DURAZZO, Giovan Luca (Gian Luca)
Nacque a Genova nel 1628 (fu battezzato il 23 agosto), primogenito dei dieci figli di Gerolamo e di Maria Chiavari di Gian Luca, doge proprio in quell'anno (1627-29).
La famiglia del D., appartenente alla cosiddetta nobiltà "nuova", rappresenta nel corso del XVII secolo una delle punte più dinamiche dei ceti aristocratici emergenti. Infatti, tra fine Cinquecento e inizio Seicento, i Durazzo - insieme con i Balbi, i Saluzzo, i Moneglia - avevano cercato di legittimare la loro presenza al vertice della Repubblica anche attraverso nuove proposte politico-economiche, dal riarmo marittimo alla ripresa dei commerci alla diversificazione delle alleanze internazionali, in polemica con la logica assentista delle grandi famiglie gravitanti attomo alla Spagna e alla leadership dei Doria. La rapida ascesa dei Durazzo (arrivati a Genova come "seatieri" [setaioli] oriundi dall'Albania alla fine del XIV secolo, erano stati ascritti alla nobiltà nel 1528 nell'"albergo" Grimaldi e avevano avuto il primo doge, Giacomo, bisnonno del D., nel 1573) era stata favorita dall'abilità nel contemperare intraprendenza economica e moderatismo politico, e nell'uniformarsi rapidamente al sistema delle alleanze familiari e alla divisione-integrazione dei settori d'intervento sociale all'intemo della famiglia stessa. Il nonno del D., Agostino, lasciate al fratello Pietro e alla sua discendenza la carriera più specificatamente politica e le ambizioni ducali, si dimostrò dotato di uno spirito imprenditoriale e di una progettualità sociale maggiori, e li realizzò attraverso una politica matrimoniale e immobiliare di prestigio, nonché attraverso l'acquisto del titolo marchionale nel 1624 (grazie all'insolvenza del duca Ferdinando Gonzaga che gli cedette il feudo di Gabiano nel Monferrato). Dopo la morte di Agostino nel 1630, i due figli Giacomo Filippo e Gerolamo (il terzo, Marcello, mori nel 1632 senza discendenza) amministrarono il vasto patrimonio con la solidarietà loro raccomandata dal padre in punto di morte; ma mentre Giacomo Filippo spostò i suoi interessi sopra tutto sul collezionismo antiquario e sulle istituzioni assistenziali, il padre del D., Gerolamo, trasmise ai figli il gusto dell'intraprendenza economico-mercantile e l'insegnamento a proteggerla a livello politico.Cosi il D. appoggiò le operazioni commerciali del fratello Giovan Agostino attraverso la sua intelligente attività diplomatica internazionale nelle capitali, sedi dei grandi traffici (Londra e Parigi, ma anche Milano e Roma), nelle quali, oltre a svolgere gli uffici affidatigli dal governo, poteva ricavare, e fornire, le informazioni atte a garantire la sicurezza delle scelte.
Oltre a Giovan Agostino, il D. ebbe otto tra fratelli e sorelle: Eugenio (nato attorno al 1630, sposato a una Balbi, partecipe dell'operazione in Levante di Giovan Agostino, inviato a Milano nel 1693 e morto nel 1705), Giovan Domenico (morto non ancora trentenne nel 1676), Marcello (nato nel 1641, sposato ad un'altra Balbi, morto nel 1709), Tomasina, poi sposa di Giorgio Durazzo; Clarice e Maria, morte giovani e forse già monache, Giovan Stefano e Giovan Francesco, entrambi gesuiti.
L'ingresso del D. nella attività diplomatica coincise con il progetto della riapertura dei traffici in Levante. Tale progetto, accarezzato dai Durazzo e specialmente da Giovan Agostino, era stato condiviso in sede politica dalla nobilta antispagnola che, dai traffici orientali, si riprometteva il recupero dell'antica dimensione mercantile e il ridimensionamento della aristocrazia assentista. Giambattista Pallavicini nel 1656, come ministro residente a Parigi, aveva comunicato la disponibilità del Mazzarino ad appoggiare a corte la ripresa diplomatica e commerciale di Genova con l'Impero ottomano: perciò la Repubblica nel 1659 inviò il D. in Francia col duplice incarico di caldeggiare il progetto (si pensava a un consolato in Oriente, che consentisse la ripresa del commercio sulla base degli accordi stipulati un secolo prima da Francesco De Franchi, detto il Tortolino) e contemporaneamente di studiare il proposito di un'azione comune tra Genova e Venezia, allora impegnata nella guerra di Candia. Ma entrambi i disegni sul momento fallirono. Circa il primo, la morte del Mazzarino (nel 1661) riaccese l'ostilità francese al progetto, poiché Genova era giudicata sempre troppo filospagnola per accettarne la presenza in Levante; circa il secondo, i sospetti, le esitazioni, le pregiudiziali diplomatiche del governo genovese prima rallentarono e poi fecero fallire le possibilità di quell'unione per cui si erano tanto adoperati il D. e l'ambasciatore veneto a Parigi.
Mentre il fratello Giovan Agostino cercava e trovava altre strade per arrivare a Costantinopoli, il D., scaduto l'incarico triennale a Parigi, alla fine del 1661 veniva spostato a Londra come straordinario, per recare le congratulazioni ufficiali della Repubblica al restaurato Carlo II Stuart, e per ottenerne il riconoscimento di onoranze e titoli regi per il doge e i Collegi. Il D. arrivò a Londra il 12 sett. 1661 e, preparato opportunamente il terreno, il 20 genn. 1662, nell'udienza di presentazione delle credenziali, ottenne gli onori desiderati. Dopo l'udienza di congedo del 16 febbraio, riparti il 20 di quel mese.
Ma l'estensione e la profondità di giudizi che egli esprime nella sua relazione di inviato (si tratta, con quella di Giovan Andrea Spinola dalla Spagna, della relazione più ampia di tutto l'archivio genovese) lasciano supporre o una precedente lunga esperienza diretta della società inglese o una approfondita conoscenza ricavata da specifici studi storici, politici ed economici. Si tratta infatti di una vera monografia, nella quale sono esposte, con puntualità di informazione e sicurezza di giudizio le condizioni politiche, economiche, militari, religiose dell'Inghilterra, studiata nella situazione interna e nei rapporti internazionali. La relazione offre altri due motivi di grande interesse: fornisce informazioni sulle concezioni economico-politiche del D.; testimonia la realizzazione, o la preparazione, di nuovi estrosi progetti di colonizzazione genovese.
Quanto al primo punto, il D., pur ritenendo necessari migliori rapporti con l'Inghilterra, critica le proposte di ordine economico avanzate da Ugo Fieschi (precedente inviato a Londra e amico del Crornwell), sostenendo che, al di là delle seducenti apparenze, stretti legami commerciali con l'Inghilterra avrebbero danneggiato Genova, perché sproporzionatamente inferiore come forza marittimo-mercantile, essendo, secondo il D., "il principio di tutte le contrattazioni più lucrose posto nella reciproca indigenza"; e nel concreto, quand'anche Genova avesse incrementato la propria marina mercantile, "non sarà mai pari la necessità delle merci nostre in quel regno, quanto quella delle loro nel Mediterraneo". Il D. appoggiava le proprie teorie ad esempi pratici, negli opposti casi dei rapporti dell'Inghilterra con l'Olanda e col Portogallo, del quale ultimo prevedeva la rovina economica.Altrettanto acuto e previdente il D. si dimostra nei confronti di altri progetti che gli vengono proposti a Londra da privati, appoggiando solo quello dello Skynner.
Tommaso Skynner, suddito dell'Impero ma da molti anni residente in Inghilterra, aveva chiesto a Genova di porlo, mediante lettere patenti, sotto la sua protezione per un viaggio alle Indie orientali con due sue navi, per occuparvi un territorio e promuovervi il traffico. Il 10 dic. 1657 Genova gli aveva concesso le patenti ed egli, inalberando lo stendardo genovese - ambiguamente uguale a quello inglese - era approdato a Sumatra, dove aveva stipulato con un re dell'isola, quello di Jambi, un trattato per la concessione di privilegi commerciali e di un isolotto in pieno possesso: il tutto sotto nome della Repubblica.
Ora lo Skynner, tornato a Londra, riferiva al D. i risultati del viaggio, gli presentava le lettere originali del re orientale, nelle quali appariva il nome di Genova - particolare che il D. comunica al governo con commosso compiacimento - e si dichiarava pronto a subordinarsi alle prescrizioni della Repubblica, quando essa avesse deciso di assumere direttamente l'impresa. Purtroppo, non risulta che, nonostante l'appoggio del D., tale iniziativa abbia avuto ulteriore seguito.
Lo stesso avvenne per le trattative che il D. iniziò con un certo indiano di Cochin, che prometteva la scoperta di un nuovo fecondo traffico e di un vastissimo territorio fino allora sconosciuto agli Europei. Per contro il D. lasciò cadere due progetti di un cavaliere di Malta: l'acquisto di un'isola disabitata presso le coste dell'Africa e lo stabilimento di una colonia di greci in Corsica. Quest'ultimo progetto tuttavia, pur non venendo al momento accettato per poca fiducia verso il proponente, ebbe più tardi concreta attuazione con la fondazione della colonia di Paomia (1675).
Un'altra proposta fu avanzata al D. dal duca di York, il futuro Giacomo II, per mezzo del suo segretario. Costui, come cancelliere della Compagnia della Nuova Guinea (a cui erano interessati lo stesso re e varie personalità della corte) propose al D. la partecipazione dei Genovesi agli affari della Compagnia. Ma il D. che, assunte informazioni, aveva saputo di una cattiva amministrazione, interpretava l'invito come tentativo di coinvolgere gli ingenti capitali genovesi piuttosto che come autentica volontà di collaborazione.
Anche in altre situazioni simili il D. si mostra prevenuto nei confronti degli Inglesi, che ritiene costantemente motivati dal desiderio di sfruttare Genova come riserva di capitale; e certo su questo suo atteggiamento influiva l'interesse personale di appoggiare invece quella via per Istanbul, per la quale si stava adoperando con successo il fratello Giovan Agostino. Ed è interessante notare come alla Repubblica pervenissero quasi contemporaneamente due tra le più ampie relazioni di tutti i tempi: quella del D. piena di riserve sulle proposte inglesi e quella del fratello, con entusiasmanti descrizioni delle possibilità levantine. E che questo "gioco di squadra" della famiglia non fosse ignoto a livello internazionale sarà confermato nel 1665 dal ministro francese H. de Lionne che, alla notizia della ratifica dell'accordo genovese con l'Impero ottomano, esclamò che la sua nazione non intendeva perdere i propri traffici "per la soddisfazione della casa Durazzo". Ma bisogna riconoscere che, al di là degli indubitabili interessi personali e familiari, il principio che guida tutta la relazione del D. è politico: Londra progettava di penetrare nel Mediterraneo; Genova rischiava, assecondandola, di rimanerne schiacciata.
Dopo la prima missione londinese il D. fu ancora inviato straordinario a Milano, tra il novembre 1665 e il gennaio 1666, per occuparsi dei soliti conflitti doganali nel Finale. Mandato poi a Roma come inviato straordinario nel 1667, vi ritornò come ministro residente dal 1669 al 1671. In questa seconda circostanza, incurante della collera di Clemente IX e del S. Offizio, difese energicamente la piena sovranità della Repubblica nei confronti di un inquisitore, padre Passi, troppo intransigente ed invadente per la mentalità giurisdizionalista della classe di governo genovese.
Questo istintivo giurisdizionalismo non era certo in contraddizione, per il D. come per molti altri nobili, con le personali convinzioni religiose: e il D. forse aveva anche frequentato a Roma da giovane il collegio dei gesuiti. Certo, attorno al 1650, vi aveva più volte incontrato il cugino Ippolito, che amò come un fratello e che poi fu gesuita, e personalità culturali legate alla Curia vaticana (tra cui lo Sforza Pallavicino, con cui resterà a lungo in relazione epistolare). Né contraddiceva con le iniziative assistenziali che, tra l'altro, i Durazzo praticavano con particolare intensità e intelligenza. Il D., per suo conto, ebbe il merito di fondare, con lascito testamentario, il collegio per giovani nobili decaduti, che ebbe sede in palazzo attiguo a quello dei Durazzo in via Balbi, di fronte al collegio dei gesuiti, che i giovani erano obbligati a frequentare.
Il D. fu ancora inviato straordinario a Parigi tra il 1673 e il 1674. Mori, probabilmente a Genova, il 29 luglio 1679.
Aveva sposato, il 6 genn. 1663, Francesca Pallavicini, figlia di Paolo Gerolamo, ma il matrimonio era rimasto senza prole: le cospicue sostanze del D., oltre al lascito per il collegio Durazzo, andarono ai nipoti, figli di Giovan Agostino e di Marcello, che ereditarono anche la stupenda quadreria di cui il D. era in possesso, grazie a precedenti eredità e al suo fine gusto di collezionista.
Alla completezza del suo profilo politico deve probabilmente essere aggiunta l'abilità strategico-militare che il D. avrebbe dimostrato nel corso della guerra savoiarda del 1672. La corretta attribuzione delle responsabilità è però resa problernatica dalla compresenza di altri due Durazzo con funzioni direttive in quella guerra: il fratello Giovan Agostino e il cugino Giovanni Battista, figlio di Cesare, doge del 1665. Se per il primo non ci sono problemi (dirigeva come commissario delle galee le operazioni di sostegno ed approvvigionamento dal mare) perché Giovan Agostino viene sempre citato col nome di battesimo, è possibile che ci sia stata confusione con il secondo: certo Giovanni Battista partecipò a questa guerra, ma si tratta di vedere se come commissario generale o come subordinato. Sta di fatto che mentre il Casoni parla del D. e di Giovanni Battista Centurione come commissari generali (e sull'autorevole base del Casoni altri storici recenti, tra cui Vitale e Puncuh, attribuiscono al D. la direzione militare di questa guerra), ma quasi sempre lo ricorda semplicemente come "generale Durazzo", senza il nome di battesuno, e, in una circostanza, lo definisce Giambattista, invece C. Varese (Storia della Repubblica di Genova, Genova 1838) e il Donaver optano decisamente per Giambattista (o Giovan Battista) Durazzo come commissario generale, pur con resistenti perplessità.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, T. Fransone, Istruzioni e relazioni dei ministri dellaRep. presso il Gran Turco, III, cap. VI; T. Campora, Vita delp. Ippolito Durazzo della Compagnia diGesù, Genova 1690, pp. 45 s.; F. Casoni, Annalidella Rep. di Genova, Genova 1800, VI, pp. 151, 154; L. Isnardi, Storia della Univ. di Genova, Genova 1861, I, p. 261; L. T. Belgrano, La Compagnia genovese delle Indie, in Giorn. ligustico, II (1875), pp. 131-137; Id., Documenti attorno alla colonia dei Greci nell'isola di Corsica, ibid., X (1883), pp. 359, 368; F. Donaver, Storia della Rep. di Genova, Genova 1913, II, p. 303; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Rep. di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, LXIII (1934), ad Indicem; R. Ciasca, Affermazioni di sovranità della Rep. di Genova, in Giornale storico e letter. della Liguria, XIV (1938), II, pp. 17, 29; V. Vitale, La diplomazia genovese, Milano 1941, pp. 291-326; G. Giacchero, Storia econ. del Settecento genovese, Genova 1951, p. 37; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, I, pp. 294-296, 304, 306, 321; II, p. 129; O. Pastine, Genova e l'Inghilterra da Cromwell a Carlo II, in Rivista storica italiana, LXIV (1954), pp. 331ss.; M. Nicora, La nobiltà genovese dal 1528 al 1700, in Misc. storica ligure, II (1961), p. 260; D. Punculi, I manoscritti della raccolta Durazzo, Genova 1979, p. 194; Id., L'archivio dei Durazzo marchesi di Gabiano, in Atti della Società ligure di storia patria, n. s., XXI (1981), p. 621; Id., Collezionismo e commercio di quadri…, in Rassegna degli Archivi di Stato, XLIV (1984), p. 169.
M. Cavanna Ciappina