PINI, Giorgio
PINI, Giorgio. – Nacque a Bologna, secondo di quattro figli, il 1° febbraio 1899 da Pellegrino (piccolo proprietario terriero e impiegato contabile) e da Elvira Bravi.
A Bologna trascorse la giovinezza e l’adolescenza, studiando al liceo Luigi Galvani. Chiamato alle armi all’inizio del 1917, fu prima assegnato al 3° Reggimento Genio telegrafisti, presso Verona, poi destinato al XCV Battaglione territoriale di stanza a Rovigo, infine avviato alla caserma Cernaia di Torino per frequentare il corso allievi ufficiali. In seguito, come altri ‘ragazzi del ‘99’, fu inviato al fronte con il 4° Reggimento Genio pontieri, dove seppe guadagnarsi – pur trovandosi spesso a operare nelle retrovie – una medaglia d’argento al valor militare.
Dopo la fine del conflitto si iscrisse, senza troppo entusiasmo, alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bologna come ufficiale-studente. Dopo essersi congedato, il 9 agosto 1920 con il grado di tenente, si avvicinò al movimento fascista. Nel novembre 1920 si iscrisse al Fascio di Bologna e l’anno successivo iniziarono le sue collaborazioni al settimanale L’Assalto, di cui divenne in poco tempo il principale animatore e, dall’estate 1924, direttore.
Nel frattempo, dopo avere conseguito la laurea, nel 1921 aveva sposato Imelda Manaresi (nata a Castel Guelfo di Bologna il 26 settembre 1900), da cui ebbe cinque figli (cfr. la sua autobiografia, Ragazzo del ’99).
All’indomani della marcia su Roma (28 ottobre 1922) fu tra i fascisti ‘critici’ che intendevano attribuire al movimento, ormai asceso alla guida del Paese, caratteri rivoluzionari e antiborghesi, posizioni che Pini manifestò da quel momento in poi anche sulle pagine delle riviste a cui avrebbe collaborato: da Critica fascista a Il Bargello di Alessandro Pavolini, a Gerarchia.
Un prima svolta nella sua vita professionale avvenne il 28 gennaio 1926, quando – mentre collaborava con note politiche all’edizione serale de il Resto del Carlino – Arnaldo Mussolini gli propose di approdare a Il Popolo d’Italia, firmando articoli politici di prima pagina. Quello stesso anno uscì per l’editore Cappelli una sua biografia di Benito Mussolini, che avrebbe raccolto lungo tutto il ventennio un notevole successo di pubblico (ben diciannove edizioni tra il 1926 e il 1942).
Nel maggio 1928 fu nominato, col favore di Benito e di Arnaldo Mussolini, direttore de il Resto del Carlino. Presto osteggiato dal ras bolognese Leandro Arpinati, che si era opposto sin dall’inizio alla sua promozione, fu costretto ad abbandonare quell’incarico nel marzo 1930. Riprese allora la collaborazione con il Popolo d’Italia, fino a quando, il 24 marzo, fu nominato direttore di un quotidiano minore: il Giornale di Genova (il terzo, per tirature, del capoluogo ligure). Rivestì quell’incarico sino al 1° ottobre 1936, chiamato prima a dirigere il Gazzettino di Venezia e poi, dal dicembre, al ruolo di caporedattore de Il Popolo d’Italia (ma di fatto direttore, stante il ruolo solo formale rivestito dal giovane e inesperto Vito Mussolini, figlio di Arnaldo). La missione affidatagli dallo stesso Benito Mussolini fu rilanciare e vivacizzare il giornale, cosa che Pini seppe fare con discreti risultati.
Persa, nel gennaio 1940, la moglie trentanovenne, con lo scoppio della guerra Pini decise di partire come volontario, nonostante avesse diritto all’esenzione, come vedovo e padre di famiglia. Nel dicembre 1940 fu inviato a Bengasi e destinato al Servizio informazioni militari del XX Corpo d’armata. Vi rimase per sei mesi circa, fino a quando decise di rientrare al suo giornale, da cui visse, ancora come caporedattore, la prima caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943.
Dopo l’8 settembre decise di seguire Mussolini anche nella effimera e travagliata esperienza della Repubblica sociale italiana (RSI). Gli venne prima nuovamente affidata la direzione de il Resto del Carlino e poi, nell’ottobre 1944, il sottosegretariato all’Interno con il compito, nemmeno troppo velato, di contenere il potere del potente titolare del dicastero, Guido Buffarini Guidi.
Nella RSI Pini espresse nel complesso posizioni moderate, convinto dell’esigenza di una riconciliazione tra italiani e della necessità di avviare un processo di riforme (che doveva passare anche per una certa liberalizzazione del ruolo della stampa) capaci di riportare il fascismo alla purezza delle origini. Posizioni, queste, che finirono per costargli i richiami di vari fascisti intransigenti.
Dopo la Liberazione Pini fu arrestato, il 30 aprile 1945, e giudicato dalla Corte d’assise di Bologna per il suo ruolo di membro del governo della RSI e di direttore di quotidiano. Condannato a sei anni e otto mesi, fu tuttavia presto amnistiato. Da quel momento svolse, come altri reduci della RSI, lavori saltuari, divenendo collaboratore di varie testate di area neofascista, come Rivolta ideale, la Gazzetta per i lavoratori, L’Italia che scrive, Meridiano d’Italia, Roma, Il Tempo di Milano, Nazionalismo sociale, Lotta politica di Augusto de Marsanich e l’Ultima crociata (organo dell’Associazione famiglie caduti e dispersi della RSI). Il 26 dicembre 1946 fu tra i fondatori del Movimento sociale italiano (MSI), di cui fu membro del Comitato centrale sino al II Congresso nazionale, del giugno 1949. Collocato su posizioni terzaforziste e antiatlantiche, peculiari della cosiddetta sinistra nazionale, divenne poi irrimediabilmente critico verso un movimento «sempre più scarocciante a destra, sempre più vicino ai monarchici e filoamericano» (Ragazzo del ’99, VII, p. 219).
Nuovamente arrestato, il 12 maggio 1947, e condannato a un anno di confino, a ottobre fu rilasciato con l’obbligo di non risiedere a Roma. Collaboratore dell’agenzia di informazioni International new service (di Bruno Bacci e Michael Chinigo), fu l’anno successivo autore di un fortunato ritratto della vedova di Mussolini, Rachele Guidi, dal titolo La mia vita con Benito, edito da Mondadori.
Pini fu, inoltre, membro della Direzione nazionale della Federazione combattenti della RSI, di cui fu poi presidente, e collaboratore – dalla fine degli anni Quaranta al 1963 – dell’editore Cappelli di Bologna.
Riammesso il 27 luglio 1951 all’albo dei giornalisti, dopo avere ufficializzato nel 1952 le sue dimissioni da tutte le cariche interne al MSI, fu – con l’appoggio del Meridiano d’Italia di Franco Servello – tra gli organizzatori del gruppo dei dissidenti che si opponevano alle deviazioni conservatrici della maggioranza. Quando anche Servello decise di riallinearsi alle posizioni prevalenti nel movimento, decise di staccarsi definitivamente dal MSI e di fondare con altri il Raggruppamento sociale repubblicano, nell’agosto del 1952.
Collaboratore dell’Asso di spade e – con lo pseudonimo Giorgio Lombardo – del Pensiero nazionale di Stanis Ruinas, fu in seguito collaboratore della terza pagina del Carlino Sera, del settimanale Oggi di Emilio Radius e della rivista L’Orologio di Luciano Lucci Chiarissi, riconducibile alla ‘sinistra nazionale’.
Morì a Bologna il 30 marzo 1987.
Opere. Le legioni bolognesi in armi, Bologna 1923; Benito Mussolini. La sua vita fino ad oggi, dalla strada al potere, Bologna 1926; Storia del fascismo. Guerra, Rivoluzione, Regime, Roma 1928; La civiltà di Mussolini fra l’oriente e l’occidente, Roma 1930; Vita di Umberto Cagni, Milano 1937; Il covo di via Paolo da Cannobio, Milano 1939; Filo diretto con Palazzo Venezia, Bologna 1950; Itinerario tragico, Milano 1950; Mussolini, l’uomo e l’opera, I-IV, Firenze 1953-55 (con Duilio Susmel).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Carte Pini (il fondo conserva, oltre alle lettere e ad altri documenti riferibili a Pini, l’autobiografia inedita in otto volumi dattiloscritti, Ragazzo del ’99).
I quotidiani della Repubblica sociale italiana, a cura di V. Paolucci, Urbino 1987, ad ind.; P. Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento sociale italiano, Bologna 1989, passim; A. Malfitano, Giornalismo fascista. G. P. alla guida del Popolo d’Italia, in Italia contemporanea, 1995, n. 199, pp. 270-295; G. Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna 2000, ad ind.; Id., Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia 1943-1948, Bologna 2006, ad ind.; E. Cassina Wolff, L’inchiostro dei vinti. Stampa e ideologia neofascista 1945-1953, Milano 2012, ad indicem.