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VIEUSSEUX, Giovan Pietro

di Marco Manfredi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)
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VIEUSSEUX, Giovan Pietro

Marco Manfredi

– Nacque a Oneglia, in Liguria, il 28 settembre 1779 da Pierre e da Jeanne Elisabeth Vieusseux.

Il padre, dopo studi di diritto e gli inizi nella carriera forense, aveva abbracciato senza riserve la tradizione mercantile della famiglia di origini ugonotte stabilitasi a Ginevra con la revoca nel 1685 dell’editto di Nantes. Nel 1772 per rafforzare il patrimonio del casato, e nel rispetto dell’endogamia diffusa nella comunità mercantile e religiosa ginevrina, sposò la cugina Jeanne Elisabeth Vieusseux con il proposito di consolidare una rete di affari poggiante in buona misura su una forte etica solidale. Prima affiancando lo zio Jean Pierre, e poi da solo o con altri soci, egli cominciò in quell’epoca a fare la spola fra la città elvetica e il litorale ligure dove gestiva società e affari di intermediazione commerciale. In linea con la realtà mercantile del tempo, i beni trattati dai Vieusseux erano diversi (dai tessuti, agli oli e ai vini), a seconda delle richieste e delle possibilità del momento. Nel 1782 fuggiasco per ragioni politiche da Ginevra, si trasferì in Liguria presso Pierre anche il nonno Jacques, che vantava rapporti di stima e amicizia con Jean-Jacques Rousseau; padre e figlio erano infatti membri del ristretto gruppo del Consiglio dei duecento che governava la città, da cui furono però in quell’anno esclusi per le loro tendenze antioligarchiche.

In questo quadro in cui la vocazione commerciale familiare si intrecciava con un illuminismo conciliato con gli imperativi morali della vecchia Chiesa riformata della città d’origine, Pierre avviò fin da giovanissimo anche Giovan Pietro, primo dei suoi dodici figli, al mestiere di casa. Introdotto da ragazzo nelle non sempre floride vicende delle società intraprese dal padre, Giovan Pietro visse da vicino i rovesci prodotti sugli affari domestici dalle turbolenze politiche innescate dalla Rivoluzione francese del 1789. Nel 1792 con il padre e lo zio cercò invano di proteggere tutti i beni di famiglia dal sacco di Oneglia perpetrato dalla Repubblica francese. Dopo vani tentativi di risollevarsi, attraverso la solidarietà della rete parentale, nel 1803 la chiusura dell’ultima impresa familiare, impegnata nel commercio oleario e con sede a Porto Maurizio, segnò la fine di ogni attività in proprio. In condizioni economiche assai difficili, Pierre fu accolto in Toscana da Pierre Senn, agiato negoziante di tessuti di Neuchâtel che aveva fatto della città di Livorno il centro dei suoi affari e aveva avuto in sposa qualche anno prima sua figlia Jeanne Susanne. Da allora egli si impiegò nella casa di commercio del genero, ma fidando su contatti e parentele con il cosmopolita mondo mercantile della città di origine cercò di orientare la carriera dei figli, e in particolare di Giovan Pietro indirizzato verso la professione di agente commerciale.

Nel 1804 quest’ultimo ebbe così la sua prima autonoma esperienza, con la conduzione ad Anversa della succursale della casa di commercio Sautter, frères et C. con sede a Parigi. Grazie ai buoni affari e ai consigli paterni nel 1806 Vieusseux divenne socio della ditta, ma due anni dopo fu accusato, a seguito di una delazione, di aver violato il blocco napoleonico. Dopo quasi un anno di amara carcerazione fra il Belgio e la Francia, ebbe inizio un periodo di peregrinazioni in cui ai ritorni ad Anversa e a Bruxelles si alternarono viaggi fra la Svizzera e il mondo tedesco. Sullo sfondo restavano però le preoccupazioni per le pendenze giudiziarie ancora aperte, i timori, confessati nelle lettere al padre, che ciò si traducesse in un suo declassamento a mero commesso di banco e in una perdita di credibilità mercantile del proprio nome. Tutto ciò si sommava alle angosce per la faticosa ricerca di uno stabile impiego professionale in chiave futura. Nel settembre del 1814 si presentò tuttavia l’opportunità di un ambizioso viaggio di ‘esplorazione commerciale’, sostenuto dalla società Senn, Guebhard et C., per sondare le potenzialità di mercati periferici, dal Nord Europa fino alle coste del Mar Nero, nei quali la ditta stava cercando di consolidarsi. Partito via terra da Livorno, dopo aver attraversato il cuore dell’Europa per munirsi di lettere credenziali, Vieusseux giunse nell’aprile del 1815 a Copenaghen. La capitale danese fu il punto di avvio di un itinerario che lo portò a toccare la penisola scandinava, a percorrere la Russia fino alla Crimea, e a fare ritorno dopo oltre tre anni, attraverso Costantinopoli e il mar Egeo, in Toscana.

Dietro i costanti consigli del padre, fra i guai degli anni finali dell’età napoleonica e le occasioni di conoscenza offertegli dal nuovo incarico, Giovan Pietro rafforzò i solidi orientamenti ideali e culturali di derivazione familiare. Rilevante in questo processo di formazione fu anche il rapporto con Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi, personalmente conosciuto prima del lungo viaggio, ma legato ai Vieusseux da stratificati intrecci familiari risalenti alla medesima origine ginevrina e rinnovati dalla comune frequentazione con la Toscana.

Lo sguardo sul mondo e le osservazioni sul campo che emergono dal diario di viaggio (intitolato Journal-Itinéraire de mon voyage en Europe 1814-1817 e steso con il concorso di numerose letture sulle realtà visitate) sembrano così recare il segno di tutto quell’insieme di riferimenti: l’influenza del sismondismo e del circolo di Coppet, l’incontro fra la religiosità civile di Rousseau e la Chiesa riformata di Ginevra così lontana dalle calde suggestioni delle posizioni ‘risvegliate’, la ferrea fiducia nell’ideologia del progresso e con essa il deciso rifiuto degli eccessi rivoluzionari e del dispotismo illiberale di cui aveva personalmente misurato gli effetti perniciosi sulla depressione dei commerci.

Pochissimi mesi dopo il suo ritorno era di nuovo in viaggio di affari per la ditta Senn; nel settembre del 1818 sbarcò a Tunisi mentre vi scoppiava una violenta epidemia di peste, di cui, a testimonianza ancora una volta delle sue spiccate qualità di osservatore ispirato, lasciò una dettagliata cronaca in forma di volume con una meticolosa registrazione di luoghi, merci, fatti e costumi locali, dal titolo Quelques remarques sur la peste de Tunis en 1818-1819.

Dopo aver trascorso al suo ritorno all’inizio del 1819 quaranta giorni di quarantena nel lazzaretto di Livorno, Vieusseux pose fine ai suoi viaggi. Dando corso a quanto fantasticato in una nota lettera da Odessa inviata a Sismondi nel gennaio del 1817, nella quale intravedeva una possibilità di salvezza a un destino da «triste négociant» (Frènes, 1888, pp. 19 s.) nell’aspirazione a una professione culturale dai contorni ancora vaghi, decise di orientare le sue conoscenze e il suo sistema di relazioni mercantili verso un bene non deperibile e in notevole sviluppo come quello rappresentato da libri e periodici. Del resto, sulla scia delle suggestioni paterne, del confronto con l’autore della Storia delle repubbliche italiane e di una consolidata trattatistica di matrice illuministica, continuava ad attribuire alla figura del mercante e al commercio un insostituibile ruolo sociale di motore del progresso economico e civile. Con l’avvento della Restaurazione, percepita perlomeno come un momento di stabilizzazione e come fine di conflitti armati che danneggiavano gli scambi, ridefinì dunque il proprio destino di negoziante borghese; in anni che si annunciavano di pace decise di stabilire nella capitale del Granducato, scelta forse sotto l’influenza della pronunciata mitizzazione in chiave storica fattane dall’amato Sismondi, ma anche per la folta presenza di stranieri, un istituto ispirato a una nuova forma di sociabilità che aveva imparato ad apprezzare nelle principali città visitate nel continente. Il 9 dicembre 1819 uscì così il manifesto che annunciava l’imminente apertura, nelle sale del palazzo Buondelmonti in piazza Santa Trinita a Firenze, di un gabinetto di lettura a lui intestato e destinato a divenire uno dei principali luoghi di elaborazione culturale dell’Italia del tempo.

Nella proiezione spesso tutta ottocentesca e fiorentina di Vieusseux si è spesso sottovalutato che quando decise di stabilirsi a Firenze per fondarvi il suo Gabinetto scientifico letterario aveva ormai quarant’anni e un intenso vissuto alle spalle. Tramite culturale fra gli avamposti intellettualmente e politicamente più avanzati del panorama continentale e la dimensione all’epoca periferica dell’Italia preunitaria, egli si collocava anche all’intersezione fra due secoli e due epoche, mediatore fra l’Illuminismo settecentesco e l’Ottocento romantico. I contenuti culturali delle molteplici iniziative collegate alla gestione del suo Gabinetto risentirono così in profondità di tutto quel carico di esperienze.

Dall’estero, e soprattutto dai principali centri del progresso continentale come Parigi e Londra, vennero molte delle riviste periodiche e delle pubblicazioni che sin dalla sua apertura affluirono copiose al Gabinetto. E la stessa Antologia, di cui si fece editore a partire dal gennaio del 1821, fu nella previsione del suo direttore una rassegna utile prima di tutto a presentare i principali dibattiti culturali che prendevano forma altrove, assai più che un organo destinato a dar voce al moderatismo toscano e in particolare a quello fiorentino. Notevole fu la sua autonomia anche nello scegliere i collaboratori retribuiti della rivista, a partire da quelli destinati a divenire su di essa più influenti come Niccolò Tommaseo. La scelta dalla metà degli anni Venti di una figura come lo scrittore dalmata e la crescente apertura del periodico a talune istanze decisamente romantiche non significarono però un’identificazione completa di Vieusseux con gli aspetti più passionali, spiritualisti ed emotivi di quella cultura e con i temi della nazione da essa accesamente veicolati e piuttosto estranei al sostanziale cosmopolitismo implicito nella biografia del ginevrino. Agli svolazzi romantici e alle impazienze volontaristiche continuò a privilegiare un convinto scientismo e una visione lineare e gradualista dello sviluppo storico insiti nella pervasiva ideologia del progresso e della ‘civilizzazione’, tanto che il coinvolgimento di alcune figure si giustificò soprattutto con la volontà di venire incontro ai gusti di una parte dei lettori e alla sensibilità del pubblico ottocentesco.

Fiducia nelle virtù pedagogiche della scienza e attenzione al mercato dei lettori furono alla base anche nel 1827, in accordo con Raffaello Lambruschini, Cosimo Ridolfi e Lapo de’ Ricci, della scelta di pubblicare il Giornale agrario toscano che giunse in poco tempo a ottocento associazioni; a quella data l’Antologia ne contava circa quattrocento, mentre ottocento erano gli abbonati al Gabinetto. Più di queste cifre, ben lontane certo dai numeri di analoghe imprese esistenti in Francia od Oltremanica, ma in linea con quelli di altre grandi città italiane, concorsero alla fama della realtà creata da Vieusseux la notevole credibilità acquisita fra uomini (come Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi o Pietro Giordani) e ambienti culturali fra i più vivaci della penisola che ebbero modo di visitarla o di frequentarla. La sua capacità di riuscire a sostenere l’impresa sul piano finanziario fu favorita poi dalla capacità di integrare in maniera virtuosa varie attività; i giornali da lui creati servivano a promuovere altre pubblicazioni periodiche e librarie che, grazie a una fitta rete di contatti personali e di fornitori costruita nel tempo in varie parti d’Europa, era in grado di far pervenire attraverso una variegata tipologia di corrispondenti (librai, direttori della posta, letterati, conoscenti o semplici ma assidui lettori) in tutta Italia.

Queste dinamiche di informalità dovevano supplire all’incertezza normativa e alla carenza di meccanismi istituzionalizzati, tanto più marcate in una realtà frammentata in diversi Stati non retti peraltro da regimi costituzionali. A chi in quegli anni gli proponeva di farsi patrocinatore o distributore di nuove iniziative periodiche, anteponeva le difficoltà di trovare associati a pubblicazioni promosse nella penisola dato che in essa «si possono trovare riviste da tutto il mondo, più interessanti» per essere scritte «in paesi dove non esiste la censura» (Firenze, Archivio storico del Gabinetto Vieusseux, Copialettere Vieusseux, XIX. 1A.12, p. 1352, 17 agosto 1839, lettera a Stanislao Aloe). I vincoli censori erano il primo di una serie di ostacoli alla prosperità dei beni della cultura che nel marzo del 1833 ebbe modo di sperimentare in prima persona, con la chiusura dell’Antologia da parte del governo granducale preoccupato per l’aspra campagna contro la più nota iniziativa di Vieusseux degli ambienti legittimisti e controrivoluzionari modenesi facenti capo alla Voce della verità.

Per tutti gli anni Trenta proprio i limiti all’affermazione di un maturo mercato italiano delle lettere (riassunti nel 1844 nell’opuscolo Delle condizioni del commercio librario in Italia) divennero uno dei principali motivi di rammarico e di riflessione nei rapporti con la sua vasta platea di corrispondenti. La presenza di una legislazione differente su questioni come il diritto d’autore e l’esistenza di politiche economiche e doganali difformi favorivano il proliferare di mali come la pirateria, il forte divario dei prezzi da luogo a luogo, la moltiplicazione dei costi gravanti sui volumi o una rallentata circolazione delle merci che inficiava la rapida consegna dei prodotti culturali minando la fiducia dei lettori. Un quadro di arretratezza a cui non restavano estranei i costumi ben poco ‘borghesi’ e spesso ancora eruditi e provinciali dei clienti della penisola. A dispetto di queste frequenti recriminazioni che richiedevano continui adattamenti alla sua impresa commerciale, Viesseux proseguì di fatto nell’opera di diffusione dei temi di maggiore attualità e delle principali novità offerte di continuo a una sempre più variegata tipologia di lettori dai maggiori mercati editoriali continentali. L’attenzione a questioni come il filoellenismo e la crisi dell’Impero ottomano che appassionavano l’opinione liberale europea si univa alla promozione dei nuovi saperi specialistici (economia politica, scienze naturali, chimica, statistica, storia, geografia) o delle riviste illustrate figlie della rivoluzione litografica, della letteratura di viaggio che celebrava le grandi scoperte geografiche o dei volgarizzamenti di grandi opere storiche. Forme di sapere e prodotti editoriali che, ben lontani ormai dall’aristocratica erudizione del passato, vedevano sovrapporsi conoscenza, educazione e intrattenimento per stimolare curiosità e passione e coinvolgere un pubblico più ampio di quello dei soli dotti.

Ma le amarezze e le complicazioni emerse nel secondo decennio di attività non arrestarono neppure il lancio di altri autonomi progetti editoriali. L’uscita nel 1836 della Guida dell’educatore, rivista pedagogica concepita con Lambruschini in cui, dietro il tema dell’educazione, passarono anche contenuti di riforma religiosa non sempre ortodossi, fu seguita dall’Archivio storico italiano, inaugurato nel 1842 dopo un impegnativo lavoro preparatorio con il proposito di pubblicare opere e documenti inediti relativi alla storia d’Italia. Una scelta quest’ultima che, dal punto di vista del ginevrino, non rispondeva solamente a ragioni di intonazione politico-civile, ma era come sempre conseguenza anche di ponderate considerazioni commerciali che nel clima risorgimentale di quegli anni riflettevano la rilevante crescita di interesse per le memorie patrie. Ogni decisione non andava del resto mai scissa in Vieusseux da stringenti considerazioni mercantili e dall’orizzonte ottocentesco della presenza di un pubblico di lettori, tanto che rispetto alla centralità della dimensione mercantile tutto il resto costituiva nella sua azione una sorta di eterogenesi dei fini.

Fu soprattutto su queste premesse che parve poggiare anche la ragione ultima del suo entusiasmo per l’avvio a metà anni Quaranta di quel moto di opinione che avrebbe portato al biennio riformatore e alla svolta del Quarantotto. L’auspicio per un chiaro superamento della dimensione regionale del quadro statuale a favore di una realtà territorialmente più ampia e normativamente più omogenea lo spinsero persino, da protestante, per quanto assai rilassato, a taluni cedimenti piononisti. In questo senso andava anche la scelta di riesumare e dare allora alle stampe un testo da lui preparato nel 1822, in coincidenza con il Congresso di Verona della Santa Alleanza, in cui si prefigurava un’Italia confederale con Roma quale suo centro, che riproposto nel 1848 ammiccava chiaramente al disegno giobertiano (Frammenti sull’Italia nel 1822 e progetto di confederazione, Firenze 1848). Con il tramonto del neoguelfismo e la crisi del moderatismo, la sua visione lontana da ogni eccesso lo spinse a una non severa, ma naturale condanna della svolta democratica guerrazziana, in linea con la posizione dei più attivi collaboratori e sostenitori delle iniziative del suo Gabinetto.

Con il ritorno del granduca, e con la delusione per il ritiro delle franchigie costituzionali, tornavano la censura e gli austriaci, e svanivano le sue speranze in condizioni di contesto migliori per il mercato. Nel corso del 1849 Vieusseux decise una riduzione dell’apertura delle sale del Gabinetto alla conversazione per evitare nei suoi locali la presenza di ospiti inopportuni e di uditori sospetti, mentre il numero degli abbonati al suo istituto si contrasse notevolmente per risalire nel corso degli anni Cinquanta. La delusione lo spinse poi a ritenere sempre più necessario rafforzare dalla metà del decennio i già consolidati rapporti con i principali centri editoriali europei, a cominciare da Parigi, stante la sconfortante immutabilità della situazione italiana.

Seguì naturalmente da vicino e con adesione convinta gli improvvisi avvenimenti del biennio 1859-60, ma non ebbe realmente il tempo per misurarsi in prima persona con quel contesto dai più vasti confini che ne scaturì e che da mercante di libri e idee aveva a lungo auspicato.

Morì infatti a Firenze il 28 aprile 1863.

Opere. Delle condizioni del commercio librario in Italia, Firenze 1844; La peste de Tunis 1818-1819, a cura di L. Neppi Modona, Firenze 1979; Journal-Itineraire de mon voyage en Europe (1814-1817), con il carteggio relativo al viaggio, a cura di L. Tonini, Firenze 1998.

Fonti e Bibl.: Le carte familiari e i volumi del copialettere commerciale di Giovan Pietro Vieusseux sono depositati presso l’Archivio storico del Gabinetto scientifico letterario Vieusseux di Firenze (su cui si rimanda a L’archivio storico del Gabinetto Vieusseux. Inventario, a cura di C. Del Vivo - L. Di Tolla, Firenze 2011), mentre la gran parte del carteggio personale è depositato presso la Biblioteca nazionale di Firenze (su cui si veda L. Pagliai, Repertorio dei corrispondenti di G.P. V. dai carteggi in archivi e biblioteche di Firenze (1795-1863), Firenze 2011). Numerosi i carteggi di Vieusseux con autorevoli corrispondenti pubblicati nel tempo, fra cui A. Frènes, Jean-Pierre Vieusseux d’après sa correspondance avec J. C. L. De Sismondi, Rome 1888; Carteggio inedito fra N. Tommaseo e G.P. V., I, 1825-1834, a cura di R. Ciampini - P. Ciureanu, Roma 1956, II, 1835-1839, a cura di V. Missori, Firenze 1981, III, 1, 1840-1848, a cura di V. Missori, Firenze 2002, III, 2, 1848-1849, a cura di V. Missori, 2002, IV, 1850-1855, a cura di V. Missori, 2006, V, 1856-1863, a cura di G. Paolini, 2008; Carteggio Capponi - V., 1821-63, a cura di A. Paoletti Langé, I-III, Firenze 1994-1996; Carteggio Ridolfi - V., 1821-1863, a cura di F. Conti - M. Pignotti, I-III, Firenze 1994-1996; Carteggio Giordani - V., 1825-1847, a cura di L. Melosi, Firenze 1997; Carteggio Lambruschini - V., 1826-63, a cura di V. Gabrielli - A. Paoletti Langé - M. Pignotti, I-VI, Firenze 1998-2000; Carteggio Manno - V., 1830-46, a cura di N. Nada, Firenze 2000; Leopardi nel carteggio V. Opinioni e giudizi dei contemporanei, 1823-1837, a cura di E. Benucci - L. Melosi - D. Pulci, II, Firenze 2002. Inoltre: Ricordi storici intorno G. V. e il tempo nostro, Firenze 1869; P. Prunas, Il gabinetto scientifico-letterario G.P. V. 1819-1914, Firenze 1914; R. Ciampini, G.P. V., i suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici, Torino 1953; G. Spini, A proposito di un libro sul V., in Rassegna storica del Risorgimento, XLI (1954), 1, pp. 30-53; U. Carpi, Letteratura e società nella Toscana del Risorgimento. Gli intellettuali dell’Antologia, Bari 1974, ad ind.; G. De Moro, I Vieusseux ad Oneglia, Imperia 1979; I. Porciani, L’ «Archivio storico italiano». Organizzazione della ricerca ed egemonia moderata nel Risorgimento, Firenze 1979, ad ind.; P. Bagnoli, La politica delle idee. G.P. V. e Giuseppe Montanelli nella Toscana preunitaria, Firenze 1995; Il Vieusseux. Storia di un gabinetto di lettura, 1819-2003. Cronologia, saggi, testimonianze, a cura di L. Desideri, Firenze 2004; A. Volpi, Commercio e circuiti culturali. G.P. V., un borghese di inizio Ottocento, Pisa 2008; L.E. Funaro, «Sa constance me charme». Pagine di Sara Sismondi, in Antologia Vieusseux, XVIII (2012), pp. 19-42; M. Manfredi, Le peculiarità del cattolicesimo liberale fra eredità passate e novità ottocentesche, in Annali di storia di Firenze, VIII (2013), pp. 247-284; G.P. V. Pensare l’Italia guardando all’Europa, a cura di M. Bossi, Firenze 2013; M. Manfredi, G.P. V., mercante di immagini, in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée modernes et contemporaines, CXXX (2018), pp. 43-54.

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