CARAFA, Giovanni Battista
Nato in data imprecisabile da Vincenzo, conte di Grotteria, e da Bernardina Siscar dei conti di Aiello, nel 1526 successe al padre nei possedimenti feudali di Grotteria, Castelvetere, Roccella e Motta Gioiosa, nella provincia di Calabria Ultra, il cui reddito, a giudicare dal relevio pagato, veniva valutato intorno ai 2.000 ducati. In occasione della spedizione del Lautrec: il C. si schierò a favore degli Spagnoli, armando a sue spese un contingente di 600 fanti e 200 cavalli che affidò al comando di Lorenzo Siscar, suo parente. Per la fedeltà dimostrata in questa occasione Carlo V gli concesse, nel 1530, il titolo di marchese sulla terra di Castelvetere. Nel 1535 il C. si rese ancora benemerito degli Spagnoli armando a sue spese, per la spedizione di Carlo V contro Turusa, due galere, che affidò al comando di Marco Marchese, barone di Scaletta. Le due navi, tuttavia, colarono a picco. Nel 1536 partecipò, con un suo contingente, al tentativo compiuto da Carlo V di invadere la Provenza. L'imperatore gli concesse la dignità di grande di Spagna. Da Clemente VII aveva ottenuto per sé e per gli eredi il diritto di patronato sulle chiese di S. Maria della Misericordia, S. Nicolò e S. Caterina nella diocesi di Gerace, con facoltà di presentare i candidati ai relativi benefici.
Dallo stesso pontefice il C. ebbe il privilegio per sé e la sua famiglia di nominare un proprio confessore che avesse facoltà di assolverli da qualsiasi scomunica o interdetto "e altre qualsivoglia censure e pene..., da qualsivoglia voto, trasgressione di precetto ecclesiastico, spergiuro, homicidio casuale, o vero attuale, delitto da mani violente immesse nella persona di qualsivoglia ecclesiastico, ma non prelato, d'omissione di recitatione d'hore canoniche e divini uffici, d'ogni caso riservato purché non fosse di quelli compresi nella bolla In coena Domini…" (Aldimari, p. 260). Infine, il privilegio concedeva che le donne della famiglia potessero entrare nei monasteri femminili, senza però pernottarvi, quattro volte all'anno portando con sé altre tre o quattro donne.
Nel 1529 il C. ottenne che in Motta Gioiosa si tenesse mercato per otto giorni all'anno e nel 1530 il privilegio di estrarre, franco di dazi, il ferro e l'acciaio da Roccella e da Reggio Calabria. Sposò, nel 1526, Lucrezia Borgia d'Aragona dei principi di Squillace, che gli portò in dote 10.000 ducati. Dal matrimonio nacquero tre figli, Girolamo, Ferdinando e Porzia.
Il C. esercitò con molta durezza il suo potere baronale, angariando i suoi sudditi con violenze vessazioni di ogni genere. Egli aveva anche fatto procedere alla reintegra delle competenze baronali nell'ambito dei suoi feudi, secondo la procedura che intorno alla metà del sec. XVI contrassegnò uno dei momenti di ripresa del baronaggio napoletano.
Il fatto che alla sua morte il relevio per la successione fosse calcolato su una cifra quasi quadrupla (7.680 ducati circa) rispetto a quella calcolata alla morte del padre comprova la forte invensificazione da lui attuata nello sfruttamento del feudo. È peraltro sintomatico che i tre quinti circa (ducati 4.660) risultassero variamente alienati a diverso titolo e che altri obblighi gravassero anche sui rimanenti due quinti delle entrate tanto accresciute, sicché, alla fine, gli aventi causa pagarono per succedergli - addirittura meno della metà di quanto era stato pagato dal C. alla morte del padre. È presumibile che alla radice della forte espansione delle spese fossero sia gli impegni da lui assunti per partecipare alle imprese dell'imperatore sia il mutamento del tenore di vita comune a tutta la feudalità napoletana del tempo.
A questo più intenso sfruttamento, che si accompagnava alla violenza baronale, anch'essa contemporaneamente cresciuta un po' in tutto il Regno, le popolazioni a lui soggette avevano, alla fine, reagito, denunziando la situazione agli organi regi competenti. Sulla base di questo ricorso, il viceré ordinava, il 31 luglio 1549, di prendere informazioni in proposito.
Nel generale ridimensionamento della posizione politico-sociale del baronaggio napoletano in rapporto alla nuova situazione politica creatasi nel Regno con l'avvento degli Spagnoli, il caso del C. fu tra quelli che provocarono maggiore impressione, tanto più in considerazione dei meriti che egli si era acquistato nei confronti di Carlo V.
A seguito delle informazioni, il C. fu arrestato ed incarcerato. Spendendo 30.000 ducati, egli riuscì a corrompere parte di coloro che avevano fatto ricorso contro di lui e oltre duecento persone in Calabria. L'inchiesta fu condotta dal commissario regio e dai mastrodatti, a loro volta corrotti, in modo del tutto irregolare per favorire il Catafa. Coloro che avevano resistito al tentativo di corruzione minacciarono il commissario di ricorrere al viceré ma furono catturati da un gruppo di armati inviati dalla marchesa di Castelvetere e tenuti in carcere per sette mesi. Nonostante tutto ciò, non fu però possibile piegare la resistenza delle popolazioni soggette al C. e la giustizia regia finì col compiere il suo corso. Per quanto avessero avanzato richiesta di grazia i più importanti esponenti della nobiltà napoletana, il C. venne decapitato il 19 dic. 1552.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Spoglio delle significatorie dei relevi, I, ff. 37v, 503; Ibid., Arch. privato Carafa di Roccella (per la reintegra del 1534); B. Aldimari, Historiageneal. della famiglia Carafa, Napoli 1691, I, pp. 260 ss.; G. Galasso, Econ. e società nellaCalabria del Cinquecento, Napoli 1967, pp. 48 s.; P. Litta, Le famiglie cel. italiane,sub voce Carafa di Napoli, tav. IV.