GIOTTINO
(o Giotto di maestro Stefano)
Nome tradizionale, documentato solo a partire dal sec. 15°, del pittore Giotto di maestro Stefano ricordato in due documenti trecenteschi: nel 1368 "Giotto di maestro Stefano dipintore" compare nei capitoli e ordinamenti della Compagnia di s. Luca dell'arte dei dipintori di Firenze (Firenze, Arch. di Stato, Accademia del disegno, già Compagnia dei pittori, I, c. 9r; Memorie originali, 1845) e nel 1369 "Giotto di maestro Stefano de Florentia" veniva pagato insieme a Giovanni da Milano, Giovanni e Agnolo Gaddi per affreschi, ora perduti, in due cappelle della basilica di S. Pietro in Vaticano, commissionati da Urbano V (Crowe, Cavalcaselle, 1883). Impossibile perché inverificabile è l'identificazione di G. con "Giotto pittore" ricordato nei registri dell'Opera del Duomo di Pisa nel 1368 per aver eseguito due scrigni dipinti pagati settanta fiorini (Pisa, Arch. dell'Opera della primaziale pisana, Libri d'entrata e d'uscita, 31; Bonaini, 1846).Di G. tacciono Villani, Ghiberti e Gelli, che ricordano invece Maso di Banco e Stefano; lo menziona per primo il Libro di Antonio Billi (1481-1530) offrendo una lista delle sue opere: tabernacolo in Santo Spirito, affreschi nelle chiese di Ognissanti e degli Eremiti (convento degli Armeni, in via S. Gallo) a Firenze, tabernacolo a Ponte a Romito, nel Valdarno, e affreschi all'Aracoeli e in S. Giovanni a Roma. Complessi problemi di attribuzione di opere e di identificazione anagrafica iniziano con Vasari, che fornisce circostanziate notizie sulla personalità, sullo stile e sull'attività di Stefano, discepolo di Giotto, di Tommaso detto G., figlio di Stefano, e di Puccio Capanna, collaboratore del maestro a Firenze e ad Assisi.Nella vita di Tommaso detto G., Vasari con un giudizio di grande valore discriminante e qualificante individua, all'interno della pittura fiorentina del Trecento (la maniera moderna risuscitata da Giotto), tre stili o tendenze nettamente caratterizzate. La terza e ultima tendenza riguarda coloro che "dipingendo unitamente e con abagliare i colori, ribattendo a' suoi luoghi i lumi e l'ombre delle figure, meritano grandissima lode e mostrano con bella destrezza d'animo i discorsi dell'intelletto, come con dolce maniera mostrò sempre nell'opere sue Tommaso di Stefano detto Giottino" (Le Vite, II, 1967, p. 229). È proprio questa variante stilistica della "maniera dolcissima e tanto unita" che secondo Vasari accomuna la pittura di Stefano a quella di G. (ivi, p. 136). Tale tendenza così bene evidenziata da Vasari è stata usata come cifra distintiva e come chiave interpretativa dagli studi moderni per ricostruire la poetica e le risoluzioni formali di artisti legati a un'unica radice: una peculiare declinazione dell'arte di Giotto. Vasari ascrive a G. numerose opere: insieme a molti affreschi nelle chiese di Firenze, Roma e Assisi, anche le due concordemente riconosciutegli dalla critica moderna. Di queste offre una lettura attenta e di rara penetrazione critica: G. lavorò a fresco sulla piazza dello Spirito Santo a Firenze "quel tabernacolo che ancora vi si vede con la Nostra Donna et altri santi dattorno, che tirano e nelle teste e nelle altre parti forte alla maniera moderna, perché cercò variare e cangiare le carnagioni et accompagnare nella varietà de' colori e ne' panni con grazia e giudizio tutte le figure" (ivi, p. 231); "nella chiesa di San Romeo" fece una tavola "a tempera con tanta diligenza et amore che di suo non si è mai veduto in legno cosa meglio fatta. In questa [...] è un Cristo morto con le Marie intorno e Nicodemo, accompagnati da altre figure che con amaritudine et atti dolcissimi et affettuosi piangono quella morte, torcendosi con diversi gesti di mani e battendosi di maniera che nell'aria de' visi si dimostra assai chiaramente l'aspro dolore del costar tanto i peccati nostri: et è cosa maravigliosa a considerare non che egli penetrasse con l'ingegno a sì alta imaginazione, ma che la potesse tanto bene esprimere col pennello" (ivi, p. 234).Se Vasari può ritenersi il principale responsabile della confusione e della riunione delle figure di Stefano, di G. e di Maso di Banco (v.), a lui si devono fondanti notazioni critiche che, bene utilizzate dagli studiosi del Novecento, hanno permesso l'identificazione di questi artisti e l'individuazione delle loro opere all'interno di una stessa variante stilistica. Poco altro aggiunge la letteratura artistica posteriore al 'problema G.', a parte la notizia a conferma di quella vasariana, riportata da Baldinucci nel 1681, che G. era figlio di Stefano, il quale non solo fu discepolo di Giotto, ma anche nipote di questo, figlio di una sua figlia, Caterina, e del pittore Ricco di Lapo; G. quindi sarebbe pronipote di Giotto.La soluzione al groviglio critico delle fonti ha preso avvio dagli anni Venti di questo secolo. Longhi (1920; 1940) impostò per primo il problema dei rapporti tra la Toscana e la Lombardia rilevando l'affinità estetica tra Giovanni da Milano, la cui formazione spiega con l'influsso della corrente fiorentina extragiottesca, e G., cui ascrive, rileggendo con acribia il testo vasariano, non solo la Pietà di S. Remigio (Firenze, Uffizi) e il tabernacolo di Santo Spirito, ma anche l'Assunta del Camposanto di Pisa, gli affreschi del tiburio di Chiaravalle Milanese e la Crocifissione di Parigi (Louvre, inv. nr. 1556A). G. sarebbe dunque uno dei più dotati artisti che, intorno al 1360, operarono una profonda, cosciente diversificazione dall'arte di Giotto. Offner (1929) e Toesca (1951) portarono invece sostanziali contributi alla chiarificazione della figura artistica di Maso di Banco, il cui catalogo delle opere precisarono e distinsero da quello di Giottino. Coletti (1942), diversificando l'operosità di Maso, cui spettano gli affreschi con Storie di s. Silvestro a Santa Croce, da quella del Maestro della Pietà di S. Remigio, cioè G., ascrisse a lui la Crocifissione ad affresco in S. Gottardo a Milano, riaprendo il problema delle congiunture toscano-lombarde. Longhi (1951) diede corpo e consistenza alla figura fino a quel momento evanescente di Stefano Fiorentino e, interpretando Vasari, propose un catalogo coerente di dipinti e di affreschi ad Assisi, che peraltro recenti ritrovamenti documentari fanno ora rientrare nell'attività del pittore assisiate Puccio Capanna. Nell'opera di G. individuava il significato rivoluzionario della sensibilità cromatica e della sua variante stilistica nell'ambito della scuola di Giotto, come il contributo alla pittura dell'Italia settentrionale; a lui riconfermava l'Assunta del Camposanto di Pisa e gli affreschi di Chiaravalle Milanese, ora ritenuti di un anonimo lombardo di primo Trecento.Messe a fuoco così dalla critica le figure di Stefano e di Maso di Banco, è stato pertanto più agevole enucleare la personalità di G., cui al presente si riconoscono due sole opere: il tabernacolo di Santo Spirito e la Pietà di S. Remigio. Non sono mancate peraltro proposte di arricchimento dell'esiguo catalogo del pittore. Marcucci (1956) ha supposto che possa spettare alla sua attività giovanile un dipinto raffigurante l'Incoronazione della Vergine (Firenze, Mus. Naz. del Bargello, Coll. Carrand, inv. nr. 2009), ravvisandovi connessioni con la pittura di Stefano e di Maso di Banco e affinità stilistiche con l'affresco di Santo Spirito. Conti (I dintorni di Firenze, 1983) propone di assegnare a G., per l'affinità con il tabernacolo di Santo Spirito, una tavoletta, parte centrale di un piccolo altarolo portatile, raffigurante la Madonna con quattro santi e la Crocifissione (Careggi, convento delle Oblate), proveniente dall'Ospedale di S. Maria Nuova.Volpe (1980), in un saggio teso a illustrare le vicende della pittura dopo l'avvento di Giotto, più fondatamente riconosce all'artista, per la qualità del dipingere denso e sfumato, due teste di santi, frammenti di affresco staccati da S. Pancrazio a Firenze, datandoli al 1360 (Firenze, Ospedale degli Innocenti), in quella chiesa così ricordati da Vasari nella vita di G.: "un Cristo che porta la croce et alcuni Santi appresso, che hanno espressamente la maniera di Giotto" (Le Vite, II, 1967, p. 231).L'affresco staccato nel Settecento dal tabernacolo di piazza Santo Spirito e trasferito poi in via del Leone, dove fu riscoperto nel 1908 (Firenze, depositi della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici), che raffigura la Madonna con il Bambino tra i ss. Giovanni Battista e Benedetto e otto angeli, potrebbe datarsi al 1356, poiché tale data compariva su una lapide posta anticamente sopra il tabernacolo (Mostra di affreschi, 1957). In esso la calma e dilatata composizione e la disposizione spaziale e volumetrica si rifanno alla lezione di Giotto mediata attraverso Maso di Banco. La Pietà di S. Remigio, da datarsi un decennio più tardi, intorno al 1365, palesa uno squisito senso profano, un'acuta attenzione naturalistica, che si concreta nelle atteggiate e diversificate espressioni dei dolenti, e uno splendente tessuto cromatico di rara intensità luminosa; tali aspetti sono da porre in relazione con la pittura dell'Italia settentrionale e con Giovanni da Milano, con cui G. collaborò al termine della sua attività a Roma negli affreschi del Vaticano.Formatosi sulla fase matura di Giotto (la cappella della Maddalena e gli affreschi delle vele nella basilica inferiore di Assisi e la Dormitio Virginis, a Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.) come su Maso di Banco, G. partecipa con uno stile sperimentale e con intonazioni naturalistiche e cortesi, con Stefano e Maso, a quella "maniera dolcissima e tanto unita" che venne soppiantata dalla linea divergente e regressiva di Andrea Orcagna, destinata a informare totalmente la pittura fiorentina della seconda metà del Trecento.
Bibl.:
Fonti. - Filippo Villani, De origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis civibus, in G. Milanesi, Operette storiche edite ed inedite di Antonio Manetti, Firenze 1887; Lorenzo Ghiberti, I Commentarii, a cura di J. von Schlosser, Berlin 1912, I; Il libro di Antonio Billi, a cura di K. Frey, Berlin 1892, p. 72; G. Vasari, Le Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, pp. 621-630; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua, a cura di F. Ranalli, I, Firenze 1845⁵ p. 123.
Letteratura critica. - Memorie originali italiane riguardanti le Belle Arti, a cura di M. Gualandi, VI, Bologna 1845, p. 182; F. Bonaini, Memorie inedite intorno alla vita e ai dipinti di Francesco Traini, Pisa 1846, p. 63; J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, II, Firenze 1883, p. 103; J. von Schlosser, Das Giottinoproblem und die moderne Stilkritik, KJbWien 4, 1910, pp. 192-202; R. Longhi, Frammenti di Giusto da Padova, Pinacoteca 3, 1920, pp. 137-152 (rist. in id., Opere complete, IV, '' Me pinxit'' e quesiti caravaggeschi, Firenze 1968, pp. 7-20: 12); R. Offner, Four Panels a Fresco and a Problem, BurlM 54, 1929, pp. 224-245; R. Longhi, Fatti di Masolino e di Masaccio, CrArte 5, 1940, pp. 145-191: 180 n. 4 (rist. in id., Opere complete, VIII, Fatti di Masolino e di Masaccio e altri studi sul Quattrocento, Firenze 1975, pp. 3-65: 46); L. Coletti, Contributo al problema Maso-Giottino, Emporium 96, 1942, pp. 461-478; L. Lucignani, Il problema di Giottino nelle fonti, RivA 24, 1942, pp. 107-124; R. Longhi, Stefano Fiorentino, Paragone 2, 1951, 13, pp. 18-40 (rist. in id., Opere complete, VII, Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell'Italia Centrale, Firenze 1974, pp. 64-82); Toesca, Trecento, 1951, p. 632; L. Marcucci, Dipinti toscani del secolo XIV, Roma 1956, pp. 88-92; Mostra di affreschi staccati, cat., a cura di U. Procacci, Firenze 1957, p. 49; U. Procacci, La tavola di Giotto sull'altar maggiore della chiesa della Badia fiorentina, in Scritti di storia dell'arte in onore di Mario Salmi, II, Roma 1962, pp. 9-45: 30; M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, 1370-1400, Firenze 1975, pp. 40-42; C. Volpe, Il lungo percorso del 'dipingere dolcissimo e tanto unito', in Storia dell'arte italiana, V, Dal Medioevo al Quattrocento, Torino 1980, pp. 229-304; I dintorni di Firenze, a cura di A. Conti, Firenze 1983, p. 32.C. De Benedictis