GASLINI, Giorgio
Nacque a Milano il 22 ottobre 1929, da Mario Dei Gaslini e Iride Boselli. Il vero cognome del padre era il secondo, Gaslini; il primo fu aggiunto per distinguersi da un altro ramo della famiglia. Giorgio aveva un fratello maggiore, Cesare Emilio (che lavorò poi come autore e regista alla RAI), e una sorellastra minore, Maria Lina. I genitori si separarono presto: Giorgio rimase sotto la custodia del padre, che tuttavia era di rado presente e affidava i figli a una governante. Sotto il fascismo Mario Dei Gaslini fu infatti un militare addetto culturale in Eritrea, nonché giornalista molto attivo nella promozione della letteratura di ambiente coloniale, alla quale contribuì dirigendo nel 1926 il mensile Esotica e pubblicando due romanzi. Dei Gaslini aveva anche frequentato brevemente il Conservatorio (nel quale fu compagno di studi del futuro direttore d’orchestra Victor De Sabata). Per il piccolo Giorgio il pianoforte in casa, in mezzo a innumerevoli memorabilia dell’Africa orientale, si impose come il più attraente riferimento musicale. Non meno importanti furono la radio, da cui si ascoltava molta musica classica, e un grammofono, su cui si suonavano dischi di Josephine Baker, Enrico Caruso e dei cabarettisti del momento. Crebbe dunque in un clima culturale cosmopolita, raffinato e al passo con i tempi, temperato da esperienze più popolaresche. Lo stesso Giorgio ha più volte ricordato il ruolo della giovane governante bolognese, Carolina Borghi, con cui trascorse i lunghi anni di assenza del padre, impegnato nelle imprese belliche in Africa orientale. Non secondaria fu anche l’esperienza del teatro di marionette dei Colla, che alimentò già nell’adolescenza un durevole interesse per il palcoscenico.
Attratto dalla musica, a sette anni Gaslini iniziò lo studio del pianoforte con un’insegnante privata, ma tra il 1942 e il 1945 la famiglia fu sfollata a Bartesate, in Brianza, dove l’adolescente ebbe modo di confrontarsi con qualche musicista coetaneo. Mise sù anche un trio, I diavoli del ritmo, col quale si esibì a Galbiate.
La formazione nella Milano del dopoguerra
Terminata la guerra, la famiglia tornò a Milano, dove si stava profilando una vivace scena jazzistica, che ruotava intorno a tre ambienti: quello dell’impresario Remigio Paone e dei giornalisti a lui legati; quello legato al critico Giancarlo Testoni e alla sua rivista Musica e jazz (ma di lì a poco semplicemente Musica jazz), il cui primo numero uscì a ferragosto del 1945; infine, il gruppo che frequentava il circolo Amici del jazz animato da Gianfranco Madini. Le numerose attività musicali erano favorite dalla presenza dell’esercito alleato, che apriva club e luoghi d’intrattenimento dove i musicisti trovavano lavoro: si calcola che tra il settembre 1946 e l’inverno 1947 erano aperti a Milano una ventina di locali. Tra i musicisti più in evidenza spiccava il veterano sassofonista Tullio Mobiglia, che dominava anche la rinata produzione discografica. Anche i giovani avevano delle occasioni per farsi notare: la più memorabile fu una doppia jam session organizzata dall’impresario Piero Farnè il 21 dicembre 1945 al Teatro Nuovo. L’attività jazzistica si fece più intensa tra il 1947 e il 1950, grazie alle iniziative degli Amici del jazz e dello Hot Club Milano (fondato nel dicembre 1946), al lavoro di Farnè e al pungolo critico di Musica jazz.
Gaslini non partecipò alla serata del dicembre 1945 ma beneficiò di quel clima, frequentando assiduamente le jam sessions dello Hot Club Milano, dove poteva cimentarsi con improvvisatori più bravi e maturi di lui. Intanto alla radio ascoltava il programma Galleria del jazz condotto da Roberto Nicolosi o i concerti del pianista Giampiero Boneschi, ma scoprì anche le sonate di Domenico Scarlatti suonate al pianoforte da Carlo Zecchi. E attraverso i dischi gli si rivelò il vigoroso pianismo jazz di Earl Hines.
Poco dopo il ritorno a Milano, nel 1946, il diciassettenne Gaslini tentò l’esame di ammissione al corso di Composizione in Conservatorio, davanti a una commissione presieduta da Riccardo Pick-Mangiagalli. Privo di solide conoscenze teoriche e aduso a improvvisare, il ragazzo fu respinto: l’esperienza, traumatica, alimentò poi negli anni una sorta di amore-odio per l’ambiente accademico, tra desiderio di riconoscimento ‘alto’ e disdegno per una pervicace chiusura culturale.
Nei tre anni successivi l’attività professionale di Gaslini si fece sempre più intensa, soprattutto in direzione del jazz moderno. Il pianista non vedente Achille Scotti lo ingaggiò per suonare in duo alla radio tutti i sabati, un impegno che si prolungò per un anno. Fu decisivo l’incontro con il batterista Gilberto Cuppini, destinato a una brillante carriera nel jazz italiano. Grazie a lui, Gaslini entrò infine nel giro giusto del jazz milanese: il pianista fu arruolato in un gruppo di jazzisti gestiti dalla casa discografica La voce del padrone per un lungo tour, durante il quale debuttò al Teatro Regio di Parma con un quintetto. Poi Gaslini e Cuppini costituirono un trio con il clarinettista Henghel Gualdi, sostituito da Gino Stefani (che in seguito si affermò come padre della semiologia musicale in Italia). Questi giovani musicisti erano orientati verso il nuovo bebop, in particolare dell’orchestra di Dizzy Gillespie, quel jazz moderno e rivoluzionario che i musicisti e gli appassionati italiani stavano scoprendo grazie ai dischi che circolavano tra i collezionisti e che cominciavano ad essere stampati anche in Europa. Nel febbraio 1948 il trio registrò un disco che rifletteva quell’influenza. In particolare la composizione Concerto Riff inizia con una curiosa scenetta musicale, in cui un pianista classico – lo stesso Gaslini – viene interrotto dall’arrivo dei compagni jazzisti, e quindi tutti insieme danno vita a un pezzo di jazz moderno. Quel disco non passò inosservato: con il sassofonista Eraldo Volontè al posto di Stefani, il trio del diciannovenne Gaslini si esibì tra il 20 e il 21 maggio 1948 al Festival del jazz di Firenze, il primo della storia italiana.
In quello stesso anno il pianista fu assunto dall’Orchestra del Momento, diretta dal sassofonista Aldo Rossi, una delle più popolari della scena milanese, con cui lavorò per tre anni. L’esperienza si rivelò profondamente formativa. La compagine interpretava partiture di jazz moderno statunitense, e Gaslini rimase particolarmente colpito dal repertorio della big band di Stan Kenton. L’amalgama di fraseggio spigoloso, modernismo armonico e magniloquenza sonora accese l’immaginazione del pianista, aprendogli la prospettiva della sintesi di linguaggi diversi. Non a caso di lì a poco, sull’onda di questi stimoli, scoprì la musica del compositore franco-statunitense Edgard Varèse.
Intanto Gaslini non aveva rinunciato all’idea di iscriversi al Conservatorio: dopo la prima bocciatura, prese lezioni private da Renzo Bossi (figlio dell’organista Marco Enrico Bossi) e nel 1949 si presentò all’esame: questa volta venne ammesso al quinto anno di composizione e concluse il corso di studi nel 1951, conseguendo il diploma di composizione (con i diplomi intermedi) e di pianoforte. Nelle varie classi si ritrovò via via a fianco di Claudio Abbado, Luciano Berio, Niccolò Castiglioni, Bruno Canino. Tra i docenti incontrò Salvatore Quasimodo per la letteratura, Antonino Votto e Carlo Maria Giulini per la direzione d’orchestra, disciplina in cui poi si perfezionò presso l’Accademia Chigiana di Siena.
All’inizio degli anni Cinquanta il fratello Cesare, insofferente dell’autorità paterna e insoddisfatto dell’angusta vita culturale milanese, aveva fondato una comune insieme all’amico Piero Carpi (figlio dell’artista Aldo Carpi e fratello del compositore Fiorenzo Carpi), gestita presso un prefabbricato in periferia. Anche Giorgio aderì a questa singolare iniziativa: qui sposò e convisse con Anna Maria Andreotti (figlia dello scultore Libero Andreotti). La coppia ebbe in affido un bambino dalla salute cagionevole, Mario Altenburger, poi prematuramente scomparso.
Negli anni della comune dovette affrontare le necessità della sopravvivenza quotidiana. Oltre a dare lezioni private, per due anni ricoprì l’incarico di assistente del coro del duomo di Milano, immerso in un’intensa pratica del repertorio corale di varie epoche. Tra i lavori occasionali non mancò anche il ruolo di percussionista, procurato dall’amico Fiorenzo Carpi, per accompagnare il Giulio Cesare diretto da Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano nella stagione 1952-53. Fu arruolato come musicista e compositore anche nella compagnia del teatro Eliseo di Roma, per la quale scrisse nel 1953 le musiche dello spettacolo Il profondo mare azzurro di Terence Rattigan. La sicurezza economica giunse finalmente in quello stesso anno, quando venne assunto alla Voce del padrone come assistente alla direzione artistica. L’impegno, durato fino al 1962, gli consentì di familiarizzarsi con le tecniche di produzione discografica e di lavorare in cabina di regìa. Collaborò a molte tra le produzioni più importanti della musica italiana dell’epoca, classica e leggera, fianco a fianco di gruppi come I virtuosi di Roma o il Quartetto italiano o di artisti di musica popolare come Renato Carosone. In quegli anni partecipò anche alla registrazione delle opere che il teatro alla Scala produceva per la His Master’s Voice inglese, con protagonisti come Maria Callas e Giuseppe Di Stefano.
Nel tempo libero lasciato dal lavoro in studio, si dedicò alle passioni principali, tra cui la direzione d’orchestra nelle stagioni dei Pomeriggi musicali e all’Angelicum a Milano. Ma fu la composizione ad assorbire le maggiori energie: nel 1951 scrisse il Salmo XIII per voce di baritono e pianoforte, e nel 1953 le articolate Cronache seriali. Nel 1954 riuscì a pubblicare Logarithmos per archi, xilofono e campane; l’anno dopo fu la volta di Logar, per flauto e pianoforte, in cui le asperità dello stile post-weberniano si ammorbidiscono in un gusto più cantabile.
Lavorando alla Voce del padrone, rimase estraneo alla trasformazione della scena jazzistica in Italia, che si andava animando grazie a una nuova generazione di musicisti di valore, e nutrita anche dalle sempre più numerose opportunità concertistiche. Il miglior jazz italiano non si esauriva nella vivace scuola del Dixieland Revival, ma primeggiava soprattutto negli stili moderni grazie a eccellenti musicisti, tra cui i pianisti Umberto Cesàri, Armando Trovajoli, Renato Sellani, Amedeo Tommasi, Enrico Intra, i sassofonisti Gianni Basso, Glauco Masetti, Enzo Scoppa, i trombettisti Nunzio Rotondo, Cicci Santucci e Oscar Valdambrini, il trombonista Dino Piana, il chitarrista Franco Cerri, i batteristi Gil Cuppini e Franco Mondini. Inoltre in Italia cominciavano a girare con regolarità i migliori solisti e gruppi statunitensi, attratti da un pubblico sempre più numeroso e dai nuovi festival che si andavano organizzando nella penisola. Il primo in pianta stabile fu il Festival internazionale del jazz di Sanremo, fondato nel gennaio 1956 da Arrigo Polillo e Pino Maffei, alla cui prima edizione parteciparono in due giorni ben tredici complessi, per un totale di cinquantasei musicisti. L’anno dopo si esibirono sedici gruppi, tra cui il nuovo ottetto di Gaslini, che lasciò il segno con un’esibizione storica. Invitato dagli organizzatori, Gaslini assemblò un ottetto col quale eseguì una nuova composizione, Tempo e relazione, che mirava a fondere in modo innovativo il fraseggio del jazz con la scrittura dodecafonica. L’organico comprendeva tre strumenti cameristici (flauto, oboe, clarinetto), tre fiati jazz (sax alto, tromba, trombone) e ritmica jazz (piano, contrabbasso, batteria). La composizione si fondava su due serie dodecafoniche, e tutta la partitura, suddivisa in cinque movimenti, era scritta in linguaggio jazz ma senza parti improvvisate. Nonostante lo scalpore iniziale, negli anni Tempo e relazione è stata riconosciuta come una pagina fondamentale nella storia del jazz europeo. L’autore la considerava il primo esempio di jazz dodecafonico della storia, un primato che in realtà condivide con il coevo Concerto per big band e orchestra del tedesco Rolf Liebermann. In ogni caso Gaslini dimostrò d’essere non solo in linea, ma forse in anticipo sui tempi di quel movimento che negli Stati Uniti Gunther Schuller avrebbe di lì a poco battezzato third stream: un nuovo stile che nasce dalla fusione tra la prima corrente della musica contemporanea (la classica) e la seconda corrente (il jazz). La Voce del padrone ne fece un disco e pubblicò la partitura, che alimentarono discussioni e polemiche: il brano sfidava apertamente l’ortodossia del jazz e avvicinava linguaggi considerati inconciliabili.
Negli Stati Uniti ad accorgersi di Tempo e relazione fu il pianista e compositore John Lewis, uno degli alfieri del third stream. Nel 1958 Lewis invitò Gaslini a seguire i seminari presso la Lenox School of Jazz, nel Massachusetts, che si stava affermando come il punto d’incontro dei compositori della nuova musica. Gaslini era sul punto di partire quando fu chiamato dalla produzione del film La notte (1961), il nuovo lavoro di Michelangelo Antonioni. L’attore Marcello Mastroianni, protagonista del film, aveva ascoltato il disco di Tempo e relazione e aveva segnalato l’autore al regista. In tempi brevissimi Gaslini fu ingaggiato per scrivere la colonna sonora del film e partecipare ad alcune scene. L’incontro con Antonioni lo costrinse a rinunciare al viaggio negli USA.
Il pianista assemblò rapidamente un quartetto con Eraldo Volontè al sax alto, il contrabbassista Alceo Guatelli e il batterista Ettore Ulivelli. La musica, algida e lirica al tempo stesso, commentò con perfetta sintonia la cerebrale crisi coniugale raccontata nel film (il quartetto appare anche nella scena finale della festa nella villa). Vinse il Nastro d’argento per la colonna sonora (1962) ed è ancora oggi apprezzata come una delle migliori partiture jazz del cinema europeo.
Nonostante il crescente interesse intorno alla sua figura, Gaslini stava affrontando una crisi personale e professionale. Sul piano privato, l’esperienza della comune si stava rivelando un amaro fallimento, inasprito da problemi familiari: quando Gaslini decise di uscirne, la moglie con il figlio adottivo scelsero invece di rimanere. Inoltre, stanco del lavoro in studio di registrazione, nel 1962 Gaslini si licenziò dalla Voce del padrone per ripartire da capo. Grazie alla buonuscita acquistò un nuovo appartamento; strinse una relazione con l’attrice Marisa Pizzardi, da cui ebbe nel 1964 la figlia Viviana, poi divenuta musicista. Fondò un nuovo quartetto, con il quale ampliò la sperimentazione iniziata con Tempo e relazione: lo costituivano Gianni Bedori al sax contralto, Bruno Crovetto al contrabbasso e Franco Tonani alla batteria. Il gruppo, destinato a rimanere unito per diversi anni, registrò nel 1963 la suite Oltre, in cui Gaslini arricchì l’intelaiatura compositiva dodecafonica con passi di improvvisazione jazz.
Lungi dall’esaurirsi nella musica sperimentale, l’ispirazione di Gaslini trovava alimento anche nel mondo della canzone, che rimase una costante della sua carriera. Nel 1962 pubblicò l’album Giorgio Gaslini presenta Alberto Rabagliati e nel 1964 l’elegante Dodici canzoni d’amore italiane in cui, anticipando di trent’anni una successiva tendenza del jazz italiano, arrangiava in chiave cameristica e jazz canzoni di Gino Paoli, Luigi Tenco, Fiorenzo Carpi, Domenico Modugno. Le esigenze economiche lo spinsero anche a comporre musica per la pubblicità: la canzone della Mucca Carolina per il Carosello dei formaggini Invernizzi divenne uno dei motivetti più celebri e amati a metà degli anni Sessanta.
Sempre attivo su più fronti, nei primi anni Sessanta scrisse altre colonne sonore: tra il 1964 e il 1973 ne compose ben sedici, tra film e due sceneggiati televisivi. Quella per Un amore (Gianni Vernuccio, 1965) fu pubblicata su disco e nel 1966 vinse il Premio della critica discografica quale miglior colonna sonora. In quegli anni il compositore si dedicò anche alla produzione di opere cameristiche e orchestrali di taglio classico: Totale 1 e Totale 2 (1965-1967) per orchestra, Chorus per flauto solo (1965), Segnali per oboe solo (1966).
Da questa molteplicità di esperienze maturò una riflessione sulla natura della propria musica. Già nel 1953 Gaslini aveva pubblicato uno scritto per la rivista fiorentina Il diapason. Qualche anno dopo, nel 1964, stilò privatamente un breve “Manifesto della musica totale”, nel quale affermava tra l’altro che «ci appare superato ogni dogmatismo stilistico limitato a culture specifiche e ci dichiariamo per l’assunzione di tutte le culture musicali in un unico atto libero di creazione espressiva». Per Gaslini non si trattava solo di teoria ma della propria concreta pratica professionale ed espressiva. Questa attitudine ‘totale’ produsse un altro capolavoro nel 1966: mentre attendeva alla composizione delle citate opere classiche, la casuale presenza a Milano di grandi musicisti di free jazz americano di passaggio, come Don Cherry, Steve Lacy e Gato Barbieri, gli offrì l’occasione di concepire e registrare Nuovi sentimenti, per il quale chiamò anche alcuni musicisti italiani, tra cui un giovane Enrico Rava. Gaslini inserì felicemente spunti di aspra scrittura classica atonale nel flusso delle libere improvvisazioni jazz solistiche e collettive. Ne uscì un disco capitale, tra le prime testimonianze di free jazz europeo, in sintonia con consimili esperienze d’oltreoceano.
Dalla fine degli anni Sessanta il compositore s’impegnò anche nel balletto: le partiture di Drakon (1969, coreografie di Ugo Dell’Ara) e di Contagio (1971, Mario Pistoni) si basavano su peculiari ricerche ritmiche. Il rapporto tra musica e palcoscenico era già stato oggetto di una riflessione più ampia nel 1968 con l’opera Un quarto di vita, su soggetto e libretto suoi, andata in scena al teatro Regio di Parma, che coglieva e traduceva il disagio giovanile del tempo in una varietà di soluzioni stilistiche. La stessa temperie ispirò Il fiume furore, registrato sempre nel 1968 dal vivo al teatro Lirico di Milano con una big band e pubblicato nell'album Grido (1968). Sono le prime testimonianze del breve ma intenso connubio tra jazz e movimento giovanile italiano negli anni Settanta.
Il movimento studentesco si riconosceva nelle aspirazioni libertarie del jazz contemporaneo. La furia spesso aggressiva della musica, la sua spregiudicatezza formale, la ribellione contro l’accademismo degli stili tradizionali fecero scattare la sintonia tra il jazz più sperimentale e molti giovani, che presero a frequentare festival e concerti, caricando la musica e gli eventi di valenze ideologiche.
Gaslini, con la sua sensibilità civile, aveva còlto per tempo le trasformazioni in corso: si ritrovò dunque protagonista nella stagione più politicizzata del jazz italiano; ne aveva percepito i segnali con grande anticipo, che affrontò con un nuovo quartetto fondato nel 1972 con il sassofonista Gianni Bedori, il contrabbassista Bruno Tommaso e il batterista Andrea Centazzo. Si impegnò in una fitta attività di concerti e incontri in università, fabbriche, scuole, carceri. Nell’aprile 1974 tenne all’Università statale di Milano un concerto dal repertorio fortemente politicizzato, pubblicato con il titolo “Concerto della resistenza” dalle Edizioni Movimento Studentesco. Quindi fu uno dei protagonisti dell’importante festival tenuto dal 28 al 30 novembre 1975 alla Statale intitolato “Nuove tendenze del jazz italiano”, poi antologizzato su disco. L’adesione ai cambiamenti in atto si manifestò anche nei titoli degli album: Message, Fabbrica occupata (con alcuni ospiti stranieri), Concerto della Resistenza, Concerto della libertà, Canti di popolo in jazz. Il lavoro più singolare fu Colloquio con Malcolm X, presentato a Genova nel 1970 e registrato nel 1973-74: una sorta di cantata con voce recitante in cui convergono materiali eclettici, dal gospel al free jazz.
L’attivismo si concretizzò anche su altri tre fronti. Anzitutto quello imprenditoriale, con la fondazione nel 1975 di un’etichetta discografica indipendente, I dischi della quercia, inaugurata da Murales (1976): sotto questo marchio Gaslini pubblicò per circa un decennio i lavori propri e di altri musicisti italiani, soprattutto nell’ambito del jazz di ricerca. Un altro fronte fu la didattica del jazz, alla quale Gaslini era stato sempre molto sensibile e di cui è stato un pioniere in Italia. Già nel 1957 aveva avviato un corso biennale presso la Scuola musicale di Milano. L’esperienza, unica nel genere, durò solo due anni ma formò un’ottantina di allievi, nell’indifferenza delle istituzioni e dello stesso mondo del jazz italiano. Molto più rumore fece nel 1972 l’istituzione, nel conservatorio di Santa Cecilia di Roma, della prima cattedra di jazz, voluta dal direttore Renato Fasano. Pensato dapprima ad accesso gratuito solo per diplomati, il corso fu presto aperto anche agli uditori. Pur tra resistenze, scetticismi e ignoranza delle istituzioni, l’iniziativa riscosse un grande successo. In due anni passarono da quel corso decine di musicisti, da cui emersero figure divenute poi centrali nel jazz italiano: i bassisti Bruno Tommaso e Roberto Della Grotta, la pianista Patrizia Scascitelli, il trombonista Danilo Terenzi, i sassofonisti Massimo Urbani, Maurizio Giammarco, Eugenio Colombo. Alcuni tra loro furono coinvolti nel disco Message, nel quale Gaslini riunì musicisti affermati e un gruppo di studenti, li fece registrare delle improvvisazioni in momenti separati e poi le unì al missaggio. Nel 1973 quegli allievi furono anche gli interpreti di Favola pop, una versione aggiornata della Utopia di Sir Thomas Moore, un racconto musicale con due voci recitanti, quella di Gaslini stesso e della sua nuova compagna Simona Caucia.
Il direttore successivo, Jacopo Napoli, cancellò il corso, che su sollecitazione degli studenti riaprì sia pur brevemente a Milano tra il 1978 e il 1980. Tra il 1977 e il 1978 Gaslini promosse anche due corsi estivi a Venezia. Ci vollero altri quattro anni perché, con i colleghi Gerardo Iacoucci e Ettore Ballotta, riuscisse a convincere le istituzioni ad attivare finalmente un corso di jazz permanente nei Conservatori italiani. L’approvazione, nel 1984, segnò il punto di arrivo di una battaglia pluridecennale; e fu il primo passo verso l’assetto didattico più articolato che i corsi assunsero negli anni successivi. Dalla fine degli anni Settanta Gaslini riversò l’infaticabile impegno didattico nella sezione jazz dei seminari estivi a Diano Marina (Imperia), che proseguirono per almeno un decennio. Nel 1982 pubblicò anche un ampio trattato, Tecnica e arte del jazz, sintesi di tutta la sua esperienza (Milano, Ricordi).
Proprio la pubblicistica è il terzo ambito in cui, al di là della professione musicale, Gaslini fu particolarmente impegnato negli anni Settanta. Nel 1975 Feltrinelli pubblicò il suo volumetto Musica totale: intuizioni, vita ed esperienze musicali nello spirito del ’68, nel quale l’autore ampliò le riflessioni contenute in nuce nel citato “Manifesto” del 1964. Fondando la riflessione sulla propria esperienza e su una prospettiva antropologica, economica e sociale sulla storia della musica, Gaslini auspicava il superamento delle distinzioni tra musica classica, jazz e popolare per approdare a una musica ‘totale’, alimentata dall’esempio estetico del jazz, linguaggio in grado di liberare la creatività tanto dalle rigide regole dell’accademismo quanto dalla mercificazione del pop. Per Gaslini la musica totale doveva essere accessibile a tutti, al tempo stesso comprensibile e disponibile per il grande pubblico; e i cambiamenti scatenati dai movimenti del Sessantotto stavano offrendo un’occasione storica da cogliere senza indugi. Nel 2002 Gaslini pubblicò poi Il tempo del musicista totale (Milano, Baldini & Castoldi), nel quale sono raccolti il “Manifesto” inedito del 1964, il saggio del 1975 e un aggiornamento in cui l’autore risponde alle critiche che gli erano state mosse all’epoca.
Negli anni Settanta il nome di Gaslini raggiunse un pubblico sempre più vasto grazie anche al cinema d’autore. Il 1971 vide l’impegno per La pacifista di Miklós Jancsó. Ma la collaborazione più rilevante e duratura fu con il giovane regista Dario Argento, col quale Gaslini lavorò per la serie di telefilm La porta sul buio (1972), indi per il film Le cinque giornate (1973) e infine nell’horror Profondo rosso (1975). Per questo film il compositore divise l’impegno con i Goblin, un gruppo progressive rock che compose il tema principale ma eseguì anche alcune delle composizioni gasliniane. Pellicola e musica ottennero un grande successo, ma la scarsa chiarezza delle informazioni nel film e sul disco generarono nel pubblico qualche confusione circa la paternità della colonna sonora.
Subito dopo Gaslini varcò l’oceano: nel 1976 venne invitato al festival del jazz di New Orleans; la sua esibizione fu poi pubblicata su disco. Il nuovo gruppo che fu costituito al ritorno nel 1977 rivelò altri nuovi, importanti talenti per il jazz italiano: il sassofonista e clarinettista Gianluigi Trovesi, il bassista Paolo Damiani, il percussionista Luis Agudo, affiancati ai veterani Gianni Bedori al sax e Gianni Cazzola alla batteria. Questo gruppo, tra i più brillanti diretti dal compositore, fu, con alcune varianti, il protagonista di dischi eccellenti come Free Actions (1977), Graffiti (1978) e Live at the Public Theatre in New York (1980), tutti pubblicati dall’etichetta I dischi della quercia. Nel 1978 e 1979 Gaslini fu anche direttore artistico di un festival del jazz a Imola.
Gli anni Ottanta e Novanta hanno visto la massima crescita del jazz in Italia. Il proliferare di locali, festival, case discografiche, seminari e scuole di jazz, l’ampliamento della pubblicistica, il passaggio di formato dal long playing al CD: questi fattori favorirono la notevole crescita qualitativa del jazz italiano. La conquista dei corsi di jazz in conservatorio nel 1984 consacrò Gaslini come una figura di riferimento istituzionale. Furono anche anni di grande produttività discografica. Sono degni di nota i tre album di duetti – con il trombonista Roswell Rudd (1978), il contrabbassista Eddie Gomez (1981) e il sassofonista Anthony Braxton (1982) – e finalmente la prova per solo pianoforte, con il disco Gaslini plays Monk (1981), in cui il repertorio del grande compositore afroamericano viene smontato e parcellizzato secondo la tipica procedura ‘seriale’ gasliniana. Su Monk, nel 1994, Gaslini pubblicò anche una breve monografia: più una riflessione sul senso del jazz che non uno studio biografico-critico in senso proprio. Gaslini tornò al pianoforte in solitudine nel 1990 per il singolare Ayler’s wings, dedicato al sassofonista Albert Ayler. Nel 1982 collaborò con l’attore Giorgio Albertazzi nell’esecuzione della suite di Duke Ellington Such sweet thunder ispirata a William Shakespeare. Una voce recitante fu utilizzata anche in Monodrama per ottetto (1984), in cui s’intrecciano testi poetici e jazz. In quegli anni Gaslini si affidò a molti giovani musicisti, soprattutto milanesi, tra cui il sassofonista Claudio Allifranchini, il bassista Piero Leveratto e, più avanti, i sassofonisti Claudio Fasoli e Roberto Ottaviano.
Nel frattempo Gaslini si era affermato come il musicista italiano di jazz più conosciuto all’estero. I rapporti internazionali e l’autorevolezza ne fecero una sorta di ambasciatore del jazz italiano, anzitutto nel difficile e simbolico territorio statunitense, all’epoca chiuso al jazz straniero da politiche protezionistiche, ma anche all’Europa occidentale e orientale, attraversata in numerosi tours fin dagli anni Sessanta. Non è quindi un caso che Gaslini sia stato il primo italiano ad essere invitato in paesi dove i jazzisti del nostro paese non si erano mai esibiti: nel 1982 in India, al Jazz Yatra di Bombay, e nel 1985 in Cina, per un tour in varie aree del paese. L’esperienza indiana produsse il suggestivo Indian suite (1983), per ottetto; di due anni dopo è Skies of China.
Nel 1991 l’autorevolezza di Gaslini fu ulteriormente sancita dalla presidenza della neonata Associazione Musicisti di Jazz (AMJ) e, nello stesso anno, dalla direzione della Grande Orchestra Nazionale di Jazz. Tra il 1991 e il 1996 militò anche nella Italian Instabile Orchestra, un’orchestra cooperativa nata dall’incontro dei migliori improvvisatori italiani, di cui fu pianista e per la quale scrisse diverse nuove composizioni, tra cui Pierrot solaire e Skies of Europe. Nel 2001 fondò anche la Proxima Centauri Orchestra.
Nei primi anni Novanta diresse Le pause del silenzio, un quintetto vocale femminile, e soprattutto il Globo Quartet, con la stessa strumentazione del Modern Jazz Quartet (con Daniele Di Gregorio al vibrafono, Roberto Bonati al contrabbasso e Giampiero Prina alla batteria). Due commissioni lo riavvicinarono al balletto: Carmen graffiti (1996) e Sprint (1999). Nell’ottica della ‘musica totale’, affrontò anche lo spettacolo d’opera in chiave jazz: Mister O, ispirato all’Otello di Shakespeare, per un organico eclettico e con un’azione coreografica, andò in scena nel 1996 al festival del jazz di Verona e fu quindi fissato su disco. La narrazione, arricchita da un’azione scenica, rimase una sfida prediletta nella sua tarda produzione: si segnalano Il brutto anatroccolo (1997, da Hans Christian Andersen) e U-Ulisse (2003), realizzato nel parco archeologico di Carsulae in Umbria, con il quintetto di Gaslini, il trio del pianista jazz Uri Caine, l’attore Marco Paolini e l’artista Arnaldo Pomodoro. Nel 2002 si cimentò con la musica sacra con il Sacred concert - Jazz Te Deum, per l’Orchestra Jazz della Sardegna. Superati i settant’anni d'età, continuò a dedicarsi anche alla produzione più strettamente classica. In ambito sinfonico, oltre a comporre il Concerto per pianoforte e orchestra Adiantum (2003), si cimentò anche con un Big bang poema (2000) e la Sinfonia delle valli (2006, dedicata al folklore della Valtellina). Tra i lavoro cameristici spiccano le composizioni dedicate al flauto di Roberto Fabbriciani, raccolte negli album Chamber music (1996) e Storie di Sto (1998, ispirato a Sergio Tofano). Il progetto più rilevante fu la monumentale raccolta di cento proprie canzoni, pubblicate nel 2006 dalla Velut Luna in cinque CD e affidate all’interpretazione di tredici cantanti, tra cui la prediletta Tiziana Ghiglioni.
Morì per le conseguenze di una caduta il 29 luglio 2014 a Borgo Val di Taro, dove si era ritirato con Simona Caucia, sposata pochi anni prima. Nel 2002 era stato insignito dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, della Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte. Il suo archivio personale è stato donato alla Biblioteca civica Umberto Pezzoli di Lecco, dove è stato istituito il Fondo Gaslini. Altro materiale discografico è stato donato alla Biblioteca Manara di Borgo Val di Taro. Le sue composizioni sono state pubblicate da Universal Edition e Suvini Zerboni.
Fonti e bibl.: scritti di Gaslini: La frusta musicale e discussioni. Musica e società d’oggi, ancora sulle leggi dell’eufonia, in Il Diapason, novembre-dicembre 1953, pp. 15-19; Il jazz è un aspetto della musica contemporanea, in Musica Jazz, marzo 1958, pp. 17, 40; G. si confessa, in Musica jazz, gennaio 1964, pp. 32-34; Incontro ad Hannover, in Musica Jazz, gennaio 1966, p. 31; Musica totale. Intuizioni, vita ed esperienze musicali nello spirito del ’68, Milano 1975; Tecnica e arte del jazz, Milano 1982; Thelonious Monk. La logica del genio, la solitudine dell’eroe, Viterbo 1994; Il tempo del musicista totale, Milano 2002. Scritti su Gaslini: L. Cerchiari, Quattro chiacchiere con G. di ritorno da New York, in Musica Jazz, luglio 1980, pp. 17 s.; Id., La musica, il pubblico, le istituzioni. Intervista a G. G., in Il jazz degli anni Settanta, a cura di L. Cerchiari, Milano 1980, pp. 199-217; F. Fayenz, Musica per vivere, Bari 1980, pp. 106-116; G. Barigazzi, G. G. Dietro il jazzman, in Musica Jazz, gennaio 1982, pp. 30-32; Id., Incontro con Giorgio Albertazzi: sul palcoscenico con William e Duke…, in Musica Jazz, luglio 1982, pp. 26 s.; A. Bassi, G. G. Vita, lotte, opere di un protagonista della musica contemporanea, Padova 1986; M. Franco, G. G., in Musica Jazz, maggio 1992, pp. 36-43; C. Sessa, I suoi dischi: la serialità si confronta con l’Africa, ibid., pp. 44-50; R. Cresti, Linguaggio musicale di G. G., Milano 1995; L. De Domizio Durini, G. G. Lo sciamano del jazz, Milano 2008; D. Ielmini, G. G. L’uomo, l’interprete, il compositore, Varese 2009; Id., Orchestral thoughts: jazz composition in Europe and America (an interview with composer-director G. G.), in Eurojazzland. Jazz and European sources, dynamics, and contexts, a cura di L. Cerchiari, L. Cugny, F. Kerschbaumer, Lebanon, NH, 2012, pp. 235-252; L. Vanni, G. G. musicista totale, in JazzIt Magazine, gennaio-febbraio 2012, pp. 30-89; G. Guaccero, L’improvvisazione nelle avanguardie musicali. Roma, 1965-1978, Roma 2013, pp. 183-190; A. Bassi, G. G., non solo jazz, Monza 2016; L'universo G. Guida ragionata a tutte le sue opere, a cura di M.G. Barletta, D. Ielmini, Milano, Varese 2021.