia, potremmo dire. Netta la distanza da Giovanni Gentile. Analoga la differenza dagli orientamenti di Giorgio Del Vecchio la massima autorità in fatto di filosofia del diritto.
Nel pieno degli anni Trenta Solari non rinunciava a esprimere le proprie riserve: «Non mi associo alla tua tendenza a intendere lo Stato nelle forme mussoliniane (tu spesso ne citi le parole) [...]. La convinzione mussoliniana a cui aderisci ti allontana da Kant, ti avvicina più di quanto credi agli aborriti hegeliani [...]. Almeno in sede filosofica Mussolini dovrebbe essere lasciato in pace, pur rendendomi conto delle ragioni contingenti che possano oggi giustificare la Provvidenza dello Stato» (Solari a Del Vecchio, 16 novembre 1934, in Zarfati, 1997, II, lettera n. 191, pp. XXXII s.).
Contro lo statalismo organicistico e totalizzante, ma fuori da ogni individualismo, Solari cercava una via mediana, che consentisse la conciliazione tra le necessità del collettivo, da una parte e le esigenze del singolo.
Una sintesi del proprio lavoro di studioso, la fornì egli stesso nel 1949: «l’indagine storica non fu per me fine a se stessa, ma mezzo per illuminare le idee» (Studi storici di filosofia del diritto, p. XX).
Nel suo lavoro, sulla dimensione filosofico-giuridica predomina quella storico-politica. Il che fece dire a uno tra gli allievi prediletti che il maestro esplicava nella sua opera la «vocazione genuina» di storico delle idee politiche e sociali (Firpo, 1983, p. 284). Come filosofo del diritto seguì una linea di antindividualismo: per lui le teorie sono sempre in qualche modo «frutto di un travaglio collettivo, di un dibattito secolare», scrisse ancora Firpo: «Dello storico delle idee ebbe la diffidenza per l’astrattezza, per il dogmatismo, per gli schemi semplificatori»: sul piano metodologico, ebbe «un’avversione indignata per ogni faciloneria sbrigativa, che gli imponeva analisi minuziose dei testi e larga documentazione bibliografica» (pp. 279 s.).
Scrivere e insegnare richiede tempo e fatica, ma egli alla sua disciplina volle dare un senso più culturale che tecnico, anche in questo seguendo le orme di Carle. Fu il suo successore Bobbio a osservare che le lezioni di quel docente «erano un punto d’incontro dei giovani che, non troppo inclini alle professioni o carriere a cui il corso di legge avviava, cercavano negli studi universitari il rinvigorimento e l’allargamento del loro orizzonte culturale al di là e in prosecuzione dell’insegnamento umanistico del liceo» (L’insegnamento di Gioele Solari, in Bobbio, 1986, p. 138).
Fu, quello di Solari, in sostanza, sempre, a detta del suo successore, un insegnamento esemplare per la sua «funzione civile».
Certo, fu comunque uomo dell’istituzione, necessariamente posto in relazione con autorità accademiche, culturali, politiche del regime. Non v’è da stupirsi dell’intensità del rapporto con Gentile, interlocutore innanzi tutto per vicende universitarie. Non mancano le questioni di respiro culturale più ampio, a cominciare dalla collaborazione al Giornale critico della filosofia italiana e all’Enciclopedia Italiana. Sebbene non numerose, le voci redatte da Solari sono di rilievo, a cominciare dalla voce-madre, Filosofia del diritto (XII, Roma 1950, pp. 983-986). Segno di stima da parte di Gentile. Stima ricambiata, che, prima della marcia su Roma, assumeva anche un tratto di consonanza politica. Apparso il volume gentiliano Guerra e fede (Napoli 1919), scriveva all’autore per comunicargli «l’ammirazione e l’intima soddisfazione provate nel leggerlo». E aggiungeva: «E mi auguro che il Suo apostolato filosofico e civile continui e serva di orientamento delle menti e degli animi nell’ora difficile che attraversiamo. Condivido pienamente il Suo punto di vista in ordine a Wilson e alla Lega delle nazioni: che proprio il secolo XIX non ha servito a guarirci dall’ideologia democratica?» (Solari a Gentile, 11 aprile 1919, in Archivio Giovanni Gentile, e in copia in Archivio privato Luigi Firpo).
Il filosocialismo degli anni Novanta era ormai alle spalle. Poche settimane dopo la tragica fine di Gentile, scrisse all’allievo Luigi Firpo: «Immagina come sono rimasto per la morte di Gentile. Volle fare e fece opera di pace e fu incompreso dalle due parti. Si colpiscono i nostri migliori. La storia gli farà giustizia» (2 maggio 1944, in Archivio privato Luigi Firpo).
Del resto, l’anno prima, nel drammatico frangente del crollo del regime e dell’avvio della nuova fase della guerra, incitava l’allievo a combattere, ma accanto all’alleato germanico: «La guerra si presenta oggi sotto nuova luce: quali che siano le colpe e gli errori di quelli che l’hanno scatenata e che tu hai avuto il torto di sostenere pubblicamente, la guerra si afferma oggi come guerra di espiazione e di liberazione. A che giova la conclamata libertà interna se dobbiamo servire lo straniero d’oriente o d’occidente» (15 agosto 1943, ibid.).
A guerra finita, il vecchio maestro, commentò la Festschfrit in suo onore, in una lettera di amara, quanto sincera riflessione autocritica, al successore Bobbio: «il tuo scritto mi ha anche ridestato il rimorso del molto che non ho fatto e che in tempi tristissimi avrei dovuto fare. Non ebbi il coraggio né dell’esempio né del sacrificio. Quanto più degni i miei allievi che lottarono e soffersero per la buona causa. E hai fatto bene a ricordarli: per essi il tuo scritto va ben oltre la mia persona e rientra nella storia della resistenza dei nostri giovani migliori all’oppressione spirituale che minacciava di inaridirne le energie morali» (3 febbraio 1949, ora in La vita degli studi. Carteggio Gioele Solari - Norberto Bobbio, 1931-1952, a cura di A. d’Orsi, Milano 2000, p. 215).
Morì tre anni più tardi, a Torino, alla stazione ferroviaria di Porta Nuova, l’8 maggio 1952, mentre, accompagnato dalla moglie, era in partenza per Roma, per partecipare a una seduta dell’Accademia dei Lincei.
Opere. Oltre a quelle citate nel testo si vedano anche Il problema morale. Studio storico-filosofico, Torino 1900; Socialismo e diritto privato. Influenza delle odierne dottrine socialiste sul diritto privato (1906), a cura di P. Ungari, Milano 1980; La vita e il pensiero civile di G. Carle, Torino 1928; La formazione storica e filosofica dello Stato moderno (1930), a cura di L. Firpo, Napoli 1985; Studi storici di filosofia del diritto, prefazione di L. Einaudi, bibliografia degli scritti di Gioele Solari a cura di L. Firpo, Torino 1949; La filosofia politica, a cura di L. Firpo, I-II, Roma-Bari 1974.
Fonti e Bibl.: Torino, Università degli studi, Biblioteca Norberto Bobbio, carte Solari; Centro studi Piero Gobetti, Archivio e biblioteca Norberto Bobbio; Archivio privato Luigi Firpo; Archivio Fondazione Luigi Einaudi; Roma, Università La Sapienza, Dipartimento scienze giuridiche, Archivio e biblioteca Giorgio Del Vecchio; Dipartimento di filosofia, Archivio Giovanni Gentile.
Studi in memoria di G. S. dei discepoli F. Balbo et al., Torino 1954; G. S. 1872-1952. Testimonianze e bibliografia nel centenario della nascita, Torino 1972; L. Firpo, G. S., maestro, in Id., Gente di Piemonte, Milano 1983, pp. 271-292; A. Agnelli et al., G. S. nella cultura del suo tempo, Milano 1985; N. Bobbio, Italia civile. Ritratti e testimonianze, Firenze 1986 (in partic. L’insegnamento di G. S., pp. 135-145; L’opera di G. S., pp. 146-179); A. Centu, Questione sarda e filosofia del diritto in G. S., Torino 1993; S. Armellini, G. S. L’idealismo sociale tra scienza e filosofia, Napoli 1997; L. Zarfati, Idealismo e kantismo nella filosofia del diritto italiana. Il carteggio inedito Del Vecchio-Solari, I-II, Università La Sapienza, Roma 1997; Id., «Due umili sacerdoti del pensiero». Carteggio tra G. S. e Giorgio Del Vecchio, in Quaderni di storia dell’Università di Torino, I-II (1997-1998), 2, pp. 359-440; A. d’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino 2000; Id., Allievi e maestri. L’Università di Torino tra Otto e Novecento, Torino 2004. Angelo d’Orsi