GIORGIO di Gallipoli (Georgius Callipolitanus Chartophilax)
Poeta italo-bizantino, originario di Gallipoli e vissuto nel sec. XIII. Fu archivista della chiesa greca della sua città: è questo l'unico elemento biografico di cui si è a conoscenza; pertanto la sua figura è conosciuta esclusivamente attraverso la produzione poetica, contenuta nel codice plut. V 10 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, a esclusione di un epigramma inciso su un cippo funerario di età romana riutilizzato come base di altare.
G. appartenne al circolo poetico fiorito intorno al monastero di S. Nicola di Casole in Terra d'Otranto, divenuto famoso nel Medioevo come centro propulsivo della letteratura italo-bizantina; era infatti rimasto in stretti rapporti con l'Oriente bizantino anche dopo la conquista normanna, ed era fornito di una ricca biblioteca, in parte salvata dalla devastazione a opera dei Turchi del 1480 grazie al fortuito intervento del cardinale Bessarione che, durante una visita al monastero, portò via con sé numerosi codici, poi confluiti nella Biblioteca Marciana di Venezia. Il nome di G. è dunque da associare a quelli di Nettario (igumeno del monastero casulano dal 1219 al 1235), di Giovanni Grasso (allievo di Nettario, nonché notaio imperiale) e di Nicola da Otranto, figlio di Giovanni Grasso, che costituirono un gruppo molto compatto di scrittori in quanto originari della stessa regione, quindi strettamente legati alle stesse condizioni storico-geografiche, politiche, religiose e culturali.
G. emerge tra i poeti italo-greci perché nei suoi versi la lingua greca sopravvive come lingua letteraria: egli è poeta bizantino in senso storico, in quanto assoggetta la sua erudizione all'espressione di un'idea politica, rappresentata da Federico II, in cui crede fermamente. Il suo ghibellinismo affonda le radici nel circolo di Pietro Della Vigna da cui prende anche alcuni temi legati alla pubblicistica federiciana, come l'esaltazione della grandezza dell'imperatore, la sua divinizzazione, l'elogio dello spirito restauratore dell'antica gloria di Roma e, naturalmente, l'esaltazione della Chiesa greca contro quella latina, soprattutto contro la Curia romana. Al mito politico si affianca, anzi si sottomette, il mito biblico; la sua laicità, infatti, rimane tale anche quando tratta argomenti sacri. Ma G. è anche figura più complessa perché la sua produzione è molto varia, al pari di quella di un poeta "giambico" bizantino: a componimenti adulatori o occasionali si alternano componimenti dal tono polemico o tipici dell'adesione al ghibellinismo federiciano, o ancora epigrammi in onore di santi. Le sue fonti sono nella poesia greca fiorita in epoca normanna e nella letteratura libellistica ghibellina, mentre sembra del tutto estranea la tradizione classica; il metro usato è il dodecasillabo bizantino, lo stesso adottato dagli altri poeti di Terra d'Otranto.
Tra gli epigrammi sacri si incontrano quelli per un quadro dell'Annunciazione (il II dell'edizione curata da M. Gigante) e per un quadro della Vergine che sfugge a un incendio (XV), quelli per la santa messa (IV) e su s. Giorgio che supplica la Madre di Dio (III), ma anche il carme dedicato al miracolo dei santi Confessori di Edessa, evocati da G. attraverso una rappresentazione che era stata fatta eseguire dal vescovo di Gallipoli Pantoleon. Carichi di passionalità religiosa sono i due epigrammi sulla celebrazione di s. Anfilochio, persecutore dei "lupi eretici" (VII e VIII) e per gli apostoli Paolo e Pietro (IX). Di particolare interesse è il carme VI, un epicedio per un giovane, il figlio del domesticus della chiesa di Gallipoli; si tratta di una monodia in stile tragico - sul tipo, però in prosa, delle tre monodie di Teodoro Prodromo per Andronico Comneno, figlio dell'imperatore Alessio, per il logoteca Gregorio Camatero favorito di Alessio, e per Costantino Hagiotheodorites - che si articola in: proemio (vv. 1-2), rimpianto e compianto da parte dell'autore (vv. 3-34), lamento del padre (vv. 37-50) e lamento della madre concluso dall'invocazione alla Vergine (vv. 51-74). Le analogie con le monodie di Teodoro Prodromo dimostrano quanta retorica sia presente nel componimento, anche se non si può non riconoscere l'autenticità dei sentimenti espressi.
Ma G. è legato soprattutto ai temi della propaganda federiciana. Nel carme XI si scaglia contro i prelati latini che avevano assalito la chiesa greca di Gallipoli: in questa occasione il vescovo Pantoleon si sarebbe messo sotto la protezione di Federico II. Con questa interpretazione del componimento data da Gigante non concorda Augusta Acconcia Longo, la quale ritiene che tale assalto alle chiese (e non alla "chiesa") di Gallipoli sia da porre in un momento storico differente e dunque da collegare alla ribellione della città contro Carlo I d'Angiò, l'uccisore di Manfredi e Corradino di Svevia.
Nel quinto componimento, l'inaugurazione di una porta ornata da due leoni e un'aquila (noti emblemi imperiali), voluta dal vescovo Pantoleon, offre l'occasione a G. per celebrare la gloria dell'Impero di Federico; la stessa lode si trova anche nel carme (I), scritto in occasione dell'arrivo a Gallipoli di Giovanni III Comneno duca di Vatatzes: è da tenere presente che G. è l'unica fonte che informa del viaggio in Terra d'Otranto dell'imperatore di Nicea, in visita a Federico II, di cui era divenuto genero sposandone nel 1244 la figlia Costanza (sull'identificazione del Giovanni Vatatzes di questo carme con l'imperatore di Nicea, cfr. Acconcia Longo, 1985-86). Nel XIV epigramma anche G., come Giovanni di Otranto, maledice la defezione di Parma nel 1247. A proposito dell'assedio di Parma, I. Pizzi ritiene probabile che i due poeti fossero, insieme, sotto le mura della città con l'esercito di Federico e che avessero composto i versi durante l'assedio, prima della memorabile sconfitta, e ciò spiegherebbe la loro eccessiva fiducia nella vittoria di Federico.
Ma la massima espressione del suo ghibellinismo G. la dimostra nel carme XIII in cui Roma parla all'imperatore Federico; il monologo, introdotto da due versi e chiuso da una sottoscrizione di dedica e di congedo dell'autore, si struttura nel modo seguente: lamento sullo stato di abbandono della città (vv. 3-51), preghiera alla Vergine che intercede presso Dio affinché ispiri l'azione politica di Federico (vv. 52-66), preghiera alla Trinità perché Federico purifichi la Curia romana (vv. 67-79), implorazione all'imperatore affinché trovi un novello Aronne, unto del Signore, come nuova guida per Roma (vv. 80-100). L'analisi di quest'epigramma, ma non solo, ha portato M. Gigante a dimostrare l'unità della cultura italo-bizantina in quel secolo e soprattutto la continuità della tradizione poetica tra la Sicilia e l'Italia meridionale a partire almeno dal sec. XII.
Di G. non si conoscono la data e il luogo della morte.
La produzione poetica di G. è contenuta nei seguenti codici: Firenze, Bibl. Laurenziana, Laur. plut. V 10, cc. 180r-188r; Messina, Biblioteca universitaria, Mess. Gr. 49 (vi sono contenuti gli epigrammi corrispondenti al III e X dell'edizione Gigante). Il codice laurenziano è stato descritto da A.M. Bandini, Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, I, Florentiae 1764, coll. 26 s., e successivamente da J.N. Sola, De codice Laurentiano X plutei V [sic], in Byzantinische Zeitschrift, XX (1911), pp. 373-383; il codice messinese è stato descritto da A. Mancini, Codices Graecii monasterii Messanensis S. Salvatori, Messina 1907, pp. 95-97. L'edizione dei testi di G. è stata approntata da M. Gigante, che offre anche notizie sul poeta, in Poeti bizantini di Terra d'Otranto nel sec. XIII, Napoli 1979, pp. 59-66, 163-212; i due epigrammi presenti nel manoscritto messinese sono stati pubblicati anche da B. Lavagnini, Epigrammi di scuola otrantina in un foglio messinese, in Rivista di studi bizantini e neoellenici, n.s., XI (1964), pp. 41-46 (poi in Atakta. Scritti minori di filologia classica, bizantina e neogreca, Palermo 1978, pp. 647-653); il componimento inciso sul cippo funerario è stato pubblicato in P. Vergara - G. Fiaccadori, Un cippo iscritto da Gallipoli e un nuovo epigramma di G. Cartofilace, in La Parola del passato, XXXVIII (1983), 211, pp. 303-316. Il carme VII è stato ripubblicato da M. Gigante, in Roma a Federico imperatore secondo G. di G., Roma 1995, pp. 36-47.
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