COSTA (Costa di Trinità), Giorgio Maria
Nacque intorno al 1515 nel feudo della Trinità (Cuneo), da Luigi Antonio e da Bona Villa, dei signori di Villastellone. La famiglia risulta originaria di Chieri e nel primo Quattrocento, con Ludovico (Luigi), consigliere di Amedeo VIII, aveva raggiunto la nobiltà e le cariche. Nel 1528, alla morte del padre, il C. si trovò ad affrontare, con i due fratelli Giovanni Francesco e Giovanni Luigi, i difficili anni delle guerre in Piemonte tra la Francia e la Spagna. I primi dati certi lo indicano paggio in corte cesarea, senza alcun riferimento cronologico.
Assai probabilmente fece parte non già del seguito di Emanuele Filiberto presso Carlo V nel 1544-46, bensì di quello del primogenito di Carlo II, Ludovico, principe di Piemonte morto a Madrid il 25 dic. 1536: sembra confermarlo la presenza presso la corte del principe di Piemonte di Giovanni Francesco Costa, conte d'Arignano, zio del giovane paggio.
Tornato in Piemonte nel 1537, il C. - secondo il Claretta all'età di ventidue anni, secondo altri di diciotto - assoldò a proprie spese trenta lance spezzate e duecento fanti, schierandosi con il duca Carlo II e l'Impero.
Anche se ricordate da numerosi autori, le imprese del C., fino al ritorno definitivo di Emanuele Filiberto in Piemonte nel 1559, difficilmente riescono a caratterizzare con precisione il personaggio e ad illuminare i motivi che lo spinsero verso l'Impero e i Savoia. Tuttavia alcune osservazioni sono possibili. Il C. non apparteneva ad una grande famiglia feudale come quelle dei Provana, Valperga, Challant, Lullin, Luserna, Solaro, per le quali erano assai stretti i legami con la casa ducale. Anche dal lato militare non esistevano tradizioni familiari di servizio con casa Savoia perché fu il C. il primo di una lunga schiera di generali e militari. Ma mentre il fratello Giovanni Luigi si schierò con la madre al servizio di Francesco I, il C., probabilmente per i legami avuti a Madrid e a corte, scelse la casa ducale, obbedendo a sentimenti e vincoli di fedeltà cavalleresca, come egli stesso ebbe a scrivere, ricordando le imprese di un assai più celebre savoiardo, morto nelle guerre di Piemonte nel 1524, Pietro du Terrail, signore di Bayard.
In ogni caso già nel 1544 il C. ricevette i primi riconoscimenti da Carlo II di Savoia, con la donazione per un anno dei redditi di Busca, e dallo stesso Carlo V, che gli assegnò da Bruxelles una pensione annua di 200 scudi d'oro per i suoi meriti nella campagna contro i Francesi. Dallo stesso imperatore, per i soccorsi portati audacemente nell'assediata Carignano, gli fu concesso di fregiarsi dell'impresa della "Fenice".
Negli anni seguenti il C. corse buona parte del Piemonte, passando da un assedio a un altro, da una scaramuccia a un assalto, preferendo sempre l'impiego limitato di uomini e mezzi in attacchi a sorpresa, assalti o difese di castelli o città assediate. In tali imprese fu sempre vincitore, come nella difesa di Fossano della quale era stato nominato governatore, e che difese in tutti quegli anni contro il Brissac. Così nelle cronache del tempo il suo nome è sempre ricorrente: nel 1542 partecipò alla presa di Cherasco; nel 1544 il suo castello della Trinità è assediato e preso in sua assenza dal fratello e dalla madre filofrancesi; a sua volta egli conquista Bene, feudo del fratello. Negli anni seguenti è con il marchese del Vasto a Carignano, a Saluzzo col Gonzaga, a Cuneo di nuovo col del Vasto nel 1557. Tenendo sempre Fossano, opera incursioni in tutto il territorio vicino.
Ormai, assieme al conte di Challant e al conte Valperga di Masino, è l'uomo di fiducia del giovane duca Emanuele Filiberto in Piemonte. Tanto che il Brissac tenta di guadagnarlo alla causa francese.
Lo stesso Enrico II scrisse una lettera di suo pugno al C., assicurandogli una pensione di 12.000 lire, 50.000 scudi, il comando di un corpo francese e l'investitura della città di Fossano. Il C. tuttavia informò subito il duca dell'offerta, tergiversò nelle trattative per guadagnar tempo, infine, rompendo ogni indugio, fece impiccare lo sventurato emissario piemontese del Brissac, un borghese di Savigliano chiamato Sereno.
Nel 1558, sempre da Fossano, partecipò attivamente alla difesa di Cuneo, tenuta dal conte Manfredi di Luserna e assediata in forze dal Brissac.
In attesa dell'arrivo del marchese di Pescara e degli aiuti di Milano, il C. riuscì a far entrare in città una compagnia inviata da Fossano, agli ordini del capitano Giordano Menicone. Sollecitato l'arrivo del marchese di Pescara, il 25 giugno egli lasciò Fossano e si accostò a Cuneo con 300 cavalieri e 2.000 fanti, contro i 6.000 francesi del Brissac. Dopo un primo scontro e un ultimo vano assalto alle mura della città, il Brissac, saputo dello arrivo del marchese di Pescara a Fossano, abbandonò l'assedio e il C. entrò per primo nella città liberata.
L'attività militare del C. proseguì ancora nei due ultimi anni di guerra, fino al ritorno di Emanuele Filiberto. Nell'inverno del 1557-58 difese sempre Fossano, che doveva mantenere due compagnie di tedeschi e tre compagnie italiane. Nel gennaio del 1558 scrisse al duca lamentando il contegno del conte Valperga di Masino nei suoi confronti, "ritenendosi i Valperga venire dal re Arduino et havendo molti castelli...", e l'episodio è sintomatico della rivalità fra due famiglie di origine diversa e della rapida e ormai consolidata ascesa del Costa. Con la pace di Cateau-Cambrésis e il ritorno di Emanuele Filiberto, la fortuna del C. era ormai solidissima. Ai pochi nobili rimasti fedeli a casa Savoia andavano infatti i riconoscimenti e le ricompense del duca. Già il 1º sett. 1556 il C. aveva ottenuto l'erezione in comitato del feudo della Trinità. Quindi, con patenti 1º dic. 1559, da Nizza venne nominato "consigliere segretario di Stato" e con patenti 27 maggio 1560 "generale maestro di campo delle Milizie dette Ordinamenti ducali". Pochi giorni dopo era incaricato dal duca di condurre le trattative con gli Stati generali, convocati a Racconigi, per stabilire l'aumento della gabella del sale. Infine il 13 ott. 1560 fu nominato "capitano generale dell'impresa contro i Valdesi".
La storiografia sull'argomento, tutta valdese, lascia poco spazio a giudizi obbiettivi sul Costa. In realtà il suo compito non era né facile né gradito. Ad un uomo d'arme della sua esperienza e del suo nome un successo ottenuto su valligiani più o meno indifesi, con una campagna di distruzione, avrebbe portato poco prestigio e un insuccesso sarebbe stato ancor più grave. Egli stesso scrisse al duca in proposito assai chiaramente: "... et se Ella vorrà ch'io pigli la croce in spalle questo... per amor di Dio et per far servitio di V. A. lo farò, et se vol medesimamente ch'io li scacci, et che ne lasci campar ben pochi, lo farò...". I primi successi e l'occupazione delle valli del Pellice e dell'Angrogna indussero il C. ad un fallace ottimismo, tanto da licenziare buona parte del suo piccolo esercito. Agì all'inizio con grande moderazione e scrisse al duca che, "se V. A. vol guadagnare queste anime a Dio, bisognerà haver un poco di patientia et che i soi ministri si affatichino... con prediche et buone dottrine". Ben presto tuttavia, per la resistenza dei valdesi sulle montagne e la guerriglia da essi praticata contro il C., la situazione degenerò in violenze gravissime. Deluso per gli scarsi mezzi e per la fiera resistenza dei valligiani, il C. giunse a proporre al duca la guerra di sterminio. Nel maggio 1561 scriveva infatti ad Emanuele Filiberto che l'unico mezzo per risolvere il conflitto era quello di vendere ai Genovesi "le donne e i putti... al remo i gagliardi et i vecchi penderli agli alberi" (in Comba). Tuttavia a corte i tentativi di moderazione e di mediazione sia dei consiglieri ducali, quali il conte Manfredi di Luserna e Filippo di Racconigi, sia soprattutto della stessa duchessa Margherita spostarono i termini del conflitto. Già nell'aprile il duca scriveva al C. consigliando moderazione. Nel maggio i valdesi si rivolsero, su consiglio del Racconigi, direttamente al duca. Con il pretesto di una grave malattia il C. abbandonò il comando e si ritirò per qualche giorno nel castello della Trinità. Il 5 giugno dopo lunghe e minuziose trattative a Cavour fu firmato l'accordo fra i rappresentanti ducali e quelli dei valdesi. Questi ottennero piena amnistia e, nelle valli, piena libertà di culto, estesa anche al culto cattolico; fuori dalle valli, libertà di coscienza, non di culto.
Come il C. aveva inizialmente previsto, l'incarico gli aveva attirato più disgrazie che altro. A corte l'insuccesso militare fu attribuito da alcuni a sua incapacità. Ma il duca stesso aveva ben compreso che la semplice repressione militare era destinata in quelle condizioni ad un misero fallimento. Ed infatti la stima e la considerazione del duca verso il C. continuarono negli anni seguenti. Tanto che nel novembre del 1562 Emanuele Filiberto, per onorare degnamente i lunghi anni di guerra del C. a difesa delle armi ducali e imperiali, volle designarlo "commissario per ricevere la restituzione delle piazze occupate dal re di Francia", piazze che il C. ricevette dal suo antico avversario, il maresciallo Charles Cossé de Brissac. L'ultimo incarico di prestigio affidatogli dal duca di Savoia, pochi anni più tardi, si rivelò tuttavia una scelta poco felice.
Il 12 maggio 1566 il duca nominò il C. ambasciatore a Roma presso il neo eletto Pio V, a prestare l'obbedienza del duca al nuovo pontefice. Nelle istruzioni particolari al C. il duca, inoltre, sollecitava presso il pontefice il rinnovo dell'investitura del contado di Crevacuore, feudo pontificio, un aiuto per l'arruolamento di 1.000 fanti e 100 cavalieri in caso di guerra contro Ginevra, e l'erezione in vescovado della città di Fossano per il protonotario Porporato. Ma Pio V, ricevuto il C., gli chiese se riconoscesse in lui il priore del convento dei domenicani di Bosco, da lui minacciato anni prima, al tempo delle guerre del Piemonte. E alla confusione del C., non perse l'occasione per affermare che un cavaliere "tanto ha di valore quanto ha di pietà". L'episodio sembra corrispondere al carattere dei due personaggi, e in particolare di Pio V, ma l'insuccesso della missione del C., che ottenne solo il rinnovo dell'investitura di Crevacuore fu dovuto essenzialmente al fatto che per la richiesta riguardante Fossano il pontefice rinviò ogni decisione alle congregazioni dei cardinali. Tali affari quindi vennero affidati all'ambasciatore ordinario, l'abate di S. Solutore e al cardinal Bobba.
Rientrato in Piemonte il C. morì poco dopo, l'8 nov. 1568, a Torino.
Aveva sposato Luciana di Girolamo Roero di Sommariva e Pralormo e aveva avuto quattro figli. Girolamo Ferriolo, che divenne consigliere di Carlo Emanuele I; Bona, moglie di G. Michele Cacherano d'Envie; Giovanni Paolo, cavaliere dell'Ordine di Santiago; Adriana, moglie di Giorgio Challant di Châtillon. Ancora nel 1576 Filippo II, in riconoscimento dei servizi resi dal C., assegnava una pensione di 500 scudi d'oro alla vedova Luciana, e nel 1584, al figlio Giovanni Paolo, l'Ordine di Santiago.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Protocolli ducali, n. 182, f. 213; n. 223 b, ff. 170, 297; n. 224 b, ff. 227, 236; n. 226, f. 163; Ibid., Lettere principi, Carlo III, 4, f. 3, n. 342; Emanuele Filiberto, m. 8, f. 8, 1560; Ibid., Lettere particolari, C, n. 104; Ibid., Arch. Costa di Polonghera (già Costa della Trinità), m. 6; Ibid., Camerale, patenti controllo finanze, 1543-45, f. 19; 1565, f. 32; Ibid., Sez. riunite: G. Claretta, Diz. biogr. genealogico del Piemonte, sub voce;Torino, Biblioteca Reale, Mss. Varia 549, pp. 1688 ss., 1691 ss.; Ibid., Misc. 140, nn. 11-12, 65-66; Torino, Bibl. naz., A. Manno, Il Patriziato subalpino (datt.), III, 8, pp. 329 s.; A. Buccius, Ad Pium V pont. max. Oratio pro Em. Philiberto Sabaudiae Duce Romae in publico Concistorio habita Georgio Costa Trinitatis comite oboedientiam praestante, Romae 1566; A. De Saluces, Histoire militaire du Piémont, II, Turin 1818, pp. 87, 240 s., 295 s., 298-303, 305; F. Bovin de Villarg, Mémoires, VII, Paris 1822, pp. 5, 42, 50; G.Cambiano di Ruffia, Historico discorso, in Monumenta Historiae Patriae, III, Scriptorum, I, Augustae Taurinorum 1840, coll. 1602, 1076, 1092, 1118, 1127, 1132, 1147; Santacrucii cardinalis Prosperi de vita atque rebus gestis ab a. MDXIV ad a. MDLXVII, a c. di G.B. Adriani, in Miscell. di storia ital., s. 1, V, Torino 1868, pp. 632, 634, 638, 664, 685 s.; Cento lettere concernenti la storia del Piemonte dal 1544 al 1592, a c. di V. Promis, ibid., p. 573; G.Claretta, La successione di Emanuele Filiberto al trono sabaudo, Torino 1884, pp. 114-117, 148, 150 s., 198 s., 266 ss., 279, 281, 287 ss. e passim; E. Comba, La campagna del conte della Trinità narrata da lui medesimo, in Bull. de la Soc. d'hist. vaudoise, 1904 (XXI), passim; A. Dutto, Le relazioni dell'assedio di Cuneo del 1557, in Miscell. di storia italiana, LI, Torino 1905, pp. 92 s., 100 s.; S. Lentulo, Historia delle grandi e crudeli persecuzioni... contro il popolo che chiamano Valdese, a cura di T. Gay, Torre Pellice 1906, pp. 51-125; I. Jalla, Histoire des Vaudois des Alpes et de leurs colonies, Pignerol 1906, pp. 90-101; Emanuele Filiberto, Miscell., Torino 1928, I, p. 154; II, p. 174; A. Segre, Emanuele Filiberto, I, Torino 1928, pp. 65, 106, 143 s., 155; P. Egidi, Emanuele Filiberto, II, Torino 1928, pp. 61 s., 65 s.; J. Gelli, Divise, motti e imprese di famiglie e personaggi ital., Milano 1928, p. 210; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni", I, Milano 1936, p. 198; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1942, p. 33; R. De Simone, Tre anni decisivi di storia valdese, in Analecta Gregoriana, XCVII (1958), pp. 125 s.; A. Pascal, Fonti e docum. per la storia della campagna militare contro i valdesi negli anni 1560-61, in Boll. d. Soc. di studi valdesi, LXXXI (1961), pp. 57 s., 61 ss., 68 ss., 71, 74, 83 ss., L. Marini, Libertàe privilegio. Dalla Savoia al Monferrato da Amedeo VIII a Carlo Emanuele I, Bologna 1972, pp. 55 s.