CARLI, Giovan Girolamo
Nacque da famiglia di disagiate condizioni economiche ad Ancaiano (Siena) nel 1719. Scarse sono le notizie biografiche che riguardano la sua giovinezza. Sembra che il padre si decidesse a fargli intraprendere la via degli studi per sottrarlo alla grave indigenza in cui si trovava la famiglia. Così il giovane, dopo aver seguito i primi studi nella terra natale, si recò a Siena ove frequentò con straordinaria applicazione e profitto lo Studio cittadino. Ben presto dové provvedere alla sua definitiva sistemazione economica votandosi al sacerdozio. Intorno al 1740 si laureò a Siena in teologia; dopodiché si recò a Colle iniziandovi una decorosa carriera di insegnante di eloquenza.
L'applicazione alle sacre scritture e alle discipline connesse con l'esercizio sacerdotale non dovette comunque costituire l'unico oggetto di un sapere enciclopedico, che nel C., in perfetta corrispondenza con le più vive tendenze culturali dell'epoca, aspirava a includere le letterature classiche e quella in volgare, l'erudizione in materia sacra e profana, la storia patria e persino qualche nozione di matematica allo scopo di conferire una parvenza di rigore razionale al pensiero.
Con un simile bagaglio di notizie, il C. si trasferì a Gubbio, continuando l'insegnamento dell'eloquenza e stringendo una fitta trama di relazioni intellettuali con gli eruditi locali, fornendo notizie inedite sulla storia della città o partecipando alle riunioni letterarie, interessandosi di ricerche particolari sulle antichità della regione, leggendo e interpretando i classici, Nulla ci è stato conservato di questa attività alacre e forse meritoria, se si prescinde dalle annotazioni del C. alla dissertazione Dell'antichità dell'armi gentilizie (Lucca 1741) di Celso Cittadini.
Ma il soggiorno a Gubbio fu anche un periodo di aspre polemiche. Nella ondata di reazioni che l'ambiente toscano, capeggiato dal Lami, oppose all'insegnamento accademico di Giovanni Bianchi, dopo che questi decise di abbandonare la cattedra di anatomia a Siena e di far ritorno nella nativa Rimini, si segnalò anche il C. con un libello, che per asprezza di toni e per prolissità di argomenti, si segnala fra gli altri della pur folta schiera. Si tratta delle Scritture del dott. G. G. Carli sanese intorno a vario toscane e latine operette del sig. dott. Gio Paolo Simone Bianchi di Rimini che si fa chiamare Giano Planco. Tomo primo contenente la relazione di due operette composte dal sig. Planco in lode di se medesimo, Firenze 1749. Seguì la Scelta di elegie di Tibullo e Properzio tradotte in terza rima da Francesco Corsetti e annotate dal C., che uscirono a Venezia nel 1751. Il corredo di chiose ubbidisce più che altro a un criterio esplicativo e scolastico, ma non è raro imbattersi in qualche annotazione più ampia in cui l'autore si cimenta in richiami e raffronti con altri scrittori classici.
Per certi contrasti col vescovo di Gubbio il C. si allontanò dalla città umbra e fece ritorno a Siena, ove soggiornò per qualche tempo sempre con l'incarico dell'insegnamento dell'eloquenza, fino a quando si presentò all'erudito toscano un'occasione importante, essendo stato chiamato nel 1774 da Maria Teresa a Mantova in qualità di segretario della Regia Accademia di scienze, lettere e belle arti: incarico nel quale egli succedeva al Salandri. Se tuttavia si considera la sua produzione letteraria, bisogna convenire che essa fu esigua e scarsamente caratteristica, riducendosi a due dissertazioni, la prima Dell'impresa degli Argonauti e i posteriori fatti di Giasone e di Medea, la seconda Sopra un antico bassorilievo rappresentante la Medea di Euripide conservato nel Museo dell'Accademia di Mantova, entrambe stampate a Mantova nel 1785. Non si può neanche dire che queste dissertazioni rivelino motivi di originalità nel quadro del contemporaneo gusto neoclassico alimentato dall'archeologia, inserendosi piuttosto nel tradizionale ambito di interessi della cultura antiquaria assai viva nel Settecento al livello provinciale.
Non ci è rimasta testimonianza di altre opere edite durante il periodo mantovano del C., che morì nella città lombarda nel 1786. L'ufficio di segretario dell'Accademia mantovana fu ricoperto da Matteo Borsa che dettò del C. un elogio funebre ancora utile per qualche notizia biografica che se ne può dedurre.
Fonti e Bibl.: M. Borsa, L'Elogio dell'abate Don G. G. C. …, Mantova 1787; L. De Angelis, Biografia degli scrittori senesi, Siena 1824, p. 198; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri…, VI, Venezia 1838, pp. 381 ss.; F. Inghirami, Storia della Toscana, I, Fiesole 1843, p. 396; G. Natali, Il Settecento, Milano s.d., ad Indicem.