FOGGINI, Giovanni Battista
Figlio di Agnolo e Isabella Sercetti, nacque a Firenze il 25 apr. 1652 (Baldinucci [1725-1730], 1975, p. 373; Lankheit, 1962, p. 268). Secondo la biografia del Baldinucci, ricevette già all'età di dieci anni la sua prima formazione dal pittore Iacopo Giorgi; seguì poi l'apprendistato presso il pittore V. Dandini ed infine con lo zio paterno Iacopo Maria. A soli tredici anni avrebbe realizzato le sue prime opere autonome, ora perdute: un bassorilievo raffigurante la Decollazione del Battista ed alcune medaglie lignee (Baldinuccì, cit.). Lo zio Iacopo Maria fece mostrare i primi saggi al matematico V. Viviani che subito lo introdusse presso il granduca Ferdinando II, alle cui dipendenze il F. fu assunto per 4 scudi al mese e per il quale compì "teste e bassorilievi di marmo" (ibid.). Delle primissime opere rimane soltanto uno stemma scolpito per palazzo Pecori, su disegno dello zio (Serie degli uomini..., 1775, p. 68). All'età di diciannove anni eseguì due rilievi in terra imbiancata raffiguranti il Martirio di s. Simone e il Martirio di s. Andrea (quest'ultimo perduto) per la chiesa dei Ss. Michele e Gaetano, commissione ottenuta probabilmente grazie allo zio Iacopo Maria che da qualche anno forniva lavori di intaglio alla chiesa e che per questo lavoro il 24 sett. del 1671 riscuoteva 20 scudi, a nome del nipote allora minorenne (Monaci, 1977, p. 10; Chini, 1984., p. 212).
Succeduto a Ferdinando de' Medici il figlio Cosimo III, destinato ad avere un ruolo primario e costante nell'intera vicenda artistica del F., si aprirono per il giovane scultore nuove prospettive: il granduca nel 1673 fondò a palazzo Madama in Roma un'accademia che aveva lo scopo di formare i giovani artisti fiorentini sotto la guida di C. Ferri ed E. Ferrata, prestigiosi ed affermati maestri in ambito romano per quanto riguardava la pittura e la scultura. Ciò allo scopo di risollevare la qualità della produzione artistica fiorentina, in quegli anni stancamente ripetitiva e provinciale. Così nel 1673 il F. vi fu inviato insieme con i pittori A.D. Gabbiani e A. Bimbacci e lo scultore C. Marcellini, come informa un carteggio conservato all'Archivio di Stato di Firenze (Lankheit, 1962, pp. 29-37, 245-267).
Il ruolo principale nella formazione degli allievi era esercitato da C. Ferri, che impartiva lezioni anche agli scultori, in particolare per quanto riguardava il disegno e lo studio delle antichità e delle opere dei grandi maestri, attività per la quale il F. mostrò un notevole interesse distinguendosi ben presto, e traendo peraltro da tale insegnamento una serie di suggerimenti ed un'impostazione stilistica che lo influenzerà per l'intero arco della sua produzione artistica (Monaci, 1976, pp. 2426). Non mancò dì studiare anche l'architettura, sia antica sia moderna, eseguendo disegni e rilievi, di cui purtroppo si è perduta traccia (Baldinucci, 1975, p. 374).
Trascorsi circa tre anni e mezzo di studio a Roma, il F. fece ritorno in patria "carico di disegni e modelli d'ogni sorta", richiamatovi dal granduca (ibid.). Furono anni, questi, determinanti per lo sviluppo del suo stile, che venne ad assumere le caratteristiche proprie del barocco romano, di cui l'artista sarà diffusore ed interprete a Firenze. Testimonianza del suo modo di operare al tempo della formazione romana, sono alcuni disegni (Monaci, 1976, pp. 24-26) e una terracotta raffigurante il Mito di Pigmalione (Id., 1974, pp. 50-53), avvicinabile ad un'altra con la Strage dei Niobidi, inviata a Firenze nel 1674 (Lankheit, 1962, pp. 35, 252; Monaci, 1974, p. 64), che illustra un soggetto poi ripreso dallo stesso artista negli ultimi anni della vita (Montagu, in Gli ultimi Medici..., 1974, p. 66). Al periodo romano va ricondotto anche il primo rilievo in marino realizzato dal F. nel 1675, raffigurante l'Adorazione dei pastori (ora a San Pietroburgo, Hermitage).
L'opera è esemplare dello stile romano di quegli anni, informata alle misurate ed eleganti composizioni dell'Algardi piuttosto che alle travolgenti realizzazioni del Bernini; la prevalenza del gusto algardiano per il rilievo pittorico - trasmesso dal Ferrata - si unisce alla magistrale abilità disegnativa del Ferri (Montagu, 1973). A quest'opera avrebbe fatto da pendant una Crocifissione, richiesta da Cosimo III, ma realizzata in un secondo momento in bronzo (Lankheit, 1962, p. 36). Il marmo di San Pietroburgo, che trova il suo più immediato precedente stilistico nel grande rilievo col Manirio di s. Emerenziana scolpito dal Ferrata per la chiesa di S. Agnese in Roma, mostra già pienamente la personalità del F., che riscosse notevole successo a Firenze, dove avrebbe introdotto la moda di decorare gli altari delle cappelle con grandi pale marmoree, tradizione sino a quel momento tipicamente romana (Montagu, 1973).
Subito dopo il rientro da Roma il F. ebbe varie commissioni e prese in affitto la loggia Rucellai nel 1677, che fu tamponata e trasformata in bottega sotto la sua direzione (Ginori Lisci, 1972). Risalgono a quest'epoca alcuni ritratti, tra cui quello di Amerigo Vespucci (1677-1680), quello di Bartolomeo Cesi e quello di Galileo Galilei, in seguito collocato nel monumento omonimo in S. Croce (Baldinucci, 1975, p. 374; Lankheit, 1962, pp. 67 s.; Monaci, 1974, pp. 49, 63).
Quest'ultimo doveva essere progettato dal F. secondo le volontà testamentarie del committente V. Viviani, risalenti al 1689, ma fu fatto soltanto nel 1737 su disegno del figlio Giulio; nel ritratto è apprezzabile l'interpretazione nuova che viene data alla fisionomia del grande scienziato mediante l'introduzione di elementi stilistici ed iconografici che conferiscono movimento, dinamicità e vivezza alla figura rispetto alle soluzioni più tradizionali e statiche di opere coeve come il busto del Galilei fatto da C. Marcellini (Büttner, 1976, pp. 109-112).
Una opportunità di mettere in luce quanto appreso a Roma e di inaugurare pubblicamente il nuovo stile romano a Firenze fu offerta all'artista dalla famiglia Corsini, che nel 1675 aveva deciso di costruire una cappella in S. Maria del Carmine per celebrare s. Andrea Corsini, canonizzato nel 1629 (Lankheit, 1957, pp. 36, 53 s.).
Un contatto in tal senso tra la famiglia Corsini, in frequenti rapporti con Roma e lo scultore era avvenuto ancor prima del rientro a Firenze di quest'ultimo (Monaci Moran, 1990, p. 155). All'idea iniziale di ornare la cappella con delle tele (Lankheit, 1957, pp. 53 s., 59) si preferì quella, del tutto nuova, di collocarvi tre grandi pale marmoree i cui soggetti furono probabilmente stabiliti dai Corsini su suggerimento del padre scolopio Sigismondo di San Silverio, che proprio in quegli anni scriveva la Vita di s. Andrea Corsini (Fabbri, 1992, p. 310): già nel febbraio del 1677 il F. si impegnava ad eseguire una pala, più altre parti da montare sulla tomba del santo (Lankheit, 1957, pp. 57 s.). Il primo dei tre rilievi ad essere eseguito fu quello raffigurante la Gloria di s. Andrea Corsini, lavorato interamente dal F. e concluso intorno al luglio 1679, con un netto anticipo rispetto alla scadenza prefissata, mentre le parti che completano l'altare - tre angioletti posti sopra il sepolcro e due testine che vi figurano ai lati - furono terminate soltanto nel 1682 (Monaci Moran, 1990, p. 156), probabilmente per una interruzione che vide il F. impegnato per la prima volta come architetto nella progettazione e realizzazione dei ricchi festoni di fiori e frutta che collegano otto finestrelle alla base della cupola, la cui apertura fu decisa soltanto nell'agosto del 1679 (Fabbri, 1992, pp. 308-309). L'enfasi, che deriva dallo spiccato aggetto delle figure e dal moto ascensionale del santo, contribuisce a generare il movimento che lega idealmente la pala al soprastante rilievo raffigurante il Padre eterno con due angeli - messo a coronamento della parete e realizzato da C. Marcellini - e da questo procede sino ad unirsi alla decorazione ad affresco di L. Giordano (ibid., p. 309). Secondo, in ordine di esecuzione, fu il rilievo raffigurante la Battaglia di Anghiari sopra il deposito di Neri Corsini, eseguito tra il 1684 ed il 1689, riconducibile, sia per l'impaginazione sia stilisticamente, all'Incontro di Leone I e Attila dell'Algardi, in S. Pietro (Monaci Moran, 1990, pp. 157 s.). Il terzo ed ultimo rilievo, che si distacca dai precedenti - anche sul piano esecutivo, soprattutto nell'aggetto più attenuato delle figure, in alcuni punti quasi semplicemente disegnate - fu iniziato nel 1694 e posto in opera nell'ottobre del 1701 e raffigura l'Apparizione della Madonna a s. Andrea Corsini durante la messa (ibid., p. 161). Sull'arcone di ingresso alla cappella era posto un gruppo del F., oggi sostituito, che rappresentava la Fortezza e la Temperanza con al centro lo stemma Corsini retto da alcuni puttini (Fabbri, 1992, p. 304).
Nel frattempo il F. lavorava instancabilmente anche ad altre commissioni pubbliche e private, nonostante i problemi fisici - dovuti alla deformità degli arti inferiori causata da un vaiolo avuto a sette anni - che gli procuravano difficoltà nella deambulazione e nello stare in piedi (Baldinucci, 1975, pp. 386 s.). Nel 1678 approntò il disegno per il ciborio argenteo della cappella del Sacramento nel duomo di Pisa (Lankheit, 1962, pp. 92 ss., 295; Monaci, 1974, p. 49) e poco dopo, tra il 1680 ed il 1683, elaborò quello per il paliotto con l'Utima Cena e soggetti veterotestamentari, pure in argento, dell'altar maggiore della basilica della Ss. Annunziata di Firenze, di cui fornì anche il "modello e forme de' getti di cera e bronzo", eseguito a sbalzo da A. Brunich (Lankheit, 1962, pp. 94-96, 295 s.; Monaci, 1974, pp. 48-50). Il manufatto, stilisticamente ricollegabile alla terracotta romana col Mito di Pigmalione, fu terminato in poco meno di tre anni ed esposto al pubblico nel 1683 (ibid., p. 54). Operò anche come medaglista, ma non gli vengono riferite opere sicure; quella più probabile è una medaglia di Galileo Galilei databile intorno al 1680 (Vannel Toderi, 1987, p. 48). Nel 1684 faceva parte dell'Accademia del disegno (Lankheit, 1962, p. 268). L'interesse del F. per la scultura classica, gia coltivato a Roma, è dimostrato non solo dalla sua opera di restauratore, ma anche dal fatto che copiò in più occasioni le statue della tribuna: una prima volta intorno al 1685 traendone riproduzioni in marmo per Luigi XIV (Baldinucci, 1975, pp. 375, 378, 383; Herbig, 1961; Lankheit, 1976, p. 11).
Nel corso dell'ottavo decennio fu avviata una serie di imprese architettoniche: subentrò a P.M. Baldi nei lavori in palazzo Medici Riccardi, dove si cimentò, tra l'altro, nella progettazione di una grande scala di rappresentanza, di cui fu approntato un modellino nel 1686, e che fu portata probabilmente a compimento nel 1688, con il grande merito - eccezionale per l'epoca - di aver salvato dalla distruzione la cappella di B. Gozzoli (Büttner, 1990, p. 162). Sotto la sua direzione fu pure terminata la prosecuzione della facciata del palazzo, già progettata dal Baldi e conclusa nel 1689, con la ripresa fedele del modello michelozziano (ibid., p. 163). Contestualmente il F. ideò l'intera decorazione della nuova galleria e della contigua biblioteca, eseguite ad opera di A. Andreozzi (1663-1730) e di G.B. Ciceri (metà del 1600-1715), dove venne impiegato un repertorio decorativo ben radicato nella locale tradizione quattro-cinquecentesca, che verrà in seguito variamente riutilizzato dall'artista, ideatore anche del progetto per gli stucchi della loggia adibita a galleria di scultura e di alcuni soffitti di sale al piano nobile, eseguiti tra il 1690 ed il 1692 (Spinelli, 1992, pp. 47-50, 65-69). Nel 1685 il F. aveva ricevuto l'ordine dall'erede al trono, Ferdinando, di progettare la decorazione della volta nella camera dell'alcova in palazzo Pitti e di restaurare i "regi mezzanini" soprastanti - dove l'artista riuscì abilmente a camuffare una grave imperfezione causata dalla presenza di una zona rocciosa - intervento concluso entro il 1690 ma poi in gran parte manomesso (ibid., pp. 53-61, 215-253).
Risalgono agli anni 1685-1686 le statue di S. Pietro e di S. Paolo collocate sui pilastri dell'arco trionfale della chiesa dei Ss. Michele e Gaetano con i relativi rilievi raffiguranti il Martirio dei due santi, opere che riflettono il nuovo stile romano ed alle quali seguirono, in un breve giro di anni a partire dal 1693, altre sculture che decorano l'interno della chiesa ad opera di allievi della scuola del F. quali G. Piamontini, G.C. Cateni, G. Fortini e G. Baratta (Lankheit, 1962, pp. 71 s.; Chini, 1984, pp. 216-222). Sempre tra il 1685 ed il 1686 il F. curò pure la sistemazione intema della tribuna della chiesa dell'Annunziata e più tardi, nel 1700-1703 circa, di parte della navata (Monaci, 1974, p. 48). L'importanza e la fama erano intanto diventate tali che non tardò a giungere un riconoscimento prestigioso anche da parte dello stesso granduca, che nel 1687 gli conferì la casa in Borgo Pinti - già usata in passato dagli scultori di corte come Giambologna e F. Tacca - dove l'artista trasferì la propria bottega (Lankheit, 1962, pp. 48, 269). Tra il 1687 ed il 1688 realizzò, su incarico di Cosimo III, un altare per il deposito di S. Ranieri nel duomo di Pisa, completato intorno al 1690 (ibid., pp. 97-99; Monaci, 1977, pp. 44-46). Nel 1689 pose mano al basamento per la cassa contenente il venerato corpo di san Francesco Saverio, beatificato nel 1622, uno dei lavori più lodati ed ammirati ai suoi tempi (Baldinucci, 1975, pp. 377 s.), per la bellezza e per la particolare tecnica esecutiva e di assemblaggio.
L'opera fu realizzata nell'ambito della "galleria dei lavori" con il disegno e la direzione del F., il quale eseguì personalmente i quattro rilievi raffiguranti gli episodi più importanti della vita di s. Francesco; per consentirne il trasporto alla chiesa del Bom Jesus di Goa nelle Indie, la base fu compiuta in numerose parti e quindi imballata in ben sessantacinque casse per essere poi montata in loco da due artigiani fiorentini nel 1697, dopo essere stata esposta per due anni nella cappella dei principi in S. Lorenzo affinché tutti ne potessero ammirare la monumentale bellezza (Lankheit, 1962, pp. 106 ss., 305). Questo ciclo di rilievi in bronzo costituisce un esempio notevole di un genere che si è sviluppato in seno al barocco fiorentino proprio grazie al F. - ed al suo rivale M. Soldani Benzi - raggiungendo risultati altissimi in una continuità ideale con Donatello e Giambologna (Lanklieit, 1976, p. 10).
Nel 1689 prese parte ad un importante episodio di architettura civile nella città di Prato dove era stato avviato il cantiere delle cosiddette "case nuove"; al F. spetta la realizzazione del palazzetto centrale, terminato nel 1695 (Cerretelli, 1992). Operò nuovamente nella chiesa dell'Annunziata, dove negli anni tra il 1691 ed il 1693 fu eretta la cappella funebre della famiglia Feroni, di cui il F. progettò l'architettura e la decorazione plastica: vi lavorarono nove scultori, in gran parte suoi allievi, ed il pittore J. C. Loth, che vi eseguì la pala d'altare (Visonà, 1990, pp. 227 ss.). Pur servendosi di un repertorio iconografico-decorativo già codificato, l'artista ha fatto qui ricorso ad un linguaggio magniloquente con largo impiego di caratteri stilistici romani e di derivazione berniniana, forse espressamente richiesti dal committente (Spinelli, 1992, pp. 69-76). A Siena, in palazzo Sansedoni, lasciò un rilievo bronzeo raffigurante Il miracolo della messa del beato Ambrogio Sansedoni, realizzato per la cappella da lui stesso progettata nel 1692 (Lankheit, 1962, pp. 89-92). Finalmente nel 1694, dopo la morte di P.M. Baldi, rivestì la carica di primo architetto di corte, ruolo che ufficiosamente già ricopriva dal 1688 circa, ed ebbe la direzione della "real cappella e galleria dei lavori", a suo tempo istituita per la decorazione della cappella granducale in S. Lorenzo; compito che gli imponeva di sovraintendere a ciascuna opera prodotta in "galleria", compresa l'esecuzione di disegni e progetti, non escludendo però la diretta realizzazione anche di piccole parti dei manufatti (Baldinucci, 1975, p. 378; Lankheit, 1962, p. 270).
Nella "galleria" venivano prodotte, a più mani, opere di squisita fattura e di grandissimo pregio per la preziosità dei materiali, quali orologi, stipi, cornici, cassette ed arredi in genere - talvolta inviati in dono a sovrani di altri paesi - attività nella quale il F. mostrò una inesauribile capacità inventiva ed una maestria ineguagliabili, documentate anche da numerosi disegni (González-Palacios, 1969). Il F., in tale ambito, contribuì in larga misura alla creazione dello stile di corte destinato a tramontare con la morte di Gian Gastone nel 1737. Proprio in occasione delle nozze di questo, nel 1697, fu eseguita una serie di arredi tra i quali è documentata una stupenda cornice in ebano e diaspro con ornamenti in bronzo dorato e pietre dure, che racchiude un dipinto di C. Dolci (K. Aschengreen Piacenti - A. González-Palacios, in Gli ultimi Medici..., 1974, p. 356). Sebbene molti oggetti di questo tipo siano perduti o siano pervenuti mutili in alcune parti, ne rimangono tuttavia esempi illustri come il grandioso orologio per l'elettrice palatina ora a Los Angeles (González-Palacios, 1977).
Nella nuova veste di "architetto primario" il F. si trovò a condurre numerosi interventi, sia di progettazione sia di restauro, ma anche di carattere propriamente tecnico e peritale (Spinelli, 1992, pp. 85 ss.). Testimoniano inoltre la sua abilità e versatilità alcuni apparati effimeri, di cui rimangono testimonianze documentarie (Monaci, 1974, pp. 55, 58 ss.; Id., 1977., p. 13; Grohs, in Gli ultimi Medici..., 1974, p. 486; Riederer Grohs, 1978). Autore di due busti raffiguranti Vittoria Della Rovere e Maria Maddalena d'Austria, ricordati nel 1692 presso la villa di Poggio Imperiale - epoca in cui vi aveva realizzato il cortile ed il loggiato (Spinelli, 1992, pp. 76-81) - ed ora agli Uffizi, il F. scolpì anche il ritratto di Vittoria Della Rovere, che fa parte del monumento eretto in suo onore nella villa La Quiete, opera compiuta dalla bottega nel 1698, nell'ambito della "galleria dei lavori" (Langedijk, 1979). Sul finire del secolo fece il Ritratto equestre del re di Spagna Carlo II, a lungo creduto del Bernini, eseguito in bronzo e portato in regalo al re spagnolo nel 1698 (Lankheit, 1962, pp. 78, 167; J. Montagu, in Gli ultimi Medici …, 1974, p. 76). Il modello di questo gruppo equestre fu poi utilizzato dal F. nel 1706 per realizzare una seconda versione, a cui sostituì soltanto la testa che doveva raffigurare Giuseppe I d'Austria, al quale l'opera era rivolta come dono di Cosimo III (ibid.).
Tra le produzioni di destinazione privata, una delle più significative è la serie di busti ordinata dall'illustre umanista e scienziato L. Bellini, medico di corte dei Medici, e realizzata negli anni intorno al 1700 circa; ciascun busto raffigura il ritratto di un noto personaggio della cerchia del Bellini, compresi il committente ed il F. stessi, e documenta come la tradizione quattrocentesca di celebrare gli uomini famosi fosse ancora fortemente viva; la serie fu in seguito completata con altre opere del F. per volontà di P. Pandolfini, che la ereditò nel 1704 (Lankheit, 1971). Prese parte alla vasta opera edilizia compiuta a Livorno a cavallo dei due secoli - con la partecipazione attiva del principe Ferdinando - che vide la costruzione, nel primo decennio del Settecento, di edifici civili e religiosi, purtroppo in gran parte perduti o modificati; la facciata della chiesa della Ss. Annunziata o dei Greci Uniti ed il suo sontuoso soffitto ligneo sono tra le poche opere fogginiane ancora apprezzabili, mentre quasi nulla rimane del suo intervento in S. Gregorio degli Armeni, nel palazzo in piazza del duomo o nella porta S. Marco (Spinelli, 1992, pp. 111-126, 254-267, 352-373).
Contemporaneamente ai lavori livornesi il F. portava a termine interventi di ristrutturazione radicale in alcune chiese per conto di congregazioni religiose, tra cui quella delle francescane di S. Francesco de' Macci voluta da Ferdinando de' Medici, che finanziò l'impresa in cambio della Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, di proprietà delle monache (ibid., pp. 127 ss., 319-351, 374-395). Ma l'intensa attività architettonica del primo decennio del Settecento è documentata anche da altri progetti, tra cui quello per il palazzo Viviani, terminato nel 1702 circa, dove al grande prospetto nell'angolo tra via Tornabuoni e via Della Spada, caratterizzato da un "grande rigore progettuale", fa eco all'intemo un raffinato e fastoso salone (Spinelli, 1992, pp. 103-110). Il frequente ricorso ad elementi decorativi nelle architetture fogginiane conferma le riconosciute capacità dell'artista nella modellazione plastica delle superfici a cui non corrisponde, d'altra parte, la padronanza della componente spaziale (Cresti, 1990). Dai primi del Settecento il F. lavorò all'intera ristrutturazione della tardoquattrocentesca villa Corsini a Castello (un tempo attribuita ad A. Ferri) elaborando la trasformazione di tutte le parti dell'edificio, compresi il cortile interno e il giardino (Visonà, G.B. F. ..., 1990). La ricostruzione della pieve di San Cresci in Valcalva, compresa la piccola cappella di S. Cerbone poco distante, fu iniziata per volontà di Cosimo III nel 1701 e durò per oltre un decennio; ai restauri novecenteschi è sopravvissuto soltanto l'altare, che doveva contenere le miracolose reliquie del santo, quasi subito spostate in un apposito busto-reliquiario d'argento disegnato dal F. e realizzato da B. Holzman; di quest'opera è stato rinvenuto un primo progetto più elaborato del F., che però non fu attuato per cause conservative legate al culto del luogo (Spinelli, 1992, pp. 144-152, 268-318).
Caratterizzato da un impianto semplice e sobrio è anche il complesso trappista di S. Bartolomeo al Buonsollazzo, pure di committenza Medicea (ibid., pp. 152-161, 396-436). Negli stessi anni il F. compì l'altar maggiore di S. Stefano dei Cavalieri a Pisa, ispirandosi alla cattedra del Bernini in S. Pietro, per il quale realizzò i modelli sia dell'architettura, sia delle sculture, ed eseguì personalmente il trono con il relativo rilievo raffigurante la Decapitazione di s. Stefano papa (K. Lankheit, in Gli ultimi Medici..., 1974, p. 58). Prima del 1702 furono eseguiti i due gruppi bronzei della Galleria Corsini, esistenti anche in altri esemplari e materiali, raffiguranti Borea che rapisce Orizia e il Ratto di Proserpina, soggetti raffigurati anche su due pareti contrapposte nel palazzo Incontri in via De' Pucci a Firenze, dove la rappresentazione pittorica simula le due finte sculture, datata 1702 (Montagu, ibid., p. 62). I due gruppi furono acquistati dai Corsini nel 1703 per 120 scudi (Visonà, G.B. F...., 1990, p. 155). Sempre al 1702 risale il Monumento funebre di Donato dell'Antella all'Annunziata dove "scolpì con grand'eccellenza al naturale la statua del Senatore" (Serie degli uomini..., 1775., p. 69; Lankheit, 1962, p. 272).
Mentre lavorava senza sosta nella ricostruzione e progettazione di edifici ecclesiastici dentro e fuori Firenze, assecondando la politica medicea di introduzione in Toscana di nuovi ordini religiosi (Spinelli, 1992, pp. 162-170, 177-198, 437-445), il F. elaborava un raffinato preziosismo decorativo nella sistemazione della piccola tribuna degli autoritratti (1707-1708) e nel disegno della decorazione del camerino di Violante di Baviera, moglie del gran principe Ferdinando, in palazzo Pitti, eseguita a stucco da G.B. Ciceri, suo artista di fiducia, opera realizzata tra il 1706 ed il 1709 (Spinelli, 1992, pp. 171-177, 446-450; Id., 1994, pp. 272-274). Nella chiesa di S. Maria degli Angeli di Sala a Pistoia (1709-1712) raggiunge la pienezza del suo stile che declina invece nelle poche imprese architettoniche della maturità, dove reimpiega un codice linguistico già definito in precedenza (Spinelli, 1992, pp. 199-213, 451-455).
In qualità di capo delle botteghe granducali, il F. approntò un gran numero di disegni per diverse tipologie di oggetti ed arredi: rimarchevoli quelli inviati a Düsseldorf, su ordine di Cosimo III, alla figlia Anna Maria Luisa, moglie dell'elettore palatino, tra i quali spicca il cosiddetto "stipo dell'elettore", che "segna l'apice dell'artigianato fiorentino nel settore dell'ebanisteria"; fu completato il 16 nov. 1709 con alcune statue in bronzo fuse dal F. stesso (Aschengreen Piacenti - González-Palacios, in Gli ultimi Medici ..., 1974, p. 348).
Sintomatico del clima culturale e politico che vide l'inarrestabile declino dei Medici è il paliotto d'argento, bronzo e pietre dure della cappella medicea nella chiesa collegiata di S. Maria ad Impruneta, commissionato da Cosimo III nel 1711 ed eseguito su disegno del F. da B. Holzmann e C. Merlini (Mazzanti, 1990, pp. 54 ss.). Il paliotto, costato ben 4.000 scudi e posto in opera il 27 giugno 1713, riassume lo stile tardobarocco delle botteghe granducali costituendo un esempio di perfetta assonanza di intenti tra committente ed artista, quale era quella stabilitasi tra il granduca ed il F., in una realizzazione che esprime magnificenza e potenza, per la ricchezza dei materiali e delle decorazioni. La parte soprastante l'altare formata da due gradini e dal tabernacolo - stilisticamente assai prossima al paliotto - era stata eseguita dagli stessi F., Merlini ed Holzmann nel corso dell'ultimo decennio del secolo XVII (ibid., pp. 55 ss.).
La vastissima attività dell'artista è documentata da una copiosa produzione grafica, comprendente anche disegni non finalizzati ad opere precise, in parte giunta a noi.
Si ha conoscenza di circa quattrocento disegni del F., di cui il nucleo più importante è conservato presso il Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, mentre un più piccolo gruppo di venticinque disegni fa parte del Fondo Corsini del Gabinetto nazionale dei disegni e delle stampe di Roma; ancora altri fogli si trovano sparsi tra sedi fiorentine ed altre città europee. Appartiene alla sua produzione grafica conservata agli Uffizi un volume in pergamena, noto col titolo di Giornale del F., composto di centosettanta fogli, più cinque rintracciati al Victoria and Albert Museum di Londra, riferito alla produzione tarda e databile agli anni 1713-1718, si tratta di un documento fondamentale, che testimonia la molteplicità dell'operare del F., il quale spesso attendeva a più lavori contemporaneamente, come del resto richiedeva la sua triplice funzione di scultore di corte, architetto e direttore della "galleria" (Lankheit, 1959, pp. 56 s.; Monaci, 1977). Ebbe inoltre rapporti con gli incisori, che in talune occasioni lavoravano sotto la sua direzione, e prese parte all'iniziativa di Cosimo III di incidere i quadri più importanti delle collezioni medicee (ibid., pp. 16 s.).
Dall'Inghilterra gli venne commissionata la statua della Regina Anna, quasi ultimata nel 1715 e definita da J. Talman la più bella figura in Europa (Friedman, 1976, p. 39) - Per questo lavoro il F. fu preferito al Soldani e venne probabilmente contattato già all'epoca di una visita a Firenze di Talman, nel 1709-10 (ibid., p. 43). Nel 1718 eseguì per il granduca un importante reliquiario su base in ebano ottagonale, decorato con pietre dure, lavorazioni ad intarsio e a traforo in rame e bronzo dorato, con ventidue statuette in argento raffiguranti i santi protettori della Toscana, ad ognuno dei quali era associata una città del Granducato e con la statuetta argentea della Madonna sulla sommità; dell'opera originale rimane testimonianza soltanto nei documenti ed in alcuni disegni del Giornale (Lankheit, 1959, pp. 81-85; Id., 1962, pp. 56, 325), poiché fu divisa in due dopo il 1769, quando vennero poste da parte alcune delle figure poi trafugate e fuse dai Francesi nel 1799; vicende alle quali sono sopravvissute soltanto la base in ebano, sette santi e cinque putti, ricomposti su un'altra base nell'Ottocento ed ora montati su plinti moderni (Aschengreen Piacenti, 1968).
Il reliquiario, uno dei capolavori dell'artigianato fiorentino del XVIII secolo, fu tra le ultime imprese importanti compiute nell'ambito della "galleria" sotto i Medici ed ottenne da subito grandi consensi, tanto da essere considerato "maraviglioso, per il disegno e invenzione e nobiltà della materia" (Baldinucci, 1975, p. 384). L'influenza dello stile creato dal F. nell'ambito delle botteghe granducali si protrasse anche dopo la sua morte, in particolare a Napoli, dove nel 1737 fu chiamato a lavorare F. Ghinghi (1689-1762), allievo del F. (González-Palacios, 1986, pp. 39, 306).
Sempre in epoca tarda, intorno al 1720, ricevette da Cosimo III l'ordine di coprire le nudità delle statue michelangiolesche del Crepuscolo e dell'Aurora, conservate nelle cappelle medicee; questa curiosa aggiunta, andata presto perduta, era di bronzo dipinto con la tinta del marino ed era fatta in modo tale da poter essere levata (Middeldorf, 1976, pp. 33 ss.; Baldinucci, 1975., p. 384). Nel 1721 fece una statua in marmo raffigurante la Dovizia, creata in seguito al crollo di quella in terracotta di Donatello, che stava su una colonna in piazza del Mercato Vecchio (Serie degli uomini..., 1775, p. 71).
Contribuì alla produzione di una serie di bronzi per l'elettrice palatina negli anni tra il 1722e il 1725, costituita di dodici gruppi, ciascuno raffigurante una scena di soggetto sacro, animata da più personaggi e spesso inserita in un contesto paesaggistico o architettonico (Montagu, 1976, pp. 126-128). Ipezzi dovuti al F., che curò anche la realizzazione di alcune delle elaborate basi degli altri bronzi, sono Davide vittorioso su Golia del 1722ed il Battesimo di Cristo del 1724 (ibid., pp. 128 s.; Casciu, 1986, pp. 86 s.). Il F. elaborò un progetto per la sistemazione del battistero fiorentino risalente al 1723circa, mai attuato, ma in parte ripreso dai lavori successivi eseguiti da G. Ticciati (Monaci, 1974, pp. 56-59). Fece numerosi bronzetti, che ci sono solo in parte pervenuti, resi noti anche dall'inventario dei modelli del Museo di Doccia a Sesto Fiorentino (Lankheit, 1982; Szmodis-Eszlary, 1982). Alcune di queste piccole opere figuravano nelle esposizioni d'arte che si tenevano nel chiostro della Ss. Annunziata a Firenze (Borroni Salvadori, 1974) ed erano anche destinate ai turisti dei grand tour o costituivano, in alcuni casi, un prestigioso dono di alto rango che veniva offerto in occasioni particolari; un esempio è nei due bronzetti donati da Cosimo III al pittore francese H. Rigaud in cambio di un autoritratto che l'artista aveva dipinto per la collezione granducale (Pope-Hennessy, 1967, pp. 135-138; Montagu, in Gli ultimi Medici..., 1974, p. 64).
Il F. morì nell'aprile del 1725 e fu sepolto in S. Maria del Carmine, dove la famiglia aveva sepoltura dal 1603 e dove il figlio Vincenzo gli scolpì un busto ancora esistente sulla parete nord del chiostro (Meloni Trkulja, 1992).
La sua eredità artistica passò a due dei suoi undici figli (sei maschi e cinque femmine), Giulio e Vincenzo, e ad una folta schiera di discepoli (Baldinucci, 1975, pp. 386 s.). Tra gli altri figli sono da ricordare Iacopo, che fu dottore in legge, e Pier Francesco (1713-1782), teologo dell'università fiorentina, erudito alle dipendenze dei Corsini a Roma accanto al Bottari (Serie degli uomini …, 1775, p. 74; E. Dammig, Ilmovimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo XVIII, Città del Vaticano 1945, pp. 98-115, 308-311); fu zio e maestro di Filippo Della Valle, al quale aveva impartito anche l'arte della lavorazione dei metalli (V. Minor, Della Valle, Filippo, in Diz. biogr. degli Ital., XXXVII, Roma 1989, pp. 744, 746).
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