GHISI, Giorgio
Nacque nel 1520 a Mantova, da Ludovico, mercante originario di Parma (D'Arco, 1857, p. 268).
Benché non esista alcuna notizia sulla formazione del G., è certo che avvenne sotto l'influenza di Giulio Romano, in città dal 1524 al servizio di Federico II Gonzaga. Le prime incisioni che gli si attribuiscono, per ragioni stilistiche e per la ricorrenza del suo monogramma a lettere grandi, derivano tutte da modelli di Giulio e sono databili intorno al 1540: l'Allegoria della malattia dall'analogo soggetto nella loggia della Grotta a palazzo Te; il Tarquinio e Lucrezia dal soffitto del camerino dei Falconi a palazzo ducale; il Sileno addormentato da un disegno di Giulio ancora per la loggia della Grotta, conservato al Louvre, dove se ne trova anche un altro che servì per uno degli arazzi con le storie della Vita di Scipione l'Africano realizzati per Francesco I, e che fu utilizzato dal G. per il Corteo dei prigionieri; la Morte di Procri, ancora da un disegno di Giulio, in controparte e con alcune varianti, oggi allo Städelsches Kunstinstitut di Francoforte.
Non fu, però, Giulio Romano a insegnare al G. l'arte del bulino: l'unico a Mantova in grado di farlo era in quel momento Giovanni Battista Scultori, collaboratore di Giulio a palazzo Te, che produsse stampe per un periodo assai limitato della sua attività - dal 1536 al 1543 - coincidente con gli anni di formazione del Ghisi. Le due lastre Sinone e i Troiani e I Greci entrano a Troia, incise dal G. ancora nei primissimi anni Quaranta, derivano da disegni dello Scultori (The engravings, pp. 51 s.). A questi stessi anni risalgono l'Allegoria della fecondazione della terra, forse da F. Primaticcio; e la sua prima incisione datata, del 1543, Donna in una barca con un uomo e un bambino, desunta da un disegno conservato al Musée des beaux-arts di Digione con l'attribuzione dubbia a Giulio Romano (Bellini, 1986, p. 46).
Forse proprio in seguito alla morte di Giulio Romano, intorno al 1546 il G. si trasferì a Roma: suo compagno temporaneo fu il concittadino Giovan Battista Bertani. Ad Antonio Lafreri, in città dal 1544, il G. dovette presentare alcune delle lastre incise a Mantova: furono infatti pubblicati presso di lui la Morte di Procri e i rami tratti dallo Scultori, dove per la prima volta il G., non conosciuto a Roma, sciolse il monogramma e si firmò con l'appellativo di "Mantuanus". Forse consigliato dallo stesso Lafreri, intorno al 1550 il G. incise opere di artisti romani molto richieste dal mercato: la Visitazione di Francesco Salviati dell'oratorio di S. Giovanni Decollato; Caio Mario in prigione di Polidoro da Caravaggio; Venere nella fucina di Vulcano e Venere e Vulcano sul letto di Perin del Vaga; i Profeti e le Sibille della Sistina di Michelangelo, da cui furono tratti sei rami che l'artista realizzò forse durante questo periodo romano, anche se non si esclude la possibilità di una loro esecuzione persino qualche decennio più tardi (Bellini, pp. 71 s.).
Nel vivace clima artistico romano il G. ebbe l'opportunità di arricchire la propria formazione, e, al contempo, di stringere alcuni rapporti tra cui quello con l'editore Hieronymus Cock. Con lui il G. avviò un'intensa collaborazione che, intorno al 1550, lo portò ad Anversa, dove Cock pubblicava sotto l'insegna "Aux quatre vents", per rimanervi circa cinque anni. Nel 1551 "Joorgen Mantewaen" figurava iscritto alla gilda di S. Luca.
Durante gli anni trascorsi ad Anversa la sua produzione si arricchì di un gusto per il particolare che si ritroverà nelle opere successive. Eseguì un gruppo di bulini, pubblicati tutti da Cock, e derivati dai maestri della maniera italiana, fatta eccezione per l'Ultima Cena, da Lambert Lombard, del 1551, dedicata ad Antoine Perrenot, governatore dei Paesi Bassi. Il G. trasse i suoi soggetti da Raffaello, del quale incise nel 1550 LaScuola di Atene e nel 1552 La disputa del Sacramento; ma anche da Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino, con la Natività del 1553, desunta dal dipinto per Filippo d'Averardo Salviati oggi a Budapest; e da Bertani, dal quale trasse il Giudizio di Paride del 1555, che, con le varianti apportate rispetto al disegno della collezione Malaspina del Museo civico di Pavia, divenne un'allegoria della fugacità della bellezza.
Questo periodo trascorso nelle Fiandre corrispose non solo alla messa a punto da parte del G. di una tecnica raffinata, ma anche a un momento in cui da un sistema meramente riproduttorio dei suoi modelli passò a una traduzione di essi, attraverso opportune modifiche che giunsero ad alterarne aspetto e significato. È quanto accadde, per esempio, alla Scuola di Atene che, grazie all'inserimento di un'iscrizione, divenne La predica di Paolo nell'Areopago. Certamente importante per la diffusione nelle Fiandre del manierismo di ascendenza romana, la produzione del G. di questi anni mostra una grande attenzione alla resa del paesaggio in quanto elemento che nella traduzione grafica acquista autonomia rispetto al modello. In questo modo si poneva in linea da una parte con un certo gusto lombardo per gli sfondi paesistici "alla nordica", dall'altra, con una forte propensione paesaggistica della contemporanea incisione d'Oltralpe, alimentata, per esempio, dalle stesse serie di paesaggi uscite dalla bottega di Cock tra il 1551 e il 1562 e derivate in parte da soggetti di Pieter Bruegel il Vecchio e di Lucas Gassel. Così, fu naturale per il G. porre nello sfondo della Natività del 1553 una città gotica dalle mura turrite, riferibile a un modello di scuola di Gassel; e, nell'affollato Giudizio di Paride del 1555, aggiungere all'orizzonte una città costiera dalle sembianze nordiche, che si ritrova in numerosi esempi fiamminghi (Salsi, 1991, p. 4).
Secondo le fonti il G. fu attivo anche nell'agemina: del 1554 è uno scudo conservato al British Museum di Londra; mentre più tarda, del 1570, dovrebbe essere la spada, firmata, del Museo di belle arti di Budapest.
Forse da Anversa il G. se ne andò improvvisamente. La Visione di Ezechiele tratta da un disegno di Bertani e datata 1554 sulla lastra, non fu stampata da Cock, bensì a Roma da Lafreri. Difficile però dire dove egli si trasferisse. È plausibile che, una volta partito da Anversa, la sua destinazione fosse la Francia: le incisioni databili a questo momento furono pubblicate con il privilegio reale, e i soggetti vennero spesso desunti da opere di artisti italiani attivi a Fontainebleau o a Parigi. Immediatamente successivo al suo soggiorno nelle Fiandre è il rame con il Matrimonio mistico di s. Caterina: qui, un paesaggio fluviale ancora nordico fa da sfondo alla scena, fondata su un modello di Francesco Primaticcio, forse mediato da Luca Penni. Collaboratore di Perin del Vaga a Genova, tra il 1537 e il 1540 Penni si era poi recato a Fontainebleau e aveva contribuito alla diffusione delle opere realizzate per Francesco I. Anche il G. utilizzò le sue invenzioni, soprattutto in questo periodo. Risalgono infatti al 1556 due bulini tratti da modelli di Penni, come recitano i rami: Venere punta da una spina e il Cacciatore con ninfa sulle spalle, anche noto come Orione, forse un'allegoria della caccia. Dello stesso anno è il Ritratto di François Duaren, commissionato per il frontespizio dell'Opera omnia del giurista francese edita a Lione due anni più tardi; mentre del 1558 sono Le tre Parche da un'idea di Giulio Romano, e l'Ercole e l'Idra dal disegno di Bertani per l'incisione destinata ad aprire il suo volume, Gli oscuri et difficili passi dell'opera jonica di Vitruvio, dedicato a Ercole Gonzaga, il cui stemma compare in alto al centro.
Solo di recente, sono state ritrovate alcune stampe del G., collocabili in questo periodo, e rappresentanti emblemi signorili: di Lucrezia Gonzaga, figlia di Pirro, signore di Bozzolo (The engravings, pp. 142 s.); di Innocenzo Gallo e di Curzio Gonzaga, con un notevole brano paesistico al di là della balaustra che incornicia il foglio (Bellini, 1998, pp. 162-164)
Ancora della fine degli anni Cinquanta è l'incisione da un altro soggetto mantovano, l'Allegoria sulla sorte della vita umana, anche conosciuta come La nascita di Mennone, tratta con alcune varianti - significativa quella della culla che nella stampa diventa un'opera di oreficeria - da un disegno di Giulio Romano per la loggia della Grotta al Te. Ancora da Giulio sembra essere stata desunta la Donna con sfera, o Vittoria.
Anche se forse ebbe una lunga gestazione, del 1561 è il bulino noto come Sogno di Raffaello, più precisamente un'Allegoria della vita umana, di certo il suo capolavoro.
L'opera riassume in maniera paradigmatica il percorso del G. e le componenti della sua arte incisoria: l'influenza di Raffaello nella figura dell'uomo (uno dei filosofi della Scuola di Atene); l'origine classica, forse mediata da un disegno di scuola raffaellesca, della donna a destra; il paesaggio nordico sullo sfondo, con dettagli così simili a un'incisione già pubblicata da Cock su disegno di M. van Heemskerck, ma anche ai paesaggi di Gassel; inoltre, iconografia e contenuto mostrano un artista capace di muoversi con disinvoltura sul terreno della composizione allegorica, attingendo a fonti classiche e agiografiche dai risvolti moraleggianti che contribuiscono a costruire il significato dell'immagine: un'allegoria della vita dell'uomo e del suo difficile percorso verso la salvezza, possibile solo grazie all'aiuto della virtù che gli consentirà di uscire dalla selva piena di insidie. Tale lettura conferma il carattere votivo della stampa, "animi gratia", eseguita dal G. per la soddisfazione di un committente, tal Filippo Dati.
Il G. portò a termine questa elaborata composizione forse su disegni di Penni, i cui lavori continuarono a costituire una fonte per la sua opera. Lo testimoniano l'Apollo sul Parnaso, da un disegno passato a un'asta di Sotheby nel 1987; e la Calunnia del 1560. Agli anni del suo soggiorno francese, e più precisamente all'inizio del settimo decennio, si deve anche la realizzazione di due serie di incisioni con Divinità dell'Olimpo, tratte dalla distrutta galleria di Ulisse decorata da Primaticcio a Fontainebleau. È certo che nel dicembre del 1562 era ancora a Parigi, da dove scrisse una lettera, ma due anni dopo era di nuovo, e definitivamente, a Mantova (Bellini, 1979, p. 123; 1998, p. 18).
A un periodo caratterizzato da una decisa propensione a elaborare complessi temi allegorico-moraleggianti ne seguì uno in cui il G. si impegnò in opere di grande maestria tecnica, ma che tornarono a essere meramente riproduttive. Tali furono le dieci tavole tratte dal Giudizio universale della Sistina, eseguite, forse insieme con il Ritratto di Michelangelo, intorno alla metà degli anni Sessanta, e da porsi con ogni probabilità all'interno di un'operazione di carattere commemorativo, opportuna e necessaria per il mercato delle stampe dopo la morte di Michelangelo nel 1564.
Una volta a Mantova il G. ebbe modo di approfondire la collaborazione con gli artisti locali, e in primo luogo con il fratello Teodoro che gli fornì invenzioni da tradurre graficamente. È quanto accadde per l'incisione, riferibile al più tardi all'inizio dell'ottavo decennio, raffigurante Angelica e Medoro, forse da un dipinto disperso del fratello, ma un tempo conservato in una collezione privata di Amsterdam (Kristeller, p. 563); o, per quella con Venere e Adone, che il G. derivò da un originale dello stesso, perduto, ma documentato nelle collezioni gonzaghesche fino al 1627 (Luzio, pp. 95 s.), e noto attraverso una copia di anonimo conservata nel Musée des beaux-arts di Nantes.
Del 1567 è l'Ercole in riposo, da un disegno di Giulio Romano del Musée des beaux-arts di Alençon per la sala degli Stucchi a palazzo Te.
Un paesaggio ampiamente dilatato in senso orizzontale ne costituisce lo sfondo, dove una "veduta incorniciata" tra fronde di alberi richiama molto da vicino la produzione della scuola di Fontainebleau e soprattutto le inserzioni paesistiche all'interno dei soggetti tratti dalla galleria di Francesco I, eseguite da Antonio Fantuzzi nei primi anni Quaranta.
All'Ercole fece seguito, dopo un periodo non documentato, a eccezione di un atto notarile del 1569 (The engravings, p. 19), un'incisione del 1574 ancora da un soggetto di Giulio: Amore e Psiche, dall'affresco nella sala di Psiche al Te.
Intorno agli anni 1574-75 è possibile ipotizzare un soggiorno romano del G.: due suoi rami vennero pubblicati presso la bottega di Lafreri, ed è possibile ricondurne altri tre a questa committenza, anche se non portano il suo indirizzo. Di formato pressoché identico, presentano tutti uno spazio bianco in basso, in tre casi occupato da versi latini a carattere devozionale: dovevano perciò costituire una serie omogenea. Due di essi derivano da opere celeberrime e romane: la Madonna di Loreto di Raffaello, allora nella cappella Della Rovere in S. Maria del Popolo; il Matrimonio mistico di s. Caterina di Antonio Allegri, detto il Correggio, oggi a Napoli, nel Museo nazionale di Capodimonte, dipinto forse a Roma tra il 1515 e il 1518, al quale il G. aggiunse il paesaggio sullo sfondo dove ritornano echi nordici. Le altre tre stampe sono, anche nella scelta iconografica, più didascaliche: nell'Incoronazione della Vergine l'episodio centrale è circondato da una cornice di piccoli riquadri con scene della Vita di Maria, un modello forse desunto dal fratello Teodoro (The engravings, p. 176); analogamente sono pensati sia la Vergine dei dolori sia l'Uomo dei dolori, dove alcuni elementi delle architetture urbane sullo sfondo richiamano le vedute a stampa di Mantova (Salsi, 1991, p. 8). Da riferire ancora a questo presunto soggiorno a Roma, o comunque a un mercato romano, è la riproduzione dell'Ercole Farnese, unica scultura classica incisa dal Ghisi.
Le sue ultime commissioni furono però mantovane, e per i Gonzaga. Presso la corte fu al servizio forse già dal 1574, quando alcuni "camerini" al Te risultano a lui riservati (Belluzzi, p. 67); e con certezza dal 1576, anno in cui venne confermata al G. e al fratello la casa in contrada del Cigno, assegnata dallo Spedale al padre quarant'anni prima (D'Arco, 1857, pp. 138 s.). Nel 1576 venne pubblicata la Trinità, dove il G., che si dichiarava per la prima volta "inventor", rielaborò l'iconografia del Trono di Grazia di ascendenza düreriana. L'iscrizione dedicatoria, che riferisce l'incisione al duca Guglielmo Gonzaga e al monumento - la chiesa palatina di S. Barbara - da lui eretto, l'avvicina, per intenti e per cronologie, a una serie omogenea di quattro lastre realizzata dal G. per illustrare il Messale di S. Barbara, pubblicato nel 1583.
Si tratta dell'Adorazione dei pastori, simile all'analogo soggetto eseguito da G. Mazzola Bedoli per la vicina San Benedetto Po, e oggi al Louvre; della Crocifissione con la Madonna, Maddalena e Giovanni Evangelista, forse da un disegno di Teodoro (The engravings, p. 199), contigua alla Crocifissione con angeli, autonoma realizzazione del G., benché si sia a volte attribuito il soggetto a F. Ghisoni (Bellini, 1986, p. 47); della Resurrezione, da un'evidente, benché remota, matrice giuliesca; del Martirio di s. Barbara, per la quale si è indicata la fonte nella pala di F. Brusasorci dell'altare maggiore di S. Barbara, anche se le affinità risultano di gran lunga minori delle differenze (Id., 1998, pp. 271-273).
Il Riposo durante la fuga in Egitto del 1578 è l'ultima incisione datata del G., tratta, ancora con un'autonoma veduta che si apre nel fondale, da un dipinto realizzato da Giulio Campi per la chiesa di S. Paolo Converso a Milano, con la probabile mediazione di un disegno, pure del Campi, oggi al Louvre (Id., 1986, pp. 46 s.).
Nell'ottobre del 1581 il G. risulta stipendiato dalla corte di Mantova come ricamatore (Bertolotti). Di tale incarico fanno eco le sue lettere, scritte tra il 1578 e il 1582, conservate nell'Archivio di Stato di Mantova (Bellini, 1998, pp. 312-317), nelle quali si accenna a un'ulteriore attività del G. presso la corte, quella di sovrintendente della guardaroba ducale e disegnatore di gioielli. Il registro conservato presso l'Archivio di Stato di Mantova sul quale il G. annotò dal 1577 al 1582 i gioielli dei Gonzaga, non solo conferma questo ruolo, ma ci restituisce gli unici disegni - di gioielli, appunto - sicuramente riferibili all'artista (Splendours…, p. 223).
Il G. morì a Mantova, senza figli, il 15 dic. 1582 dopo una breve malattia (Bellini, 1979, p. 123). Al fratello Teodoro spettò di restituire alla cognata, Lucia Nicolini, la dote (D'Arco, 1857, p. 267).
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