PELLEGRINI, Giovanni Antonio
PELLEGRINI, Giovanni Antonio (Antonio, Gianantonio). – «Nacque in Venezia il dì 29 aprile, nel 1675, e battezzato fu nella parrocchia di S. Polo. Il padre suo era padovano, guantaio di professione» (Zanetti, 1771, p. 445); «figlio di Zan Antonio e di Lucietta», ebbe il 5 maggio il nome di Giovanni Antonio Francesco (Antonio Pellegrini, 1998, p. 65).
Avviato alla pittura da tale Genga di Padova, si rivolse presto al più noto Paolo Pagani (Moücke, 1762, p. 235), quest’ultimo iscritto alla fraglia di Venezia il 5 giugno 1690 (Favaro, 1975, p. 215).
Angela Carriera, moglie di Giovanni Antonio e sorella minore della più nota Rosalba, informava Pierre-Jean Mariette che, insieme con Pagani, il marito, «giovanotto, passò a Vienna, e fu dallo stesso suo maestro spedito nella Moravia ove, oltre a molte altre cose, da sé solo dipinse un’intera chiesa. Dopo sei anni che dimorò in Germania, con lo stesso suo maestro ritornò in Venezia, e conoscendo che necessario fosse miglior studio, fu condotto a Roma da un suo zio nell’anno 1700, ove vi stette due anni» (Abecedario, 1857-58, p. 93). Successivo alla morte del marito, il racconto della moglie Angela, «attendibile nelle sue linee principali», sarebbe però probabilmente «impreciso in alcune parti» (Craievich, 2003, p. 210).
Pellegrini dovette accompagnare Pagani – documentato nel marzo 1696 presso Castello Valsolda – nei viaggi in Europa centrale attestati tra il 1692 e il 1695 (ibid.), per poi rientrare in Veneto.
Al 1696 risalirebbero le decorazioni di Pellegrini per il palazzetto a Murano del patrizio veneziano Angelo Correr (Moücke, 1762, p. 236), mentre è datato 1697 il Battesimo di s. Agostino, nella chiesa veneziana delle Eremite, di recente restituitogli da Alberto Craievich (2003).
Dall’agosto 1701, dopo l’accennato periodo romano i cui tempi «devono restringersi (o anticiparsi)» (Pallucchini, 1995, p. 66), affittò a Venezia, dal patrizio Ludovico Widmann, una casa in calle del Fàun a Santa Maria Mater Domini (Antonio Pellegrini, 1998, p. 64).
Nelle coeve tre allegorie sacre della Scuola del Cristo, come pure nel ciclo decorativo allegorico profano per i soffitti di palazzo Albrizzi, cronologicamente vicino, «il risalto delle luci sulle forme, il gioco largo ed arcuato dei risalti plastici» (Pallucchini, 1995, p. 66) provano l’influenza degli esempi romani di Baciccia (Ivanoff, 1952, p. 165).
Nell’estate del 1702 dipinse a Padova, insieme con il quadraturista Ferdinando Fochi, il soffitto (L’Immacolata appare ai santi francescani), «nell’insieme un po’ gracile» (Antonio Pellegrini, 1998, p. 25), della Biblioteca antoniana, e, tra il 1703 e il 1704, su probabile raccomandazione familiare (ibid., p. 27), una pala (Vergine con il Bambino tra i quattro santi protettori di Padova e l’Arte della lana raffigurata in veste di supplicante), dispersa, per l’Università della lana (Steinweg, 1932, p. 360).
Iscritto alla fraglia dei pittori veneziani nel 1703 (Favaro, 1975, p. 155), sposò Angela Carriera all’inizio del 1704 (Sani, 1985, p. 74; Antonio Pellegrini, 1998, p. 225); testimone di nozze fu Anton Maria Zanetti di Girolamo (ibid., p. 67).
A questo periodo dovrebbe risalire la caricatura di Pellegrini (Venezia, Fondazione Giorgio Cini) disegnata da Zanetti, collezionista e dilettante d’arte in stretti contatti con la cerchia dell’amica Rosalba Carriera, autrice del doppio ritratto, disperso, dei novelli sposi (ibid., p. 65).
Il Castigo dei serpenti per la chiesa di S. Moisè, della primavera-estate del 1707 (Moretti, 1978), fu la pubblica «opera celebre» (Zanetti, 1733, p. 167) che probabilmente gli valse la stima di Charles Montagu, conte di Manchester, dal 30 giugno a Venezia (Knox, 1995, p. 48) e ripartito per l’Inghilterra il 12 ottobre 1708 (Disegni e dipinti, a cura di A. Bettagno, 1959, p. 15), di poco preceduto dal pittore (Sani, 1985, p. 122 n. 2).
In questa tela e nei precedenti affreschi a villa Alessandri di Mira e a villa Giovanelli di Noventa Padovana (Ton, 2010 e 2011) Pellegrini giunse a una personale «visione pittorica tutta in chiaro, tracciata da una pennellata rapidissima» (Pallucchini, 1995, p. 71).
A Londra, in collaborazione con Marco Ricci, anch’egli partito da Venezia e forse paesaggista nel Castigo (Martini, 1964), fu impegnato al Queen’s Theatre di Haymarket per dipingere le scenografie del Pirro e Demetrio di Alessandro Scarlatti, nel riallestimento del 2 aprile 1709: tre giorni dopo Pellegrini fu tra i concorrenti alla decorazione interna del duomo londinese di S. Paolo; l’11 febbraio 1710 gli fu chiesto un modello per la cupola (Londra, Victoria and Albert Museum), ma la scelta finale cadde su Sir James Thornill (Knox, 1995, pp. 50-52).
In ambito privato, spicca, tra i lavori inglesi, la commissione a Pellegrini – che nel 1711 era tra i direttori dell’Accademia di Sir Godfrey Kneller (ibid., p. 220) – dei nove dipinti di Narford Hall, nel Norfolk (sei grandi tele: Minerva e Aracne; Il ratto di Europa; Achille affidato a Chirone; Nesso e Deianira; Giove allattato dalla capra Amaltea; Narciso; e tre sovrapporte di dimensioni più ridotte: La morte di Lucrezia; Susanna e i vecchioni; Angelica e Medoro), da riconoscersi probabilmente in perdute decorazioni di Burlington House, eseguiti forse in collaborazione con Marco Ricci (ibid., pp. 52-63) e «caratterizzati da una grande libertà inventiva, sempre atteggiata con uno spirito da melodramma» (Pallucchini, 1995, p. 76).
Alcuni pagamenti certificano che l’artista fu attivo nel periodo tra il febbraio 1711 e il settembre 1712 a Castle Howard, nel North Yorkshire, per Charles Howard conte di Carlisle: secondo George Knox (1995, p. 63) l’ingaggio risalirebbe all’estate del 1709, di nuovo con Marco Ricci, lì ricordato dal 20 novembre di quell’anno. L’incendio del 9 novembre 1940 ha distrutto gran parte dei suoi lavori, ora documentati solo da fotografie d’epoca: è presumibile una collaborazione con Ricci nei fondali delle sei tele che ornavano l’High Saloon (Ratto di Elena; Achille tra le figlie di Licomede; Aiace e Ulisse si disputano le armi di Achille; Il sacrificio di Ifigenia; L’incendio di Troia; Enea e Anchise), mentre Pellegrini dovette dipingere da solo il soffitto di quell’ambiente (Giunone con Minerva e tre putti) e quelli della Garden Hall (Aurora) e della Little Gallery (Flora).
È andata bruciata anche la decorazione della cupola dello scalone, con la Caduta di Fetonte, mentre sono sopravvissuti i Quattro elementi sui pennacchi e la sottostante decorazione della grande aula, formata dai due gruppi laterali con Apollo e le Muse e Apollo e Mida e da altre raffigurazioni minori in monocromo. L’unica tela di Pellegrini rimasta a Castle Howard è il Ritratto delle sorelle Howard.
L’11 febbraio 1713 Angela informava da Kimbolton la sorella Rosalba che il marito stava per finire di decorare lo scalone (Trionfo di Cesare alle pareti della prima rampa, con nel soffitto il Trionfo di Guglielmo III d’Orange; la Virtù, l’Abbondanza, e la scena dei Musici nelle pareti della porzione superiore, con sopra Putti con la corona comitale) e la cappella (Trasfigurazione; i Quattro Evangelisti) della residenza di campagna di Charles Montagu (per il quale realizzò, sempre a Kimbolton Castle, il Ritratto dei figli del Conte di Manchester), e che da lì si sarebbero mossi per trasferirsi nei Paesi Bassi («e poi fagotto per Londra, ove là arrivata, non penserò che a far baulo per Olanda»; Sani, 1985, p. 228). Nell’estate 1713 i coniugi Pellegrini giunsero a Düsseldorf, con «il pensiero di andare in Francia» (ibid., p. 237) e «l’intenzione di rivedere la patria» (Abecedario, 1857-58, p. 94), ma, per interessamento di Giorgio Maria Rapparini, segretario del principe elettore, rimasero invece nel Palatinato (Antonio Pellegrini, 1998, p. 74). Come si apprende dalle lettere della moglie Angela, l’occasione era «l’urgente completamento della decorazione pittorica, già in buona parte realizzata da [Antonio] Bellucci, nella nuova residenza elettorale di Bensberg, […] dove era necessaria ‘una maniera sbrigativa e che tuttavia fosse di buon gusto’». La scelta ricadde su Pellegrini, del quale il principe palatino Giovanni Guglielmo II ammirava la «pittura anticonvenzionale e veloce», avendone prova nel S. Sebastiano (Würzburg, Staatsgalerie) ‘a lume artificiale’, dipinto nell’agosto del 1713 a Düsseldorf (ibid., p. 75).
Tra il settembre e l’ottobre 1713 decorò il soffitto dello scalone del castello tedesco, per poi passare, tra il dicembre dello stesso anno e il luglio dell’anno successivo, ai «quadri di paradiso», ovvero alle grandi scene parietali dedicate alla biografia del principe (Sani, 1985, p. 269).
Evocando i cicli dinastici rubensiani, Pellegrini a Bensberg celebrò personaggi ed eventi del suo tempo nella forma, congeniale alla sua sensibilità e all’esperienza teatrale, dello spettacolo: dal punto di vista stilistico, la pittura è estremamente leggera, quasi dissolta nei toni del pastello nei piani più distanti (Pallucchini, 1995, pp. 81, 83).
Documenta un momentaneo rientro a Venezia la procura di Giovanni Antonio al fratello Agostino del 4 febbraio 1715, davanti al notaio Carlo Gabrielli (Antonio Pellegrini, 1998, p. 225): a settembre i coniugi Pellegrini furono a Trento di nuovo sulla via per Düsseldorf (Sani, 1985, pp. 297 s.).
Nell’aprile 1716 il pittore ricevette la commissione della prima delle due pale, andate distrutte, per la chiesa di St. Clemens ad Hannover (Knox, 1995, pp. 129-132): dopo l’Ascensione del Cristo dipinse la S. Cecilia, il cui bozzetto (Stoccarda, Staatsgalerie), è «di qualità eccezionale per la sprezzatura della pennellata» (Pallucchini, 1995, p. 84).
Nel Palatinato Giovanni Antonio e la moglie Angela rimasero fino alla scomparsa del principe elettore, l’8 giugno 1716 (Abecedario, 1857-58, p. 94).
Dalla Germania Pellegrini passò ad Anversa: lo troviamo iscritto alla gilda dei pittori dal 18 settembre 1716 per un anno (Steinweg, 1932, p. 360); di questa sua permanenza rimangono le decorazioni per la Brouwershuis (la Fucina di Vulcano e Giunone con Cerere, Plutone e Cerbero; Cupido e il fiume Scheldt; Knox, 1995, pp. 132-134) e il tondo da soffitto con la Giustizia fulmina i vizi per il palazzo cittadino (ibid., pp. 136 s.).
Nel novembre 1717 Angela tornò in Italia (Sani, 1985, p. 321 n. 1), lasciando il marito nei Paesi Bassi: il 13 maggio 1718 Pellegrini entrò nella gilda dei pittori a L’Aja, dove firmò e datò il 26 agosto la decorazione della sala maggiore della Mauritshuis (nel soffitto: Aurora; Apollo; La Notte; sulle pareti: i Quattro elementi in monocromo e due sovrapporte di soggetto allegorico; Knox, 1995, pp. 137-144).
Dai Paesi Bassi si spostò in Inghilterra, prima a Caversham Park, nell’attuale Berkshire, per dipingere una serie di dipinti mitologici commissionatigli da William Cadogan, primo conte di Cadogan, per la sua residenza di campagna (Sani, 1985, p. 357 n. 3), poi, di nuovo a Narford Hall per decorare lo scalone di Andrew Fountaine (Putto con corona regale; Britannia; Putto con corona d’alloro; Knox, 1995, p. 146).
Nel novembre del 1719 passò a Parigi, ospite del banchiere e mecenate Pierre Crozat, che lo presentò al reggente di Francia, il duca Filippo d’Orléans. Nella capitale francese incontrò anche il finanziere John Law (Sani, 1985, pp. 360 s.), dal quale ottenne a dicembre la commissione della decorazione del soffitto della sala del consiglio della Banque Royale, detta ‘del Mississippi’ (ibid., p. 362).
Prima di mettersi al lavoro, Pellegrini a fine gennaio 1720 tornò a Venezia, dove il 5 marzo presentò procure con la moglie, le cognate Rosalba e Giovanna Carriera, e la suocera Alba Foresti. Alla fine di quel mese a Lione, dove li aveva accompagnati pure Anton Maria Zanetti, l’8 aprile il gruppo ottenne il lasciapassare per Parigi (Antonio Pellegrino, 1998, p. 226).
A Parigi il pittore fu ospite di Law: dipinse la Felicità della Francia sul soffitto della vasta sala della banca in «ottanta mattine» (Zanetti, 1771, p. 446), utilizzando un modello (Venezia, collezione privata) che Rosalba Carriera segnala in situ il 10 giugno 1720 (Sani, 1985, p. 762). Il 31 dicembre di quello stesso anno Pellegrini fu accolto nell’Académie royale de peinture et sculpture di Parigi (Rosenberg, 2005, p. 122). La decorazione della Sala del Mississippi, distrutta già nel 1722 a causa del fallimento del sistema economico di Law, fu terminata entro il marzo del 1721, quando Pellegrini e le Carriera lasciarono Parigi (Steinweg, 1932, p. 360).
Di passaggio a Füssen, nella bassa Baviera, il pittore fu qui ingaggiato per eseguire le due pale per la chiesa di S. Mango, eseguite poco dopo e tuttora esistenti: la Madonna e santi e S. Ulrico che guarisce gli ammalati (Antonio Pellegrini, 1998, p. 170).
Nelle lettere della cognata Rosalba è ricordato a Venezia nel maggio 1721 e nel marzo 1722. Tra il dicembre 1721 e la primavera seguente dipinse le tele per due soffitti (oggi ad Asheville, Biltmore house e a Newport, the Marble house) di palazzo Pisani a Santo Stefano, residenza della famiglia patrizia con la quale stipulò un contratto d’affitto per una nuova abitazione (ibid., p. 82). Il 26 maggio 1722, all’epoca del Martirio di s. Andrea per la chiesa di S. Stae, il Collegio dei pittori veneziani biasimava la partenza dell’artista dalla città senza licenza (Moretti, 1973).
Da Parigi, infatti, Pellegrini inviò una delle sue vivaci lettere a Rosalba il 1° agosto 1722 (Sani, 1985, pp. 426 s.); il ritorno a Venezia, segnalato il 28 gennaio 1723 da Mariette (ibid., p. 438), fu anche questa volta breve: il 12 luglio 1724 il principe vescovo Johann Philipp Franz von Schönborn scrisse al fratello Friedrich Karl che il veneziano stava viaggiando da Würzburg a Praga (Steinweg, 1932, p. 360). Il 25 di quel mese il pittore fu pagato per conto del loro zio, Lothar Franz von Schönborn principe vescovo di Bamberga e arcivescovo di Magonza, per due dipinti (Pommersfelden, castello di Weißenstein) raffiguranti Ercole e i pomi delle Esperidi e Sofonisba riceve il veleno (Knox, 1995, p. 181).
Nel gennaio 1725 si trasferì alla corte di Augusto II. A Dresda Pellegrini decorò due padiglioni meridionali dello Zwinger, andati bruciati nel 1849: se dello Zoologischer Pavillon è descritto il soggetto (Festino degli dei), del soffitto e delle pareti della Deutscher Saal, raffiguranti rispettivamente i Quattro continenti e soggetti mitologici entro quadrature, si conservano sia il progetto grafico generale (Dresda, Institut für Denkmalpflege) sia il bozzetto pittorico per la sola volta (Cologna, Stadtbücherei, Sammlung Kasimir Hagen); esistono invece tuttora le due pale d’altare della Hofkirche (Trinità) a Dresda e della concattedrale di St. Petri (Consegna delle chiavi a Pietro) a Bautzen (Knox, 1995, pp. 181-185). Fu poi a Vienna dalla fine di settembre all’inizio di dicembre, interessato, nella testimonianza di Apostolo Zeno, a ottenere l’incarico della decorazione della cupola della chiesa delle Salesiane (Pallucchini, 1995, pp. 93 s.), che ottenne grazie all’amicizia di Daniele Antonio Bertoli, artista a servizio della corte imperiale, in compagnia del quale è registrato in alcuni documenti dell’ottobre 1725 (Kazlepka, 2013). La decorazione della chiesa viennese iniziò nell’estate di due anni dopo, inframmezzata dall’esecuzione di una pala d’altare (S. Giuseppe e s. Francesca di Paola adoranti la Trinità) per la chiesa veneziana di S. Vidal (Antonio Pellegrini, 1998, p. 206 n. 53): il 10 ottobre 1727 la citata cupola, con il Trionfo della Fede era terminata; nello stesso momento Pellegrini iniziò a lavorare ad altre due pale d’altare per la medesima chiesa di Vienna (Sani, 1985, p. 473), dove oggi si può vedere, nel primo altare a sinistra, la sola Consegna delle chiavi a Pietro.
Di nuovo a Vienna all’inizio del 1730, il 18 febbraio indirizzò una lettera a Rosalba per esortarla a raggiungerlo con la moglie, cosa che avvenne ad aprile (ibid., pp. 509 s., 516 s.): durante il soggiorno viennese Pellegrini dipinse la cupola (distrutta nel 1944) della Schwarzspanierkirche (la chiesa dei monaci benedettini votati al culto della Vergine Nera di Montserrat, e per questo denominati ‘spagnoli neri’), di cui sopravvive il bozzetto, conservato nella collezione Gatti-Casazza di Ferrara (Antonio Pellegrini, 1998, p. 206 cat. 55).
A Venezia il 23 novembre 1730 (Sani, 1985, pp. 530 s.), da dove dovette invece spedire la tela con Cristo che guarisce il paralitico per la Karlskirche (chiesa di S. Carlo Borromeo) a Vienna (Knox, 1995, pp. 200 s.), Pellegrini fu poi attivo a Padova nel 1731, con la perduta decorazione della cupola e della navata della chiesa di S. Tommaso, demolita a inizio Ottocento, e il mancato cantiere della «gran cupola» della basilica del Santo «a figure colorite a oglio con la maggiore sontuosità e pompa» (Antonio Pellegrini, 1998, p. 32).
Sul finire del 1733, inviò a Parigi il dipinto allegorico La Modestia presenta la Pittura all’Accademia per l’ammissione accademica (Rosenberg, 2005, p. 122), che fu ricevuto con favore (Sani, 1985, p. 586).
A Padova, nel dicembre del 1734, ottenne la commissione del Martirio di s. Caterina, pala per l’omonima cappella della basilica antoniana, dove «parvenze colorate [...] si aggregano in una struttura mossa, instabile, come componenti di un’onda crestata culminante nella figura eccentrica dell’angelo» (Antonio Pellegrini, 1998, p. 33).
Instancabile seppur acciaccato, Pellegrini il 23 ottobre 1736 scrisse a Rosalba da Mannheim (Sani, 1985, pp. 618 s.), nel cui castello dei principi elettori realizzò, in meno di un anno, quattro soffitti (Aurora e le Ore; Quattro continenti; Il trionfo del Palatinato; La battaglia per il Reno), andati distrutti nell’ultimo conflitto mondiale e documentati sia da vecchie riprese (Knox, 1995, pp. 205-213) sia da un modello presso l’Ashmolean Museum di Oxford (Antonio Pellegrini, 1998, p. 222 n. 65).
A Venezia nel gennaio 1739 (Sani, 1985, p. 647), Pellegrini fu coinvolto per l’esecuzione di una sovrapporta, richiesta per Torino da Giorgio Gaspare de Prenner in una lettera a Rosalba da Roma il 29 ottobre 1740 (ibid., p. 659): dallo stesso corrispondente si apprende di uno stato di salute non buono del pittore a gennaio 1741 (ibid., p. 663).
Chiuso il testamento ad aprile (Antonio Pellegrini, 1998, p. 227), Pellegrini morì a Venezia il 2 novembre 1741.
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