BERTOLDI, Giovanni (Giovanni da Serravalle)
Nacque a Serravalle, un tempo ricco e forte borgo nelle vicinanze di San Marino, intorno al 1350 (altri pensano al 1360), da una famiglia il cui nome compare in uffici e incarichi della città di San Marino.
Compì i suoi primi studi in questa città, dove a sedici anni fu allievo dei padri minori conventuali. Di qui si trasferì a Pavia per completare gli studi teologici e addottorarsi. Quasi certamente a Bologna (altri suggeriscono Ferrara) seguì parte delle letture e del commento della Divina Commedia di Benvenuto da Imola, tenuti in casa di Giovanni da Soncino tra il 1374 e il 1376. Nel 1390, chiamato a Roma da papa Bonifacio IX, fu nominato lettore dei Libri quattuor sententiarum di Pietro Lombardo presso il ginnasio del Palazzo apostolico. Nel 1393 lasciò Roma e passò a Firenze, sempre con l'incarico di insegnante di teologia. Dovette lasciare Firenze nel 1397 per un viaggio in Terra Santa ove rimase per qualche mese (del viaggio c'è una Relazione manoscritta, per cui v. G. Padiglione, in Per l'inaugur. del nuovo Palazzo del Consiglio, San Marino 1894, p. 28). Fu certamente a Perugia nel 1400, poiché negli Annali decemvirali del Comune sotto la data del 22 aprile figura una provvisione dei priori che lo esalta come "fulgentissimus scientiarum vir eloquentissimus". Del Comune di Perugia fu anche eccellente ambasciatore tra il 1400 e il 1401 a Foligno e a Spoleto. Sentiva però il richiamo di Firenze sia per le accoglienze pronte e cortesi che lì aveva sempre avuto, sia per le possibilità di studio e di ricerca che già aveva avviato. Il 30 nov. 1401 alla morte di fra' Grazia de' Castellani fu chiamato a Firenze come lettore di teologia e predicatore. In un documento del 3 nov. 1403 gli esponenti della Repubblica fiorentina scrivevano al pontefice esortandolo a concedere più lungo soggiorno al frate di Serravalle. Forse l'esortazione fu accolta, se, pochi mesi dopo, nel 1404, gli stessi chiedevano prima al generale dei padri minori il permesso che il frate tenesse ancora le prediche di quaresima (Novati, Nuovi documenti, p.14), poi a lui stesso che fosse sollecito ad accogliere l'invito. Uguale esortazione si coglie in un'altra lettera del settembre 1406 per gli uffici di quaresima da tenere in S. Croce. Certo nel 1405 fa nominato provinciale del suo Ordine per le Marche; di qui doveva. poi passare in Romagna.
Furono, questi, anni intensi. Nel 1410, con Malatesta di Rimini, il B. fu a Mantova a consultare, fra l'altro, le memorie e le disposizioni della contessa Matilde; di là, forse, passò a Ravenna a vedere i luoghi danteschi. Probabilmente nel 1410 gli era giunta la nomina, voluta da Gregorio XII, a vescovo di Fermo, dove, invero, la sua presenza dovette essere assai saltuaria. Seguì invece il papa a Gaeta e ivi rimase, per alcun tempo, presso Ladislao "pro nostris et Ecclesie servitus impendendis" (Marcellino da Civezza- T. Domenichelli, p. XVIII). Abbandonato da costui Gregorio XII (che si era rifugiato presso il generoso Malatesta) per l'antipapa Giovanni XXIII, il B. rimase ancora presso Ladislao, seguendolo in vari luoghi fino a Napoli, nel tentativo di fimgere da intermediario tra lui e Carlo Malatesta. Anche dopo la morte di Ladislao (6 ag. 1413) non si chiarirono né la situazione della Chiesa né i suoi rapporti con i vari regnanti.
Certo è che il concilio di Costanza, svoltosi in quarantacinque sessioni dal 5 nov. 1414 al 23 apr. 1418, vide vivamente interessato il Bertoldi. Forse non partecipò alle prime adunanze, ma certamente il 18 giugno 1416 tenne l'eloquente orazione Caro mea vere est cibus, applauditissima, in cui si tende "a propugnare i concetti di riforma ecclesiastica" (Teuwsen, p. 20), augurando alla Chiesa "sacerdotes simplices et puri, non symoniaci, iesiaci, sacra et res sacras cottidie ementes et vendentes". Dal concilio, dopo l'abdicazione di Gregorio XII, cui il B. fu devotissimo, e la deposizione di Giovanni XXIII e di Benedetto XIII, uscì eletto l'11 nov. 1417 Martino V. Dal nuovo pontefice egli fu trasferito da Fermo a Fano il 15 dic. 107 (Marcellino da Civezza-T. Domenichelli, pp. XXII s.). A Fano morì nel febbraio 1445.
Fu durante il concilio di Costanza, e in questa città, con pochi libri e con piena fiducia nella memoria e nei buoni studi compiuti, che egli tradusse in latino e commentò la Divina Commedia dal 1° febbr. 1416 al 16 genn. 1417, o più precisamente: la versione dal gennaio 1416 al maggio 1416 e il commento dal febbraio 1416 al gennaio 1417 (Nicolini, p. 18). Il Foscolo insinuò, nel suo Discorso sul testo del poema di Dante (Prose letterarie, 1850, III, p. 216), che egli "compilasse quante mai chiose gli erano somministrate e dai libri che gli incontrava d'avere alla mano, e dalla sua memoria, e fors'anche dalla sua fantasia". Il suggerimento e lo stimolo gli vennero, nel rinnovato fervore di fiducia e di attesa proprio dei concilio, dai "reverendissimi in Christo Patres" come si legge nella dedica dell'opera, Amedeo di Saluzzo, cardinale diacono di S. Maria Nuova (ora S. Francesca Romana), Niccolò di Bubwych e Roberto Halam, ecclesiastici inglesi. Traduzione e commento dovevano servire, nella richiesta dei tre personaggi che evidentemente non conoscevano la lingua italiana e nella realizzazione che se ne fece, a diffondere tra i fedeli un'opera di alta edificazione morale e religiosa. Il B. si mise subito all'opera e si mantenne fedele all'invito fattogli e al compito che egli, a ragion veduta, si era assunto. Dinanzi a questi fini egli giustifica se stesso e la traduzione "de idiomate vulgari italico in illarn talein prosani rudem et ineptam", per cui invita i suoi lettori, non solo i dotti committenti, perché siano "non curantes de rusticana latinitate, incompta et inepta translatione" (Translatio et Comentum, p. 5). L'opera si presenta con Octo Preambula a tutta la Divina Commedia, posti all'inizio dell'Inferno; ma all'inizio del Purgatorio (e non più per il Paradiso) si ricorre ad altri Preambula particolari. La cultura, di cui dà prova il commentatore, è in genere buona. Si citano e si ricordano, oltre Aristotele e i testi sacri, tutti gli autori latini più insigni da Virgilio a Persio e Lucano, da Orazio a Giovenale, da Cicerone a Seneca e Boezio. Assai scarni i riferimenti ad autori medievali e, più ancora, volgari.
Il commento è strettamente morale-religioso. L'intenzione di Dante,secondo il B., "est et fuit, homines vitiosos, peccatores et in scelerum sordibus defedatos, seu deturpatos, ab ipsis vitiis et sceleribus retrahere, et reducere ipsos ad vertutes" (Translatio et Comentum, p. 7). L'autore segue poi e cerca di spiegare la scelta dei personaggi (per es. Virgilio), i movimenti di Dante di discesa e di salita, le parti di cui si compongono le cantiche e le ragioni dello stile, secondo i canoni retorici classico-medievali.
Ogni canto è poi preceduto da un Summarium e in ogni prima nota lo si suddivide in parti, generalmente quattro. Domina anche qui un criterio didascalico. Le note sono, spesso (e ci pare sempre più chiaramente quando si passa dall'Inferno al Purgatorio e al Paradiso) una parafrasi della traduzione. Inoltre anche l'impegno e nel commento dottrinale e nella traduzione dà l'impressione di allentarsi sempre più. Il latino, a sua volta, par che decada sensibilmente. Si accentua di conseguenza il tono "popolare" delle chiose.
La interpretazione dei simboli e delle figure non si stacca da quella fissata dai primi commentatori. L'annotazione storico-scientifica è assai prudente, se non scarsa. Assai curiose invece certe postille filologiche. Sordi appaiono gli accenni alla poesia, che in vero non ha mai rilievo per sé stessa. Per di più molto stretto risulta il rapporto di dipendenza dei commento del B. dalla lettura bolognese di Benvenuto da Imola. Il Barbi mette a raffronto "chiose di ogni genere".
I codici conosciuti dell'opera sono tre: uno è nella Biblioteca Vaticana (Capponiano 1; poi Vat.7566-7568); un altro è nella Biblioteca del Liceo vescovile di Eger in Ungheria (v. Vaisz, pp. 358 ss.); e un altro ancora è nel British Museum (v. E. Moore, in The Academy, 20 febbr. 1886; per tutt'e tre cfr. Marcellino da Civezza-T. Domenichelli, pp. XXV ss.; I. Carini in Bull. d. Soc. dantesca ital., III [1892], 10-11, p. 62).
Bibl.: Fr. J. De Serravalle, Translatio et Comentum totius libri D. A. cum textu italico fratris Bartholomaei a Colle, a cura di Marcellino da Civezza e T. Domenichelli, Prati 1891, pp. XLVIII-1236 (su cui v. almeno I. Carini, Il comm. dantesco di frate G. da Serravalle, in Di alcuni lavori ed acquisti della Bibl. Vat. nel pontif. di Leone XIII. Roma 1892); M. Delfico, Mem. stor. della Rep. di San Marino,Firenze 1843, I, pp. 217 ss.; Colomb de Batines, Bibliogr. dantesca, Prato 1846, II, pp. 333-335; I. Vaisz, Un cod. dantesco in Ungheria, in Giorn. stor. d. letter. ital., II(1883), pp. 358-65; F. Novati, Nuovidocum. sopra frate G. d. Serravalle, in Bull. d. Soc. Dantesca ital., II(1891), 7, pp. 11-15; Id., Fra G. da Serravalle…, in Giorn. stor. d. letter. ital.,XXIX(1897), pp. 565 s.; A. Capecelatro, L'ammir. per Dante e un ms. dantesco di frate G. da Serravalle, in Nuove prose, Roma 1899 (il saggio è però "inconcludente", cfr. Giornale stor. d. letter. ital., XXX[1897], p. 519); G. L. Hamilton, Notes on the Latin translation of, and commentary on the "D. C." by G. da Serravalle, in Twentieth Annual Report of the Dante Society, XX(1902), pp. 1537; A. Teuwsen, G. da Serravalle und sein Dante-kommentar, Leipzig 1905; I. Kaposi, Dante is meretánek elsö nyomai hazánkban és a magyarországi Dante Kódexek, Budapest 1909 (v. Bull. d. Soc. dantesca ital., XVIII[1911], pp. 75-76); L. Nicolini, La vita e l'opera di G. da Serravalle commentatore della Divina Commedia, San Marino 1923 (su cui v. però L. Negri, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXXV [1923], pp. 178 s.); L. Negri. Saggio di bibliogr. dantesca Per gli antichi Stati sabaudi, in Dante e il Piemonte, Torino 1922, pp. 433 s.; C. Ortolani da Pesaro, Dignità eccles. francescano-Picene. Ricerche bio-bibliograflche, Tolentino 1924, pp. 53-55 (si rifà alle Notizie prelim.di Marcellino da Civezza e T. Domenichelli); D. Guerri, Il commento del Boccaccio a Dante, Bari 1926, pp. si s.; M. Barbi, La lettura di Benvenuto da Imola… II. Il ms. Ashburnahamiano 839 e il commento di fra G. da Serravalle, in Studi danteschi, XVIII(1934), pp. 79-98 (poi in Problemi di critica dantesca, Firenze 1941, II, pp. 452-70); G. Ermini, Storia d. Univ. di Perugia, Bologna 1947, pp. 526-527; A. Solerti, Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio, Milano s. d., pp. 95 s.; S. Mihály, Giovanni Serravalle latin D. C. - Fordításai és kommentárja az Egri Serravalle - Kódexben, in Dante a középkor és a Renaissance közátt, Budapest 1966, pp. 433-64; Encicl. Ital., VI, p.792; Encicl. catt., II, col.1574.