FORZATÈ, Giovanni Battista
Nacque a Padova il 24 giugno del 1207, figlio di Forzatè, della nobile famiglia padovana Tanselgardi (o Transelgardi) Forzatè. Fu canonico in cattedrale e dal 1250 al 1283 "Dei et Apostolice Sedis gratia Paduanus episcopus", primo vescovo di Padova di nomina papale.
Le prime attestazioni risalgono al periodo del canonicato: è infatti tra i canonici presenti alla redazione di tre documenti vescovili rispettivamente del 1220, 1226 e 1231. Dopo il 1231 però il F. manca dalle fonti per circa venti anni, un periodo difficile sia per la Chiesa sia per la città di Padova.
Nel 1239 alla morte del vescovo Giacomo di Corrado, si aprì una lunga vacanza vescovile, chiusa solo nel 1250 con l'insediamento del Forzatè. La signoria di Ezzelino (III) da Romano, che aveva conquistato Padova nel 1237, era divenuta con il passare del tempo sempre più dura verso gli oppositori e avversari e anche il clero era stato colpito costringendo molti religiosi (fra i quali probabilmente lo stesso F.) a fuggire. Ezzelino ostacolò la nomina del nuovo vescovo, potenziale elemento di coesione per le forze a lui contrarie, anche se furono soprattutto i contrasti e le rivalità interne alla Chiesa locale a ritardarne la nomina. Il primicerio dei parroci e l'abate di S. Giustina, da una parte, rivendicavano infatti il diritto a eleggere il vescovo, diritto che i canonici della cattedrale invece negavano, avocando a sé la nomina.
Vista l'incapacità del clero di trovare un accordo e superare le ingerenze esterne, nel 1250 Innocenzo IV nominò infine il F. che venne consacrato, nel 1255, da Alessandro IV. Il 3 ag. 1256 il F. entrò trionfalmente a Padova, dopo che, nel giugno dello stesso anno, la crociata promossa dal papa aveva cacciato Ezzelino. Si mise subito all'opera per restaurare e ribadire prestigio e autorità vescovili nei confronti di un mondo ecclesiastico in parte bisognoso di riforme, in parte insofferente al suo controllo; agì però talvolta in modo eccessivo e incorse in ripetuti richiami papali, infine nella scomunica. Per governare la diocesi si servì di vicari in spiritualibus et temporalibus, e di agenti laici, fra i quali Renaldo Scrovegni (l'usuraio di Dante, Inf., XVII, vv. 61-73). Nella cattedrale abbandonò la liturgia aquileiense a favore di quella della Curia romana, avviò la ricostruzione del battistero nella attuale sede. Per l'università ottenne da Urbano IV l'approvazione pontificia degli statuti dei giuristi e degli artisti e la conferma, nel 1264, della consuetudine vescovile di conferire il diploma di dottore nonché la nomina del vescovo quale cancelliere perpetuo dello Studio.
In ambito monastico intervenne a separare le comunità miste, ormai fonte di scandalo, dei monasteria duplicia dell'Ordo Sancti Benedicti de Padua (Ordine diocesano dipendente dal vescovo), dapprima nel monastero di Ognissanti nel 1256, e in seguito a S. Benedetto nel 1259. Alcuni importanti monasteri della diocesi, fra cui S. Maria di Praglia e S. Giustina, insofferenti al vincolo vennero ricondotti sotto il controllo episcopale. Diede inoltre regole agli ospedali cittadini e fece costruire, nel 1265, una Domus Dei per infermi ed esposti. Particolarmente difficili furono i rapporti con gli Ordini mendicanti: il F. infatti per sostenere il clero secolare, timoroso di perdere i proventi della cura animarum giunse ad accusare i frati di diffondere false dottrine; Alessandro IV lo richiamò allora all'ordine definendolo, nel suo rescriptum del 1259, "Christi ovium dissipator" e non "curator". Accettò malvolentieri il passaggio ai minori dell'Inquisizione, prima ufficio vescovile, e si scontrò con l'inquisitore fra' Alessio da Mantova, giudice delegato a Padova.
L'episcopato del F. vide affermarsi il culto antoniano (è del 1263 la ricognizione sui resti di s. Antonio con il rinvenimento della lingua incorrotta, e la traslazione delle reliquie nella basilica), ma in tale processo il vescovo non appare coinvolto. Risale a quegli anni anche la diffusione del culto per il b. Antonio detto il Pellegrino (m. 1267), ma anche questo culto che riuniva devozione popolare e patriottismo municipale, non venne incoraggiato dall'autorità vescovile.
La Chiesa padovana, sostenuta dal F. ormai anche contro la linea della Curia papale, continuava a vedere nel clero secolare il proprio cardine; forte era il legame con la congregazione dei parroci e con la "fratalea cappellanorum", che in un suo statuto del 1278 riconosceva il vescovo "tamquam pater suus". Il clero versava però in un profondo stato di crisi, disciplinare e culturale, a cui il F. cercò di porre rimedio, ma con interventi non sempre tempestivi, anche per la salute incerta degli ultimi anni. Nel 1282 si oppose al passaggio delle monache del monastero di S. Benedetto Novello ai camaldolesi e ricevette dal pontefice la scomunica in seguito revocata.
Alla crisi interna al mondo ecclesiastico si accompagnò il conflitto con il Comune. Finita la signoria di Ezzelino, l'autorità pubblica era impegnata nella ricostruzione dell'ordinamento comunale; un processo che comportava anche attriti con il clero che costituiva un gruppo potente difficilmente integrabile e teso al recupero di privilegi e potere del periodo pre-ezzeliniano. Per ridimensionare tali privilegi il Maggior Consiglio emanò a partire dal 1265 una serie di statuti che estendevano anche ai chierici la giurisdizione civile, fino al cosiddetto statuto "Donatello" (1282), che puniva con una multa l'uccisione di un prete. Contro simili provvedimenti, e in difesa della Chiesa e dell'anziano vescovo, il patriarca di Aquileia nel marzo 1283 colpì Padova con l'interdetto, tolto solo con la riappacificazione del 1290.
Il F. morì a Padova il 24 giugno 1283 nel pieno della crisi fra episcopio e pubblici poteri. Nel suo testamento aveva disposto di essere sepolto nella cattedrale, dove un'iscrizione, ora scomparsa, lo paragonava nei costumi a s. Gregorio, nella scienza a Salomone e nella vita a s. Prosdocimo.
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